giovedì 21 dicembre 2023

L'UOMO CHE INVENTÒ IL NATALE - FILM

TITOLO: L'uomo che inventò il Natale
GENERE: commedia, biografico
AMBIENTAZIONE: Inghilterra vittoriana



Un film che racconta il dietro le quinte di uno dei romanzi più celebri di tutti i tempi che ha avuto infiniti adattamenti, è conosciuto da tutti ed ha contribuito in maniera significativa a creare in Natale come lo conosciamo oggi: Canto di Natale di Charles Dickens.

Ho letto e amato Canto di Natale che è una sorta di favola a lieto fine che spinge ad essere tutti più buoni come è proprio dello spirtio natalizio; il Natale di oggi deriva in buona parte dell’epoca vittoriana e l’opera di Dickens ha dato un contributo significativo perché come vedremo ha riscosso un grandissimo successo. È un libro che contiene alcuni dei temi più cari a Dickens, come molte delle sue opere vuole essere anche una denuncia alla società vittoriana e alle sue piaghe più evidenti come lo sfruttamento del lavoro minorile, l’analfabetismo e la povertà dilagante.

Purtroppo per il momento è l’unica opera di Dickens che abbia letto, voglio assolutamente approfondire la sua conoscenza anche perché è uno degli scrittori di epoca vittoriana più importanti e le cui opere sono giunte sino a noi come un classico da leggere, era apprezzatissimo già dai contemporanei soprattutto dalla popolazione perché utilizzava le sue opere come mezzo per combattere le ingiustizie della sua epoca. Non conosco la sua biografia così dettagliatamente da poter sapere cosa è vero e cosa è inventato, ma trovo che non sia affatto importante conoscere con precisione i confini tra ricostruzione e libertà che si è preso il regista, è una storia bella di per se.

Siamo nell’ottobre 1843 e Dickens deve scrivere qualcosa anche per ragioni economiche, ha bisogno di soldi e purtroppo le cose non gli vanno particolarmente bene. Trova l’idea per una storia natalizia (e nel film scopriamo come) però i suoi editori non sono molto convinti sia perché il romanzo a puntate che stanno pubblicando non sta dando i risultati sperati sia perché non sono convinti dell’argomento Natale. Infatti all’epoca il Natale non è come lo conosciamo oggi, i suoi editori lo vedono come una rottura di scatole, una scusa per non lavorare (!!!) e questo pensiero è condiviso da molti soprattutto dai proprietari di attività, dalla classe dirigiente. Dickens comunque non demorde e lavora febbrilmente alla sua storia, è deciso a farla uscire prima di Natale e il tempo è pochissimo. Quello che viene dato alle stampe è un piccolo gioiello con le illustrazioni dell’artista più rinomato dell’epoca (John Leech) e avrà un successo incredibile.

Seguiamo Dickens che inventa, mette su carta la storia di Scrooge un vecchio finanziere avaro che però cambierà radicalmente dopo la notte della vigilia di Natale durante la quale riceve la visita di tre spiriti che lo portano a ragionare e a cambiare. Bellissima la rappresentazione del processo creativo: la presenza di Scrooge che interagisce con Dickens (ma anche di tutti gli altri personaggi, che poi lui si ritrova a vedere anche per strada) che parlano, decidono lo sviluppo e discutono anche. È questo l’aspetto che mi è piaciuto di più.

Guardare il film mi ha messo una grandissima voglia di rileggere Canto di Natale ma anche una biografia di Dickens.

Fatemi sapere nei commenti se lo avete visto.


giovedì 14 dicembre 2023

PICCOLE DONNE di LOUISA MAY ALCOTT

TITOLO: Piccole Donne
AUTORE: Louisa May Alcott traduzione di: Fausta Cialente e illustrazioni di Eleonora Antonioni
EDITORE: Giunti
PAGINE: 416
PREZZO: € 9,90
GENERE: letteratura americana, classico, romanzo per ragazzi, romanzo di formazione
LUOGHI VISITATI: USA ai tempi della guerra di secessione
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


Quattro ragazze, quattro sorelle molto affiatate e legate tra loro ma anche molto diverse: Mag la maggiore è bella e coscienziosa, Jo è una combina guai ed un accanita lettrice, Beth è estremamente timida e mite (tanto che non frequenta la scuola, preferisce aiutare in casa) ma adora la musica e infine la piccola Amy egocentrica e anche un pochino egoista.

La famiglia March non è povera, ma non vive nel lusso che dovrebbe confarsi alla loro estrazione sociale (il padre ha perso quasi tutto il suo patrimonio per aiutare un amico) così le sorelle maggiori Mag e Jo lavorano per aiutare la famiglia.

È un romanzo di formazione per le sorelle March ma anche (e soprattutto forse) per il lettore/lettrice è un romanzo per ragazz* e serve a impartire lezioni e insegnamenti, certamente in linea con il tempo di ambientazione e di scrittura ma comunque valevoli ancora oggi (e forse anche di più). Definirei il metodo di insegnameno dei gernitori March quasi all’avanguardia, moderno, attuale (oggi si parla tanto di disciplina dolce contrattposta ai metodi tradizionali di punizioni e paure) basato sulla responsabilizzazione anziché l’imposizione, tanta la libertà concessa alle ragazze che hanno così modo di sperimentare (esemplare le vicende del capitolo esperimenti) sulla propria pelle/su se stesse e imparare realmente perché alle conclusioni/soluzioni ci arrivano da sole e non per ordine o imposizione; pur restado fondamentale la figura materna di guida e mentore. Il modello di genitorialità, di rapporto genitori figli è piuttosto particolare soprattutto se collocato nel periodo storico di ambientazione del romanzo e di scrittura dello stesso, o almeno per me (dalla mia ignoranza) lo trovo moderno ed attuale. Non mancano gli aspetti religiosi, sia perché il padre è un pastore sia perché è ricchissimo di riferimento alla preghiera e al Cielo, aspetti secondo me in linea con i tempi in cui il romanzo è stato scritto: siamo nel 1868 e ambiaentato poco prima durante negli anni della guerra di Secessione.

La storia copre un arco temporale di un anno da Natale a Natale, durante questo tempo le ragazze pian piano crescono e imparano. C’è a mio parare tanta carne al fuoco, tanti eventi ed esperienze che fanno le ragazze ed è bello scoprirli leggendo, è tendenzialmente una narrazione per episodi. Il giorno di Natale con cui si apre il romanzo le ragazze rinunciano alla loro colazione per donarla alla famiglia Hummel, è una scena ormai iconica. I March sono persone molto devote e molto generose e attive nella comunità e nel sociale, tanto che si prendono cura delle persone più povere e meno fortunate di loro.

“Piccole donne” è un romanzo di formazione per antonomasia molto consigliato anche a livello pedagogico. È però il primo di quattro volumi, seguono: “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “Gli uomini di Jo”. Penso che nel tempo recupererò anche gli altri romanzi per vedere come vanno avanti le vite delle sorelle March. L’ho trovata una lettura stimolante, io l’ho fatta da adulta, ma capisco bene come le persone, soprattutto le ragazze, possano immedesimarsi nelle sorelle March e lo possono fare perché sono quattro ognuna con caratterische diverse quindi tutte possiamo ritrovarci in una o più di loro. C’è un graduale passaggio all’età adulta, per le più grandi ma anche al contempo una presa di coscienza del diventare “grandi” da parte delle sorelle più piccole che vedono crescere le più grandi.

Ciò che mi ha maggiormente colpito è l’approccio educativo estremamente moderno, quasi ancora oggi questa tendenza al “lasciar fare che sbagliando si impara”/genitori guida molto affettivi e non padroni non è generalmente accettata (o non come dovrebbe), immagino quanto potesse essere innovativo nella seconda metà dell’800 quando il libro è stato pubblicato, inoltre la cosa che mi rende felice è che si tratta di un libro che ha avuto un grandissimo successo e magari ha anche contribuito a diffondere o perlomeno instillare l’idea che estite questo tipo di approccio educativo (da quando sono diventata mamma presto molta attenzione).

Ho visto spesso chiedere con quale sorella March ci si identifica, e quindi lo chiedo anche io? E se lo avete letto da ragazze, ancora oggi vi identifichereste con la stessa sorella?

Io penso con Jo, perché il mio personaggio preferito. Anche se non sono e non sono mai stata un “maschiaccio” e tanto meno sono intraprendente come lei, caratterialmente forse sono più simile a Beth oppure a Mag essendo anch’io una sorella maggiore.

Io Piccole Donne lo considero un libro natalizio, per quanto, come detto, si parli di molti temi, ma inziando a Natale (e con una scena divenuta iconica) e chiudendosi a Natale e avendo un retrogusto da fiaba non posso non considerarlo un libro natalizio.

E non vedo l’ora di leggere questo rormanzo con mia figlia.

Piccole donne è l’opera più famosa di Louise May Alcott, quella che l’ha resa celebre ma è qualcosa che non la rappressenta appieno: scrive questo romanzo su richiesta dell’editore e probabilmente lo fa solo per ragioni economiche, lo scrive in tempi record e in tempi ancor più record è sold out e diventa uno dei libri più conosciuti, letti ed apprezzati d’America; una delle scuse che accampava all’editore per non scrivere un romanzo di e per ragazze era la sua scarsa conoscenza del “settore”, così quando accetta trae spunto dalle sue esperienze personali e da quelle delle sue sorelle.

Fatemi sapere se lo avete letto, cosa ne pensate e con quale sorella March vi identificate.


giovedì 7 dicembre 2023

NEL CUORE DELL'INVERNO di AGATHA CHRISTIE

TITOLO: Nel cuore dell'inverno
AUTORE: Agatha Christie    traduzione di: Michele Piumini
EDITORE:  Mondadori - collana Oscar Moderni
PAGINE: 224
PREZZO: € 14
GENERE: letteratura inglese, raccolta di racconti, giallo
LUOGHI VISITATI: Inghilterra primo Novecento
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)








Nel cuore dell’inverno è la lettura perfetta per accompagnare i lunghi pomeriggi invernali magari con una bella tazza di tè fumante e qualche biscottino; si tratta di dodici racconti quasi tutti ambientati in inverno e nel periodo di Natale e Capodanno… Incontriamo oltre ai famosissimi Poirot e Miss Marple anche altri investigatori/personaggi nati dalla penna della Christie che per me sono assolutamente nuovi: Tommy & Tuppence, Parker Pine, il signor Quin e il signor Satterthwaite.

Tra questi nuovi Tommy & Tuppence sono i miei preferiti, si tratta di un coppia, marito e moglie, che indagano per diletto, sono presenti un solo racconto.

Mentre gli altri non ho ben capito cosa facciano, devo leggere altro per approfondirli e capire se mi piacciono. Parker Pine presente in un solo racconto non rivolve un mistero ma piuttosto una situazione, come dire crea le condizioni perché una cosa sgradita risulta gradita se paragonata al peggio… E poi il signor Quin che va sempre in coppia con il signor Satterthwaite anche se non fanno coppia realmente ma il caso vuole che si trovino nello stesso luogo, Satterthwaite è quello che seguiamo maggiormente, il nostro protagonista e voce narrante, che risolve i casi grazie alle imbeccate, alle domande e/o osservazioni di Quin che mette in moto tutto il processo logico. Sono piuttosto combattuta, perché sono presenti in due racconti uno Arriva il signor Quin che mi è piacito molto, mentre l’altro La fine del mondo è quello che mi è piaciuto meno.

Già che ci sono spendo due parole anche su Poirot e Miss Marple. Poirot è un investigatore privato belga, che però vive e lavora in Inghilterra, è un vero genio ma è anche molto vanitoso, presuntuoso e saccente, non nasconde la sua bravura anzi…, spesso è accompagnato dal capitano Hasting. E poi c’è Miss Marple una simpatica vecchietta, un po’ impicciona con grandissime doti investigative e intuito che risolve tante indagini anche se è una detective occasionale, spesso e volentieri succedono delitti e misteri proprio dove si trova lei e quindi è “costretta” ad indagare, molto simpatica.

Veniamo ora ai racconti, di seguito vi lascio una breve panoramica del contenuto di ciascuno senza spoiler.

- la scatola di cioccolatini:

protagonista è Hercule Poirot che una sera d’inverno davanti al fuoco racconta ad Hasting uno dei suoi primissimi casi in Belgio quando ancora lavorava (anche) in polizia. Durante le ferie Poirot viene avvicinato e ingaggiato dalla signorina Mesnard perché non è convita che la morte per infarto del politico monsieur Paul Déroulard sia naturale. Non ci sono prove che si tratti di qualcosa di diverso di un attacco di cuore anche l’autopsia lo ha confermato, ma Poirot attraverso indizi apparentemente banali e insignificanti riesce a ricostruire l’accaduto e ovviamente è un omicidio. Nonostante Poirot risolva il caso per lui è un insuccesso e come tale lo racconta al capitano Hasting.

“«Vedete, amico mio, io so che avete stilato un elenco di tutti i miei piccoli successi. Bene, ora dovrei aggiungere una storia alla vostra raccolta, la storia di un insuccesso.»
Si chinò in avanti e aggiunge un po’ di legna al fuoco. Poi, dopo essersi accuratamente pulito le mani con uno strofinaccio appeso a un chiodo accanto al camino, si appoggiò allo schienale e cominciò la sua storia.” 

- Una tragedia natalizia:

protagonista Miss Marple che durante una cena racconta di un caso risolto durante delle vacanze natalizie in cui era andata alle terme di Keston. Qui conosce una coppia di sposi, i Sanders - Gladys e Jack – alla nostra Miss Marple non sfuggono alcuni dettagli da cui deduce che la vita della donna è in pericolo, è la moglie quella ricca e innamorata.  Miss Marple sta sul chi vive nel tentativo di cogliere in fallo Jack Sanders che però architetta un piano diabolico e (solo apparentemente) perfetto che coinvolge anche Miss Marple! Ma la nostra simpatica vecchietta riesce comunque a smascherarlo.

- È arrivato il signor Quin:

protagonsiti Quin e Satterthwaite.

È la sera di capodanno alla dimora di Roystore e c’è un gruppo di amici che festeggia ma impossibile non ricordare la notte di San Silvestro di dieci anni prima, quando il precedente proprietario, Derek Capel, dopo la cena sale in camera sua e si uccide con un colpo di pistola, un suicidio che gli amici non sanno ancora spiegarsi. E buona parte di quegli amici sono presenti a questo nuovo capodanno e stanno giusto parlando di quella tragica notte quando si presenta il signor Quin che chiede momentanea ospitalità per un guasto alla macchina. Anche il signor Quin era amico di Capel e così si ritrovano a ricostruire gli eventi di quella sera grazie alla spinta, ai suggerimenti e alle domande di Quin, tutti assieme ricostruiscono la situazione e finalmente si scopre il motivo alla base del gesto.

- Il mistero della cassapanca di Baghdad:

protagonista Poirot alle prese con un delitto dal nome affascinante ed esotico, che sembra assolutamente scontato nella risoluzione. Un gruppo di amici si trova a far festa a casa di uno di loro, il maggiore Rich, ma al mattino in una cassapanca viene ritrovato il cadavere del signor Clayton, uno degli invitati che però per motivi di lavoro non ha partecipato alla festa. Ma cosa ci faceva lì e chi l’ha ucciso? La colpa ricade immediatamente sul maggiore Rich ma Poirot, chiamato a far luce dalla vedova svelerà il mistero la cui risoluzione iniziale sembrava davvero troppo banale e facile, troppo per essere vera.

- La casa rossa:

protagonisti Tommy & Tuppence: una coppia di investigatori privati troppo simpatici, sono marito e moglie e oltre all’intesa di una coppia affiatata troviamo anche le “classiche” battutine e frecciatine (che rendono il loro rapporto verosimile), potremmo quasi definirli investigatori della domenica non lo fanno per professione ma per passione, si occupano a tempo pieno della loro agenzia investigativa ma non si fanno pagare, sono ricchi e vogliono passare il tempo facendo qualcosa che li entusiasmi e magari anche aiutando il prossimo, come in questa avventura. Questo caso specifico è molto “natalizio” sia per il periodo di ambientazione sia per il sapore di favola a lieto fine: abbiamo una giovane donna, Monica Deane, che alla morte di una zia (apparentemente molto ricca) eredita una grande casa ma niente liquidità; decide di trasferirsi nella casa ereditata e affittare le stanze. Ma le cose non vanno come sperato: la casa sembra infestata, accadono cose strane, oggetti che cadono da soli, mobili che vengono spostati eccetera, ovviamente non trova nessun affittuario. Ma questo non è l’unico fatto strano: Monica ha ricevuto due proposte di acquisto per la casa da due uomini diversi che però avevano una somiglianza pazzesca. Così Monica decide di rivolgersi a Tommy e Tuppence per vederci chiaro.

- L’espresso per Playmouth:

protagonista Poirot che si trova a dover risolvere il delitto di una ricca ereditiera americana, Flossie Halliday, trovata morta nascosta sotto i sedili di un treno mentre la valigetta con i gioielli che portava con se è sparita; la donna non viaggiava da sola ma accompagnata dalla cameriera personale Jane, che però stava assieme ai bagagli in uno scomparto ordinario. Il caso verrà risolto grazie alla perspicacia del nostro Poirot

- Il caso della baia di Pollensa:

protagonista Parker Pyne: è la prima volta che leggo di Pyne, un tipo sicuramente interessante, anche se non ho ben capito cosa faccia nella vita, è un investigatore privato ma forse anche qualcosa di più, è una specie di risolvi problemi e si occupa anche (o solo non ho capito) di affari non criminosi. In questo racconto si trova in vacanza alle Baleari e trova alloggio in un piccolo alberghetto caratteristico alla baia di Pollensa. Tra ospiti ha notato due inglesi la signora Adela Chester e il figlio Basil. Basil crea non pochi dispiaceri alla madre essendosi innamorato di una ragazza del luogo, Betty una sorta di hippie che vive in una comunità di artisti. Quando la signora Chester, per caso, scopre Pyne lui non può esimersi dall’aiutarla attraverso uno stratagemma, che come scopriremo alla fine è, piuttosto rodato. Devo sicuramente leggere altro che lo riguarda per farmi un idea.

- Asilo: protagonista Miss Marple che interverrà in aiuto della sua figlioccia Bica Harmon. Bica è la moglie del parroco Julien Harmon e mentre sistema la chiesa trova un uomo in fin di vita che poco dopo muore tra le sue braccia. Si scoprirà essere Walter St Jones ma cosa ci faceva al villaggio, chi cercava e perché è stato ucciso? A complicare la situazione si fanno avanti dei parenti del defunto un po’ strani e poco addolorati, grazie all’intuito di Miss Marple si verrà a capo della vicenda.

- Il mistero di Hunter’s Lodge:

protagonista Poirot chiamato a risolvere un omicidio avvenuto in uno sperduto casino di caccia nel Derbyshire chiamato ad indagare dal nipote della vittima, sembra una rapita finita male ma Poirot, convalescente a Londra riuscirà a trovare il colpevole nonostante il capitano Hasting sul luogo in sua vece e l’ispettore Japp di SY annaspino.

- La fine del mondo:

protatognisti il signor Quin e il signor Satterthwaite

Il signor Satterthwaite (che è voce narrante) si trova in vacanza con la Duchessa di Leith in Corsica, nel loro stesso albergo alloggia anche la signorina Naomi Carlton Smith una pittrice che sta attraversando un momento di crisi perché il suo fidanzato è in carcere accusato di furto. La duchessa organizza a tutti i costi una gita che finisce in un punto panoramico mozzafiato chiamato “la fine del mondo” e qui fa la sua comparsa il signor Quin. Per ragioni meteorologiche vanno a mangiare in una locanda dove incontrano altri conoscenti tra cui l’attrice Rosy Nunn e mentre si mangia viene risolto un caso di furto. Questo è forse il racconto che mi è piaciuto meno.

- L’ardimento di Edward Robinson:

questo racconto è un po’ diverso dagli altri anche se il crimine è comunque presente ma non abbiamo investigatori. Il protagonista è Edward Robinson un ragazzo a modo, posato che per una volta vuole fare una follia: avendo vinto con un gioco una somma di denaro acquista una macchina, il tutto però di nascosto dalla fidanzata (Maud) che invece lo vuole sempre morigerato, attendo al futuro, serio. La vigilia di Natale Edward va a fare un giro fuori città con la sua macchina, durante il ritorno si ferma in un punto panoramico e si inoltra nella neve per camminare un po’ e godersi gli ultimi momenti di una giornata meravigliosa e “proibita”. Ma quando risale in auto inizia la vera avventura: c’è stato uno scambio di auto, quella trovata al parcheggio è identica alla sua ma non è la sua e trova un biglietto con un appuntamento e una preziosissima collana di diamanti, che fare? Andare alla polizia e fare la figura dello sciocco? No, va all’appuntamento e trova ad aspettarlo una splendida ragazza, si innestano una serie di malintesi e lui vive una serata mondana e anche “criminale” che lo cambia nel profondo, diventando molto più sicuro di se stesso e di ciò che desidera. Robinson non è un personaggio ricorrente e fa la sua comparsa solo in questo racconto che è stato pubblicato nel 1934 nella raccolta dal titolo Il mistero di Lord Listerdale e altri racconti, raccolta caratterizzata dall’assenza dei personaggi tipici della Christie.

- L’avventura di Natale:

protagonista Poirot che passa il Natale ospite degli Endicott, qui ci sono una nutrita schiera di giovani e questi data la presenza dell’illustre investigatore decidono di organizzarsi per fargli uno scherzo, fingere che uno di loro muoia e sfidare Poirot. Ma le cose andranno diversamente perché Poirot è lì per un caso, una missione che potrebbe avere a che fare con la pietra preziosa che viene trovata nel pudding? Lo si scopre solo leggendo è ricco di sorprese che man mano Poirot svela ai suoi giovani ascoltatori.

Trovo sia una raccolta perfetta sia per chi conosce già zia Agatha sia per chi vuole approcciarsi per la prima volta alla regina del giallo.

Confermo appieno il mio amore per la Christie anche se non riesco mai a risolvere da sola i casi, magari noto qualcosa di strano o che non quadra ma proprio individuare il colpevole prima che venga svelato ancora no.

Conoscete Agatha Christie? Cosa vi è piaciuto di più?


giovedì 23 novembre 2023

UN INDOVINO MI DISSE di TIZIANO TERZANI

TITOLO: Un indovino mi disse
AUTORE: Tiziano Terzani
EDITORE: Tea
PAGINE: 430
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana, letteratura di viaggio, memoir, reportage
LUOGHI VISITATI: Sud Est asiatico primi anni '90
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


Colloquiale, intimo e coinvolgente. È come se prendessimo un caffè o meglio un lunghissimo te - magari su una spiaggia del sud est asiatico oppure in uno dei lunghi viaggi in treno o in nave che Terzani ha fatto nel suo 93 -  e, come fossimo vecchi amici, Terzani ci racconta dalla sua vita e di quell’anno magico che gli ha fatto vivere tante belle esperienze.

Cos’ha di speciale il 1993? Per tutto l’anno Terzani non ha mai preso un aereo o un velivolo e si è sposato con altri mezzi di trasporto. Perché? Perché anni prima un indovino gli predisse di non prendere voli, e così più per gioco che per paura/scaramanzia passa un intero anno senza volare, un anno dove comunque viaggia, si sposta perché svolge il proprio lavoro di giornalista e torna, come di consueto, nella sua Firenze per le vacanze.

Tutto inizia nel 1976 quando per caso un vecchio indovino cinese ammonisce Terzani a non volare nel 93; passano gli anni e Terzani che è il primo scettico, il primo a non credere, quello che trova sempre una spiegazione logica decide di sfruttare l’occasione che la profezia gli offre per vivere una nuova esperienza.

 “… mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: «Al diavolo gli indovini e le loro fandonie»?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima a Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine a Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella «profezia» fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
[..] E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. […] La profezia era la scusa.”

È anzitutto un magnifico libro di viaggio, che offre spunti anche per viaggi attuali diversi dal solito dove il viaggio non è solo un modo per raggiungere la metà ma è esso stesso la meta, lo scopo del viaggio non è tanto o solo raggiungere un luogo ma il viaggio in sé, l’esperienza, ciò che vedi e chi incontri. E lo trovo un insegnamento molto importante.

Tiziano Terzani è un giornalista fiorentino che ha girato il mondo e dagli anni ’70 è corrispondente dal il Sud Est Asiatico per il Der Spiegel e noi lo seguiamo nei suoi spostamenti per lavoro, viaggiamo con lui in giro per l’Asia e viviamo tante esperienze e avventure come quando partecipa a una sorta di rally che inaugura una strada che unisce Thailandia e Cina Ponendo fine (purtroppo) al secolare isolamento di una regione oppure l’epocale il viaggio in treno che lo porta da Bangkok a Firenze.

“… con il solo peso di un sacco sulle spalle e di una borsa a mano, uscii una mattina da Turtle House e partii per un grande viaggio, uno dei più lunghi della mia vita, uno dei più lenti, quello con cui volevo darmi più agio: Bangkok-Firenze. Ero diretto in Occidente, ma dovetti incominciare andando verso Oriente. Essendo impossibile attraversare la Birmania in direzione dell’India, il modo più sicuro di lasciare la Thilandia era di entrare in Cambogia, di proseguire in Vietnam, poi in Cina, in Mongolia, in Siberia e avanti, avanti fino a casa.” 

Ma Terzani in questo 1993 fa anche un’altra cosa, una sorta di gioco per cui si mette a consultare indovini: in ogni luogo che visita (e ne visita tanti) si informa e consulta l’indovino più famoso, ricercato, apprezzato del luogo. Scopriamo così tante tecniche diverse per predire il futuro, chi legge le carte, chi le mani, chi i piedi, chi traccia segni oppure costruisce schemi partendo da data e ora di nascita; emergono tante realtà diverse ma Terzani si accorge di una cosa molto interessante ogni cultura dà maggior importanza a determinati aspetti della vita e così l’indovino, in base alla cultura di appartenenza, tenderà a parlare a predire il futuro con maggior attenzione a uno o a un altro aspetto come può essere il denaro oppure l’amore o la longevità; e la cosa che trovo simpatica è che utilizzano per Terzani gli stessi schemi/modelli che utilizzano per i compatrioti asiatici.  

Se ne vedono di tutti i colori è un aspetto interessante e quasi un ulteriore viaggio che compiamo con Terzani nel senso che viaggiamo nello spazio ma anche dentro le culture che incontriamo e lo facciamo attraverso il fenomeno degli indovini. Si interroga anche sul significato e sul senso degli indovini offrendo anche qui spunti di riflessione molto interessanti.

“Gli chiesi di aiutarmi con la storia delle elezioni e di trovarmi il migliore indovino della città. Questa volta non era tanto il mio destino che mi interessava – ne avevo già collezionate varie versioni -, quanto la risposta a un pensiero che sin dall’inizio dell’anno mi girava in testa: se è davvero possibile prevedere il futuro, se l’uomo porta davvero in sé i semi di quel che lo aspetta, la Cambogia era il posto in cui provarlo. Nel giro di quattro anni, una persona su tre era morta in questo paese, perlopiù in maniera violenta. Gli indovini lo avevano predetto? C’era stato qualcuno che aveva messo in guardia contro la possibilità di un bagno di sangue?
Se nel palmo di una mano c’è un segno che indica una malattia a diciott’anni e la possibilità di un infarto a cinquantadue, cosa doveva esserci nelle mani dei due milioni di cambogiani che il 17 aprile 1975 videro il loro mondo finire? Le fosse comuni della Cambogia erano piene di gente predestinata a finire lì. Se nessuno aveva saputo leggere quel loro futuro, allora voleva dire che chiunque pretende di saperlo fare è un impostore; voleva dire che il futuro non è nella mano di nessuno, non è nelle stelle. Voleva dire che il destino non esiste.” 

Offre anche tanti spunti di riflessione a partire dai viaggi in aereo, avete mai pensato a come il viaggio aereo distorca il mondo e lo faccia assomigliare? Viaggiare in aereo fa perdere non solo il senso della distanza tra i luoghi ma anche la lontananza, fisica, culturale e sociale perché tutti gli aeroporti sono praticamente uguali in ogni angolo del mondo, sono “internazionali” e poi fa perdere anche il senso dei confini e delle frontiere, diversità ben visibili se si viaggia via terra per esempio.

“La Cambogia finisce con un grande arco di trionfo in pietra rosa, sovrastato dalla riproduzione delle torri di Angkor. Da lì dovetti fare a piedi un centinaio di metri per arrivare a un portale di cemento grigio e disadorno che segnava invece l’inizio del Vietnam. Gli stranieri che si presentano lì sono rarissimi e il mio arrivo creò una grande curiosità, una perquisizione minuziosa dei miei bagagli e un interrogatorio in cui la domanda ricorrente fu: «Perché non hai preso l’aereo?». Già, perché?
Forse anche per riscoprire che il mondo è un complicato mosaico di paesi, ciascuno con le sue frontiere da varcare; forse per riaccorgermi che la terra non è una massa monocolore punteggiata di aeroporti, come appare nelle carte delle linee aeree; o forse semplicemente per riprovare l’emozione di varcare, fisicamente a piedi, e non per aria, una vera frontiera come quella.”

Avrei voluto sottolineare tutto il libro, è pieno di passaggi interessanti oltre alle sue esperienze si parla di geopolitica, di Storia, ci sono curiosità, aneddoti e tante riflessioni. Leggiamo di culture e tradizioni e di storia più o meno recente e di come sono oggi paesi come il Vietnam, la Cambogia e la Cina per esempio, paesi in cui Terzani ha vissuto e lavorato.

Un libro bellissimo ma anche doloroso. Anzitutto perché è un libro che trasporta e fa viaggiare attraverso l’Asia il lettore; ma è un Asia che non esiste più (stiamo parlando principalmente del 1993 sono passati 30 anni) ma già all’epoca Terzani ci dice che non esiste più, che sta scomparendo, piano piano tutti i paesi si occidentalizzano abbandonando molto del tradizionale a favore del moderno, dello sviluppo (e il modello di monto/vita moderna e sviluppato è quello occidentale) a partire dalla Thailandia.

“Il destino di quella straordinaria civiltà che aveva, davvero per millenni, preso un’altra via, che aveva affrontato la vita, la morta, la natura, gli dei in maniera diversa dagli altri, mi rattristava! Quella cinese era una civiltà che aveva inventato un suo modo di scrivere, di mangiare, di fare l’amore, di pettinarsi: una civiltà che per secoli ha curato diversamente i suoi malati, ha guardato diversamente il cielo, le montagne, i fiumi; che ha avuto una diversa idea di come costruire le case, di fare i templi, un’altra concezione dell’anatomia, un diverso concetto di anima, di forza, di vento, d’acqua; una civiltà che ha scoperto la polvere da sparo e l’ha solo usata per fare fuochi d’artificio invece che proiettili per i cannoni. Quella civiltà oggi cerca solo di essere moderna come l’Occidente; vuole diventare come quell’isolotto ad aria condizionata che è Singapore; produce giovani che sognano solo di vestirsi come rappresentanti di commercio, di fare la coda davanti ai fast food di McDonald, di avere un orologio al quarzo, un televisore a colori e un telefonino portatile.
Non è triste? Non dico per i cinesi. Ma per l’umanità in genere, che perde molto nel perdere le sue diversità e nel diventare tutta uguale.”

 

Ma è doloroso anche per le narrazioni degli ultimi decenni di storia del sud est asiatico questo sud est asiatico ricco di storia, tradizioni millenarie, usi e costumi interessanti, dilaniato da guerre e dittature, si parla della guerra del Vietnam, della Cambogia di Pol Pot e del regime birmano, Terzani è stato corrispondente per questi eventi li ha vissuti in prima persona.

Una parte che ho apprezzato moltissimo (anche se ho apprezzato davvero tutto) è quella relativa alle prime elezioni democratiche in Cambogia che si tengono nel 1993 a cui naturalmente Terzani assiste, avvengono sotto l’egida dell’ONU e sono elezioni democratiche.  Le parole di Terzani sono così profonde, così vere da sembrare scontate ma non lo sono, ho apprezzato moltissimo che dica quello che pensa con tanta lucidità e coraggio sull’intervento ONU in Cambogia emerge ancora una volta l’ipocrisia occidentale, si tratta di un pensiero che non si può non condividere e che può essere traslato anche a molti altri scenari. Se il mondo fosse governato da uomini come Terzani a mio modestissimo parare vivremmo praticamente in paradiso!

 

“Quello che è successo in Cambogia dal 1975 al 1979, sotto il regime dei Khmer Rossi, sfidava ogni fantasia dell’orrore; era più spaventoso di qualsiasi cosa un uomo potesse immaginarsi. L’intera società era stata rovesciata, le città abbandonate, le pagode distrutte, la religione abolita e la gente regolarmente massacrata in un continua orgia purificatrice. Un milione e mezzo, forse due milioni, di cambogiani – un terzo della popolazione – erano stati eliminati. Cercai quelli che avevo conosciuto e non trovai nessuno. Erano tutti finiti a «fare da concime nei campi», perché anche i «controrivoluzionari», dicevano i Khmer Rossi, dovevano, almeno come cadaveri, servire a qualcosa.
Viaggiai per un mese attraverso un paese martoriato a raccogliere testimonianze di questa follia. La gente era così atterrita, così inebetita dall’orrore che spesso non riusciva a raccontare o non voleva farlo. Nelle campagne mi venivano indicati «i centri di raccolta per l’eliminazione dei nemici» - di solito erano le vecchie scuole – dove restavano le tracce delle torture, i pozzi dove non era più possibile bere perché riempiti di morti, le risaie dove a volte non si riusciva a camminare senza pestare le ossa di quelli che lì, a colpi di bastone, per risparmiare le pallottole, erano stati massacrati.
Dovunque si scoprivano nuove fosse comuni. C’erano superstiti che non riuscivano più a montare su una barca da quando avevano visto i loro famigliari portati in mezzo a un lago e buttati in pasto ai coccodrilli. Altri non riuscivano più a salire su una palma perché i Khmer Rossi avevano usato gli alberi per mettere alla prova le loro vittime e decidere chi dovesse vivere e chi morie. Quelli che riuscivano ad arrivare fino in cima erano considerati contadini da utilizzare; gli altri, intellettuali da eliminare.
Da allora la Cambogia non fu mai più la stessa. […] Non potevo più guardare serenamente una fila di palme senza pensare istintivamente che le più alte erano quelle più concimate di cadaveri. In Cambogia persino la natura aveva perso la sua rincuorante innocenza.
[…] Dopo aver ignorato per anni la tragedia di questo paese, la comunità internazionale era finalmente intervenuta massicciamente. Non certo per mettere ordine, per punire gli assassini e ristabilire un minino di decenza nella vita! […] per la piccola Cambogia, le «Grandi Potenze» avevano trovato una di quelle soluzioni che servono a giustificare ogni immoralità: un compromesso. Con gli Accordi di Parigi, firmati con grande pompa nel 1991, i massacri furono dimenticati, boia e vittime vennero messi sullo stesso piano, i vari gruppi combattenti furono invitati a deporre le armi e i loro capi a presentarsi alle elezioni. Che vincesse il migliore! Come se la Cambogia nel 1993 fosse l’Atene di Pericle.
Questa volta ero a Phnom Penh da qualche giorno e avevo l’impressione di assistere a una grande rappresentazione di follia.
In un palazzo degli anni ’30, che era stato la residenza del governatore francese, s’era installato il Quartier Generale dell’UNTAC, l’Autorità delle Nazioni Unite incaricata di applicare gli accordi di Parigi. Ogni giorno, su una bella terrazza, un giovanotto di nazionalità francese dava informazioni e istruzioni ai cinquecento giornalisti venuti da tutto il mondo per assistere «elle prime elezioni democratiche nella storia della Cambogia»; un altro, di nazionalità americana, spiegava che era proibito prendere foto degli elettori alle urne e chiedere loro, all’uscita dei seggi, per chi avessero votato.
Ai piani superiori, nei piccoli uffici ricavati dalle grandi sale di un tempo, altri funzionari internazionali, avvocati e giudici presi in prestito dai vari paesi, professori universitari a contratto per l’ONU, ciascuno davanti al suo computer, lavoravano a elaborare piani per lo sviluppo e la modernizzazione del paese, stilavano una nuova costituzione, scrivevano leggi per riorganizzare le dogane, eliminare la corruzione, ristrutturare il sistema scolastico e far funzionare gli ospedali. A sentir loro, quella era per la Cambogia un’occasione unica per rimettersi in piedi, per tornare a essere un paese normale. Il mondo intero era lì ad aiutarla. Sulla carta era vero. […] Il destino dei cambogiani non era la grande priorità del momento. Per le Nazioni Unite era prioritario portare a buon fine l’intervento in Cambogia, così da poter ripetere l’operazione altrove. […] Se la comunità internazionale avesse voluto fare qualcosa per i cambogiani, doveva metterli sotto una campana di vetro per una generazione, proteggerli dai loro vicini-nemici, thailandesi e vietnamiti, dai rapaci uomini d’affari venuti come cavallette a sfruttare l’occasione di far due soldi. Doveva anzitutto aiutarli a vivere in pace, a riscoprire se stessi… E poi, forse, poteva chiedere loro se volevano avere una monarchia o una repubblica, se preferivano il partito della Mucca o quello del Serpente.
Invece di mandare esperti di diritto costituzionale, di economia o di comunicazioni, le Nazioni Unite avrebbero dovuto mandare un gruppo di psicanalisti e psicologi a occuparsi dello spaventoso trauma che questo popolo aveva subito.”


La prosa di Terzani è acuta, ha uno sguardo lungimirante, che condivido molto, ha una lingua piana, semplice colloquiale, che mette il lettore a suo agio, lo fa sentire a casa, con un amico e al contempo informa, insegna, istruisce, emerge tutta la conoscenza e anche la saggezza ma non in modo accademico o spocchioso, e poi ha una lingua sarcastica, tagliente ma giusta. 

Ricco di riflessione sulla vita, sul suo senso, sulla modernità e il suo impatto sulle persone, soprattutto sulla loro felicità. E le riflessioni di Terzani sono ottimi spunti di riflessione anche per il lettore.

Ci sono tantissimi riferimenti alla storia geopolitica dell’Asia e ne narra anche degli episodi anche passati che fanno parte della sua esperienza e/o che comunque servono a contestualizzare e spiegare il presente, si parla della guerra in Vietnam, dei Khmer Rossi e della Cambogia, dei grandi cambiamenti che hanno e stanno subendo i vari paesi, la Malesia musulmana. Io conosco davvero pochissimo però è facile star dietro a Terzani.

Lo stile è colloquiale ed è secondo me un pregio enorme, è una fonte infinita di informazioni e saggezza, eppure sembra di ascoltare il tuo amico di scuola. Semplice ma efficace, scorrevole, meraviglioso proprio perché spiega e narra cosa ha portato all’oggi. E poi le riflessioni, le sue opinioni molto forti e coraggiose ma a mio parere assolutamente lucide, meritevoli e degne di essere condivise.

Ho letto il libro nel 2023 esattamente trent’anni dopo la sua ambientazione ma è stato un caso. Mi sono approcciata praticamente al buio, da tempo volevo conoscere Terzani perché mi ispirava e in una promo tea avevo acquistato questo libro. Penso inoltre che molto di quello che Terzani ci racconta sia ancora attuale nonostante gli anni, soprattutto le riflessioni su come la “modernità” sia ricercata a discapito delle tradizioni e delle diversità e soprattutto della felicità, felicità che viene sacrificata perché il mondo va veloce e bisogna adeguarsi e non c’è tempo e spazio per ciò che ci fa piacere.

Voglio leggere altro di suo e sicuramente leggerò Buonanotte sig. Lenin che racconta di un viaggio fatto in Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica e assiste durante il viaggio all’eliminazione dei simboli e delle statue del regime, tra l’altro è il libro che uscirà proprio nel ’93 e ce ne parla. Mentre gli altri suoi libri da un lato mi intimoriscono soprattutto quelli che sono cronache di un reporter di guerra in Vietnam e Cambogia però li voglio recuperare perché secondo me sono fonti importantissime e accessibili anche a chi, come me, è piuttosto digiuno di questi argomenti ma vuole approfondire.

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro mi consigliate.


giovedì 16 novembre 2023

LE STREGHE di ROAL DAHL

TITOLO: Le streghe
AUTORE: Roald Dahl   traduzione di:
EDITORE: Salani
PAGINE:
PREZZO: € 9,00
GENERE: letteratura inglese, letteratura per ragazzi
LUOGHI VISITATI: Inghilterra
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


Le streghe di Roald Dahl è un libro per ragazzi ma i libri non hanno età, non ci sono limiti per leggere o rileggere libri anche quando questi tendenzialmente nascono per un pubblico più giovane. Leggere libri per bambini e ragazzi da adulti permette chiavi di lettura diverse, più approfondite anche grazie alle conoscenze più ampie di un lettore adulto.

Come ci dice il titolo oggetto del romanzo sono le “streghe”, soggetto romanzesco molto diffuso sia nelle fiabe che altrove ma in questo libro si parla di streghe in modo diverso dal solito e subito leggiamo:

“Nelle fiabe le streghe portano sempre ridicoli cappelli neri e neri mantelli, e volano a cavallo delle scope. Ma questa non è una fiaba: è delle STREGHE VERE che parleremo.”

Di per sé la storia è tanto semplice quanto inquietante e drammatica.

Voce narrante è quella di un bambino che racconta in prima persona la storia e si capisce fin da subito che qualcosa (e qualcosa di importante) è successo! Le vicende si aprono con un evento tragico: un bambino che rimane orfano di entrambi i genitori e quindi va a vivere in Norvegia con la nonna.

“La nonna era una signora vecchissima e rugosa, imponente e massiccia, vestita di pizzo grigio”

Dai racconti che la nonna fa al nipotino emerge l’esistenza una sorta di società segreta, composta dalla streghe, che ha una missione: sterminare tutti i bambini, con una leader che va in giro per il mondo a istruire e incitare le streghe del luogo a portare avanti l’incarico. Ma si intuisce anche che a questa società segreta si contrappongono dei buoni che cercano di neutralizzarla, i “fiutatori di streghe”: la nonna era una di queste figure ora in pensione; ecco perché conosce tanto bene le streghe e racconta tante storie al nipotino, per metterlo in guardia perché non tutti sono a conoscenza di questa sorta di lotta tra il bene e il male. La nonna con i suoi racconti istruisce il nipote, gli spiega le caratteristiche e le strategie delle streghe ed è proprio grazie agli insegnamenti della nonna che il bambino riuscirà ad evitare un incontro pericoloso.

“… le streghe non sono donne autentiche. Somigliano alle donne. Parlano come le donne. Si comportano come loro. Ma in realtà sono creature del tutto diverse, demoni in forma umana, ecco cosa sono! È per questo che hanno gli artigli, la testa calva, un naso bizzarro e gli occhi così strani. I piedi sono senza dita e hanno la saliva blu, blu mirtillo”  

Ma la sorte ha in serbo per questo bambino speciale qualcosa di diverso. Per tornare alla vita normale dopo la morte dei genitori, bambino e nonna tornano in Inghilterra e qui durante una vacanza succederà l’irreparabile: il nostro protagonista assisterà accidentalmente ad una riunione di streghe e verrà utilizzato come cavia per provare l’ultimo metodo ideato per eliminare i bambini. Ma il bambino non si perde d’animo e farà, come si dice, di necessità virtù: sfrutterà a proprio vantaggio e a vantaggio dei buoni l’accaduto per vendicarsi delle streghe. Sono i più piccoli e (apparentemente) insignificanti che si prendono le sorti del mondo sulle spalle e lottano per cambiarlo. Una sorta di favola nera dove però emerge tanto amore, tanto coraggio, la capacità di adattarsi e soprattutto sfruttare al meglio gli ostacoli che la vita ci mette di fronte. Insegna a non aver paura del diverso e di ciò che non si conosce, il bambino ci insegna qualcosa di veramente profondo e importante, che secondo me spesso ci dimentichiamo: «Non importa chi sei né che aspetto hai. Basta che qualcuno ti ami».

È un libro piuttosto breve con una particolarità: l’assenza dei nomi di persona, non conosciamo i nomi dei protagonisti, del bambino e della nonna che per tutta la narrazione si chiamano semplicemente bambino e nonna. Tutto questo rende la storia molto vaga e contribuisce a renderla ancor più misteriosa e indefinita; è quasi una favola nera con del grottesco, del macabro e dello spaventoso.

Da quel poco che lo conosco Dahl è un autore che gioca moltissimo con la fantasia e la “magia” inserendola nelle sue opere, del resto i bambini/ragazzi a cui sono principalmente rivolte le sue opere sono la quintaessenza della fantasia e permettono anche a noi adulti di ritornare bambini, inoltre hanno sempre una sorta di morale, di insegnamento che non guasta nemmeno ai grandi.

Questo è stato il mio primo approccio a Dahl scritto, conosco altre sue storie per averne visto l’adattamento cinematografico: La fabbrica di cioccolato, la pesca gigante (anche se il titolo è qualcosa come James e la pesca gigante) e soprattutto Matilde (rispetto al quale ho tanti bei ricordi, è il primo film visto al cinema); mentre di Le Streghe non ho mai visto i film, ce ne sono due e mi ispira molto quello con Anne Hathaway.

Il romanzo non l’ho letto con la voracità e l’entusiasmo che mi aspettavo, per me è stata una rilettura - come si vede dalla mia copia era stato un libro di narrativa delle vacanze estive delle medie -  è un libro piacevole, che insegna anche a noi adulti alcune verità che nella vita frenetica di tutti i giorni e nella vita dell’apparire e dell’avere ci dimentichiamo. Voglio assolutamente approfondire la conoscenza di Dahl scritto e non vedo l’ora di leggere Matilde che già mi aspetta in libreria.

Avete letto questo libro? Cosa mi consigliate di Dahl?


giovedì 9 novembre 2023

LE ARMI DELLA LUCE di KEN FOLLETT

TITOLO: Le armi della luce
AUTORE: Ken Follett traduzione di: Annamaria Raffo
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 712
PREZZO: € 27
GENERE: letteratura inglese, romanzo storico
LUOGHI VISITATI: Inghilterra fine '700 primi '800
acquistabile su amazon: qui (link affiliato) 

 

 


Le armi della luce è il nuovo capitolo della saga di Kingsbridge di Ken Follett: una nuovo tassello questa volta ambientato tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’800. Siamo agli inizi della Rivoluzione industriale e iniziano a fare la propria comparsa le macchine che sostituiscono il lavoro dell’uomo, in particolare vediamo le macchine per la creazione di filato e tessuti, Kingsbridge è un centro produttivo importante fin dal Medioevo; ma sono anche gli anni delle guerre napoleoniche che incidono sulla vita delle persone dalla chiamata (più o meno volontaria) nell’esercito alle fortissime ripercussioni che le tasse hanno sul prezzo dei generi di prima necessità, su tutti il pane.

Mi è difficile dire di cosa parla, perché non voglio fare spoiler e rovinare l’effetto della scoperta,  i personaggi sono tanti e ognuno ha la sua storia personale più o meno travagliata, ma le vicende si riconducono a grandissime linee in una lotta per la sopravvivenza tra la parte povera della popolazione - per lo più operai - e i ricchi nobili, possidenti terrieri e produttori (potremmo dire gli imprenditori di oggi) che cercano di guadagnare il più possibile e soprattutto non vogliono perdere/abbandonare i privilegi di status di cui godono.

“«Non mi piace» disse il vescovo con fermezza.
Elsie se l’aspettava, ma rimase sgomenta per il tono risoluto. Non era una sorpresa che lui non fosse d’accordo, e lei aveva un piano per convincerlo. Tuttavia gli chiese: «Perché mai non vi piace?».
«Vedi, mia cara, non è un bene che le classi lavoratrici imparino a leggere e a scrivere» rispose lui, assumendo il tono paterno dell’uomo più anziano che dispensa perle di saggezza a una giovane utopista. «I libri e i giornali gli riempiono la testa di concetti che non capiscono. Li rendono insoddisfatti della posizione sociale che Dio ha disposto per loro. Si fanno delle idee assurde sull’eguaglianza e la democrazia.»
«Ma dovrebbero leggere la Bibbia.»
«Ancora peggio! Interpretano male le Scritture e accusano la Chiesa di Stato di diffondere una falsa dottrina. Diventano protestanti e dissidenti e poi vogliono fondare le loro chiese, come i presbiteriani e i congregazionalisti. E i metodisti.»”

Ognuno a suo modo cerca di sopravvivere come meglio può. Ci sono le crisi legate agli scioperi ma ci sono anche le crisi dovute alle tasse elevatissime che portano ad un aumento intollerabile del prezzo dei beni di prima necessità. Fondamentalmente ci muoviamo tra gli operai da un lato e i produttori dall’altro ognuno cerca di sopravvivere e di adattarsi meglio che può al periodo storico; c’è chi ci riesce e chi no, ci sono pagine davvero drammatiche. Abbiamo modo di vedere in più occasioni che le decisioni sia politiche che giudiziarie vengono prese o per diritto di nascita (la nobiltà) oppure per diritto che si acquisisce al raggiungimento di un certa ricchezza. Espressione di questi indirizzi sono alcune leggi che vengono citate come il Framework Act, il Combination Act e il Treason Act che vanno a limitare se non vessare i lavoratori e il popolo che non ha rappresentanza in parlamento nonostante sia la fetta più consistente di popolazione.

“Tutti i giurati erano cittadini di Kingsbridge di età compresa tra i ventuno e i settant’anni, proprietari di beni immobili che fruttavano almeno quaranta scellini d’affitto all’anno. Gli uomini appartenenti a questo gruppo avevano anche il diritto di votare, in base alla regola chiamata suffragio dei quaranta scellini. Costituivano la classe governante della città e, in linea di massima, erano sempre pronti a condannare gli operai.
Lo sceriffo aveva il compito di nominare la giuria scegliendo uomini a caso. Tuttavia, secondo Hornbeam, alcune delle persone idonee non erano affidabili, quindi aveva scambiato qualche parola con Doye per dirgli di escludere i metodisti e altri nonconformisti che avrebbero potuto simpatizzare con chi cercava di tenere un gruppo di discussione. Doye aveva acconsentito senza esitazione.”
 

Inoltre siamo a fine ‘700 e c’è stata da pochissimo la Rivoluzione Francese che ha portato all’abbattimento della monarchia e l’istaurazione di un governo democratico (almeno sulla carta e/o nelle intenzioni): sono argomenti scottanti, importanti, c’è sicuramente la paura che anche negli altri paesi e quindi anche in Inghilterra possa succedere qualcosa di simile e dall’altro c’è la voglia del popolo, degli operai, dei contadini di informarsi, di migliorarsi (perché lo vediamo dai nostri personaggi lavorare tutto il giorno tutti i giorni non è abbastanza), la ventata di novità gira per l’Europa anche solo sotto forma di desiderio di potersi esprimere.

“Era quello che pensava Amos. Era la sera dedicata allo studio della Bibbia, e l’argomento era la storia di Caino e Abele, ma appena fu sollevato il tema dell’assassinio tutti si misero a discutere dell’esecuzione del re di Francia. Il vescovo di Kingsbridge aveva pronunciato un’omelia in cui affermava che i rivoluzionari francesi avevano commesso un omicidio.
Quella era l’opinione della nobiltà, del clero e di quasi tutta la classe politica britannica. Il primo ministro William Pitt era ferocemente ostile ai rivoluzionari francesi, mentre l’opposizione Whig era divisa: la maggior parte stava dalla parte di Pitt, ma una nutrita minoranza vedeva quanto di positivo c’era nella rivoluzione. Anche il popolo era diviso: c’era chi chiedeva riforme democratiche sulla linea di quelle francesi, mentre i più, cautamente, proclamavano la propria fedeltà a re Giorgio III e si opponevano alla rivoluzione.” 

C’è anche un capitolo (circa quaranta pagine) interamente dedicato alla battaglia di Waterloo, è la prima volta che leggo di questo evento e storicamente ne so poco (so che è la battaglia decisiva per la sconfitta di Napoleone ma non conosco i dettagli tecnici): sono pagine piene di emozioni, sappiamo già chi vincerà ma i nostri, gli uomini di Kingsbridge presenti ce la faranno? E si rimane tutto il tempo col fiato sospeso, sono pagine forti emotivamente. Non è un libro su Napoleone ma comunque seppur con altre millemila cose parla anche degli effetti che ha avuto la guerra che l’Inghilterra ha combattuto per decenni contro Napoleone.

“Rupe sospirò. «Questa maledetta guerra. Ventidue anni e non è ancora del tutto finita. Ha interferito con i nostri affari per gran parte della nostra vita adulta. E poi le rivolte per il pane, la distruzione delle macchine e le leggi che puniscono chi critica il governo. Cosa ci abbiamo guadagnato?»
«Suppongo che il governo direbbe che abbiamo impedito che l’Europa venisse annessa all’impero francese.»” 

Come dicevo prima i personaggi sono tanti, ben caratterizzati e molto interessanti.

La prima che incontriamo è Sal Clitheroe, una donna forte sia livello fisico che soprattutto caratteriale, molto determinata e risoluta, le cui scelte la porteranno a Kingsbridge dove continuerà a lavorare per Amos garantendo un futuro a se stessa e al figlio Kit. Sicuramente una figura femminile forte, non comune dati i tempi ma non per questo meno realistica.

Kit Clitheroe è un ragazzino molto sveglio e ingegnoso, interessato al mondo che lo circonda e al suo funzionamento, dovrà crescere in fretta e iniziare a lavorare ancora prima di compiere i sette anni, età in cui si iniziava a lavorare! A Kingsbridge Sal e Kit divideranno la casa con altri operai in particolare i fratelli Box, Jarge e Joanie.

Non tutti i produttori sono egoisti e prepotenti ce ne sono anche di “buoni” come Amos e Spade.

Amos Barrowfield, che conosciamo intento a fare la gavetta nell’azienda paterna, è un uomo integerrimo, come si conviene ai metodisti, ligio ai doveri anche morali, ha a cuore non solo la propria attività ma anche le persone che lavorano per lui.

“Ad Amos tutto questo non interessava granché. Per lui la religione era come vivevi la tua vita. Era per questo che si arrabbiava quando suo padre diceva: «Io non sono nel commercio per dar da mangiare ai figli degli altri.» Obadiah lo definiva uno sciocco idealista. “E forse lo sono” pensò lui. “Forse lo era anche Gesù”.
Gli piacevano le animate discussioni durante lo studio della Bibbia nella sala metodista, perché lì poteva esprimere la sua opinione ed essere ascoltato con cortesia e rispetto, anziché sentirsi dire di stare zitto e uniformarsi a quello che affermava il clero o gli anziani o suo padre. Inoltre c’era un altro vantaggio: agli incontri partecipavano molte persone della sua età, per cui la sala metodista era diventata, senza volere, una specie di luogo di ritrovo per giovani rispettabili. E poi c’erano un sacco di ragazze carine.”

David Shoveller detto Spade è un artigiano specializzato, un vero amico, uomo leale, sempre aggiornato e informato sulla realtà che lo circonda, con un passato sfortunato e un presente tormentato.

Non può non essere tra i protagonisti la famiglia del vescovo di Kingsbridge Stephen Latimer, seguiamo soprattutto sua moglie Arabella e la figlia Elsie che, nonostante il suo status sociale, si impegna alacremente per aiutare il prossimo in particolare i bambini poveri creando e gestendo una scuola domenicale con Amos.

Il consigliere Joseph Hornbeam: produttore di tessuti e imprenditore, giudice e consigliere cittadino, è un uomo influente e potente, che mira a diventare quantomeno sindaco di Kingsbridge e magari anche deputato in parlamento. È un uomo avido, senza scrupoli, manipolatore, un prepotente che sfrutta ogni occasione per arricchirsi anche e soprattutto a discapito dei più deboli, è senza cuore. Ma nasconde un passato davvero particolare per un uomo del suo status.

Meritano di essere ricordati anche i Riddick, i signori di Badford, il villaggio vicino a Kingsbridge di cui è originaria Sal, in particolare Will e Roger sono quelli che seguiremo di più.

È un romanzo che offre tantissimi spunti di riflessione e approfondimento sia da un punto di vista storico ad esempio le leggi che limitano le libertà della popolazione, la politica del Primo ministro Pitt, le nuove macchine che vengono introdotte ma sono anche molto attualizzabili. Il lettore può domandarsi qual è la situazione oggi, quanti passi avanti e tutele abbiamo guadagnato? Al contempo ricordarsi che purtroppo ci sono molte parti del mondo dove la situazione non è poi cambiata tanto: dove lo sfruttamento del lavoro e il lavoro minorile sono la regola, dove la giustizia è amministrata in modo non imparziale ma per raggiungere i propri fini personali. Personalmente ho visto anche problematiche attuali che sono presenti oggi nel nostro paese, sarà per una mia particolare sensibilità sul tema, ma quando il consigliere Hornbean dice che gli operai che si lamentano è perché non hanno voglia di lavorare mi è sembrato di sentire quella mentalità retrograda e sfruttatrice di chi oggi dice che i giovani non vogliono lavorare perché sono pigri ecc quando invece giustamente non vogliono essere degli schiavi vanificando anche tutti i sacrifici e le lotte combattute negli ultimi secoli.

Romanzo storico coinvolgente e appassionante, che tiene il lettore incollato alle pagine anche grazie alle vicende dei personaggi di fantasia che ben si intersecano con la Storia, offrendo un quadro, una ricostruzione della vita dell’epoca. La storia inglese di un periodo molto interessante e di cui francamente conosco pochissimo in generale.

“Quel pomeriggio Sal fu convocata da sua signoria.
Aveva infranto la legge. Aveva commesso un crimine. Peggio, era una donna del popolo che aveva osato aggredire un gentiluomo. Era nei guai fino al collo.
Il rispetto della legge e il mantenimento dell’ordine erano responsabilità dei giudici di pace, chiamati anche magistrati. Venivano nominati dal lord luogotenente, il rappresentante del re nella contea. Non erano uomini di legge bensì proprietari terrieri. In una città come Kingsbridge c’erano diversi giudici, ma nei villaggi di solito ce n’era solo uno, e a Badford era sua signoria, il signor Riddick.
I crimini gravi venivano giudicati da due o più magistrati, e le accuse che comportavano la pena di morte dovevano essere discusse davanti a un giudice della corte d’assise, mentre i reati minori come l’ubriachezza, il vagabondaggio e le violenze lievi potevano essere valutate da un unico giudice, solitamente nella sua casa.
Il signor Riddick sarebbe stato per Sal giudice e giuria.
Non c’erano dubbi sul verdetto di colpevolezza, ovviamente, ma quale sarebbe stata la punizione? Un giudice poteva condannare un colpevole a passare un giorno alla berlina, seduto a terra con le gambe bloccate dai ferri, una pena che era, più che altro, un’umiliazione.
La sentenza che Sal temeva di più era la fustigazione, una condanna frequente, un evento quotidiano nell’esercito e in marina. Solitamente era pubblica. Il condannato veniva legato a un palo nudo o seminudo, tanto gli indumenti sarebbero stati fatti a brandelli durante l’esecuzione della pena. La frustra usata di norma era il temutissimo gatto a nove code, con nove listelle di cuoio tempestate di pietre e chiodi per infliggere ferite più profonde.
L’ubriachezza poteva essere punita con sei frustrate, una rissa con dodici. Per aver aggredito un signore Sal avrebbe potuto beccarsene ventiquattro, un vero supplizio. Nell’esercito spesso gli uomini erano condannati a cento frustate, e talvolta morivano, ma le pene per i civili, per quanto violente, non era mai così feroci.”


“Hornbeam non era mai stato in battaglia, però immaginava che il rumore fosse simile a quello di una sala piena di telai a vapore. Per tutta la giornata le macchine sbattevano e sferragliavano così forte che era impossibile sostenere una conversazione. Gli operai che lavoravano ai telai per anni spesso finivano col diventare sordi.
Il compito principale degli operai era quello di cercare i difetti nella stoffa: grumo e filo teso o allentato erano i principali. Riparavano i fili strappati con il piccolo nodo piatto del tessitore, e dovevano farlo in fretta per ridurre al minimo il calo di produzione. Altro compito importante era cambiare le spolette ogni pochi minuti, perché il filato si esauriva in fretta a causa del ritmo veloce della macchina. Una persona riusciva a gestire due o tre telai alla volta.
Gli incidenti erano frequenti, causati dall’imprudenza dei lavoratori secondo Hornbeam. Aveva visto la manica penzolante di un operaio restare impigliata in una cinghia di trasmissione e strappargli il braccio dalla spalla.
La spoletta volante era la causa della maggior parte degli incidenti. Si muoveva molto rapidamente, attraversando il passo duo o tre volte al secondo. Era fatta di legno ma doveva avere le estremità metalliche per evitare che si danneggiasse quando andava a sbattere contro l’alloggiamento. Se l’operaio azionava il telaio troppo velocemente, la spoletta colpiva l’alloggiamento con eccessiva violenza e volva fuori ferendo chiunque si trovasse sulla sua traiettoria.”

 

È un volume godibilissimo e scorrevole nonostante la mole (del resto come tutti gli altri libri) che può essere letto anche se non si conosce la saga o se non si è letto l’intera saga perché non ci sono spoiler dei volumi precedenti e non è necessario conoscerli. Ci sono alcuni riferimenti “superficiali” ad esempio viene citato il ponte di Mertin ma in questo modo, un personaggio esce da Kingsbridge passando sul ponte di Mertin, oppure altro personaggio passando sulla strada vede sull’isola dei lebbrosi l’ospitale fondato da Caris oppure si dice che nel cimitero di fianco alla cattedrale c’è la tomba di priore Philip (figura importantissima per la cattedrale e la città): si tratta di accenni che portano alla mente fatti e personaggi della saga e io lettore mi fermo a ripensare a quei personaggi e alle loro storie, ma il lettore nuovo non perde nulla né del presente romanzo né degli altri.

Come in tutti i volumi non mancano storie d’amore tormentante e impossibili, una sorta di lotta tra il bene e il male, tra personaggi buoni e cattivi e lo scontro religioso (che è un elemento che ha caratterizzato la storia inglese nel corso dei secoli) che in questo capitolo è più ideale che materiale e vede contrapposta la chiesa Anglicana ufficiale e il movimento metodista che sta iniziando a prendere avvio. Cit

Veniamo ora ai difetti perché sì ho trovato dei difetti: si tratta più che altro di mancanze che non incidono sulla lettura, in particolare dato il prezzo (ben 27 euro) avrei apprezzato molto la presenza dell’indice e dell’elenco personaggi (che erano presenti in altri volumi della saga) e poi ho trovato magari un po’ tirato il fatto che praticamente tutti i protagonisti hanno a che fare con la battaglia di Waterloo (anche se sono pagine meravigliose e molto importanti nel senso della storia).

Follett è uno di quegli autori main stream, un autore di best seller, di libri con una prosa scorrevole, libri di trama anche e soprattutto come Joel Dicker e Stephen King per fare alcuni esempi. Di suo ho letto solo i libri della saga di Kingsbridge, e mi piacerebbe leggere anche qualcosa d’altro possiedo già la trilogia del secolo, e i primi due volumi della war trilogy più un libro singolo, prima o poi mi deciderò a leggere altro.

Fatemi sapere se avete letto la saga di Kingsbridge e/o altro di Follett.