TITOLO:
L'isola di Arturo
AUTORE:
Elsa Morante
EDITORE:
Einaudi (collana ET Scrittori)
PAGINE:
392
PREZZO:
€ 13,00
GENERE:
romanzo di formazione, letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: isola di Procida fine anni '30
Vincitore del Premio Strega nel 1957
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Una storia bella, toccante e tragica.
Protagonista e voce narrante è
Arturo Gerace, che adulto ricorda e racconta la sua infanzia e fanciullezza
sull’isola di Procida.
Arturo vive e cresce praticamente
da solo e abbandonato a sé stesso sull’isola di Procida, è orfano di madre e il
padre, va e viene, torna, sta qualche giorno e riparte per il continente, fa
quello che vuole e del figlio praticamente non si interessa. Nei primissimi
anni di vita Arturo ha un balio, un ragazzo napoletano di nome Silvestro – che
è anche praticamente il suo unico amico – che però lascia Procida quanto è
chiamato al servizio di leva; da quel momento l’unico aiuto arriva da Costante,
il colono che fa da cuoco ai Gerace, andando alla casa una volta al giorno a
cucinare i pasti che lascia in cucina.
“La mia casa non dista molto da
una piazzetta quasi cittadina (ricca, fra l’altro, di un monumento di marmo), e
dalle fitte abitazioni del paese. Ma, nella mia memoria, è divenuta un luogo
isolato, intorno a cui la solitudine fa uno spazio enorme. Essa è là, malefica
e meravigliosa, come un ragno d’oro che ha tessuto la sua tela iridescente
sopra tutta l’isola.”
Arturo vive in una decadente
abitazione signorile detta “la casa dei Guaglioni” perché il vecchio
proprietario Romeo l’Amalfitano (grande amico del padre di Arturo, Wilhelm a
cui rimarrà in eredità) era solito fare molte feste ma invitando esclusivamente
uomini e ragazzi perché odiava le donne, tutte le donne nel loro genere.
La vita di Arturo scorre tra
giornate in esplorazione dell’isola e in giro per il mare con la sua barca e la
lettura dei libri e romanzi che si trova in casa, su cui si forma e che
rappresentano anche la sua unica fonte di istruzione e termine di paragone con
la vita e il mondo. La vita che conduce Arturo è selvaggia e libera e senza
regole, una vita che condivide con la sua fedelissima cagnetta Immacolatella.
“… Mio padre non si curò mai di
farmi frequentare le scuole: io vivevo sempre in vacanza, e le mie giornate di
vagabondo, soprattutto durante le lunghe assenze di mio padre, ignoravo
qualsiasi norma e orario. Soltanto la fame e il sonno segnavano per me l’ora di
rientrare a casa.”
“Le serate invernali, e i giorni
di pioggia, io li occupavo con la lettura. Dopo il mare, e i vagabondaggi per
l’isola, la lettura mi piaceva più di tutto. Per lo più leggevo in camera mia,
sdraiato sul letto, o sul canapè, con Immacolatella ai miei piedi”
Arturo è profondamente stregato
dal padre, che vede quasi come un dio, e lo imita in tutto e per tutto a
partire dal comportamento arrogante verso gli abitanti dell’isola con cui
praticamente non stringe amicizia ne intrattiene rapporti.
“La mia infanzia è come un paese
felice, del quale lui è l’assoluto regnante! Egli era sempre di passaggio,
sempre in partenza; ma nei brevi intervalli che trascorreva a Procida, io lo
seguivo come un cane. Dovevamo essere una buffa coppia, per chi ci incontrava!
Lui che avanzava risoluto, come una vela nel vento, con la sua bionda testa
forestiera, le labbra gonfie e gli occhi duri, senza guardare nessuno in
faccia. E io che gli tenevo dietro, girando fieramente a destra e a sinistra i
miei occhi mori, come a dire: ‘Procidani, passa mio padre!’ La mia statura, a
quell’epoca, non oltrepassava i molto il metro, e i miei capelli neri, ricciuti
come quelli di uno zingaro, non avevano mai conosciuto il barbiere (quando si
facevano troppo lunghi, io, per non esser creduto una ragazzina, me li
accorciavo energicamente con le forbici; soltanto in rare occasioni mi
ricordavo di pettinarli; e nella stagione estiva erano sempre incrostati di
sale marino).”
Una prima svolta arriva il giorno
in cui il padre comunica che si sposa e tornerà sull’isola con la nuova moglie,
Nunziata.
“Non tentavo per nulla di
raffigurarmi quale aspetto e quale carattere potesse avere la nuova sposa di
mio padre. Respingevo ogni curiosità. Che quella donna fosse fatta in un modo,
o in un altro, per me, era uguale. Essa, per me, significava soltanto: il
Dovere. Mio padre l’aveva scelta, e io non dovevo giudicarla.
Secondo i libri che avevo letto, una matrigna non poteva essere che una
creatura perversa, ostile e degna di odio. Ma, come sposa di mio padre, costei,
per me, era una persona sacra!”
Il rapporto tra Arturo e la
matrigna non è semplice, Arturo è duro, scontroso, odia Nunziata forse perché
lei rappresenta un ostacolo, un intruso nel suo rapporto col padre, che fino a
quel momento (almeno sull’isola) era esclusivo, ora non può più avere tutte le
(già scarsissime) attenzioni del padre per sé, probabilmente Arturo è geloso,
geloso di tutto e tutti, del resto il padre è l’unico parente che ha al mondo.
In realtà lo stesso Arturo a distanza di tanti anni non sa spiegare il suo
sentimento verso la matrigna; è molto crudele con lei, non le parla, la lascia
perennemente sola anche durante i pasti e soprattutto fa di tutto per
instillare in Nunziata paura e terrore e si rammarica che nonostante il suo
comportamento burbero e scontroso non riesce a causarle paura e alla base di
questa sua ossessione c’è il desiderio di imitare e assomigliare al padre.
Potrebbero invece farsi forza e compagnia a vicenda, in fondo sono entrambi due
ragazzini.
“Soprattutto, una cosa mi
esasperava sempre più, col passare dei giorni: e cioè che lei, tato timorosa di
mio padre, di me, invece, non mostrava, mai, alcun timore! Quand’io la
offendevo e la ingiuriavo, sebbene non mi replicasse mai nulla, tuttavia mi
stava di fronte impavida come una leonessa. Simile suo contegno era un’altra
riprova evidente che costei mi trattava alla stregua di un ragazzino, il quale
non può farsi temere da una matrona pari a lei. Eppure, dall’epoca del sua
arrivo, già la differenza fra le nostre due stature appariva abbastanza
diminuita; e la sua audacia era uno schiaffo per me. Io avrei voluto, per
soddisfazione del mio orgoglio, ispirarle paura quanto mio padre, in cospetto
del quale essa tremava solo a un’ombra che gli passasse sulla fronte! e spesso,
dimenticando tutte le altre mie ambizioni, mi perdevo nel progetto di
diventare, da uomo, un brigante, un capobanda terribile, tale ch’essa dovrebbe
cadere svenuta solo alla mia vista. Perfino la notte, certe volte, mi svegliavo
con questo pensiero: Voglio farle paura, e m’immaginavo di usarle cattiverie
inaudite, ogni sorta di barbarie, nella smania di essere odiato da lei com’io
la odiavo.
Quando le impartivo ordini, e mi facevo servire da lei, mi atteggiavo alla
maniera di un torvo imperatore che si volga a un soldato semplice. E lei era
sempre docile e pronta a servirmi, ma questa sua ubbidienza mi non sembrava,
per nessun segno, dettata dalla paura. Anzi, nell’affaccendarsi per me, ella si
animava e assumeva perfino delle maniere pompose. E la sua faccia, da brutta e
smorta, ridiventava fresca come un gelsomino. Forse, elle sperava che da parte
mia il comandarlo, e il farmi servire da lei, significasse già un principio di
riconciliazione? Non c’era modo di farle capire quanto fosse spietato il mio
animo.”
Ma invece nonostante tutto Nunziata
tiene un atteggiamento e un comportamento amorevole e pieno di cure e
attenzioni verso Arturo, mandandolo ulteriormente in bestia:
“Il fatto era che io non volevo
né cure né attenzioni da lei. La comandavo, per avere la soddisfazione di
umiliarla, trattandola come un automa, un oggetto; ma le sue attenzioni gentili
(quasi che davvero si presumesse una mia parente, mia madre!), mi erano
insopportabili. In più di una occasione tornai a ripeterle: -Fra noi non c’è
nessuna parentela. Tu non mi sei niente.”
Nunziata proviene da una famiglia
molto povera, anche lei è orfana però di padre morto in un incidente sul
lavoro, e la sua vita è immensamente triste, anche se forse la sua ignoranza e
la sua semplicità non le consentono di comprendere appieno la sua situazione.
“Le sue noti, volgari, stridenti,
si trascinavano piene di malinconia, come se tutte le canzoni che lei cantava
avessero un argomento triste. Ma essa, credo, non aveva pensieri, e nemmeno era
consapevole di non esser felice. Una pianta di garofano o di rosa, anche se,
invece che in giardino, le tocca di stare sull’angolo di una finestruola,
dentro un coccio, non si mette a pensare: Potrei avere un’altra sorte. E così
era fatta lei, altrettanto semplice.”
Non capisco davvero il perché del
matrimonio tra Wilhelm e Nunziata, capisco bene la famiglia di lei che la
spinge tra le braccia di un uomo più vecchio, palesemente burbero e scontroso
ma un “miliardario” o meglio un possidente, quindi un uomo benestante almeno
secondo i suoi racconti. Ma non capisco le ragioni che hanno spinto Wilhelm a
sposarsi e a insistere per avere Nunziata, pur di averla si converte al
cattolicesimo ma l’ha sempre trattata male anche ai tempi del fidanzamento
“Così, divennero fidanzati.
Ormai, gli si era promessa, ella non pensava più a sfuggirlo, sebbene, solo al
vederlo da lontano, si sentisse gelare di spavento. Ciò che soprattutto la
impauriva, era di trovarsi sola con lui; né avrebbe saputo dire la ragione di
questo fatto, giacché in realtà, quando non v’erano altre persone, egli la
trattava alla maniera solita, senza farle molta attenzione né darle confidenza,
al punto che, andando a spasso con lei, non la teneva neppure sottobraccio. In
ciò, essi differivano da tutti gli altri innamorati, che si vedevano andare in
giro abbracciati e stretti; forse, ella pensava, lui era diverso perché era
nato in un paese forestiero, e là al suo paese i fidanzati andavano in questo
modo. Se talvolta egli la toccava, era solo per farle del male, come per
esempio tirarle i ricci, o scuoterla per un braccio, o altri dispetti simili.
Non erano dispetti terribili, ma pure bastavano a farla tremare. Ed egli allora
la lasciava stare, e rideva fieramente dicendole: -Se hai tanta paura adesso,
che siamo appena fidanzati, che sarà, quando ci sposeremo?”
E infatti il trattamento che
Wilhelm riserva alla neo sposa è davvero crudele e cattivo, non fa nulla per
metterla a proprio agio, la tratta fondamentalmente come un serva e continuerà
a fare la sua solita vita di giramondo.
“-Ricordati, - egli riprese,
accendendosi di maggior violenza ad ogni parola, - che, sposati o no, io
rimango sempre libero di andare e venire quando voglio, e non devo rispondere a
nessuno di me stesso! Per me non esiste nessun obbligo né dovere, IO SONO UNO
SCANDALO! Eh, non sarò a te, nennella, che dovrò render conto delle mie
fantasie! Deve ancora nascere quel grande imperatore che potrà tenere in gabbia
Wilhelm Gerace! E se tu, povera bambola pidocchiosa, credi che in conseguenza
dello sposalizio, io deva rimanere attaccato ai tuoi stracci, farai meglio a
disingannarti subito!”
“Mio padre girò il capo verso di
lei: -Taci, tu- le rispose, -che sei appena nata, e, inoltre, sei nata stupida!
Se dici ancora un’altra parola, ti ammazzo! Di certi sentimenti, ne faccio a
meno io: li lascio ai disgraziati, che sono liberi soltanto la domenica. Non mi
vanno, a me, i romanzi d’amore, di nessun genere. Ma l’amore delle femmine,
poi, è il CONTRARIO dell'amor’!”
Ad un certo punto la storia
prende una piega particolare, non voglio dire scontata ma io un po’ me l’aspettavo,
ciò di cui Arturo ha bisogno è amore e amore materno, la sua nuova ossessione
diventano i baci che non ricorda di aver mai dato o ricevuto. Inoltre Arturo
sta crescendo e scoprirà l’amore e la delusione, inizia a vedere il padre sotto
una luce diversa, si sente tradito fino alla rottura finale e l’abbandono
dell’isola di Procida, momento che segna la sua definitiva crescita e
l’ingresso nel mondo degli adulti. Fino a quel giorno Arturo è vissuto isolato dentro
un universo tutto suo, non sapeva nulla della realtà del mondo esterno a
Procida.
“In sostanza, io conoscevo la
storia fino dai tempi degli antichi egiziani, e le vite degli eccellenti
condottieri, e le battaglie di tutti i passati secoli. Ma dell’epoca presente
contemporanea, non sapevo nulla. Anche quei pochi segnali dell’epoca presente
che arrivavano all’isola, io li avevo appena intravisti senza nessuna
attenzione. Non m’aveva incuriosito mai, l’attualità. Come fosse tutto cronaca
ordinaria da giornali, fuori dalla Storia fantastica, e delle Certezze
Assolute.”
La scrittura è ricca ed immersiva
con tante parole del dialetto locale che rendono ancora più vivido e reale il
personaggio di Arturo. Come detto la narrazione è in prima persona, è lo stesso
Arturo a raccontare e ovviamente l’unico punto di vista e le uniche sensazioni
e pensieri che possiamo conoscere sono i suoi; così noi lettori non possiamo
entrare nella mente degli altri personaggi che rimangono indefiniti e quasi
incompiuti e i loro segreti nascosti.
La storia di Arturo, ma anche
quella di Nunziata, mi ha suscitato tanta tenerezza, sono storie tristi e
dolorose mentre Wilhelm mi ha riempito di rabbia.
I personaggi sono ben delineati e
anche molto realistici, ma come detto conosciamo davvero bene solo Arturo.
Arturo è un ragazzino taciturno,
abituato alla libertà e alla solitudine del resto – come detto – ha
praticamente sempre vissuto solo, cerca di imitare il padre e di fare colpo su
di lui (senza riuscirci), vede nel padre un Dio infallibile e un esempio da
seguire, è appassionato di lettura, con una grande sete di avventure in giro
per il mondo come quelle che legge nei suoi romanzi e come quelle che crede il
padre viva tutte le volte che è lontano dall’isola. Probabilmente Arturo soffre
“di gelosia” verso tutto e tutti, in particolare verso ciò che può essere di
intralcio tra lui e l’oggetto dei suoi desideri, in primis il padre, e questo
sentimento lo spinge a comportamenti odiosi e strafottenti, non è abituato a
mostrare e tanto meno a parlare delle proprie emozioni; tutto sommato lo si può
anche capire, non è altro che un ragazzino che è dovuto crescere per forza, che
non sa cos’è una famiglia e cos’è l’amore.
Nunziata arriva a Procida
giovanissima, ha sedici anni (Arturo ne ha quattordici!) fa quel che può per
badare alla casa e al figliastro, nonostante tutto cerca di essere amorevole e
paziente con Arturo, è molto religiosa e riuscirà a fare amicizia con altre
donne.
Wilhelm è prepotente, beffardo,
tirannico, violento e feroce, scostante; è una figura sfuggente e misteriosa,
ma anche invincibile e un vero eroe questo è quello che pensa Arturo, che come
ogni bambino adora il padre. Forse anche perché il narratore è Arturo che
Wilhelm rimane sfocato, fino alla fine non si capiscono le ragioni di molte sue
scelte, non fa nulla né per il figlio né per Nunziata, non fa nulla nemmeno per
facilitare la loro convivenza. Semplicemente vive la sua vita fregandosene degli
altri. È un personaggio antipatico che ho odiato profondamente per il suo
comportamento arrogante e menefreghista verso il figlio. Perché se ne va in
giro e lascio Arturo da solo a Procida? Cosa fa in giro? Che lavoro fa? Certo
va contestualizzato al periodo storico in cui è ambientato ma io non posso e
non voglio credere che tutti gli uomini e mariti fossero come Wilhelm e nello
stesso romanzo viene data prova che questa non è l’unica realtà possibile. Wilhelm forse solo una volta o massimo due fa
il padre, rimane torbido e pieno di misteri che non vengono svelati anche se
alla fine del libro il lettore può intuire alcune cose e azzardare ipotesi che
però non possono trovare conferma; per me rimane un uomo assolutamente mediocre
e insulso e lo trovo uno dei personaggi più antipatici che finora ho trovato
nei libri.
Un bellissimo romanzo di
formazione con un protagonista indimenticabile, libero, selvaggio con un
proprio codice d’onore e una terribile storia di solitudine.
Una lettura magnifica che rimarrà
a lungo nei miei pensieri.
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