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giovedì 23 novembre 2023

UN INDOVINO MI DISSE di TIZIANO TERZANI

TITOLO: Un indovino mi disse
AUTORE: Tiziano Terzani
EDITORE: Tea
PAGINE: 430
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana, letteratura di viaggio, memoir, reportage
LUOGHI VISITATI: Sud Est asiatico primi anni '90
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


Colloquiale, intimo e coinvolgente. È come se prendessimo un caffè o meglio un lunghissimo te - magari su una spiaggia del sud est asiatico oppure in uno dei lunghi viaggi in treno o in nave che Terzani ha fatto nel suo 93 -  e, come fossimo vecchi amici, Terzani ci racconta dalla sua vita e di quell’anno magico che gli ha fatto vivere tante belle esperienze.

Cos’ha di speciale il 1993? Per tutto l’anno Terzani non ha mai preso un aereo o un velivolo e si è sposato con altri mezzi di trasporto. Perché? Perché anni prima un indovino gli predisse di non prendere voli, e così più per gioco che per paura/scaramanzia passa un intero anno senza volare, un anno dove comunque viaggia, si sposta perché svolge il proprio lavoro di giornalista e torna, come di consueto, nella sua Firenze per le vacanze.

Tutto inizia nel 1976 quando per caso un vecchio indovino cinese ammonisce Terzani a non volare nel 93; passano gli anni e Terzani che è il primo scettico, il primo a non credere, quello che trova sempre una spiegazione logica decide di sfruttare l’occasione che la profezia gli offre per vivere una nuova esperienza.

 “… mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: «Al diavolo gli indovini e le loro fandonie»?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima a Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine a Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella «profezia» fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
[..] E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. […] La profezia era la scusa.”

È anzitutto un magnifico libro di viaggio, che offre spunti anche per viaggi attuali diversi dal solito dove il viaggio non è solo un modo per raggiungere la metà ma è esso stesso la meta, lo scopo del viaggio non è tanto o solo raggiungere un luogo ma il viaggio in sé, l’esperienza, ciò che vedi e chi incontri. E lo trovo un insegnamento molto importante.

Tiziano Terzani è un giornalista fiorentino che ha girato il mondo e dagli anni ’70 è corrispondente dal il Sud Est Asiatico per il Der Spiegel e noi lo seguiamo nei suoi spostamenti per lavoro, viaggiamo con lui in giro per l’Asia e viviamo tante esperienze e avventure come quando partecipa a una sorta di rally che inaugura una strada che unisce Thailandia e Cina Ponendo fine (purtroppo) al secolare isolamento di una regione oppure l’epocale il viaggio in treno che lo porta da Bangkok a Firenze.

“… con il solo peso di un sacco sulle spalle e di una borsa a mano, uscii una mattina da Turtle House e partii per un grande viaggio, uno dei più lunghi della mia vita, uno dei più lenti, quello con cui volevo darmi più agio: Bangkok-Firenze. Ero diretto in Occidente, ma dovetti incominciare andando verso Oriente. Essendo impossibile attraversare la Birmania in direzione dell’India, il modo più sicuro di lasciare la Thilandia era di entrare in Cambogia, di proseguire in Vietnam, poi in Cina, in Mongolia, in Siberia e avanti, avanti fino a casa.” 

Ma Terzani in questo 1993 fa anche un’altra cosa, una sorta di gioco per cui si mette a consultare indovini: in ogni luogo che visita (e ne visita tanti) si informa e consulta l’indovino più famoso, ricercato, apprezzato del luogo. Scopriamo così tante tecniche diverse per predire il futuro, chi legge le carte, chi le mani, chi i piedi, chi traccia segni oppure costruisce schemi partendo da data e ora di nascita; emergono tante realtà diverse ma Terzani si accorge di una cosa molto interessante ogni cultura dà maggior importanza a determinati aspetti della vita e così l’indovino, in base alla cultura di appartenenza, tenderà a parlare a predire il futuro con maggior attenzione a uno o a un altro aspetto come può essere il denaro oppure l’amore o la longevità; e la cosa che trovo simpatica è che utilizzano per Terzani gli stessi schemi/modelli che utilizzano per i compatrioti asiatici.  

Se ne vedono di tutti i colori è un aspetto interessante e quasi un ulteriore viaggio che compiamo con Terzani nel senso che viaggiamo nello spazio ma anche dentro le culture che incontriamo e lo facciamo attraverso il fenomeno degli indovini. Si interroga anche sul significato e sul senso degli indovini offrendo anche qui spunti di riflessione molto interessanti.

“Gli chiesi di aiutarmi con la storia delle elezioni e di trovarmi il migliore indovino della città. Questa volta non era tanto il mio destino che mi interessava – ne avevo già collezionate varie versioni -, quanto la risposta a un pensiero che sin dall’inizio dell’anno mi girava in testa: se è davvero possibile prevedere il futuro, se l’uomo porta davvero in sé i semi di quel che lo aspetta, la Cambogia era il posto in cui provarlo. Nel giro di quattro anni, una persona su tre era morta in questo paese, perlopiù in maniera violenta. Gli indovini lo avevano predetto? C’era stato qualcuno che aveva messo in guardia contro la possibilità di un bagno di sangue?
Se nel palmo di una mano c’è un segno che indica una malattia a diciott’anni e la possibilità di un infarto a cinquantadue, cosa doveva esserci nelle mani dei due milioni di cambogiani che il 17 aprile 1975 videro il loro mondo finire? Le fosse comuni della Cambogia erano piene di gente predestinata a finire lì. Se nessuno aveva saputo leggere quel loro futuro, allora voleva dire che chiunque pretende di saperlo fare è un impostore; voleva dire che il futuro non è nella mano di nessuno, non è nelle stelle. Voleva dire che il destino non esiste.” 

Offre anche tanti spunti di riflessione a partire dai viaggi in aereo, avete mai pensato a come il viaggio aereo distorca il mondo e lo faccia assomigliare? Viaggiare in aereo fa perdere non solo il senso della distanza tra i luoghi ma anche la lontananza, fisica, culturale e sociale perché tutti gli aeroporti sono praticamente uguali in ogni angolo del mondo, sono “internazionali” e poi fa perdere anche il senso dei confini e delle frontiere, diversità ben visibili se si viaggia via terra per esempio.

“La Cambogia finisce con un grande arco di trionfo in pietra rosa, sovrastato dalla riproduzione delle torri di Angkor. Da lì dovetti fare a piedi un centinaio di metri per arrivare a un portale di cemento grigio e disadorno che segnava invece l’inizio del Vietnam. Gli stranieri che si presentano lì sono rarissimi e il mio arrivo creò una grande curiosità, una perquisizione minuziosa dei miei bagagli e un interrogatorio in cui la domanda ricorrente fu: «Perché non hai preso l’aereo?». Già, perché?
Forse anche per riscoprire che il mondo è un complicato mosaico di paesi, ciascuno con le sue frontiere da varcare; forse per riaccorgermi che la terra non è una massa monocolore punteggiata di aeroporti, come appare nelle carte delle linee aeree; o forse semplicemente per riprovare l’emozione di varcare, fisicamente a piedi, e non per aria, una vera frontiera come quella.”

Avrei voluto sottolineare tutto il libro, è pieno di passaggi interessanti oltre alle sue esperienze si parla di geopolitica, di Storia, ci sono curiosità, aneddoti e tante riflessioni. Leggiamo di culture e tradizioni e di storia più o meno recente e di come sono oggi paesi come il Vietnam, la Cambogia e la Cina per esempio, paesi in cui Terzani ha vissuto e lavorato.

Un libro bellissimo ma anche doloroso. Anzitutto perché è un libro che trasporta e fa viaggiare attraverso l’Asia il lettore; ma è un Asia che non esiste più (stiamo parlando principalmente del 1993 sono passati 30 anni) ma già all’epoca Terzani ci dice che non esiste più, che sta scomparendo, piano piano tutti i paesi si occidentalizzano abbandonando molto del tradizionale a favore del moderno, dello sviluppo (e il modello di monto/vita moderna e sviluppato è quello occidentale) a partire dalla Thailandia.

“Il destino di quella straordinaria civiltà che aveva, davvero per millenni, preso un’altra via, che aveva affrontato la vita, la morta, la natura, gli dei in maniera diversa dagli altri, mi rattristava! Quella cinese era una civiltà che aveva inventato un suo modo di scrivere, di mangiare, di fare l’amore, di pettinarsi: una civiltà che per secoli ha curato diversamente i suoi malati, ha guardato diversamente il cielo, le montagne, i fiumi; che ha avuto una diversa idea di come costruire le case, di fare i templi, un’altra concezione dell’anatomia, un diverso concetto di anima, di forza, di vento, d’acqua; una civiltà che ha scoperto la polvere da sparo e l’ha solo usata per fare fuochi d’artificio invece che proiettili per i cannoni. Quella civiltà oggi cerca solo di essere moderna come l’Occidente; vuole diventare come quell’isolotto ad aria condizionata che è Singapore; produce giovani che sognano solo di vestirsi come rappresentanti di commercio, di fare la coda davanti ai fast food di McDonald, di avere un orologio al quarzo, un televisore a colori e un telefonino portatile.
Non è triste? Non dico per i cinesi. Ma per l’umanità in genere, che perde molto nel perdere le sue diversità e nel diventare tutta uguale.”

 

Ma è doloroso anche per le narrazioni degli ultimi decenni di storia del sud est asiatico questo sud est asiatico ricco di storia, tradizioni millenarie, usi e costumi interessanti, dilaniato da guerre e dittature, si parla della guerra del Vietnam, della Cambogia di Pol Pot e del regime birmano, Terzani è stato corrispondente per questi eventi li ha vissuti in prima persona.

Una parte che ho apprezzato moltissimo (anche se ho apprezzato davvero tutto) è quella relativa alle prime elezioni democratiche in Cambogia che si tengono nel 1993 a cui naturalmente Terzani assiste, avvengono sotto l’egida dell’ONU e sono elezioni democratiche.  Le parole di Terzani sono così profonde, così vere da sembrare scontate ma non lo sono, ho apprezzato moltissimo che dica quello che pensa con tanta lucidità e coraggio sull’intervento ONU in Cambogia emerge ancora una volta l’ipocrisia occidentale, si tratta di un pensiero che non si può non condividere e che può essere traslato anche a molti altri scenari. Se il mondo fosse governato da uomini come Terzani a mio modestissimo parare vivremmo praticamente in paradiso!

 

“Quello che è successo in Cambogia dal 1975 al 1979, sotto il regime dei Khmer Rossi, sfidava ogni fantasia dell’orrore; era più spaventoso di qualsiasi cosa un uomo potesse immaginarsi. L’intera società era stata rovesciata, le città abbandonate, le pagode distrutte, la religione abolita e la gente regolarmente massacrata in un continua orgia purificatrice. Un milione e mezzo, forse due milioni, di cambogiani – un terzo della popolazione – erano stati eliminati. Cercai quelli che avevo conosciuto e non trovai nessuno. Erano tutti finiti a «fare da concime nei campi», perché anche i «controrivoluzionari», dicevano i Khmer Rossi, dovevano, almeno come cadaveri, servire a qualcosa.
Viaggiai per un mese attraverso un paese martoriato a raccogliere testimonianze di questa follia. La gente era così atterrita, così inebetita dall’orrore che spesso non riusciva a raccontare o non voleva farlo. Nelle campagne mi venivano indicati «i centri di raccolta per l’eliminazione dei nemici» - di solito erano le vecchie scuole – dove restavano le tracce delle torture, i pozzi dove non era più possibile bere perché riempiti di morti, le risaie dove a volte non si riusciva a camminare senza pestare le ossa di quelli che lì, a colpi di bastone, per risparmiare le pallottole, erano stati massacrati.
Dovunque si scoprivano nuove fosse comuni. C’erano superstiti che non riuscivano più a montare su una barca da quando avevano visto i loro famigliari portati in mezzo a un lago e buttati in pasto ai coccodrilli. Altri non riuscivano più a salire su una palma perché i Khmer Rossi avevano usato gli alberi per mettere alla prova le loro vittime e decidere chi dovesse vivere e chi morie. Quelli che riuscivano ad arrivare fino in cima erano considerati contadini da utilizzare; gli altri, intellettuali da eliminare.
Da allora la Cambogia non fu mai più la stessa. […] Non potevo più guardare serenamente una fila di palme senza pensare istintivamente che le più alte erano quelle più concimate di cadaveri. In Cambogia persino la natura aveva perso la sua rincuorante innocenza.
[…] Dopo aver ignorato per anni la tragedia di questo paese, la comunità internazionale era finalmente intervenuta massicciamente. Non certo per mettere ordine, per punire gli assassini e ristabilire un minino di decenza nella vita! […] per la piccola Cambogia, le «Grandi Potenze» avevano trovato una di quelle soluzioni che servono a giustificare ogni immoralità: un compromesso. Con gli Accordi di Parigi, firmati con grande pompa nel 1991, i massacri furono dimenticati, boia e vittime vennero messi sullo stesso piano, i vari gruppi combattenti furono invitati a deporre le armi e i loro capi a presentarsi alle elezioni. Che vincesse il migliore! Come se la Cambogia nel 1993 fosse l’Atene di Pericle.
Questa volta ero a Phnom Penh da qualche giorno e avevo l’impressione di assistere a una grande rappresentazione di follia.
In un palazzo degli anni ’30, che era stato la residenza del governatore francese, s’era installato il Quartier Generale dell’UNTAC, l’Autorità delle Nazioni Unite incaricata di applicare gli accordi di Parigi. Ogni giorno, su una bella terrazza, un giovanotto di nazionalità francese dava informazioni e istruzioni ai cinquecento giornalisti venuti da tutto il mondo per assistere «elle prime elezioni democratiche nella storia della Cambogia»; un altro, di nazionalità americana, spiegava che era proibito prendere foto degli elettori alle urne e chiedere loro, all’uscita dei seggi, per chi avessero votato.
Ai piani superiori, nei piccoli uffici ricavati dalle grandi sale di un tempo, altri funzionari internazionali, avvocati e giudici presi in prestito dai vari paesi, professori universitari a contratto per l’ONU, ciascuno davanti al suo computer, lavoravano a elaborare piani per lo sviluppo e la modernizzazione del paese, stilavano una nuova costituzione, scrivevano leggi per riorganizzare le dogane, eliminare la corruzione, ristrutturare il sistema scolastico e far funzionare gli ospedali. A sentir loro, quella era per la Cambogia un’occasione unica per rimettersi in piedi, per tornare a essere un paese normale. Il mondo intero era lì ad aiutarla. Sulla carta era vero. […] Il destino dei cambogiani non era la grande priorità del momento. Per le Nazioni Unite era prioritario portare a buon fine l’intervento in Cambogia, così da poter ripetere l’operazione altrove. […] Se la comunità internazionale avesse voluto fare qualcosa per i cambogiani, doveva metterli sotto una campana di vetro per una generazione, proteggerli dai loro vicini-nemici, thailandesi e vietnamiti, dai rapaci uomini d’affari venuti come cavallette a sfruttare l’occasione di far due soldi. Doveva anzitutto aiutarli a vivere in pace, a riscoprire se stessi… E poi, forse, poteva chiedere loro se volevano avere una monarchia o una repubblica, se preferivano il partito della Mucca o quello del Serpente.
Invece di mandare esperti di diritto costituzionale, di economia o di comunicazioni, le Nazioni Unite avrebbero dovuto mandare un gruppo di psicanalisti e psicologi a occuparsi dello spaventoso trauma che questo popolo aveva subito.”


La prosa di Terzani è acuta, ha uno sguardo lungimirante, che condivido molto, ha una lingua piana, semplice colloquiale, che mette il lettore a suo agio, lo fa sentire a casa, con un amico e al contempo informa, insegna, istruisce, emerge tutta la conoscenza e anche la saggezza ma non in modo accademico o spocchioso, e poi ha una lingua sarcastica, tagliente ma giusta. 

Ricco di riflessione sulla vita, sul suo senso, sulla modernità e il suo impatto sulle persone, soprattutto sulla loro felicità. E le riflessioni di Terzani sono ottimi spunti di riflessione anche per il lettore.

Ci sono tantissimi riferimenti alla storia geopolitica dell’Asia e ne narra anche degli episodi anche passati che fanno parte della sua esperienza e/o che comunque servono a contestualizzare e spiegare il presente, si parla della guerra in Vietnam, dei Khmer Rossi e della Cambogia, dei grandi cambiamenti che hanno e stanno subendo i vari paesi, la Malesia musulmana. Io conosco davvero pochissimo però è facile star dietro a Terzani.

Lo stile è colloquiale ed è secondo me un pregio enorme, è una fonte infinita di informazioni e saggezza, eppure sembra di ascoltare il tuo amico di scuola. Semplice ma efficace, scorrevole, meraviglioso proprio perché spiega e narra cosa ha portato all’oggi. E poi le riflessioni, le sue opinioni molto forti e coraggiose ma a mio parere assolutamente lucide, meritevoli e degne di essere condivise.

Ho letto il libro nel 2023 esattamente trent’anni dopo la sua ambientazione ma è stato un caso. Mi sono approcciata praticamente al buio, da tempo volevo conoscere Terzani perché mi ispirava e in una promo tea avevo acquistato questo libro. Penso inoltre che molto di quello che Terzani ci racconta sia ancora attuale nonostante gli anni, soprattutto le riflessioni su come la “modernità” sia ricercata a discapito delle tradizioni e delle diversità e soprattutto della felicità, felicità che viene sacrificata perché il mondo va veloce e bisogna adeguarsi e non c’è tempo e spazio per ciò che ci fa piacere.

Voglio leggere altro di suo e sicuramente leggerò Buonanotte sig. Lenin che racconta di un viaggio fatto in Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica e assiste durante il viaggio all’eliminazione dei simboli e delle statue del regime, tra l’altro è il libro che uscirà proprio nel ’93 e ce ne parla. Mentre gli altri suoi libri da un lato mi intimoriscono soprattutto quelli che sono cronache di un reporter di guerra in Vietnam e Cambogia però li voglio recuperare perché secondo me sono fonti importantissime e accessibili anche a chi, come me, è piuttosto digiuno di questi argomenti ma vuole approfondire.

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro mi consigliate.


domenica 31 gennaio 2021

IL MISTERO DI RUE DES SAINTS-PÈRES DI CLAUDE IZNER

TITOLO: Il mistero di Rue des Saint-Pères
AUTORE: Claude Izner - traduzione di Chiara Salina
EDITORE: Tea Libri
PAGINE: 309
PREZZO: € 9,00
GENERE: romanzo giallo, letteratura francese
LUOGHI VISITATI: Parigi anno 1889

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Victor Legris è proprietario della libreria Elzévir in Rue de Saint-Pères. È quel genere di investigatore non professionista che suo malgrado si ritrova coinvolto in misteri e delitti da risolvere. Giovane, appassionato di fotografia, dotato di un acume e testardaggine e tanta curiosità si butta a capofitto nella risoluzione di un caso particolare: quello delle api assassine.

Il caso è stato definito delle api assassine perché alcune persone muoiono improvvisamente dopo essere state punte da un insetto, o almeno questo è quello che credono e raccontano agli astanti negli ultimi momenti di vita. Le morti avvengono alla luce del sole, in pieno giorno e in mezzo alla folla dell’Esposizione Universale!

Il nostro Victor si trova coinvolto anzitutto perché si trovava sulla torre quando muore la prima vittima la signora Patinon e questo scatena la sua curiosità personale. Si accorge che l’unico elemento di legame tra le vittime è il fatto che hanno firmato l’albo d’oro del giornale Figaro sulla Torre lo stesso giorno, inoltre sembra che il suo socio Kenji Mori possa avere dei legami con alcune vittime.

Inizia così la ricerca della verità, fatta di ricerche forsennate, pedinamenti, bugie, incontri spiacevoli, supposizioni e tutto in gran segreto. Victor vuole raggiungere la verità ma ha anche paura di scoprirla perché il colpevole potrebbe essere una persona a cui vuole bene.

“Non appena cominciò a leggere il Dizionario delle droghe e dei veleni, Victor sentì che si stava avventurando lungo una strada pericolosa. Non riusciva a spiegarsi perché s’intestardisse tanto nel voler ficcare il naso in quella faccenda. Intendeva convincersi che faceva male a essere tanto sospettoso nei confronti di chi gli stava vicino? Tentava di discolpare Kenji? O era, soprattutto, il desiderio di fare colpo sugli altri?”

Un giallo godevolissimo, con un buon livello di tensione e suspence che permette al lettore di viaggiare indietro nel tempo e partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 dedicata al centenario della Rivoluzione Francese e la cui principale attrattiva e protagonista è stata “la” torre di Gustave Eifell.

Ho apprezzato moltissimo l’ambientazione storica e in particolare la descrizione e il racconto dell’Esposizione di cui vengono mostrati anche i retroscena legati all’impiego di artisti e disoccupati della capitale per i figuranti e realizzare i vari allestimenti.

“Sulla riva opposta della Senna, la torre color bronzo di Gustave Eiffel svettava verso il cielo, come un enorme lampadario profilato d’oro. […] L’omnibus si fermò davanti al Palais du Trocadéro, un enorme edificio fiancheggiato da torri simili a minareti. Più in basso, oltre la striscia grigia del fiume, attraversato in lungo e in largo dai battelli, si estendevano i cinque ettari dell’Esposizione Universale.”

Oltre a Victor Legris coprotagonisti nella serie ma che ricoprono un ruolo anche nella risoluzione di questo mistero sono l’aiutante della libreria Joseph detto Jojo divoratore di libri e appassionato di gialli e cronaca nera e l’enigmatico giapponese Kenji Mori, socio e padre adottivo di Victor.

“Kenji si voltò, fissando il quadretto di Laumier posato sul comodino. «L’apparenza sta alla realtà come un tramonto sta a un incendio». Sorrise e vuotò d’un fiato il suo bicchierino di saké”

Rimangono alcuni aspetti oscuri che riguardano la vita privata dei personaggi che però verranno dipanati nel corso degli altri volumi della serie (mi sono spoilerata da sola).

L’autore Claude Izner è in realtà uno pseudonimo, dietro la sua firma si “nascondono” le sorelle Liliane Korb e Laurence Lefèvre entrambe libraie parigine e scrittici sia assieme con lo pseudonimo di Claude Izner sia singolarmente.

Penso proprio che con il tempo leggerò tutta la serie di gialli che hanno per protagonista Victor Legris, come detto mi è piaciuta sia l’ambientazione storica sia la costruzione del giallo che è molto avvincente e originale, non il movente, quello no (è vecchio come il mondo forse il più diffuso) ma come sono stati architettati e realizzati i delitti sì!

Parlarvi dei libri gialli mi mette in difficoltà perché ho sempre paura di dire qualcosa di troppo che possa rovinare la sorpresa.

Conoscete questo investigatore? Vi aspetto nei commenti.

lunedì 30 novembre 2020

IL LIBRO DELLE ANIME - GLENN COOPER

TITOLO: Il libro delle anime
AUTORE: Glenn Cooper traduzione di Gian Paolo Gasperi e Velia Februari
EDITORE: TEA
PAGINE: 421 (indicativo)
PREZZO: € 13 (indicativo)
GENERE: thriller e storico - letteratura americana contemporanea
LUOGHI VISITATI: Stati Uniti e Londra anno 2017 - Inghilterra e Francia del XVI secolo

acquistabile su amazon: qui (link affiliato) l'intera trilogia: qui (link affiliato)


Capisco perché Glenn Cooper vende milioni di copie!

È un libro di trama, un thriller di intrattenimento, con il giusto mix di suspense, azione e avvenimenti sul filo del rasoio, una buona dose di paranormale, ottime ricostruzioni storiche e persino una caccia al tesoro.

Elemento preponderante è senza dubbio la trama, ma di cosa parla?

Will Piper, ex agente FBI, in pensione e tenuto ad un accordo di riservatezza con il governo degli Stati Uniti circa l’esistenza e il contenuto di una misteriosa biblioteca tenuta nascosta nell’Area 51, di cui è venuto a conoscenza nel corso della sua ultima indagine. Tra i libri di questa biblioteca ne manca uno, che viene casualmente ritrovato e messo all’asta a Londra. I pochi che conoscono il segreto cercano di accaparrarsi il volume e scoprire anche i misteri che lo circondano, come mai era stato separato dagli altri? Inutile dire che Will Piper è tra coloro che si mettono sulle tracce del libro e sulle sue tracce si mettono i Sorveglianti della base segreta Area51.

“Sotto un certo aspetto, era stato molto ingenuo a credere di poter firmare un accordo di riservatezza e di lasciarsi la Biblioteca alle spalle. Aveva provato a non darci peso, a vivere senza riflettere sul fatto che il destino era già scritto. Per un po’, ci era pure riuscito. Poi erano arrivati Spence e Keyton col loro caravan.”

La scrittura è semplice, ma coinvolgente, mantiene alta la tensione, mette voglia al lettore di andare avanti per vedere cosa succede. Inoltre la parte storica è molto interessante, riguarda prevalentemente il XVI secolo, e coinvolge vari personaggi illustri.

Sono maturata io come lettrice ma questo secondo volume l’ho apprezzato molto, trovo sia una buona lettura anche per staccare la spina, una lettura tra virgolette leggera (soprattutto se penso ad alcuni memoir che ho letto quest’anno) per godersi appieno il piacere della lettura fine a se stesso; anche se gli spunti di riflessione, le domande che il lettore volendo può porsi riguardano ‘solo’ il senso della vita…

Questo libro fa parte della trilogia della Biblioteca dei Morti ed è il secondo ‘capitolo’; il primo volume l’ho letto più di un anno e mezzo fa, non ho avuto problemi a riconnettermi subito con la storia, anche perché nel corso della narrazione vengono ripresi i fili narrativi del primo volume, con alcuni recap brevi e concisi ma efficaci. Ho trovato questa scelta narrativa davvero ottima e gradita, molto utile sia per chi come me non legge i tre volumi di fila e anche in virtù del fatto che si tratta di una trilogia edita nel corso del tempo con volumi separati anche se Cooper non ha fatto attendere a lungo i suoi lettori.

Ho detto che si tratta di una trilogia che io possiedo nell’edizione TEA in volume unico, ho scoperto però che Cooper ha scritto un racconto - “Il tempo della verità” ambientato nel 2020 con protagonisti sempre Will Piper e Nancy - che si inserisce tra il secondo (Il libro delle anime) e il terzo volume (I custodi della biblioteca) della trilogia.  Questo racconto è disponibile solo in formato digitale ed è scaricabile gratuitamente del sito della casa editrice Nord: link

Non so cosa possa raccontarci il terzo volume della saga dopo il finale “scottante” del secondo.

Le mie manie di perfezionismo mi spingono a sconsigliare di leggere i volumi separatamente nel senso di non rispettare l’ordine cronologico della narrazione, a differenza della saga di Kinsbridge di Follett dove i libri per quanto abbiano un filo conduttore comune (il luogo di ambientazione) ma sono assolutamente indipendenti, qui non è così! Tengo alla precisazione anche perché io mi ero avvicinata all’opera di Cooper pensando di trovarmi di fronte ad un romanzo storico del tipo della trilogia di Kinsbridge, niente di più diverso (!), e questo è successo perché fino all’inizio della lettura non avevo mai letto le trame e mi ero fatta una mia idea (da leggersi film mentale o ancor meglio romanzo) partendo dal titolo. Ma anche voi fate queste cose?

 

Conoscete questa trilogia? Cosa avete letto di Cooper?