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martedì 12 novembre 2024

IL PAESE DELL'ALCOL di MO YAN

TITOLO: Il paese dell'alcol
AUTORE: Mo Yan     traduzione di: Silvia Calamandrei e curatore Mari Rita Masci
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 363
PREZZO: € 21,00
GENERE: letteratura cinese
LUOGHI VISITATI: Jiuguo (cittadina immaginaria) in Cina
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Questo è un esempio di quei casi in cui mi fisso di voler comprare qualcosa nello specifico letteratura cinese e avendo visto il libro a metà prezzo su libraccio l’ho preso. Al momento di leggerlo inizio con la quarta di copertina e vengo assalita da dubbi e incertezze invece si è rivelata una lettura interessante.

Il paese dell’alcol di Mo Yan è una lettura surreale, inquietante e anche “malata” perché una delle tematiche principali è legata al cannibalismo (di neonati).

L’aspetto che caratterizza maggiormente il libro è la sua struttura molto particolare e articolata, ogni capitolo prevede quattro parti (ma l’ordine delle parti varia all’interno dei capitoli):
- parte dell’investigatore Ding Gou’er: inviato a Jiuguo per indagare su possibili banchetti con carne di neonato, poiché alla Procura Generale sono arrivate delle lettere anonime di denuncia. Ding si mette all’opera e sulla sua strada incontra una serie di soggetti bizzarri, vive delle avventure particolari oltre alle indagini e si trova in qualche modo costretto a bere parecchio - del resto è nel paese dell’alcol - il problema è che lui non regge per niente l’alcol (che è poi anche il romanzo che mo yan dice di scrivere nelle sue lettere)
- parte di Li Yidou: Li Yidou è un dottorando in miscelazione di liquori all’università di distillazione di Jiuguo, ma è anche uno scrittore in erba e nelle sue parti sono riportate le lettere che scrive a Mo Yan – lettere dal contenuto vario ma principalmente di ammirazione e raccomandazione dei propri racconti
-parte di Mo Yan: risponde alle lettere di Li Yidou con consigli di scrittura e giudizi sui racconti che riceve
- i racconto di Li Yidou (che manda a Mo Yan): i racconti sono diversi (il mio preferito in assoluto è bambini da macello, un racconto bellissimo che meriterebbe una pubblicazione a parte) e raccontano di Jiuguo, dell’università, dei suoi suoceri (Yuan Shuangyu professore di distillazione e della suocera che invece lavora all’accademia di cucina) e di alcune “personalità” della città come il nano della taverna Yichi e il vicedirettore Jim Gangzuam che compaiono anche nella parte investigativa. Alcuni dei racconti servono a raccontarci personaggi che poi incontra l’ispettore Ding e a fornici un quadro complessivo, io però ho impiegato un po’ a capirlo e all’inizio mi annoiavano tantissimo perché li ritenevo inutili.

Tanti personaggi le cui vicende si intrecciano e tra questi c’è lo stesso Mo Yan che a fine libro si recherà a Jiuguo.

Una sorta di giallo, ma anche libro denuncia della corruzione e del degrado morale imperante, considerato una delle massime espressioni dell’autore di “realismo allucinato” la corrente narrativa che è valsa a Mo Yan il nobel per la letteratura. È stata una lettura interessante e molto particolare per la struttura narrativa e per l’espediente (per me assolutamente nuovo) di utilizzare dei racconti per spiegarci dei pesonaggi e dei fatti che poi si incontrano nelle altre parti, in particolare quella investigativa. Le vicende, avventure che vive l’ispettore Ding sono al limite della credibilità, poi non conosco la Cina per potermi esprime ma penso di aver capito cosa di intende per “realismo allucinato” e devo dire che mi piace. Sicuramente leggerò altro di Mo Yan autore cinese molto famoso anche in occidente.

Fatemi sapere se avete letto questo libro o altri di Mo Yan.


venerdì 26 aprile 2024

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA di GABRIEL GARCÌA MARQUEZ

TITOLO: Cronaca di una morte annunciata
AUTORE: Gabriel Garcìa Marquez traduzione di: Dario Puccini
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 132
PREZZO: € 12,50
GENERE: letteratura colombiana, letteratura sudamericana, libri brevi
LUOGHI VISITATI: Colombia
acquistabile su amazon: qui (link affiliato) 


Lettura stupefacente: ho preso in mano il libro senza grandi aspettative, quasi priva di interesse perché conoscevo già la storia per aver tantissimo sentito parlare (bene) del libro sia perché tutto sommato la trama è semplicissima e quello che accade noi lo sappiamo già. Ma leggere il libro è tutta un'altra cosa pur già conoscendolo! Quindi se come me sapete (o pensate di sapere) già tutto, fatevi il favore di leggerlo merita davvero tanto.

La trama di base è semplicissima: un uomo, Santiago Nazar verrà ucciso dai fratelli Vicario per vendicare un delitto d’onore, tutti lo sanno ma nessuno fa niente per impedirlo.

Abbiamo un io narrate che torna nella città natale di Santiago tanti anni dopo il fatto e ricostruisce quella fatidica giornata, e come dice il titolo è appunto una cronaca dove si dà conto di tutto ciò che accadde, il narratore intervista e ascolta tante persone, è anche lui del luogo e conosce tutti dalla vittima ai carnefici passando per il resto della comunità che è rimasta inerme. Dall’alba i fratelli Vicario vanno in giro dicendo di voler uccidere Santiago Nazar ma nessuno fa o dice nulla, anzitutto perché i delitti d’onore sono cosa buona e giusta (tanto che gli assassini verranno assolti) e poi perché nessuno li prende sul serio: c’è chi le ritiene chiacchere da ubriachi o spacconerie tanto più che vittima e carnefici appartengono a due classi sociali diverse, Nazar è un ricco proprietario terriero quindi una sorta di intoccabile… Ma per una serie di ragioni, coincidenze e casualità invece il fatto si concretizza.

Il racconto è un mezzo per denunciare una società machista, maschilista e patriarcale, una società dove ricorrere al delitto d’onore è possibile e doveroso (ma ricordiamoci che fino agli anni ’80 in Italia esisteva il “matrimonio riparatore”) ed è anche un modo per rendere giustizia ad un caro amico Cayetano Gentile ucciso in un delitto d’onore.

È un libro breve, intenso, che si legge in poche ore (io l’ho letto tutto in un giorno, praticamente in un pomeriggio) è un libro corale, ci sono tanti personaggi, tutto il paese è partecipe del dramma che andrà a compiersi, tutti in qualche modo sono protagonisti, è un dramma comunitario e sociale, molte le persone che a distanza di decenni ricorderanno quella giornata con l’io narrante quando li incontra per ricostruire l’accaduto; ma la voce narrante è una soltanto una quella del nostro narratore scrittore che ricostruisce la vicenda. Resterà il dubbio circa la “colpevolezza” di Santiago, non verrà svelato questo particolare perché la custode del segreto non lo fa e quindi non possiamo conoscere la verità essendo una cronaca, una ricostruzione di fatti.

Si tratta del mio primo approccio a Marquez, sicuramente voglio approfondire la conoscenza già mi aspettano in libreria Cent’anni di solitudine e L’amore ai tempi del colera.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete letto (altrimenti fatevi questo regalo) e cos’altro mi consigliate di Marquez.


mercoledì 10 febbraio 2021

L'ISOLA DI ARTURO DI ELSA MORANTE

TITOLO: L'isola di Arturo
AUTORE: Elsa Morante
EDITORE: Einaudi (collana ET Scrittori)
PAGINE: 392
PREZZO: € 13,00
GENERE: romanzo di formazione, letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: isola di Procida fine anni '30
Vincitore del Premio Strega nel 1957

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Una storia bella, toccante e tragica.

Protagonista e voce narrante è Arturo Gerace, che adulto ricorda e racconta la sua infanzia e fanciullezza sull’isola di Procida.

Arturo vive e cresce praticamente da solo e abbandonato a sé stesso sull’isola di Procida, è orfano di madre e il padre, va e viene, torna, sta qualche giorno e riparte per il continente, fa quello che vuole e del figlio praticamente non si interessa. Nei primissimi anni di vita Arturo ha un balio, un ragazzo napoletano di nome Silvestro – che è anche praticamente il suo unico amico – che però lascia Procida quanto è chiamato al servizio di leva; da quel momento l’unico aiuto arriva da Costante, il colono che fa da cuoco ai Gerace, andando alla casa una volta al giorno a cucinare i pasti che lascia in cucina.

“La mia casa non dista molto da una piazzetta quasi cittadina (ricca, fra l’altro, di un monumento di marmo), e dalle fitte abitazioni del paese. Ma, nella mia memoria, è divenuta un luogo isolato, intorno a cui la solitudine fa uno spazio enorme. Essa è là, malefica e meravigliosa, come un ragno d’oro che ha tessuto la sua tela iridescente sopra tutta l’isola.”

Arturo vive in una decadente abitazione signorile detta “la casa dei Guaglioni” perché il vecchio proprietario Romeo l’Amalfitano (grande amico del padre di Arturo, Wilhelm a cui rimarrà in eredità) era solito fare molte feste ma invitando esclusivamente uomini e ragazzi perché odiava le donne, tutte le donne nel loro genere.

La vita di Arturo scorre tra giornate in esplorazione dell’isola e in giro per il mare con la sua barca e la lettura dei libri e romanzi che si trova in casa, su cui si forma e che rappresentano anche la sua unica fonte di istruzione e termine di paragone con la vita e il mondo. La vita che conduce Arturo è selvaggia e libera e senza regole, una vita che condivide con la sua fedelissima cagnetta Immacolatella.

“… Mio padre non si curò mai di farmi frequentare le scuole: io vivevo sempre in vacanza, e le mie giornate di vagabondo, soprattutto durante le lunghe assenze di mio padre, ignoravo qualsiasi norma e orario. Soltanto la fame e il sonno segnavano per me l’ora di rientrare a casa.”

“Le serate invernali, e i giorni di pioggia, io li occupavo con la lettura. Dopo il mare, e i vagabondaggi per l’isola, la lettura mi piaceva più di tutto. Per lo più leggevo in camera mia, sdraiato sul letto, o sul canapè, con Immacolatella ai miei piedi”

Arturo è profondamente stregato dal padre, che vede quasi come un dio, e lo imita in tutto e per tutto a partire dal comportamento arrogante verso gli abitanti dell’isola con cui praticamente non stringe amicizia ne intrattiene rapporti.

“La mia infanzia è come un paese felice, del quale lui è l’assoluto regnante! Egli era sempre di passaggio, sempre in partenza; ma nei brevi intervalli che trascorreva a Procida, io lo seguivo come un cane. Dovevamo essere una buffa coppia, per chi ci incontrava! Lui che avanzava risoluto, come una vela nel vento, con la sua bionda testa forestiera, le labbra gonfie e gli occhi duri, senza guardare nessuno in faccia. E io che gli tenevo dietro, girando fieramente a destra e a sinistra i miei occhi mori, come a dire: ‘Procidani, passa mio padre!’ La mia statura, a quell’epoca, non oltrepassava i molto il metro, e i miei capelli neri, ricciuti come quelli di uno zingaro, non avevano mai conosciuto il barbiere (quando si facevano troppo lunghi, io, per non esser creduto una ragazzina, me li accorciavo energicamente con le forbici; soltanto in rare occasioni mi ricordavo di pettinarli; e nella stagione estiva erano sempre incrostati di sale marino).”

Una prima svolta arriva il giorno in cui il padre comunica che si sposa e tornerà sull’isola con la nuova moglie, Nunziata.

“Non tentavo per nulla di raffigurarmi quale aspetto e quale carattere potesse avere la nuova sposa di mio padre. Respingevo ogni curiosità. Che quella donna fosse fatta in un modo, o in un altro, per me, era uguale. Essa, per me, significava soltanto: il Dovere. Mio padre l’aveva scelta, e io non dovevo giudicarla.
Secondo i libri che avevo letto, una matrigna non poteva essere che una creatura perversa, ostile e degna di odio. Ma, come sposa di mio padre, costei, per me, era una persona sacra!”

Il rapporto tra Arturo e la matrigna non è semplice, Arturo è duro, scontroso, odia Nunziata forse perché lei rappresenta un ostacolo, un intruso nel suo rapporto col padre, che fino a quel momento (almeno sull’isola) era esclusivo, ora non può più avere tutte le (già scarsissime) attenzioni del padre per sé, probabilmente Arturo è geloso, geloso di tutto e tutti, del resto il padre è l’unico parente che ha al mondo. In realtà lo stesso Arturo a distanza di tanti anni non sa spiegare il suo sentimento verso la matrigna; è molto crudele con lei, non le parla, la lascia perennemente sola anche durante i pasti e soprattutto fa di tutto per instillare in Nunziata paura e terrore e si rammarica che nonostante il suo comportamento burbero e scontroso non riesce a causarle paura e alla base di questa sua ossessione c’è il desiderio di imitare e assomigliare al padre. Potrebbero invece farsi forza e compagnia a vicenda, in fondo sono entrambi due ragazzini.

“Soprattutto, una cosa mi esasperava sempre più, col passare dei giorni: e cioè che lei, tato timorosa di mio padre, di me, invece, non mostrava, mai, alcun timore! Quand’io la offendevo e la ingiuriavo, sebbene non mi replicasse mai nulla, tuttavia mi stava di fronte impavida come una leonessa. Simile suo contegno era un’altra riprova evidente che costei mi trattava alla stregua di un ragazzino, il quale non può farsi temere da una matrona pari a lei. Eppure, dall’epoca del sua arrivo, già la differenza fra le nostre due stature appariva abbastanza diminuita; e la sua audacia era uno schiaffo per me. Io avrei voluto, per soddisfazione del mio orgoglio, ispirarle paura quanto mio padre, in cospetto del quale essa tremava solo a un’ombra che gli passasse sulla fronte! e spesso, dimenticando tutte le altre mie ambizioni, mi perdevo nel progetto di diventare, da uomo, un brigante, un capobanda terribile, tale ch’essa dovrebbe cadere svenuta solo alla mia vista. Perfino la notte, certe volte, mi svegliavo con questo pensiero: Voglio farle paura, e m’immaginavo di usarle cattiverie inaudite, ogni sorta di barbarie, nella smania di essere odiato da lei com’io la odiavo.
Quando le impartivo ordini, e mi facevo servire da lei, mi atteggiavo alla maniera di un torvo imperatore che si volga a un soldato semplice. E lei era sempre docile e pronta a servirmi, ma questa sua ubbidienza mi non sembrava, per nessun segno, dettata dalla paura. Anzi, nell’affaccendarsi per me, ella si animava e assumeva perfino delle maniere pompose. E la sua faccia, da brutta e smorta, ridiventava fresca come un gelsomino. Forse, elle sperava che da parte mia il comandarlo, e il farmi servire da lei, significasse già un principio di riconciliazione? Non c’era modo di farle capire quanto fosse spietato il mio animo.”

Ma invece nonostante tutto Nunziata tiene un atteggiamento e un comportamento amorevole e pieno di cure e attenzioni verso Arturo, mandandolo ulteriormente in bestia:

“Il fatto era che io non volevo né cure né attenzioni da lei. La comandavo, per avere la soddisfazione di umiliarla, trattandola come un automa, un oggetto; ma le sue attenzioni gentili (quasi che davvero si presumesse una mia parente, mia madre!), mi erano insopportabili. In più di una occasione tornai a ripeterle: -Fra noi non c’è nessuna parentela. Tu non mi sei niente.”

Nunziata proviene da una famiglia molto povera, anche lei è orfana però di padre morto in un incidente sul lavoro, e la sua vita è immensamente triste, anche se forse la sua ignoranza e la sua semplicità non le consentono di comprendere appieno la sua situazione.

“Le sue noti, volgari, stridenti, si trascinavano piene di malinconia, come se tutte le canzoni che lei cantava avessero un argomento triste. Ma essa, credo, non aveva pensieri, e nemmeno era consapevole di non esser felice. Una pianta di garofano o di rosa, anche se, invece che in giardino, le tocca di stare sull’angolo di una finestruola, dentro un coccio, non si mette a pensare: Potrei avere un’altra sorte. E così era fatta lei, altrettanto semplice.”

Non capisco davvero il perché del matrimonio tra Wilhelm e Nunziata, capisco bene la famiglia di lei che la spinge tra le braccia di un uomo più vecchio, palesemente burbero e scontroso ma un “miliardario” o meglio un possidente, quindi un uomo benestante almeno secondo i suoi racconti. Ma non capisco le ragioni che hanno spinto Wilhelm a sposarsi e a insistere per avere Nunziata, pur di averla si converte al cattolicesimo ma l’ha sempre trattata male anche ai tempi del fidanzamento

“Così, divennero fidanzati. Ormai, gli si era promessa, ella non pensava più a sfuggirlo, sebbene, solo al vederlo da lontano, si sentisse gelare di spavento. Ciò che soprattutto la impauriva, era di trovarsi sola con lui; né avrebbe saputo dire la ragione di questo fatto, giacché in realtà, quando non v’erano altre persone, egli la trattava alla maniera solita, senza farle molta attenzione né darle confidenza, al punto che, andando a spasso con lei, non la teneva neppure sottobraccio. In ciò, essi differivano da tutti gli altri innamorati, che si vedevano andare in giro abbracciati e stretti; forse, ella pensava, lui era diverso perché era nato in un paese forestiero, e là al suo paese i fidanzati andavano in questo modo. Se talvolta egli la toccava, era solo per farle del male, come per esempio tirarle i ricci, o scuoterla per un braccio, o altri dispetti simili. Non erano dispetti terribili, ma pure bastavano a farla tremare. Ed egli allora la lasciava stare, e rideva fieramente dicendole: -Se hai tanta paura adesso, che siamo appena fidanzati, che sarà, quando ci sposeremo?

E infatti il trattamento che Wilhelm riserva alla neo sposa è davvero crudele e cattivo, non fa nulla per metterla a proprio agio, la tratta fondamentalmente come un serva e continuerà a fare la sua solita vita di giramondo.

“-Ricordati, - egli riprese, accendendosi di maggior violenza ad ogni parola, - che, sposati o no, io rimango sempre libero di andare e venire quando voglio, e non devo rispondere a nessuno di me stesso! Per me non esiste nessun obbligo né dovere, IO SONO UNO SCANDALO! Eh, non sarò a te, nennella, che dovrò render conto delle mie fantasie! Deve ancora nascere quel grande imperatore che potrà tenere in gabbia Wilhelm Gerace! E se tu, povera bambola pidocchiosa, credi che in conseguenza dello sposalizio, io deva rimanere attaccato ai tuoi stracci, farai meglio a disingannarti subito!”

“Mio padre girò il capo verso di lei: -Taci, tu- le rispose, -che sei appena nata, e, inoltre, sei nata stupida! Se dici ancora un’altra parola, ti ammazzo! Di certi sentimenti, ne faccio a meno io: li lascio ai disgraziati, che sono liberi soltanto la domenica. Non mi vanno, a me, i romanzi d’amore, di nessun genere. Ma l’amore delle femmine, poi, è il CONTRARIO dell'amor’!”

Ad un certo punto la storia prende una piega particolare, non voglio dire scontata ma io un po’ me l’aspettavo, ciò di cui Arturo ha bisogno è amore e amore materno, la sua nuova ossessione diventano i baci che non ricorda di aver mai dato o ricevuto. Inoltre Arturo sta crescendo e scoprirà l’amore e la delusione, inizia a vedere il padre sotto una luce diversa, si sente tradito fino alla rottura finale e l’abbandono dell’isola di Procida, momento che segna la sua definitiva crescita e l’ingresso nel mondo degli adulti. Fino a quel giorno Arturo è vissuto isolato dentro un universo tutto suo, non sapeva nulla della realtà del mondo esterno a Procida.

“In sostanza, io conoscevo la storia fino dai tempi degli antichi egiziani, e le vite degli eccellenti condottieri, e le battaglie di tutti i passati secoli. Ma dell’epoca presente contemporanea, non sapevo nulla. Anche quei pochi segnali dell’epoca presente che arrivavano all’isola, io li avevo appena intravisti senza nessuna attenzione. Non m’aveva incuriosito mai, l’attualità. Come fosse tutto cronaca ordinaria da giornali, fuori dalla Storia fantastica, e delle Certezze Assolute.”

La scrittura è ricca ed immersiva con tante parole del dialetto locale che rendono ancora più vivido e reale il personaggio di Arturo. Come detto la narrazione è in prima persona, è lo stesso Arturo a raccontare e ovviamente l’unico punto di vista e le uniche sensazioni e pensieri che possiamo conoscere sono i suoi; così noi lettori non possiamo entrare nella mente degli altri personaggi che rimangono indefiniti e quasi incompiuti e i loro segreti nascosti.

La storia di Arturo, ma anche quella di Nunziata, mi ha suscitato tanta tenerezza, sono storie tristi e dolorose mentre Wilhelm mi ha riempito di rabbia.

I personaggi sono ben delineati e anche molto realistici, ma come detto conosciamo davvero bene solo Arturo.

Arturo è un ragazzino taciturno, abituato alla libertà e alla solitudine del resto – come detto – ha praticamente sempre vissuto solo, cerca di imitare il padre e di fare colpo su di lui (senza riuscirci), vede nel padre un Dio infallibile e un esempio da seguire, è appassionato di lettura, con una grande sete di avventure in giro per il mondo come quelle che legge nei suoi romanzi e come quelle che crede il padre viva tutte le volte che è lontano dall’isola. Probabilmente Arturo soffre “di gelosia” verso tutto e tutti, in particolare verso ciò che può essere di intralcio tra lui e l’oggetto dei suoi desideri, in primis il padre, e questo sentimento lo spinge a comportamenti odiosi e strafottenti, non è abituato a mostrare e tanto meno a parlare delle proprie emozioni; tutto sommato lo si può anche capire, non è altro che un ragazzino che è dovuto crescere per forza, che non sa cos’è una famiglia e cos’è l’amore.

Nunziata arriva a Procida giovanissima, ha sedici anni (Arturo ne ha quattordici!) fa quel che può per badare alla casa e al figliastro, nonostante tutto cerca di essere amorevole e paziente con Arturo, è molto religiosa e riuscirà a fare amicizia con altre donne.

Wilhelm è prepotente, beffardo, tirannico, violento e feroce, scostante; è una figura sfuggente e misteriosa, ma anche invincibile e un vero eroe questo è quello che pensa Arturo, che come ogni bambino adora il padre. Forse anche perché il narratore è Arturo che Wilhelm rimane sfocato, fino alla fine non si capiscono le ragioni di molte sue scelte, non fa nulla né per il figlio né per Nunziata, non fa nulla nemmeno per facilitare la loro convivenza. Semplicemente vive la sua vita fregandosene degli altri. È un personaggio antipatico che ho odiato profondamente per il suo comportamento arrogante e menefreghista verso il figlio. Perché se ne va in giro e lascio Arturo da solo a Procida? Cosa fa in giro? Che lavoro fa? Certo va contestualizzato al periodo storico in cui è ambientato ma io non posso e non voglio credere che tutti gli uomini e mariti fossero come Wilhelm e nello stesso romanzo viene data prova che questa non è l’unica realtà possibile.  Wilhelm forse solo una volta o massimo due fa il padre, rimane torbido e pieno di misteri che non vengono svelati anche se alla fine del libro il lettore può intuire alcune cose e azzardare ipotesi che però non possono trovare conferma; per me rimane un uomo assolutamente mediocre e insulso e lo trovo uno dei personaggi più antipatici che finora ho trovato nei libri.

Un bellissimo romanzo di formazione con un protagonista indimenticabile, libero, selvaggio con un proprio codice d’onore e una terribile storia di solitudine.

Una lettura magnifica che rimarrà a lungo nei miei pensieri.

Conoscete Elsa Morante? Avete letto L’isola di Arturo? Vi aspetto nei commenti