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giovedì 23 novembre 2023

UN INDOVINO MI DISSE di TIZIANO TERZANI

TITOLO: Un indovino mi disse
AUTORE: Tiziano Terzani
EDITORE: Tea
PAGINE: 430
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana, letteratura di viaggio, memoir, reportage
LUOGHI VISITATI: Sud Est asiatico primi anni '90
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Colloquiale, intimo e coinvolgente. È come se prendessimo un caffè o meglio un lunghissimo te - magari su una spiaggia del sud est asiatico oppure in uno dei lunghi viaggi in treno o in nave che Terzani ha fatto nel suo 93 -  e, come fossimo vecchi amici, Terzani ci racconta dalla sua vita e di quell’anno magico che gli ha fatto vivere tante belle esperienze.

Cos’ha di speciale il 1993? Per tutto l’anno Terzani non ha mai preso un aereo o un velivolo e si è sposato con altri mezzi di trasporto. Perché? Perché anni prima un indovino gli predisse di non prendere voli, e così più per gioco che per paura/scaramanzia passa un intero anno senza volare, un anno dove comunque viaggia, si sposta perché svolge il proprio lavoro di giornalista e torna, come di consueto, nella sua Firenze per le vacanze.

Tutto inizia nel 1976 quando per caso un vecchio indovino cinese ammonisce Terzani a non volare nel 93; passano gli anni e Terzani che è il primo scettico, il primo a non credere, quello che trova sempre una spiegazione logica decide di sfruttare l’occasione che la profezia gli offre per vivere una nuova esperienza.

 “… mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: «Al diavolo gli indovini e le loro fandonie»?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima a Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine a Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella «profezia» fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
[..] E poi a me l’idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. […] La profezia era la scusa.”

È anzitutto un magnifico libro di viaggio, che offre spunti anche per viaggi attuali diversi dal solito dove il viaggio non è solo un modo per raggiungere la metà ma è esso stesso la meta, lo scopo del viaggio non è tanto o solo raggiungere un luogo ma il viaggio in sé, l’esperienza, ciò che vedi e chi incontri. E lo trovo un insegnamento molto importante.

Tiziano Terzani è un giornalista fiorentino che ha girato il mondo e dagli anni ’70 è corrispondente dal il Sud Est Asiatico per il Der Spiegel e noi lo seguiamo nei suoi spostamenti per lavoro, viaggiamo con lui in giro per l’Asia e viviamo tante esperienze e avventure come quando partecipa a una sorta di rally che inaugura una strada che unisce Thailandia e Cina Ponendo fine (purtroppo) al secolare isolamento di una regione oppure l’epocale il viaggio in treno che lo porta da Bangkok a Firenze.

“… con il solo peso di un sacco sulle spalle e di una borsa a mano, uscii una mattina da Turtle House e partii per un grande viaggio, uno dei più lunghi della mia vita, uno dei più lenti, quello con cui volevo darmi più agio: Bangkok-Firenze. Ero diretto in Occidente, ma dovetti incominciare andando verso Oriente. Essendo impossibile attraversare la Birmania in direzione dell’India, il modo più sicuro di lasciare la Thilandia era di entrare in Cambogia, di proseguire in Vietnam, poi in Cina, in Mongolia, in Siberia e avanti, avanti fino a casa.” 

Ma Terzani in questo 1993 fa anche un’altra cosa, una sorta di gioco per cui si mette a consultare indovini: in ogni luogo che visita (e ne visita tanti) si informa e consulta l’indovino più famoso, ricercato, apprezzato del luogo. Scopriamo così tante tecniche diverse per predire il futuro, chi legge le carte, chi le mani, chi i piedi, chi traccia segni oppure costruisce schemi partendo da data e ora di nascita; emergono tante realtà diverse ma Terzani si accorge di una cosa molto interessante ogni cultura dà maggior importanza a determinati aspetti della vita e così l’indovino, in base alla cultura di appartenenza, tenderà a parlare a predire il futuro con maggior attenzione a uno o a un altro aspetto come può essere il denaro oppure l’amore o la longevità; e la cosa che trovo simpatica è che utilizzano per Terzani gli stessi schemi/modelli che utilizzano per i compatrioti asiatici.  

Se ne vedono di tutti i colori è un aspetto interessante e quasi un ulteriore viaggio che compiamo con Terzani nel senso che viaggiamo nello spazio ma anche dentro le culture che incontriamo e lo facciamo attraverso il fenomeno degli indovini. Si interroga anche sul significato e sul senso degli indovini offrendo anche qui spunti di riflessione molto interessanti.

“Gli chiesi di aiutarmi con la storia delle elezioni e di trovarmi il migliore indovino della città. Questa volta non era tanto il mio destino che mi interessava – ne avevo già collezionate varie versioni -, quanto la risposta a un pensiero che sin dall’inizio dell’anno mi girava in testa: se è davvero possibile prevedere il futuro, se l’uomo porta davvero in sé i semi di quel che lo aspetta, la Cambogia era il posto in cui provarlo. Nel giro di quattro anni, una persona su tre era morta in questo paese, perlopiù in maniera violenta. Gli indovini lo avevano predetto? C’era stato qualcuno che aveva messo in guardia contro la possibilità di un bagno di sangue?
Se nel palmo di una mano c’è un segno che indica una malattia a diciott’anni e la possibilità di un infarto a cinquantadue, cosa doveva esserci nelle mani dei due milioni di cambogiani che il 17 aprile 1975 videro il loro mondo finire? Le fosse comuni della Cambogia erano piene di gente predestinata a finire lì. Se nessuno aveva saputo leggere quel loro futuro, allora voleva dire che chiunque pretende di saperlo fare è un impostore; voleva dire che il futuro non è nella mano di nessuno, non è nelle stelle. Voleva dire che il destino non esiste.” 

Offre anche tanti spunti di riflessione a partire dai viaggi in aereo, avete mai pensato a come il viaggio aereo distorca il mondo e lo faccia assomigliare? Viaggiare in aereo fa perdere non solo il senso della distanza tra i luoghi ma anche la lontananza, fisica, culturale e sociale perché tutti gli aeroporti sono praticamente uguali in ogni angolo del mondo, sono “internazionali” e poi fa perdere anche il senso dei confini e delle frontiere, diversità ben visibili se si viaggia via terra per esempio.

“La Cambogia finisce con un grande arco di trionfo in pietra rosa, sovrastato dalla riproduzione delle torri di Angkor. Da lì dovetti fare a piedi un centinaio di metri per arrivare a un portale di cemento grigio e disadorno che segnava invece l’inizio del Vietnam. Gli stranieri che si presentano lì sono rarissimi e il mio arrivo creò una grande curiosità, una perquisizione minuziosa dei miei bagagli e un interrogatorio in cui la domanda ricorrente fu: «Perché non hai preso l’aereo?». Già, perché?
Forse anche per riscoprire che il mondo è un complicato mosaico di paesi, ciascuno con le sue frontiere da varcare; forse per riaccorgermi che la terra non è una massa monocolore punteggiata di aeroporti, come appare nelle carte delle linee aeree; o forse semplicemente per riprovare l’emozione di varcare, fisicamente a piedi, e non per aria, una vera frontiera come quella.”

Avrei voluto sottolineare tutto il libro, è pieno di passaggi interessanti oltre alle sue esperienze si parla di geopolitica, di Storia, ci sono curiosità, aneddoti e tante riflessioni. Leggiamo di culture e tradizioni e di storia più o meno recente e di come sono oggi paesi come il Vietnam, la Cambogia e la Cina per esempio, paesi in cui Terzani ha vissuto e lavorato.

Un libro bellissimo ma anche doloroso. Anzitutto perché è un libro che trasporta e fa viaggiare attraverso l’Asia il lettore; ma è un Asia che non esiste più (stiamo parlando principalmente del 1993 sono passati 30 anni) ma già all’epoca Terzani ci dice che non esiste più, che sta scomparendo, piano piano tutti i paesi si occidentalizzano abbandonando molto del tradizionale a favore del moderno, dello sviluppo (e il modello di monto/vita moderna e sviluppato è quello occidentale) a partire dalla Thailandia.

“Il destino di quella straordinaria civiltà che aveva, davvero per millenni, preso un’altra via, che aveva affrontato la vita, la morta, la natura, gli dei in maniera diversa dagli altri, mi rattristava! Quella cinese era una civiltà che aveva inventato un suo modo di scrivere, di mangiare, di fare l’amore, di pettinarsi: una civiltà che per secoli ha curato diversamente i suoi malati, ha guardato diversamente il cielo, le montagne, i fiumi; che ha avuto una diversa idea di come costruire le case, di fare i templi, un’altra concezione dell’anatomia, un diverso concetto di anima, di forza, di vento, d’acqua; una civiltà che ha scoperto la polvere da sparo e l’ha solo usata per fare fuochi d’artificio invece che proiettili per i cannoni. Quella civiltà oggi cerca solo di essere moderna come l’Occidente; vuole diventare come quell’isolotto ad aria condizionata che è Singapore; produce giovani che sognano solo di vestirsi come rappresentanti di commercio, di fare la coda davanti ai fast food di McDonald, di avere un orologio al quarzo, un televisore a colori e un telefonino portatile.
Non è triste? Non dico per i cinesi. Ma per l’umanità in genere, che perde molto nel perdere le sue diversità e nel diventare tutta uguale.”

 

Ma è doloroso anche per le narrazioni degli ultimi decenni di storia del sud est asiatico questo sud est asiatico ricco di storia, tradizioni millenarie, usi e costumi interessanti, dilaniato da guerre e dittature, si parla della guerra del Vietnam, della Cambogia di Pol Pot e del regime birmano, Terzani è stato corrispondente per questi eventi li ha vissuti in prima persona.

Una parte che ho apprezzato moltissimo (anche se ho apprezzato davvero tutto) è quella relativa alle prime elezioni democratiche in Cambogia che si tengono nel 1993 a cui naturalmente Terzani assiste, avvengono sotto l’egida dell’ONU e sono elezioni democratiche.  Le parole di Terzani sono così profonde, così vere da sembrare scontate ma non lo sono, ho apprezzato moltissimo che dica quello che pensa con tanta lucidità e coraggio sull’intervento ONU in Cambogia emerge ancora una volta l’ipocrisia occidentale, si tratta di un pensiero che non si può non condividere e che può essere traslato anche a molti altri scenari. Se il mondo fosse governato da uomini come Terzani a mio modestissimo parare vivremmo praticamente in paradiso!

 

“Quello che è successo in Cambogia dal 1975 al 1979, sotto il regime dei Khmer Rossi, sfidava ogni fantasia dell’orrore; era più spaventoso di qualsiasi cosa un uomo potesse immaginarsi. L’intera società era stata rovesciata, le città abbandonate, le pagode distrutte, la religione abolita e la gente regolarmente massacrata in un continua orgia purificatrice. Un milione e mezzo, forse due milioni, di cambogiani – un terzo della popolazione – erano stati eliminati. Cercai quelli che avevo conosciuto e non trovai nessuno. Erano tutti finiti a «fare da concime nei campi», perché anche i «controrivoluzionari», dicevano i Khmer Rossi, dovevano, almeno come cadaveri, servire a qualcosa.
Viaggiai per un mese attraverso un paese martoriato a raccogliere testimonianze di questa follia. La gente era così atterrita, così inebetita dall’orrore che spesso non riusciva a raccontare o non voleva farlo. Nelle campagne mi venivano indicati «i centri di raccolta per l’eliminazione dei nemici» - di solito erano le vecchie scuole – dove restavano le tracce delle torture, i pozzi dove non era più possibile bere perché riempiti di morti, le risaie dove a volte non si riusciva a camminare senza pestare le ossa di quelli che lì, a colpi di bastone, per risparmiare le pallottole, erano stati massacrati.
Dovunque si scoprivano nuove fosse comuni. C’erano superstiti che non riuscivano più a montare su una barca da quando avevano visto i loro famigliari portati in mezzo a un lago e buttati in pasto ai coccodrilli. Altri non riuscivano più a salire su una palma perché i Khmer Rossi avevano usato gli alberi per mettere alla prova le loro vittime e decidere chi dovesse vivere e chi morie. Quelli che riuscivano ad arrivare fino in cima erano considerati contadini da utilizzare; gli altri, intellettuali da eliminare.
Da allora la Cambogia non fu mai più la stessa. […] Non potevo più guardare serenamente una fila di palme senza pensare istintivamente che le più alte erano quelle più concimate di cadaveri. In Cambogia persino la natura aveva perso la sua rincuorante innocenza.
[…] Dopo aver ignorato per anni la tragedia di questo paese, la comunità internazionale era finalmente intervenuta massicciamente. Non certo per mettere ordine, per punire gli assassini e ristabilire un minino di decenza nella vita! […] per la piccola Cambogia, le «Grandi Potenze» avevano trovato una di quelle soluzioni che servono a giustificare ogni immoralità: un compromesso. Con gli Accordi di Parigi, firmati con grande pompa nel 1991, i massacri furono dimenticati, boia e vittime vennero messi sullo stesso piano, i vari gruppi combattenti furono invitati a deporre le armi e i loro capi a presentarsi alle elezioni. Che vincesse il migliore! Come se la Cambogia nel 1993 fosse l’Atene di Pericle.
Questa volta ero a Phnom Penh da qualche giorno e avevo l’impressione di assistere a una grande rappresentazione di follia.
In un palazzo degli anni ’30, che era stato la residenza del governatore francese, s’era installato il Quartier Generale dell’UNTAC, l’Autorità delle Nazioni Unite incaricata di applicare gli accordi di Parigi. Ogni giorno, su una bella terrazza, un giovanotto di nazionalità francese dava informazioni e istruzioni ai cinquecento giornalisti venuti da tutto il mondo per assistere «elle prime elezioni democratiche nella storia della Cambogia»; un altro, di nazionalità americana, spiegava che era proibito prendere foto degli elettori alle urne e chiedere loro, all’uscita dei seggi, per chi avessero votato.
Ai piani superiori, nei piccoli uffici ricavati dalle grandi sale di un tempo, altri funzionari internazionali, avvocati e giudici presi in prestito dai vari paesi, professori universitari a contratto per l’ONU, ciascuno davanti al suo computer, lavoravano a elaborare piani per lo sviluppo e la modernizzazione del paese, stilavano una nuova costituzione, scrivevano leggi per riorganizzare le dogane, eliminare la corruzione, ristrutturare il sistema scolastico e far funzionare gli ospedali. A sentir loro, quella era per la Cambogia un’occasione unica per rimettersi in piedi, per tornare a essere un paese normale. Il mondo intero era lì ad aiutarla. Sulla carta era vero. […] Il destino dei cambogiani non era la grande priorità del momento. Per le Nazioni Unite era prioritario portare a buon fine l’intervento in Cambogia, così da poter ripetere l’operazione altrove. […] Se la comunità internazionale avesse voluto fare qualcosa per i cambogiani, doveva metterli sotto una campana di vetro per una generazione, proteggerli dai loro vicini-nemici, thailandesi e vietnamiti, dai rapaci uomini d’affari venuti come cavallette a sfruttare l’occasione di far due soldi. Doveva anzitutto aiutarli a vivere in pace, a riscoprire se stessi… E poi, forse, poteva chiedere loro se volevano avere una monarchia o una repubblica, se preferivano il partito della Mucca o quello del Serpente.
Invece di mandare esperti di diritto costituzionale, di economia o di comunicazioni, le Nazioni Unite avrebbero dovuto mandare un gruppo di psicanalisti e psicologi a occuparsi dello spaventoso trauma che questo popolo aveva subito.”


La prosa di Terzani è acuta, ha uno sguardo lungimirante, che condivido molto, ha una lingua piana, semplice colloquiale, che mette il lettore a suo agio, lo fa sentire a casa, con un amico e al contempo informa, insegna, istruisce, emerge tutta la conoscenza e anche la saggezza ma non in modo accademico o spocchioso, e poi ha una lingua sarcastica, tagliente ma giusta. 

Ricco di riflessione sulla vita, sul suo senso, sulla modernità e il suo impatto sulle persone, soprattutto sulla loro felicità. E le riflessioni di Terzani sono ottimi spunti di riflessione anche per il lettore.

Ci sono tantissimi riferimenti alla storia geopolitica dell’Asia e ne narra anche degli episodi anche passati che fanno parte della sua esperienza e/o che comunque servono a contestualizzare e spiegare il presente, si parla della guerra in Vietnam, dei Khmer Rossi e della Cambogia, dei grandi cambiamenti che hanno e stanno subendo i vari paesi, la Malesia musulmana. Io conosco davvero pochissimo però è facile star dietro a Terzani.

Lo stile è colloquiale ed è secondo me un pregio enorme, è una fonte infinita di informazioni e saggezza, eppure sembra di ascoltare il tuo amico di scuola. Semplice ma efficace, scorrevole, meraviglioso proprio perché spiega e narra cosa ha portato all’oggi. E poi le riflessioni, le sue opinioni molto forti e coraggiose ma a mio parere assolutamente lucide, meritevoli e degne di essere condivise.

Ho letto il libro nel 2023 esattamente trent’anni dopo la sua ambientazione ma è stato un caso. Mi sono approcciata praticamente al buio, da tempo volevo conoscere Terzani perché mi ispirava e in una promo tea avevo acquistato questo libro. Penso inoltre che molto di quello che Terzani ci racconta sia ancora attuale nonostante gli anni, soprattutto le riflessioni su come la “modernità” sia ricercata a discapito delle tradizioni e delle diversità e soprattutto della felicità, felicità che viene sacrificata perché il mondo va veloce e bisogna adeguarsi e non c’è tempo e spazio per ciò che ci fa piacere.

Voglio leggere altro di suo e sicuramente leggerò Buonanotte sig. Lenin che racconta di un viaggio fatto in Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica e assiste durante il viaggio all’eliminazione dei simboli e delle statue del regime, tra l’altro è il libro che uscirà proprio nel ’93 e ce ne parla. Mentre gli altri suoi libri da un lato mi intimoriscono soprattutto quelli che sono cronache di un reporter di guerra in Vietnam e Cambogia però li voglio recuperare perché secondo me sono fonti importantissime e accessibili anche a chi, come me, è piuttosto digiuno di questi argomenti ma vuole approfondire.

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro mi consigliate.


sabato 16 gennaio 2021

IL MAGNIFICO SPILSBURY OVVERO GLI OMICIDI NELLE VASCHE DA BAGNO - JANE ROBINS

TITOLO: Il magnifico Spilsbury ovvero gli omicidi nelle vasche da bagno
AUTORE: Jane Robins traduzione di AdaArduini
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 278
PREZZO: € 19,50
GENERE: letteratura inglese, reportage
LUOGHI VISITATI:Inghilterra del primo Novecento

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La ricostruzione dettagliata di un famoso caso giudiziario inglese degli anni ’10 del ‘900: gli omicidi nella vasca da bagno.

Jane Robin non solo ricostruisce le vicende processuali, le indagini e gli omicidi ma ricostruisce anche il quadro socio cultuale in cui questi sono avvenuti. Il taglio dell’opera è giornalistico sembra un reportage però del passato; quello che ci viene narrato è stato ricostruito tramite le testimonianze, gli articoli del tempo oppure le biografie. Così tutto quello che riguarda la vita di Bessie, Alice e Margaret il carattere e il temperamento, l’aspetto fisico e la storia familiare è ricostruito tramite le deposizioni, le testimonianze e le lettere, non sappiamo nulla dei pensieri, dei sentimenti e delle ragioni che sono alla base delle loro scelte e azioni, su tutte sposare George Smith. Mentre per la ricostruzione delle vite e dei pensieri di Bernard Spilsbury e di Arthur Neil può avvalersi anche delle loro biografie.

 Come detto non si tratta di un romanzo e tutti i personaggi che incontriamo sono realmente esistiti e nel mezzo del romanzo ci sono anche delle fotografie.

Veniamo alla trama.

Un uomo, al secolo George Smith è un truffatore accanito, la truffa è il suo modo di procurarsi di che vivere.  Le sue vittime sono donne zitelle, che circuisce e ammalia per poi derubarle di tutti i soldi e i gioielli che possiedono. Ma a un certo punto alza il tiro e si trasforma in un assassino, non si limita a derubare le proprie vittime ma le sposa e poi le uccide per incassare eredità e polizza sulla vita.

Il modus operandi è davvero singolare: affoga le mogli nella vasca da bagno, da qui il nome del caso.

“L’annegamento è una forma di omicidio piuttosto inconsueta, nella vita come nella letteratura. Forse perché si dà per scontato che sia difficile annegare qualcuno senza un minimo di lotta, ovvero senza che la vittima si agiti, cerchi di resistere. Una colluttazione richiama l’attenzione e aumenta le possibilità che la vittima sfugga all’assassino. È rischiosa. Ed è opinione diffusa che l’annegamento sia una faccenda complicata. L’assassino che sceglie l’annegamento conta sulla propria forza bruta e sulla debolezza della vittima, a differenza dell’omicida che decide di pugnalare, sparare o avvelenare.”

Come viene scoperto? Per connessione: i familiari di una delle vittime, leggendo la notizia di una neo sposa morta affogata dentro alla vasca da bagno, notano la similitudine della morte con quella della propria congiunta ed espongono i proprio sospetti alla polizia che a sua volta fa la segnalazione a Scotland Yard e grazie allo zelo dell’ispettore Arthur Neil piano piano viene ricostruito il puzzle.

Si va così a processo e Spilsbury, chiamato dall’accusa, avrà modo di presentare tutte le “prove scientifiche a sostegno della colpevolezza di Smith.

“Mentre scendeva dal banco dei testimoni, Spilsbury sembrava un detective scientifico uscito da un libro: aveva fornito pareri da esperto in moltissimi campi – cadute, lividi, piegamenti, contrazioni, svenimenti, problemi cardiaci, epilessia, shock, il modo in cui le donne si lavano i capelli e, ovviamente, l’annegamento.”

Si tratta di un caso clamoroso che all’epoca aveva fatto molto scalpore, ma lo stesso libro ci racconta come questi gialli suscitassero grande interesse nella gente perché erano un’attrattiva del resto non c’era la televisione come oggi. Ovviamente la vicenda va contestualizzata e l’opera di ricostruzione della società dell’epoca compiuta dalla Robin è davvero magistrale e ci permette di capire come mai queste donne siano cadute nelle braccia del loro assassino, ma anche come molte altre si siano lasciate raggirare con (apparentemente) tanta facilità.

“Le riflessioni […] non arrivano a considerare la tristissima piaga – economica, sociale e psicologica – delle ‘donne in esubero’ o il suo sollievo e senso di liberazione quando un uomo, un uomo qualunque, esprimeva il desiderio di sposarla. Le donne sposate erano donne vere, fonte di amore all’interno della famiglia e piene di propositi femminili. La loro giornata era occupata da una serie di mansioni domestiche: gestire la casa, cucinare ecc. Inoltre, sostenute dallo stipendio del marito, potevano sfogliare le riviste ed entrare nei negozi di abbigliamento femminile per fare acquisti: vestiti graziosi e cappelli alla moda. Sembrava che le mogli disponessero di tutto ciò che era buono e piacevole, mentre le nubili erano sole e sconsolate in un mondo ben più duro e freddo.
In tale contesto a George Smith bastava solo accennare a un futuro matrimonio perché il profumo di fiori d’arancio mettesse da parte ogni altra considerazione. I dubbi potevano essere accantonati e il suo comportamento arrogante poteva essere interpretato come virile e autorevole. E forse i suoi progetti per il futuro erano anche interessanti. Diceva di essere ambizioso e di avere intenzione di aprire un negozio di antiquariato. Voleva viaggiare – e continuava a promettere un viaggio in Canada. Per una ragazza comune, con una vita comune, i lati negativi potevano anche scomparire di fronte alla scintilla che scaturiva dalla personalità anticonvenzionale di George.”

Tema centrale dell’opera è il ruolo della scienza all’interno dei processi, quella che noi oggi chiamiamo medicina legale, proprio il caso delle vasche da bagno l’ha definitivamente consacrata al ruolo di primaria importanza che riveste anche oggi nella scoperta dei colpevoli.

In questo passaggio un ruolo molto importante è stato giocato anche dal patologo Spilsbury, perché era un professionista estremamente scrupoloso e attento, capace di dare risposte chiare e concise e con il necessario sangue freddo per affrontare i controinterrogatori della difesa. Si può dire che è colui che - grazie alla sua persona e alla sua professionalità - è riuscito a far acquisire credito (assolutamente meritato) alle prove scientifiche all’interno dei processi.

 Di Spilsbury viene ricostruita la vita e l’attività di patologo, sia prima che dopo il caso delle vasche da bagno; dopo questo caso diventa quasi una leggenda, è il patologo ufficiale dell’accusa e le sue testimonianze vengono prese per fatti certi. Il tempo o meglio gli sviluppi scientifici hanno dimostrato che alcune conclusioni cui è arrivato, in primis quella sugli omicidi di Smith, non sono scientificamente valide. Ovviamente ciò non toglie valore al suo lavoro semplicemente i suoi pareri si basavano sul sapere dell’epoca che è stato poi superato o quantomeno integrato dalle nuove scoperte in campo medico scientifico e dalla nuove strumentazioni.

La medicina legale dei primi decenni del ‘900, quella che pratica Spilsbury era molto diversa da quella che conosciamo oggi e la Robin ce ne fa un quadro preciso.

“Era un lavoro considerato fisicamente faticoso, degradante e sgradevole. I rozzi ferri del mestiere erano coltelli, seghe, scalpelli e martelli, utilizzati per tagliare ossa e aprire aree difficili come il cranio. L’attrezzatura usata poi per ricomporre il corpo alla fine di un’autopsia era altrettanto prosaica: aghi, filo, spugne e segatura. Ma Spilsbury aveva capacità perfettamente adatte a quel compito: era sicuro e attento con il bisturi e aveva un ottimo olfatto (che però poi perse), molto utile a riconoscere la presenza di veleni e altre peculiarità. Senza dubbio il suo lavoro gli piaceva e analizzava tutti i cadaveri a disposizione – con il tempo, arrivò a sezionarne più di 25000. Descrisse molte di quelle autopsie in centinaia di piccole schede bianche che tuttora sopravvivono in alcuni archivi di Londra e Nottingham.
 […] Anno dopo anno Bernard Spilsbury spendeva la sua energia intellettuale lì e nelle celle mortuarie […] a meditare su morti più o meno recenti e formulare un ventaglio di risposte diverse a un’unica domanda: cosa aveva causato la morte della persona che si trovava distesa lì davanti? Le sue schede coperte di annotazioni scritte con una grafia sottile e intricata, danno l’idea della sua tempra e della sua grande determinazione, ma anche dell’amarezza per tante morti premature.”

“Era un lavoro durissimo, ma ai medici pronti a dedicare la propria vita a questo macabro compito venivano riservati riconoscimenti pubblici sempre maggiori. Spesso dovevano affrontare clamorosi processi per omicidio e allora i flash delle macchine fotografiche della stampa e lo spettacolo dell’aula di tribunale li ripagavano immediatamente della quotidiana litania di morte e della prigionia dell’obitorio. Quanto il patologo forense lasciava l’ospedale e saliva sulla scena pubblica nel ruolo di ‘perito giudiziario’ si trasformava in una figura potente e capace, attraverso le prove che esibiva, di restituire la libertà a un uomo oppure spedirlo sul patibolo. Come Bernard Spilsbury sapeva bene, però, questo ruolo comportava un’insidia, ovvero la novità, e quindi la vulnerabilità, della figura del perito medico in quanto persona autorevole.”

La medicina legale è la protagonista principale del libro, perché oltre al caso delle vasche da bagno, che come detto è stato emblematico ed è stato quello in cui definitivamente la scienza si è imposta come mezzo di prova a scapito (per fortuna) delle ardite e appassionate ricostruzioni che facevano alcuni avvocati difensori – nel libro ne vengono trattati anche altri, meno dettagliatamente, che però segnano le varie tappe che ha percorso la medicina legale. 

Come detto sembra di leggere un reportage, la narrazione che - alterna le parti dedicate agli omicidi con quelle dedicate alla medicina legale in generale e alla figura di Spilsbury e poi alle indagini – è piuttosto scorrevole. È un libro che mi è piaciuto molto che consigli a chi ama i crime (come me) e le storie vere sembra quasi una sorta di documentario ma su carta.

Lo avete letto?