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sabato 20 febbraio 2021

GUIDA GALATTICA PER GLI AUTOSTOPPISTI - DOUGLAS ADAMS

TITOLO: Guida galattica per gli autostoppisti
AUTORE: Douglas Adams - traduzione di Laura Serra
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 230
PREZZO: circa 10 €
GENERE: letteratura fantascientifica, letteratura inglese, letteratura umoristica
LUOGHI VISITATI:Galassia

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Partiamo dal fatto che verso questo libro avevo aspettative altissime, l’avevo acquistato quest’estate quanto c’era la promozione due libri a 9,90 perché ne avevo sentito parlare bene e spesso, in toni entusiastici. Effettivamente è un libro di fantascienza piuttosto divertente e ironico, un ottimo approccio per chi come me non ha mai letto nulla di fantascienza e molto “delicato”, poco spaventoso ecco. Però l’ho trovato piuttosto ripetitivo, soprattutto nel soprattutto nel parallelismo Arthur – Terra.

“«Come siamo finiti qui?» chiese, rabbrividento.
«Abbiamo fatto l’autostop e ci hanno dato un passaggio» rispose Ford.
«Cosa?» fece Arthur. «Non vorrai mica dirmi che abbiamo alzato il pollice e un mostro verde dagli occhi di insetto è sbucato fuori a dirci: ‘Ehi, amici, saltate a bordo, vi do uno strappo fino alla prossima rotatoria!’.»
«Be’,» disse Ford «il Pollice è un congegno elettronico che manda segnali Sub-Eta, e la rotatoria più vicina è sulla Stella di Bernard, a sei anni luce da qui, ma a parte questo, sì, praticamente le cose sono andate così.»”

Racconta le vicende del terrestre Arthur Dent che viene salvato dal suo amico Ford Prefect poco prima della distruzione del pianeta Terra da parte dei Vogon Costruttori, per finire poi a fare gli autostoppisti nello spazio e venir caricati dall’astronave Cuore d’Oro che è alla ricerca di un pianeta leggendario, Magrathea.

Ford Prefect è originario del pianeta di Betelguese, è un inviato della redazione de “La guida galattica per autostoppisti” rimasto bloccato sulla terra per molti anni.  

“Ford porse un libro ad Arthur.
«Cos’è?» chiese Arthur.
«La Guida galattica per gli autostoppisti. È una specie di libro elettronico. Ti dice tutto quello che hai bisogno di sapere di qualsiasi cosa. È fatto apposta.»
Arthur se lo rigirò nervosamente tra le mani.
«Mi piace la copertina» dichiarò. «NIENTE PANICO. È la prima cosa utile, o almeno intelligibile, che mi sia stata detta da stamattina.»”

La guida galattica per gli autostoppisti è descritta come il miglior libro della galassia, è un volume che spiega e illustra praticamente tutto l’universo sotto forma di voci enciclopediche che si possono consultare attraverso una specie di libro/palmare. L’idea alla base della creazione della Guida è molto carina, praticamente una guida turistica, ed ho apprezzato il fatto che vengono messe a disposizione di noi lettori alcune voci così da poter leggerla ma pensavo gli fosse dedicato molto più spazio.

La scrittura si caratterizza oltre che per l’ironia, per la semplicità (anche se il libro è ricco di parole nuove, inventate e legate al mondo galattico immaginato da Douglas), per la brevità dei capitoli e anche delle frasi che rendono la lettura molto scorrevole.

Ho apprezzato molto l’ironia e il sarcasmo soprattutto in relazione alla presunta superiorità dell’uomo, dell’essere umano, non mancano i colpi di scena come la teoria sull’origine della creazione del pianeta terra e dei terrestri. È un libro che descriverei come semplice e simpatico, che non sono necessariamente aspetti negativi anzi, permette un approccio molto soft alla fantascienza, fa ridere e tutto sommato anche riflettere. Probabilmente il mio scarso apprezzamento è legato a delle aspettative che mi ero creata.

Va poi detto che il romanzo è l’adattamento di un programma radiofonico e risale al 1979 ecco che alcune cose che sembrano fantascientifiche oggi sono praticamente realtà, penso sicuramente alla particolare configurazione della Guida come libro.

Si tratta del primo romanzo di una serie, per il momento penso che non leggerò gli altri volumi o perlomeno non ne sento la necessità e il desiderio.

Voi conoscete questa serie di romanzi?

 

mercoledì 6 gennaio 2021

L'OPERA STRUGGENTE DI UN FORMIDABILE GENIO - DAVE EGGERS

TITOLO: L'opera struggente di un formidabile genio
AUTORE: Dave Eggers traduzione di Giuseppe Strazzeri
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 485
PREZZO: € 11,00
GENERE: letteratura americana contemporanea
LUOGHI VISITATI: Chigaco, San Francisco e California

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“Sapevo di potercela fare, e adesso so questo, so cosa sto facendo, so che sto facendo qualcosa di bello e allo stesso tempo di orribile, perché sto distruggendo la sua bellezza con la consapevolezza che potrebbe essere una cosa bella, perché so che se so che una cosa è bella, allora non è più bella. Ho paura che se anche è bella in astratto, il fatto che io la faccia sapendo che è una cosa bella e, peggio ancora, sapendo che presto ne darò documentazione, che nella mia tasca c’è un registratore infilato specificatamente all’uopo, tutto questo rende quest’atto di potenziale bellezza in un certo senso orrendo.”

Un libro piuttosto particolare – d’altra parte lo si capisce già dal titolo – che mi è piaciuto moltissimo. Leggendo la trama mi aspettavo un libro molto più deprimente e drammatico, non è una storia semplice quella che viene raccontata ma è condita da tanta ironia e autoironia del protagonista che spesso strappa un sorriso anche nei momenti più difficili.

La prima cosa da dire è che si tratta di un romanzo in parte autobiografico: quanto narrato è ispirato alla vita di Dave Eggers che ha perso entrambi i genitori di cancro nel giro di pochissimo tempo e si è poi occupato del fratellino Cristhoper detto Toph, trasferendosi a San Francisco dove oltre a lavorare come grafico ha anche fondato una rivista, tuttora è editore e si occupa di svariate pubblicazioni tra cui anche una rivista letteraria. Durante la lettura del libro mi ero ripromessa di cercare maggiori informazioni su google in particolare volevo capire cosa fosse vero e cosa frutto della sua fantasia, però non sono riuscita a farmi un quadro chiaro, ma forse è meglio così e (da quel poco che sono riuscita a capire e ricostruire) resto dell’idea che alla esperienze personali abbia ricamato attorno con la sua genialità.

È un autore che voglio conoscere meglio, ho apprezzato la sua scrittura e in generale anche lui protagonista, la sua capacità di raccontare un’esperienza drammatica con tanta autoironia e coinvolgere e appassionare il lettore oltre che strappare qualche sorriso; penso che non solo la sua scrittura ma anche lui come scrittore e uomo debba avere un bel carattere effervescente.

Questo romanzo (che è stato finalista al Premio Pulitzer per la saggistica nel 2001 anche se io continuo a chiamarlo romanzo) è la prima opera di Dave Eggers quindi è il suo romanzo d’esordio! Davvero trovo Eggers un “formidabile genio”.

A questo libro sono arrivata con il progetto #scrittoinamerica che seguo su Instagram e che è finito con il mese di dicembre; l’argomento per questa ultima tappa erano gli scrittori sperimentali cioè quegli scrittori che hanno utilizzato le regole grammaticali e linguistiche, la parola scritta in generale in modo diverso e innovativo, tra i suggerimenti c’era proprio questo romanzo - oltre ad altri tra cui Faulkner (lui sì che ha usato le parole in modo sperimentale, quanta fatica ho fatto l’estate scorsa a leggere L’urlo e il furore) – e l’ho scelto perché leggendo la trama mi aspettavo – come detto prima - qualcosa di diverso per cui temevo di non trovare il coraggio di leggerlo se non “per dovere”.

Cosa ci racconta Dave? Della malattia della madre e dei giorni in cui la accudisce, la perdita del padre, la nuova vita che si crea in California con il fratellino, una vita fatta di giornate in spiaggia, tanti giochi e sport, ma poi ci sono anche il lavoro e la scuola, la quotidianità domestica tra i due e tutte le esperienze legate alla rivista che fonda con alcuni amici. Tutto diventa occasione per riflettere sul senso della vita. Addirittura Dave si propone come un nuovo modello genitoriale, è chiaro che ci mette tutto l’impegno possibile ma non è proprio il modello ideale ad esempio arrivano sempre tardi a scuola, hanno una pessima organizzazione e non sono capaci di cucinare praticamente nulla di diverso dai ‘tacos’ anche se però mangiano molta frutta.

“Toph e io siamo il futuro, un futuro spaventosamente luminoso, un futuro che arriva da Chicago nella forma di due ragazzi terribili che vengono da chissà dove, emarginati e dati per spacciati, naufraghi, dimenticati, eppure, eppure invece eccoli qui, ancora a galla, ancora più coraggiosi e temerari di prima, certo un po’ ammaccati e con la barba lunga e con le gambe dei pantaloni un po’ lise e le pance piene di acqua salata, ma ormai inarrestabili, insormontabili, pronti a prendere a calci i culi cicciosi del grigio, occhialuto, piriforme, deprimente genitorame di Berkeley.”

Elemento caratteristico è lo stile e la scrittura: assolutamente ricca, prolissa, con frasi lunghe, articolate, complesse; è strabordante e descrittiva fino all’eccesso. Il lessico utilizzato è prevalentemente colloquiale, informale e ‘giovane’ (non riesco a trovare altro aggettivo per descriverlo) e tutto ciò coinvolge il lettore.

La narrazione è in prima persona, conosciamo quello che accade attraverso gli occhi del protagonista, ma oltre agli avvenimenti ci vengono raccontate anche le impressioni e le speculazioni che il protagonista fa con se stesso.

 “Mentre volo giù per le scale so che ovviamente qualcuno ne approfitterà per fare del male a Toph. Lo so ogni volta che lascio Tohp da solo, cosa che ormai faccio più spesso e senza baby-sitter, dato che Toph ha tredici anni. Nel momento in cui chiudo a chiave la porta, e anche il portone è chiuso, e la porta sul retro che conduce alla lavanderia nel seminterrato è anch’essa sprangata, va tutto bene, ma poi mi ricordo che la serratura di quest’ultima porta è sgangherata e inutile, ed è sicuramente da lì che farà il suo ingresso l’uomo malvagio. Gli arriverà alle spalle, perché è da un pezzo che sorveglia la casa e aspetta che io me ne vada, e sa che starò via per un po’ perché ha ascoltato la mia telefonata, e da un pezzo mi osserva con un binocolo o un telescopio. E dopo che me ne sono andato arriverà, con le sue funi e la sua cera – è amico di Scott, lo scozzese, ovviamente! – e costringerà Toph a fargli delle cose, perché saprà che io sono fuori”. 

Dave Eggers è un protagonista/narratore fuori dagli schemi, strampalato, megalomane e anche un po’ maniaco, bugiardo per difesa.

“Mi ascolta eccome, per cui vado avanti. Non sono sicuro del perché lo faccio. La gente mi pone domande e io, prima che possa formulare una risposta orientata verso la verità, mento. Mento sul modo in cui i miei genitori sono morti - «Ricordi il bombardamento dell’ambasciata americana in Tunisia?» - sulla mia età – dico sempre di avere quarantuno anni – sull’età di Toph, sulla sua altezza; quando la gente chiede di lui ottiene le menzogne più elaborate – che ha perso un braccio, che ha un cervello da neonato, che è ritardato, uno scocciatore (quest’ultima la dico solo in sua presenza), che è impiegato alla marina mercantile, che è in carcere, in riformatorio, o che ne è appena uscito, che spaccia crack - «Vecchio Toph, gli basta un po’ di crack e dovreste vedere come gli si illumina il faccino!» -, che gioca nella Continental Basketball Association.”

Tutta questa opulenza espositiva (che personalmente adoro) non è una peculiarità solo di Eggers. Penso che la sua bravura sta nel mischiare più elementi contrastanti, questa scrittura dal taglio prevalentemente ironico usata per raccontare esperienze di vita molto drammatiche, questa sua ‘genialità’ anche nella strutturazione del romanzo che presenta alcune peculiarità. La prima è che all’interno della narrazione ci sono riferimenti al libro stesso, ma non solo sotto forma di rimando ad una spiegazione successiva ma addirittura nel libro di dice e alcuni protagonisti/personaggi parlano di cosa deve esserci nel libro, di come debbano svolgersi i fatti in modo da poterli inserire e si dice che alcuni nomi verranno cambiati per ragioni di riservatezza. L’altra particolarità sta nella presenza di una lunga prefazione in cui vengono forniti suggerimenti su come leggere il libro e anche una serie di spiegazioni, di interpretazioni e infine di parti che sono state tagliate dal romanzo. Già la ‘prefazione’ che poi è una sorta di capitolo introduttivo mi ha fatto innamorare.

Consiglio il libro a chi vuole leggere qualcosa di diverso.

Voglio assolutamente leggere altro di Eggers, aspetto vostri consigli nei commenti.



domenica 27 dicembre 2020

FU SERA E FU MATTINA - KEN FOLLETT

TITOLO: Fu sera e fu mattina
AUTORE: Ken Follett traduzione di Annamaria Raffo
EDITORE: Mondadori - collana Omnibus
PAGINE: 783
PREZZO: € 27,00
GENERE: romanzo storico
LUOGHI VISITATI: Inghilterra fine del X secolo

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Per chi come me ha già letto e amato la trilogia di Kingsbridge, leggere questo libro è come tornare a casa. Devo ammettere che avevo qualche timore, leggerissimo perché adoro Follett però temevo che questo volume potesse non essere all’altezza dei precedenti, non potevo sbagliarmi di più: è un libro magnifico! Questo romanzo si presenta come il prequel de Pilastri della terra, il primo volume della trilogia dedicata alla cittadina di Kinsbridge e devo dire che ci sono diverse assonanze con il primo volume, più marcate rispetto agli altri probabilmente per la maggior vicinanza cronologica delle due ambientazioni. Inutile dire che spero in un proseguo della saga già dalla fine del terzo volume dove c’è un accenno alla Mayflower. Ho già altri romanzi di Follett in libreria che aspettano solo di essere letti in particolare ho la Trilogia del Secolo e devo decidermi ad iniziarla.

Trovo difficile parlare dei libri che mi piacciono ma soprattutto faccio fatica con quelli di Ken Follett.

Partiamo dalla trama: siamo nell’Inghilterra sul finire del decimo secolo, protagonista indiscusso è Edgar un giovane artigiano, figlio di un costruttore di barche, che assieme alla madre e ai fratelli inizia una nuova vita a Dreng’s Ferry dopo aver perso tutto nell’incursione vichinga subita da Combe la sua città natale. Dreng’s Ferry è un piccolo villaggio che fa parte del territorio di Shiring, che si caratterizza per un’apparentemente inspiegabile prosperità. La famiglia di Edgar si occupa di gestire un piccolo podere in riva al fiume e quando i suoi fratelli si sposano, lui lascia la fattoria per andare a lavorare alla taverna principalmente come barcaiolo. E in durante questa sua attività un giorno fa attraversare il fiume a una splendida nobildonna normanna: Ragna, figlia del conte Hubert di Cherbourg e futura sposa dell’aldermanno di Shiring Wilwulf.

Shiring è il centro politico e religioso più importante della regione: sede del vescovo, dell’aldermanno, del priorato e dello sceriffo.

“La città di Shiring era in rapida crescita, e serviva ai bisogni di tre istituzioni: la cittadella dell’aldermanno, con i suoi armigeri e luogotenenti, la cattedrale e il palazzo del vescovo, con i preti e i servitori, e l’abbazia, con i monaci e i conversi. I commercianti vendevano quello che fabbricavano: pentole, secchi, coltelli da tavola e altri attrezzi per la casa; poi c’erano tessitori e sarti, sellai, taglialegna e carpentieri, armieri che producevano maglia per armature, spade ed elmi, e fabbricanti di archi e frecce, casari, fornai, birrai e macellai che rifornivano tutti gli altri di carne.
L’attività più remunerativa, però, era il ricamo. Una decina di donne passava le giornate a intrecciare fili di lana colorata su teli di lino chiaro. Solitamente i loro lavori raffiguravano storie della Bibbia e scene della vita dei santi, spesso abbellite da strani uccelli e bordure geometriche. Questi pannelli di lino, che talvolta potevano essere anche di tessuto di lana chiara, erano venduti in tutta Europa per essere inseriti nei paramenti sacri e nelle vesti regali.”

Alle vicende di Edgar e di Ragna, sia in Normandia che poi dopo le nozze in Inghilterra, ci sono quelle di frate Aldred dell’abbazia di Shiring che coltiva il sogno di trasformare l’abazia in un centro di erudizione e di amanuensi, ma i suoi sogni si scontrano con i soprusi del vescovo Wynstan.

Wynstan fa parte di una famiglia molto importante, ricca e influente, ma anche prepotente! È infatti il fratello di Wigelm che è signore della terra ed entrambi sono fratellastri dell’aldermanno di Shiring Wilwulf, e insieme creano un bel accentramento di potere.

Si innesca una sorta di lotta tra bene e male, tra buoni e cattivi dove i buoni sono Edgar, Ragna e Aldred e i cattivi i padroni di Shiring (Wilwulf, Wigelm e Wynstan e i suoi lontani cugini Degbert e Dreng), con continue avventure e colpi di scena.

La scrittura è accattivante, fluida e scorrevole, tiene il lettore incollato alle pagine e assieme alle avventure dei protagonisti è possibile farsi un quadro della situazione geopolitica ma anche sociale e culturale del tempo.

“Voltò la testa si guardò attorno alla luce del fuoco. La sua casa era simile a ogni altra nella città di Combe: struttura di assi di quercia, tetto di paglia e un pavimento di terra solo parzialmente coperto di canne prese agli argini del fiume che scorreva lì vicino. Non c’erano finestre. Al centro dell’unico ambiente il focolare era racchiuso da un quadrato di pietre, e sopra a questo c’era un treppiede di ferro al quale si poteva appendere un paiolo. I piedi disegnavano sul soffitto ombre simili a zampe di ragno. Tutto intorno alle pareti dei pioli di legno reggevano indumenti, utensili da cucina e attrezzi per la costruzione delle barche”.

Infatti ci sono alcuni aspetti che emergono con forza: la condizione delle donne, gli attacchi vichinghi e la schiavitù che era ancora presente.

“«Nessuno farà di me uno schiavo» rispose Erman con tono petulante.
«No» convenne Ma’. «Ti offrirai volontario.»
Edgar aveva sentito parlare di persone ce si asservivano spontaneamente, però non conosceva nessuno che lo avesse fatto. A Combe aveva incontrato moltissimi schiavi, naturalmente: una persona su dieci era uno schiavo, ragazzi e ragazze di bell’aspetto che diventavano il trastullo di uomini ricchi, altri che tiravano l’aratro, venivano fustigati quando si stancavano e passavano la notte legati alla catena come cani. Per lo più erano britanni, gente che veniva dai selvaggi confini occidentali della civiltà, Galles, Cornovaglia e Irlanda. Di tanto in tanto compivano razzie nell’Inghilterra, che era più ricca, rubando bestiame, galline, armi. Gli Inglesi li punivano facendo scorrerie nei loro territori, bruciando i villaggi e catturando degli schiavi. La schiavitù volontaria era un’altra cosa. C’era un rituale stabilito, e Ma’ lo descrisse a Erman con parole sprezzanti: «Ti inginocchieresti davanti a un nobiluomo o a una nobildonna, a testa china in segno di supplica. Il nobile può rifiutarti, ovviamente; ma, se ti mette le mani sulla testa, diventi suo schiavo per tutta la vita.»”

La ricostruzione storica è sapiente, ben riuscita e piuttosto veritiera e corretta anche se, per indicazione dello stesso autore, Follett si è preso qualche licenza. Comunque è un ottimo romanzo storico dove accanto a personaggi realmente esistiti e problematiche generali come le incursioni vichinghe e gallesi, le difficoltà del potere regio di affermarsi in modo effettivo e costante, si inseriscono personaggi di fantasia ma assolutamente verosimili e realistici. Edgar, detto il costruttore (e io fin dall’inizio ho immaginato possa essere un antenato di Tom il costruttore de I Pilastri della Terra) è ricco di inventiva, intelligente, duttile, capace di adattarsi e imparare nuove cose semplicemente osservando, è ligio ai doveri, ha un forte senso della giustizia ed è estremamente leale. Ragna è bellissima, forte, determinata, saggia e carismatica, una nobildonna che precorre i tempi, è nata per governare non per rimanere a casa in attesa di ordine da parte del marito, pronta a lottare per quello in cui crede.

Come negli altri romanzi della saga non manca la storia d’amore impossibile e tormentata per la diversità di rango sociale o di fede religiosa (a seconda dell’epoca) e quindi in genericamente impossibile agli occhi delle convenzioni sociali normalmente accettate.

Per me la saga di Kingsbridge rappresenta la confort zone assoluta: romanzo storico con narratore onnisciente, ottima ricostruzione storica, personaggi godibili le cui storie restano nella memoria. Inoltre proprio Pilastri della terra mi ha fatto nuovamente innamorare della letteratura o meglio mi ha avvicinato alla narrativa dopo gli anni dell’università.

Conoscete questa saga di Follett? Avete letto qualcosa di suo?