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venerdì 25 ottobre 2024

LA BOUTIQUE DEL MISTERO di DINO BUZZATI

TITOLO: La boutique del mistero
AUTORE: Dino Buzzati
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 208
PREZZO: € 12,50
GENERE: letteratura italiana, letteratura fantastica
LUOGHI VISITATI: vari e non definibili
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)qui (link affiliato)

Una bellissima sorpresa. La boutique del mistero di Buzzati è stata una lettura molto piacevole assolutamente fuori dalla mia confort zone. Ho acquistato il libro in una delle promo due libri a 9,90 esclusivamente perché mi serviva fare coppia. Non sono, o forse è meglio dire, non ero una fan dei racconti e tanto meno sono una fan del genere grottesco/gotico et simila a cui si iscrive la produzione di Buzzati.  

Si tratta di una raccolta curata dallo stesso autore allo scopo di far conoscere il meglio della sua opera e racchiude trentuno racconti. Racconti grotteschi e inquitanti, situazioni normali e semplici che per varie ragioni assumono un manto di grottesco, inquietante e spaventevole (ma leggero non fanno davvero paura). Sono tutti caratterizzati anche da una sorta di indeterminatezza spazio temporale che li rende quasi profetici o simili a una favola, metaforici che voglio insegnar qualcosa al lettore; sono molto diversi tra loro alcuni sono in prima persona e di questi alcuni hanno per protagonista un tipo chiamato “Buzzati” ma rimangono diversissimi e trattano tanti argomenti/tematiche tutte diverse tra loro.

Ci sono alcuni tra i suoi racconti più famosi, e sono sicura che alcuni - su tutti “Il mantello” - li avevo già letti probabilmente in qualche antologia scolastica. È davvero difficile parlarne perché sono tanti e sono racconti piuttosto brevi, quindi il rischio spoiler è davvero altissimo.

Di seguito vi lascio una carrellata dei racconti senza fare spoiler:

- I sette messaggeri: il figlio del re parte per raggiungere i confini del regno, ma il tempo passa e il confine diventa sempre più distante

- L’assalto al Grande Convoglio: è un racconto dolcemaro, di rivincita e dimostrazione delle proprie capacità, un bandito uscito di prigione non viene riconosciuto e deriso dai suoi vecchi compagni e decide di mostrare chi è veramente

- Sette piani: il ricovero in un ospedale moderno di sette piani e man mano che si scende aumenta la gravità della malattia, il nostro protagonista per varie ragioni dal settimo inizierà a scendere…

- Eppur battono alla porta: una serata in famiglia e tra amici e un temporale impetuoso fuori, la casa è in pericolo? Gli abitanti non sembrano accorgersene

- Il mantello: Giovanni è reduce di guerra torna a casa per un saluto perché deve proseguire, c’è fuori un suo amico che lo aspetta. È uno dei miei preferiti, semplicemente struggente.

- Una cosa che comincia per elle: Cristoforo chiama il dottore non si sente bene e dopo varie visite viene “messo in sicurezza”

- Una goccia: la storia inquietante di una goccia d’acqua che di notte risale le scale di una palazzina

- La canzone di guerra: manifesta tutta l’inutilità della guerra

- La fine del mondo: viene annunciata la fine del mondo e le persone impazziscono alla ricerca di una salvezza per la propria anima

- Inviti superflui: un amore dimenticato

- Racconto di Natale: Don Valentino manda via dalla sua chiesa un povero che cerca Dio perchè non adatto alla messa di natale con l’arcivescono, così se ne va anche Dio e il prete parte in una ricerca disperata

- Il cane che ha visto Dio: meraviglioso, un cane speciale, il suo padrone è un eremita, e lui (il cane) si adopera per portare un po’ di giustizia, così nel piccolo paese tutti iniziano a trattarlo con deferenza e rispetto con un finale davvero stupefacente che mostra quanto la mente umana sia condizionabile.

- Qualcosa era successo: un viaggio in treno fuori sembra succedere qualcosa ma non è dato sapersi cosa

- I topi: un villa infestata dai topi che prendono pian piano il potere

- Il disco si posò: l’incontro e la disputa morale/religiosa tra un prete e due extraterristi immuni dal peccato originale

- Il tiranno malato: come reagisce la comunità quando il tiranno, il prepotente non è più in grado di difendersi? Molto bello e analizza un mondo a noi vicino quello dei cani

- I santi: Buzzati qui immagina la vita dei santi in paradiso in paricolare due santi minori, uno molto venerato e richiesto e uno praticamente dimenticato

- Lo scarafaggio: un uomo torna a casa e schiaccia uno scarafaggio e questo comporta una serie di lamentatele fino a che non risolve al meglio la questione.

- Conigli sotto la luna: molto metaforico e inteso, di notte dei conigli vagano per la campagna attendendo qualcosa che si rivelerà fatale

- Questioni ospedaliere: come raccontare la burocrazia e i suoi limiti, un uomo porta in ospedale una donna gravemente ferita ma ogni porta che apre non è quella giusta e per questo lo indirizzano ad altro luogo cacciandolo, ignorando la gravità della situazione per mere ragioni “burocratiche”

- Il corridoio del grande albergo: di notte in un albergo due uomini si incontrano perché entrambi devono andare in bagno e per evitare imbarazzi iniziano a nascondersi negli spazi bui

- Ricordo di un poeta: una sorta di memoir di un uomo che per un breve periodo si è sentito un artista

- Il colombre: uno dei racconti più famosi di Buzzati è molto interessante e soprattutto sorprendente perché mostra come le cose siano diverse da quello che ti aspetti: un ragazzo naviga col padre qui avvista un colombre, un animale che insegue i marinai fino alla morte, così il padre convince il ragazzo a non navigare, ma morto il padre il giovane naviga e dopo tutta la vita con il colombre che lo insegue decide di affrontarlo scoprendo delle verità…

- L’umiltà: un frate eremita si trova a confessare un prete che pecca di gioia nel farsi chiamare reverendo e lo assolve, passano gli anni e si trova periodicamente ad assolvere questo prete che man mano nei suoi peccati sale la scala gerarchica, ma alla fine il frate scoprirà qualcosa…

- Riservatissima al signor direttore: lettera al direttore di un giornale con la confessione di un giornalista molto acclamato che in realtà i racconti per cui è famoso non sono suoi, e racconta di chi sono e perché lui li adopera…

- Le gobbe nel giardino: cosa succede nella nostra vita quando qualcuno a noi caro viene a mancare, un racconto metaforico molto intenso

- L’uovo: è forse quello che mi ha più rappresentato racconta del potere (e qui direi davvero fantastico) di cui è capace una madre per difendere il proprio figlio, è molto bello

- La giacca stregata: bellissimo, un uomo scopre che nella tasca destra della sua nuova giacca trova dei soldi e non pochi, e inizia ad approfittarne, fino a che scopre da dove arrivano e inizia una lotta con la sua coscienza

- La torre Eiffel: la storia di un operaio della famosa torre Eiffel che racconta una versione nuova della costruzione della torre che in origine era un po’ diversa da come la conosciamo oggi

- La ragazza che precipita: la storia di una ragazza che precipita da un grattacielo, ma una caduta reale o solo metaforica sul senso della vita?

- I due autisti: un viaggio verso il cimitero, un carro funebre con due autisti e dietro il figlio della defunta che si chide di cosa parleranno i due autisti e ripensa alla vita con la madre.

I miei preferiti in assoluto sono stati: L’assalto al grande convoglio; Il mantello; Il cane che ha visto Dio; I topi; Il colombre; L’uovo; La giacca stregata.

Io li trovo perfetti per il periodo autunnale perché reputo che siamo “spooky”.

Fatemi sapere nei commenti se conoscete Buzzati e cosa mi consigliate di suo. Se avete letto questa raccolta quali sono i vostri racconti preferiti?

venerdì 24 maggio 2024

L' AMICA GENIALE (vol. 1) - ELENA FERRANTE

TITOLO: L'amica geniale
AUTORE: Elena Ferrante
EDITORE: E/O
PAGINE: 400
PREZZO:€ 19
GENERE: letteratura italiana, saga 
LUOGHI VISITATI: Napoli immediato secondo dopoguerra
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)





Mancavo solo io, penso l’abbiamo letto tutti. Questo libro, o meglio questa storia perché è una quadrilogia è accompagnata da un grandissimo hype e io generalmente in questi casi aspetto, però per L’amica geniale l’hype non è mai diminuito vuoi per la trasposizione televisiva, vuoi per il mistero che per svariato tempo ha circondato la sua autrice (Elena Ferrante è uno pseudonimo e non si sapeva chi si celasse dietro, tra l’altro mi pare che ora si sa tutto ma non ricordo…). Inoltre snobbavo proprio la storia, un libro italiano ambientato nell’immediato dopoguerra, con delle bambine per protagoniste, poi tanto clamore: no non mi va di leggerlo… Una mattina (due anni fa in questo periodo) vedo che è uscita anche la grapich novel oltre alla serie tv e mi dico basta ora voglio leggere anche io L’amica geniale, compro il libro, lo leggo e me ne innamoro pazzamente. Era un periodo che dormivo pochissimo per via di Giulia (non che ora…) rinunciavo a quelle poche ore di sonno pur di leggere!

Pur avendolo adorato non sono ancora andata avanti perché mi trovo in quella strana situazione in cui da un lato vorresti leggere tutta la storia per vedere come va avanti e cosa succede, dall’altro però non lo voglio finire mi piace pensare che c’è questa storia che mi aspetta. Capita anche a voi?

Veniamo al libro che è meglio.

Un romanzo di formazione e di crescita, un romanzo che racconta un’amicizia forte, importante ma anche turbolenta. Le vicende sono narrate in prima persona da Lenù che racconta la sua amicizia con Lila, si incontrano da bambine e diventano amiche, un amicizia che durerà tutta la vita. Siamo a Napoli in un quartiere popolare nell’immediato dopoguerra, (povertà, precariato, malavita e degrado) in questo primo volume si raccontano una decina d’anni.

“Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ogni giorno, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c’era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi. Certo, a me sarebbero piaciuti i modi gentili che predicavano la maestra e il parroco, ma sentivo che quei modi non erano adatti al nostro rione, anche se eri femmina. Le donne combattevano tra loro più degli uomini, si prendevano per i capelli, si facevano male. Far male era una malattia.”

 Il libro inizia col botto, un prologo fantastico (e per quel che ho letto io finora molto originale): una donna – Lenù – si mette al pc e scrive tutto ciò che ricorda della sua vita con l’amica Lila, ma perché lo fa? Perché Lila a 66 anni scompare volontariamente cancellando ogni traccia dise e quindi l’amica per ripicca, per dispetto, per impedirle di scomparire si mette a scrivere la loro storia! (Mettersi a scrivere in cosegenza della scomparsa di una persona cara non è cosa nuova, ma farlo per impedire a questa persona di cancellare le proprie tracce sì). Già da qui la voglia di leggere la storia e capire perché Lila a un certo punto scompare è tantissima, come scoprire tutta la loro amicizia.

“«È bello» mormorai, «parlare con gli altri».
«Sì, ma solo se quando parli c’è qualcuno che risponde».
Mi sentii in petto uno sbuffo di gioia. Che richiesta c’era in quella bella frase? Mi stava dicendo che voleva parlare soltanto con me perché non prendevo per buono tutto quello che le usciva di bocca ma le rispondevo? Mi stava dicendo che soltanto io sapevo star dietro alle cose che le passavano per la testa?
Sì. E me lo stava dicendo con un tono che non le conoscevo, fievole, sebbene come al solito brusco. […] Ne ragionammo. Avevamo dodici anni, ma camminammo a lungo per le vie bollenti del rione, tra la polvere e le mosche che si lasciavano alla spalle i vecchi camion di passaggio, come due vecchiette che fanno il punto delle loro vite piene di delusioni e si tengono strette l’una all’altra. Nessuno ci capiva, solo noi due – pensavo – ci capivamo. Noi, insieme, soltanto noi, sapevamo come la cappa che gravava sul rione da sempre, cioè fin da quando avevamo memoria […] C’era qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine, nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava accettabile. L’essenziale, però, era saper giocare e io e lei, io e lei soltanto, sapevamo farlo.”
 


 Per quanto riguarda la trama Lila e Lenù si incontrano sui banchi delle elementari, vivono nello stesso palazzo e iniziano a frequentarsi diventando amiche, un’amicizia che durerà tutta la vita. Come detto il periodo narrato copre circa una decina d’anni ci sono gli anni delle elementari, poi la crescita i primi amori e le diverse esperienze che fanno. Anzitutto scolastiche perché Lila non può proseguire la scuola oltre la quinta elementare per problemi economici e dovrà andare a lavorare nel negozio di calzolaio del padre, mentre Lenù (da qui l’appellativo di amica geniale) va alle medie e al liceo, ovviamente anche le frequentazioni sono diverse, gli impegni non permettono loro di passare tutto il tempo assieme ma spesso riescono a vedersi e uscire assieme ai coetanei del rione (un agglomerato molto interessante di personaggi secondari).

“Fu durante quel percorso verso via Orazio che cominciai a sentirmi in modo chiaro un’estranea resa infelice dalla mia stessa estraneità. Ero cresciuta con quei ragazzi, ritenevo normali i loro comportamenti, la loro lingua violenta era la mia. Ma seguivo anche quotidianamente, ormai da sei anni, un percorso di cui loro ignoravano tutto e che io invece affrontavo in modo così brillante da risultare la più capace. Con loro non potevo usare niente di ciò che imparavo ogni giorno, dovevo contenermi, in qualche modo autodegradarmi. Ciò che ero a scuola, lì ero obbligata a metterlo tra parentesi o a usarlo a tradimento, per intimidirli. Mi chiesi cosa ci facevo in quell’auto. C’erano i miei amici, certo, […] stavamo andando alla festa […]. Ma proprio quella festa ratificava che Lila, l’unica persona che sentivo ancora necessaria malgrado le nostre vite divergenti, non ci apparteneva più, e venendo meno lei, ogni mediazione tra me e quei giovani, quell’auto in corsa per quelle strade, si era esaurita.”

Io mi sono focalizzata soprattutto sulle due protagoniste. Entrambe le ragazze sono molto intelligenti e portate allo studio ma hanno possibilità diverse, Lila arriva alle elementari che sa già leggere, scrivere e fare di conto senza che nessuno glielo abbia mai insegnato, studierà da autodidatta greco e latino perché li studia Lenù al liceo e darà ripetizioni all’amica ma come detto non può proseguire. Le due amiche sono molto diverse anche caratterialmente Lila è definita una bambina cattiva, è esplosiva, coraggiosa e determinata mentre Lenù è più mite, timida e sognatrice; hanno in comune la voglia di emanciparsi e lasciare il rione e la povertà, seguiranno (per tante ragioni) vie diverse.

Il finale di questo libro è un cliffhanger pazzesco!

Il libro non è solo una storia di amicizia ma anche un modo per approcciarsi a una parte della nostra storia perché con le vicende di Lila e Lenù ripercorriamo anche la storia dell’Italia a partire dal secondo dopoguerra con un affresco in particolare su Napoli e in generale della nostra società (ruolo della donna ma anche alla figura del o della maestra, aspettative, criminalità, politica).

Voglio continuare la lettura non solo di questa quadrilogia ma di tutti i libri di Elena Ferrante.

Fatemi sapere se avete letto la storia dell’amica geniale vi aspetto nei commenti.


venerdì 12 aprile 2024

IL PORTO PROIBITO di RADICE e TURCONI

TITOLO: Il porto proibito
AUTORE: Teresa Radice e Stefano Turconi (disegni)
EDITORE: Bao Publishing
PAGINE: 319
PREZZO: € 27
GENERE: graphic novel, letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: Inghilterra seconda metà '800
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Oggi parliamo di un grapich novel o fumetto che è qualcosa che non si vede spesso sulle mie pagine perché non ne leggo molti anche se vorrei approfondire, diciamo che la mia difficoltà maggiore, tra virgolette, con i graphic novel è che la storia non è data solo dal testo, non si leggono solo le parole ma anche e soprattutto le immagini, mi sono abituata a una lettura “veloce” invece le immagini, i disegni richiedono tempo e attenzione – secondo me molto più che la parola scritta.

Questo grapich novel è davvero bello e delicato.

Iniziamo parlando dei disegni che in questo caso rispondono pienamente al mio gusto personale: sono disegni realistici pur rimanendo disegno, stile quasi cartone animato (in questa valutazioni mi sono forse fatta condizionare dall’aver letto che i due hanno lavorato per la Disney), non imitano la fotografia, non sono stilizzati ma sono disegni realistici, veritieri in stile cartone animato se devo fare un paragone mi viene in mente Lady Oscar o Sissi. Principalmente in bianco e nero, ma con delle tavole colorate e poi delle magnifiche tavole di approfondimento e studio legate al mondo di ambientazione della storia.

La storia narrata è dolce e malinconica con un tocco di sovrannaturale, quasi una favola moderna.

 

Inizi dell’800 in Siam un ragazzo viene ripescato dal mare, è un naufrago, non ricorda nulla a parte il suo nome. Abel viene preso a bordo di una nave della Marina Britannica l’Explorer visto che a trovarlo è stato il neo promosso capitano William Roberts. L’Explorer ha appena subito un tradimento, il capitano Stevenson è scomparso senza lasciare tracce e con lui un importante tesoro. Il clima a bordo non è dei migliori ma pian piano Abel riuscirà a entrare nei cuori della ciurma, probabilmente è stato un mozzo perché sulla nave sa muoversi e lavorare molto bene e farà ritorno in Inghilterra sbarcando a Playmouth.

Sulla via del ritorno vede in mare un luogo, una sorta di miraggio potremmo dire che viene chiamato “il porto proibito” e un vecchio marinaio gli dice che solo pochi eletti lo possono vedere; senza sapere perché e cosa significa Abel è fra questi. Una volta tornato in patria la memoria non torna momentaneamente vive presso le sorelle Stevenson (figlie del capitano scomparso) che lo accolgono come fosse un fratello, le ragazze gestiscono una locanda e anche grazie a loro farà amicizia con Rebecca la tenutaria del bordello Pillar.  Sarà grazie a questa amicizia che Abel troverà la sua missione: tornare in mare per svelare la verità sulla scomparsa di Stevenson.

È una storia d’amore sotto molti punti di vista e di coraggio e determinazione, ma anche di vendette e tradimenti.

Voglio leggere altro di questi due autori, ci sono due grapich novel dedicate alla ragazze del Pillar di Playmouth e uno che parla della campagna di Russia durante la seconda guerra mondiale.

Vi aspetto nei commenti per sapere se avete letto questo grapich novel o altri di questi autori e cosa mi consigliate.


giovedì 23 novembre 2023

UN INDOVINO MI DISSE di TIZIANO TERZANI

TITOLO: Un indovino mi disse
AUTORE: Tiziano Terzani
EDITORE: Tea
PAGINE: 430
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana, letteratura di viaggio, memoir, reportage
LUOGHI VISITATI: Sud Est asiatico primi anni '90
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Colloquiale, intimo e coinvolgente. È come se prendessimo un caffè o meglio un lunghissimo te - magari su una spiaggia del sud est asiatico oppure in uno dei lunghi viaggi in treno o in nave che Terzani ha fatto nel suo 93 -  e, come fossimo vecchi amici, Terzani ci racconta dalla sua vita e di quell’anno magico che gli ha fatto vivere tante belle esperienze.

Cos’ha di speciale il 1993? Per tutto l’anno Terzani non ha mai preso un aereo o un velivolo e si è sposato con altri mezzi di trasporto. Perché? Perché anni prima un indovino gli predisse di non prendere voli, e così più per gioco che per paura/scaramanzia passa un intero anno senza volare, un anno dove comunque viaggia, si sposta perché svolge il proprio lavoro di giornalista e torna, come di consueto, nella sua Firenze per le vacanze.

Tutto inizia nel 1976 quando per caso un vecchio indovino cinese ammonisce Terzani a non volare nel 93; passano gli anni e Terzani che è il primo scettico, il primo a non credere, quello che trova sempre una spiegazione logica decide di sfruttare l’occasione che la profezia gli offre per vivere una nuova esperienza.

 “… mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: «Al diavolo gli indovini e le loro fandonie»?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima a Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine a Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella «profezia» fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
[..] E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. […] La profezia era la scusa.”

È anzitutto un magnifico libro di viaggio, che offre spunti anche per viaggi attuali diversi dal solito dove il viaggio non è solo un modo per raggiungere la metà ma è esso stesso la meta, lo scopo del viaggio non è tanto o solo raggiungere un luogo ma il viaggio in sé, l’esperienza, ciò che vedi e chi incontri. E lo trovo un insegnamento molto importante.

Tiziano Terzani è un giornalista fiorentino che ha girato il mondo e dagli anni ’70 è corrispondente dal il Sud Est Asiatico per il Der Spiegel e noi lo seguiamo nei suoi spostamenti per lavoro, viaggiamo con lui in giro per l’Asia e viviamo tante esperienze e avventure come quando partecipa a una sorta di rally che inaugura una strada che unisce Thailandia e Cina Ponendo fine (purtroppo) al secolare isolamento di una regione oppure l’epocale il viaggio in treno che lo porta da Bangkok a Firenze.

“… con il solo peso di un sacco sulle spalle e di una borsa a mano, uscii una mattina da Turtle House e partii per un grande viaggio, uno dei più lunghi della mia vita, uno dei più lenti, quello con cui volevo darmi più agio: Bangkok-Firenze. Ero diretto in Occidente, ma dovetti incominciare andando verso Oriente. Essendo impossibile attraversare la Birmania in direzione dell’India, il modo più sicuro di lasciare la Thilandia era di entrare in Cambogia, di proseguire in Vietnam, poi in Cina, in Mongolia, in Siberia e avanti, avanti fino a casa.” 

Ma Terzani in questo 1993 fa anche un’altra cosa, una sorta di gioco per cui si mette a consultare indovini: in ogni luogo che visita (e ne visita tanti) si informa e consulta l’indovino più famoso, ricercato, apprezzato del luogo. Scopriamo così tante tecniche diverse per predire il futuro, chi legge le carte, chi le mani, chi i piedi, chi traccia segni oppure costruisce schemi partendo da data e ora di nascita; emergono tante realtà diverse ma Terzani si accorge di una cosa molto interessante ogni cultura dà maggior importanza a determinati aspetti della vita e così l’indovino, in base alla cultura di appartenenza, tenderà a parlare a predire il futuro con maggior attenzione a uno o a un altro aspetto come può essere il denaro oppure l’amore o la longevità; e la cosa che trovo simpatica è che utilizzano per Terzani gli stessi schemi/modelli che utilizzano per i compatrioti asiatici.  

Se ne vedono di tutti i colori è un aspetto interessante e quasi un ulteriore viaggio che compiamo con Terzani nel senso che viaggiamo nello spazio ma anche dentro le culture che incontriamo e lo facciamo attraverso il fenomeno degli indovini. Si interroga anche sul significato e sul senso degli indovini offrendo anche qui spunti di riflessione molto interessanti.

“Gli chiesi di aiutarmi con la storia delle elezioni e di trovarmi il migliore indovino della città. Questa volta non era tanto il mio destino che mi interessava – ne avevo già collezionate varie versioni -, quanto la risposta a un pensiero che sin dall’inizio dell’anno mi girava in testa: se è davvero possibile prevedere il futuro, se l’uomo porta davvero in sé i semi di quel che lo aspetta, la Cambogia era il posto in cui provarlo. Nel giro di quattro anni, una persona su tre era morta in questo paese, perlopiù in maniera violenta. Gli indovini lo avevano predetto? C’era stato qualcuno che aveva messo in guardia contro la possibilità di un bagno di sangue?
Se nel palmo di una mano c’è un segno che indica una malattia a diciott’anni e la possibilità di un infarto a cinquantadue, cosa doveva esserci nelle mani dei due milioni di cambogiani che il 17 aprile 1975 videro il loro mondo finire? Le fosse comuni della Cambogia erano piene di gente predestinata a finire lì. Se nessuno aveva saputo leggere quel loro futuro, allora voleva dire che chiunque pretende di saperlo fare è un impostore; voleva dire che il futuro non è nella mano di nessuno, non è nelle stelle. Voleva dire che il destino non esiste.” 

Offre anche tanti spunti di riflessione a partire dai viaggi in aereo, avete mai pensato a come il viaggio aereo distorca il mondo e lo faccia assomigliare? Viaggiare in aereo fa perdere non solo il senso della distanza tra i luoghi ma anche la lontananza, fisica, culturale e sociale perché tutti gli aeroporti sono praticamente uguali in ogni angolo del mondo, sono “internazionali” e poi fa perdere anche il senso dei confini e delle frontiere, diversità ben visibili se si viaggia via terra per esempio.

“La Cambogia finisce con un grande arco di trionfo in pietra rosa, sovrastato dalla riproduzione delle torri di Angkor. Da lì dovetti fare a piedi un centinaio di metri per arrivare a un portale di cemento grigio e disadorno che segnava invece l’inizio del Vietnam. Gli stranieri che si presentano lì sono rarissimi e il mio arrivo creò una grande curiosità, una perquisizione minuziosa dei miei bagagli e un interrogatorio in cui la domanda ricorrente fu: «Perché non hai preso l’aereo?». Già, perché?
Forse anche per riscoprire che il mondo è un complicato mosaico di paesi, ciascuno con le sue frontiere da varcare; forse per riaccorgermi che la terra non è una massa monocolore punteggiata di aeroporti, come appare nelle carte delle linee aeree; o forse semplicemente per riprovare l’emozione di varcare, fisicamente a piedi, e non per aria, una vera frontiera come quella.”

Avrei voluto sottolineare tutto il libro, è pieno di passaggi interessanti oltre alle sue esperienze si parla di geopolitica, di Storia, ci sono curiosità, aneddoti e tante riflessioni. Leggiamo di culture e tradizioni e di storia più o meno recente e di come sono oggi paesi come il Vietnam, la Cambogia e la Cina per esempio, paesi in cui Terzani ha vissuto e lavorato.

Un libro bellissimo ma anche doloroso. Anzitutto perché è un libro che trasporta e fa viaggiare attraverso l’Asia il lettore; ma è un Asia che non esiste più (stiamo parlando principalmente del 1993 sono passati 30 anni) ma già all’epoca Terzani ci dice che non esiste più, che sta scomparendo, piano piano tutti i paesi si occidentalizzano abbandonando molto del tradizionale a favore del moderno, dello sviluppo (e il modello di monto/vita moderna e sviluppato è quello occidentale) a partire dalla Thailandia.

“Il destino di quella straordinaria civiltà che aveva, davvero per millenni, preso un’altra via, che aveva affrontato la vita, la morta, la natura, gli dei in maniera diversa dagli altri, mi rattristava! Quella cinese era una civiltà che aveva inventato un suo modo di scrivere, di mangiare, di fare l’amore, di pettinarsi: una civiltà che per secoli ha curato diversamente i suoi malati, ha guardato diversamente il cielo, le montagne, i fiumi; che ha avuto una diversa idea di come costruire le case, di fare i templi, un’altra concezione dell’anatomia, un diverso concetto di anima, di forza, di vento, d’acqua; una civiltà che ha scoperto la polvere da sparo e l’ha solo usata per fare fuochi d’artificio invece che proiettili per i cannoni. Quella civiltà oggi cerca solo di essere moderna come l’Occidente; vuole diventare come quell’isolotto ad aria condizionata che è Singapore; produce giovani che sognano solo di vestirsi come rappresentanti di commercio, di fare la coda davanti ai fast food di McDonald, di avere un orologio al quarzo, un televisore a colori e un telefonino portatile.
Non è triste? Non dico per i cinesi. Ma per l’umanità in genere, che perde molto nel perdere le sue diversità e nel diventare tutta uguale.”

 

Ma è doloroso anche per le narrazioni degli ultimi decenni di storia del sud est asiatico questo sud est asiatico ricco di storia, tradizioni millenarie, usi e costumi interessanti, dilaniato da guerre e dittature, si parla della guerra del Vietnam, della Cambogia di Pol Pot e del regime birmano, Terzani è stato corrispondente per questi eventi li ha vissuti in prima persona.

Una parte che ho apprezzato moltissimo (anche se ho apprezzato davvero tutto) è quella relativa alle prime elezioni democratiche in Cambogia che si tengono nel 1993 a cui naturalmente Terzani assiste, avvengono sotto l’egida dell’ONU e sono elezioni democratiche.  Le parole di Terzani sono così profonde, così vere da sembrare scontate ma non lo sono, ho apprezzato moltissimo che dica quello che pensa con tanta lucidità e coraggio sull’intervento ONU in Cambogia emerge ancora una volta l’ipocrisia occidentale, si tratta di un pensiero che non si può non condividere e che può essere traslato anche a molti altri scenari. Se il mondo fosse governato da uomini come Terzani a mio modestissimo parare vivremmo praticamente in paradiso!

 

“Quello che è successo in Cambogia dal 1975 al 1979, sotto il regime dei Khmer Rossi, sfidava ogni fantasia dell’orrore; era più spaventoso di qualsiasi cosa un uomo potesse immaginarsi. L’intera società era stata rovesciata, le città abbandonate, le pagode distrutte, la religione abolita e la gente regolarmente massacrata in un continua orgia purificatrice. Un milione e mezzo, forse due milioni, di cambogiani – un terzo della popolazione – erano stati eliminati. Cercai quelli che avevo conosciuto e non trovai nessuno. Erano tutti finiti a «fare da concime nei campi», perché anche i «controrivoluzionari», dicevano i Khmer Rossi, dovevano, almeno come cadaveri, servire a qualcosa.
Viaggiai per un mese attraverso un paese martoriato a raccogliere testimonianze di questa follia. La gente era così atterrita, così inebetita dall’orrore che spesso non riusciva a raccontare o non voleva farlo. Nelle campagne mi venivano indicati «i centri di raccolta per l’eliminazione dei nemici» - di solito erano le vecchie scuole – dove restavano le tracce delle torture, i pozzi dove non era più possibile bere perché riempiti di morti, le risaie dove a volte non si riusciva a camminare senza pestare le ossa di quelli che lì, a colpi di bastone, per risparmiare le pallottole, erano stati massacrati.
Dovunque si scoprivano nuove fosse comuni. C’erano superstiti che non riuscivano più a montare su una barca da quando avevano visto i loro famigliari portati in mezzo a un lago e buttati in pasto ai coccodrilli. Altri non riuscivano più a salire su una palma perché i Khmer Rossi avevano usato gli alberi per mettere alla prova le loro vittime e decidere chi dovesse vivere e chi morie. Quelli che riuscivano ad arrivare fino in cima erano considerati contadini da utilizzare; gli altri, intellettuali da eliminare.
Da allora la Cambogia non fu mai più la stessa. […] Non potevo più guardare serenamente una fila di palme senza pensare istintivamente che le più alte erano quelle più concimate di cadaveri. In Cambogia persino la natura aveva perso la sua rincuorante innocenza.
[…] Dopo aver ignorato per anni la tragedia di questo paese, la comunità internazionale era finalmente intervenuta massicciamente. Non certo per mettere ordine, per punire gli assassini e ristabilire un minino di decenza nella vita! […] per la piccola Cambogia, le «Grandi Potenze» avevano trovato una di quelle soluzioni che servono a giustificare ogni immoralità: un compromesso. Con gli Accordi di Parigi, firmati con grande pompa nel 1991, i massacri furono dimenticati, boia e vittime vennero messi sullo stesso piano, i vari gruppi combattenti furono invitati a deporre le armi e i loro capi a presentarsi alle elezioni. Che vincesse il migliore! Come se la Cambogia nel 1993 fosse l’Atene di Pericle.
Questa volta ero a Phnom Penh da qualche giorno e avevo l’impressione di assistere a una grande rappresentazione di follia.
In un palazzo degli anni ’30, che era stato la residenza del governatore francese, s’era installato il Quartier Generale dell’UNTAC, l’Autorità delle Nazioni Unite incaricata di applicare gli accordi di Parigi. Ogni giorno, su una bella terrazza, un giovanotto di nazionalità francese dava informazioni e istruzioni ai cinquecento giornalisti venuti da tutto il mondo per assistere «elle prime elezioni democratiche nella storia della Cambogia»; un altro, di nazionalità americana, spiegava che era proibito prendere foto degli elettori alle urne e chiedere loro, all’uscita dei seggi, per chi avessero votato.
Ai piani superiori, nei piccoli uffici ricavati dalle grandi sale di un tempo, altri funzionari internazionali, avvocati e giudici presi in prestito dai vari paesi, professori universitari a contratto per l’ONU, ciascuno davanti al suo computer, lavoravano a elaborare piani per lo sviluppo e la modernizzazione del paese, stilavano una nuova costituzione, scrivevano leggi per riorganizzare le dogane, eliminare la corruzione, ristrutturare il sistema scolastico e far funzionare gli ospedali. A sentir loro, quella era per la Cambogia un’occasione unica per rimettersi in piedi, per tornare a essere un paese normale. Il mondo intero era lì ad aiutarla. Sulla carta era vero. […] Il destino dei cambogiani non era la grande priorità del momento. Per le Nazioni Unite era prioritario portare a buon fine l’intervento in Cambogia, così da poter ripetere l’operazione altrove. […] Se la comunità internazionale avesse voluto fare qualcosa per i cambogiani, doveva metterli sotto una campana di vetro per una generazione, proteggerli dai loro vicini-nemici, thailandesi e vietnamiti, dai rapaci uomini d’affari venuti come cavallette a sfruttare l’occasione di far due soldi. Doveva anzitutto aiutarli a vivere in pace, a riscoprire se stessi… E poi, forse, poteva chiedere loro se volevano avere una monarchia o una repubblica, se preferivano il partito della Mucca o quello del Serpente.
Invece di mandare esperti di diritto costituzionale, di economia o di comunicazioni, le Nazioni Unite avrebbero dovuto mandare un gruppo di psicanalisti e psicologi a occuparsi dello spaventoso trauma che questo popolo aveva subito.”


La prosa di Terzani è acuta, ha uno sguardo lungimirante, che condivido molto, ha una lingua piana, semplice colloquiale, che mette il lettore a suo agio, lo fa sentire a casa, con un amico e al contempo informa, insegna, istruisce, emerge tutta la conoscenza e anche la saggezza ma non in modo accademico o spocchioso, e poi ha una lingua sarcastica, tagliente ma giusta. 

Ricco di riflessione sulla vita, sul suo senso, sulla modernità e il suo impatto sulle persone, soprattutto sulla loro felicità. E le riflessioni di Terzani sono ottimi spunti di riflessione anche per il lettore.

Ci sono tantissimi riferimenti alla storia geopolitica dell’Asia e ne narra anche degli episodi anche passati che fanno parte della sua esperienza e/o che comunque servono a contestualizzare e spiegare il presente, si parla della guerra in Vietnam, dei Khmer Rossi e della Cambogia, dei grandi cambiamenti che hanno e stanno subendo i vari paesi, la Malesia musulmana. Io conosco davvero pochissimo però è facile star dietro a Terzani.

Lo stile è colloquiale ed è secondo me un pregio enorme, è una fonte infinita di informazioni e saggezza, eppure sembra di ascoltare il tuo amico di scuola. Semplice ma efficace, scorrevole, meraviglioso proprio perché spiega e narra cosa ha portato all’oggi. E poi le riflessioni, le sue opinioni molto forti e coraggiose ma a mio parere assolutamente lucide, meritevoli e degne di essere condivise.

Ho letto il libro nel 2023 esattamente trent’anni dopo la sua ambientazione ma è stato un caso. Mi sono approcciata praticamente al buio, da tempo volevo conoscere Terzani perché mi ispirava e in una promo tea avevo acquistato questo libro. Penso inoltre che molto di quello che Terzani ci racconta sia ancora attuale nonostante gli anni, soprattutto le riflessioni su come la “modernità” sia ricercata a discapito delle tradizioni e delle diversità e soprattutto della felicità, felicità che viene sacrificata perché il mondo va veloce e bisogna adeguarsi e non c’è tempo e spazio per ciò che ci fa piacere.

Voglio leggere altro di suo e sicuramente leggerò Buonanotte sig. Lenin che racconta di un viaggio fatto in Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica e assiste durante il viaggio all’eliminazione dei simboli e delle statue del regime, tra l’altro è il libro che uscirà proprio nel ’93 e ce ne parla. Mentre gli altri suoi libri da un lato mi intimoriscono soprattutto quelli che sono cronache di un reporter di guerra in Vietnam e Cambogia però li voglio recuperare perché secondo me sono fonti importantissime e accessibili anche a chi, come me, è piuttosto digiuno di questi argomenti ma vuole approfondire.

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro mi consigliate.


giovedì 14 settembre 2023

PREMIATA DITTA SORELLE FICCADENTI - ANDREA VITALI

TITOLO: Premiata ditta sorelle Ficcadenti
AUTORE: Andrea Vitali
EDITORE: Rizzoli
PAGINE: 447
PREZZO: € 10 circa
GENERE: letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: Bellano tra il 1915 e il 1916
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)

 

 


 

Tra la fine del 1915 e gli inizi del 1916 mentre in Europa imperversa la Prima Guerra Mondiale anche la piccola Bellano è scossa da una battaglia e un grande mistero che vede coinvolta la famiglia della Stampina e le sorelle Ficcadenti, appena giunte in paese.

La Stampina è la prima tra le pie donne del paese, donna estremamente devota ma anche sfortunata, con un marito paralitico per l’artrite e un figlio, il Geremia, a cui manca qualche giovedì, un gran bravo ragazzo e un gran lavoratore che solitamente divide il suo tempo tra il lavoro in fabbrica e aiutare in casa a badare al padre che bisogna spostarlo di peso. Ma a creare problemi è proprio il Geremia che si fissa di volersi sposare entro Natale oppure di suicidarsi. Così la Stampina si rivolge al prete del paese Don Primo Pastore il quale cerca in tutti i modi di aiutarla e dissuadere il giovane dall’intento anche con l’aiuto della perpetua, la Rebecca.  Problema non indifferente è anche la “sposa” scelta dal Geremia: la bellissima (e inarrivabile, tanto meno per un “matocchino” come il Geremia) Giovenca Ficcadenti.

Ed ecco che entrano in scena le sorelle Ficcadenti appena giunte a Bellano dove hanno aperto una nuova merceria, non le conosce nessuno e non hanno nessun legame con il paese; le due sorelle non potrebbero essere più diverse: Giovenca è bellissima mentre Zemia è una specie di scheletro orribile, questa diversità è uno degli elementi che alimentano i pettegolezzi in paese.  Quella delle Ficcadenti diventa la terza merceria del paese e gli altri due merciai non sono per niente contenti di avere un nuovo concorrente, oltretutto foresto, e iniziano a darsi da fare al Comune per scoprire se hanno davvero le carte in regola e se davvero possono fregiarsi del titolo “premiata ditta”.

Il piano di Don Pastore è tanto semplice quanto efficace, almeno sulla carta, incontrare la Giovenca, spiegarle la situazione, chiederle di incontrare il Geremia per dissuaderlo dal suo intento; la Giovenca accetta però anche lei ha un suo piano decisamente diverso dal quello di Don Pastore. E le cose non vanno come ipotizzato.

Nel corso della narrazione scopriamo e conosciamo meglio queste Ficcadenti e forse ha ragione la Rebecca a dire che sono ‘ l’incarnazione del diaul!’

È un libro di intrattenimento, che tiene il lettore incollato alle pagine c’è un mistero (o forse più d’uno) che pian piano viene svelato e procedendo con la lettura conosciamo meglio la storia dei vari personaggi. La narrazione procede su più livelli, intrecciando il presente che è l’inverno a cavallo tra il 1915 e il 1916 e il passato dei vari protagonisti, in particolare conosciamo la storia (e i segreti) delle Ficcadenti, ma non solo. Tendenzialmente quando si parla di un personaggio o di una situazione, nel capitolo successivo si ripercorre la sua storia personale, per poi tornare al presente e così di seguito (seppur non in maniera assoluta e matematica). Il presente è risolvere la temporanea pazzia del Geremia nonché indagare sulle Ficcadenti e in queste “indagini” ci mettono del loro anche don Pastore e la Rebecca. Mentre il passato è la storia dei personaggi e le vicende della vita di Giovenca e Zemia Ficcadenti fino al loro arrivo a Bellano.

Il linguaggio è doppio nel senso che abbiamo un alternanza tra uno stile ricercato e aulico, ricordiamoci che il periodo di ambientazione è inizio ‘900, che trova contrappeso nel dialetto parlato soprattutto dalla perpetua.

Le storie di Vitali mi piacciono molto e lo considero un mio autore del cuore e un autore confort zone: Vitali è un autore molto prolifico e io ho letto pochissimi dei suoi romanzi (per ora tre in tutto che sono forse un decimo o anche meno della sua produzione) ma ho sentito subito un assonanza con le sue storie, con la sua scrittura, mi fanno sentire a casa e coccolata. Solitamente ci sono dei misteri o dei veri e propri delitti ma è tutto molto “cozy”, molto soft e delicato (niente violenza, niente sangue etc.): le sue storie sono praticamente tutte ambientate a Bellano che è il suo paese natale e dove vive tutt’ora e hanno un ambientazione che potrei definire quasi storica nel senso che sono ambientati massimo verso gli anni sessanta e settanta almeno per quello che ho capito io, forse ci sono delle eccezioni ma le linee narrative generali e prevalenti sono queste. È quasi come sedersi con gli anziani del paese e ascoltare le storie che raccontano sul tempo passato e le vicende di qualche paesano in particolare…

Avete letto questo romanzo? Conoscete Vitali? Vi aspetto nei commenti

giovedì 31 agosto 2023

LA FORMA DELL' ACQUA di ANDREA CAMILLERI

TITOLO: La forma dell'acqua
AUTORE: Andrea Camilleri
EDITORE: Sellerio (collana La Memoria)
PAGINE: 173
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana, giallo, primo volume di una serie
LUOGHI VISITATI: Sicilia, paesino immaginario di Vigata
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)

 

 

La forma dell’acqua di Andrea Camilleri è il primo romanzo con protagonista il commissario Salvo Montalbano.

Un caso tanto semplice da non essere nemmeno un caso. Un omicidio o meglio un morto di morte naturale, ma la persona del morto, il luogo e la situazione di ritrovamento assurdi per l’uomo che era, lasciano il commissario Montalbano perplesso, sconcertato, direi “non persuaso” e con la voglia e la necessità morale di andare in fondo alla questione.

Un uomo potente, influente come l’ingegnere Luparello che da decenni gestisce gli appalti pubblici e privati, che ha contatti con le persone che contano nella politica nazionale va a prostitute alla “Mannara” dove vanno i poveracci? Montalbano non si lascia ingannare e dipana questo mistero, vuole capire chi e perché ha messo in scena quel teatrino…

È il primo libro dove compare il commissario Montalbano, il primo di una lunga serie e iniziamo a fare la conoscenza di questo personaggio e di tutti quelli che popolano la sua vita.

Salvo Montalbano è commissario di polizia e presta la sua attività presso il commissariato di Vigata, e vive nella frazione di Marinella nella sua casetta affacciata direttamente sul mare. È un appassionato di cucina e di lettura e ha un fidanzata di nome Livia che però vive a Genova, lei vive e lavora lì, intrattengono una relazione a distanza, chissà come si sono conosciuti? Io essendo fan della serie tv lo so già però trovo che sia un elemento interssante e curioso da scoprire nel corso della lettura dei romanzi.

Montalbano è “uomo di liggi” ma soprattutto è un uomo di giustizia e la antepone a tutto. È un bravo poliziotto, trova la soluzione al caso anche se non emergerà ufficialmente, è un uomo e un poliziotto che segue la sua coscienza e il senso della giustizia, è un uomo vero con i suoi difetti e le sue manie, i suoi pregi.

È scontato ma è bene dirlo dai romanzi di Camilleri è stata tratta la serie tv rai de “Il Commisssario Montalbano” con Zingaretti nel ruolo del protagonista e io sono una superfan. Quindi per me - fan della serie - è come tornare a casa e ritrovare tanti amici, per ciascuno associo volti, voci ed espressioni.

Incontriamo subito alcuni dei personaggi iconici come il dott. Pasquano (il medico legale, tra lui e Montalbano c’è un rapporto “burrascoso” ma di grande rispetto), il vicecommissario Mimì Augello (un dongiovanni incallito e amico personale di Montalbano), il fidato ispettore Fazio giusto per citare i più noti.

I fatti si svolgono a Vigata, una cittadina immaginaria nell’immaginaria provincia di Montelusa che nella realtà corrispondono alla provincia di Agrigento e a Porto Empedocle, la città natale di Camilleri. Ho letto che Montelusa è un nome con cui Pirandello chiamava Agrigento (anche lui originario di queste zone) e quindi la scelta di Camillerei è un omaggio al conterraneo vincitore del Nobel.

La curiosità maggiore riguarda il nome del personaggio di Camilleri: Montalbano è un omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montàlban, in alcune interviste Camilleri spiega che durante la stesura di romanzo era in difficoltà e lo aiutò un libro dello scrittore spagnolo, che tra l’altro è il creatore di un altro investigatore famosissimo Pepe Carvalho

Da sempre avevo la curiosità di incontrare anche il “Montalbano scritto”. Uno dei freni era la paura della “lingua” perché Camilleri per Montalbano ha coniato un vocabolario nuovo: un mix di dialetto siciliano e parole d’invenzione. Ma alla prova dei fatti, praticamente dal primo paragrafo, non ho incontro particolari difficoltà forse proprio per la mia conoscenza “cinematrografica” così già so che ad esempio “taliare” significa guardare oppure “scantare” significa spaventare.
Avevo già letto qualcuno dei racconti con Montalbano protagonista che escono nelle raccolte tematiche di racconti gialli edite Sellerio. Ora ho la certezza che mi piace molto anche il Montalbano scritto e voglio recuperare tutti i libri. E anche se la storia, nel senso delle vicende di fondo (perché poi le singole indagini non le ricordo certo tutte), la conosco già voglio comunque seguire l’ordine di uscita.

Fatemi sapere nei commenti se conoscete Montalbano.