Visualizzazione post con etichetta #e/o. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #e/o. Mostra tutti i post

venerdì 4 aprile 2025

I DRAGHI, IL GIGANTE, LE DONNE di WAYÉTU MOORE

TITOLO: I draghi, il gigante, le donne
AUTORE: Wayétu Moore         traduzione di: Tiziana Lo Porto
EDITORE: E/O Edizioni
PAGINE: 288
PREZZO: € 18
GENERE: letteratura liberiana
LUOGHI VISITATI: Liberia e USA 


I draghi, il gigante e le donne racconta della guerra civile in Liberia agli inizi degli anni ’90 e lo fa attraverso gli occhi di una bambina di cinque anni, Tutu.

“[…] Ma il principe diventò egli stesso un drago. Un drago dai denti asimmetrici, i gomiti dotati di artigli e occhi sottili come carta. […] E adesso Hawa Undu era presidente della Liberia, lui che un tempo era stato un principe di buone intenzioni. Nonna diceva che tutti parlavano di lui perché c’era un altro principe che voleva andare nella foresta a uccidere Hawa Undu e riportare la pace. Questo principe si chiamava Charles, come mio nonno. Alcuni pensavano che avesse le carte in regola per farcela, che sarebbe riuscito a uccidere Hawa Undu e mettere fine alla maledizione della foresta e dei principi spiriti che vi danzavano dentro, ma altri affermavano che sarebbe finita allo stesso modo, che nessun principe sarebbe riuscito ad andare nella foresta e mantenere le promesse fatte. Il bosco accecava e confondeva. Hawa Undu non sarebbe mai morto.”

La narrazione si può suddividere in tre macro aree: la guerra civile, la vita in America e il ritorno.

Nella prima parte ci viene raccontata la guerra civile in Liberia vista però attraverso gli occhi di una bambina. La narrazione ha molto del favolistico, un mix tra quello che la bambina vede, sente dagli adulti, la sua fantasia e le favole che conosce. Così ad esempio le fazioni in combattimento sono i draghi, il presidente della Liberia un Hawa Undu un drago cattivo. Fondamentale è l’attenzione con cui la famiglia cerca di proteggere la piccola Tutu, non solo fuggendo ma ammantando il tutto, cercando di nascondere la realtà o meglio dando un significato diverso, edulcorato così i morti che incontrano per strada sono persone molto stanche che si stanno riposando oppure gli spari sono rumori di tamburi.

“Altre volte mi portava a cavalluccio mentre camminavamo. Lì dove ero seduta la brezza era più calma, ma è da lì che ho visto la gente sdraiata sulla strada.
«Perché sono tutti sdraiati per terra?» ho chiesto a papà.
«Dormono» a detto lui. «Noi adesso non possiamo dormire perché dobbiamo andare da Mam».”

 

Nella seconda parte viene narrata l’esperienza americana, poiché Tutu e la sua famiglia si trasferiscono in America, dove già viveva Mam che stava studiando grazie ad una borsa di studio. E sarà in America che Tutu e le sorelle crescono e diventano adulte e affrontano molti altri problemi legati al razzismo e all’integrazione.

“«Guardami» ha detto. «Ti vergogni di me?»
«No» devo avere detto.
«Bene» ha continuato. «Perché se ti vergogni di me, allora ti vergogni di te stessa».
Avrei voluto discutere con lei ma non avevo né la forza né il coraggio di mentirle dicendo che non ero stata trasformata, che non ero vittima di un’educazione che non teneva conto di lei.
«Sei africana» ha detto, con le lacrime che le scorrevano sul viso. «Il libro, il libro che ti fanno vedere con gli africani nudi nelle giungle. Lo sai benissimo che non è così. Non lasciare che ti facciano vergognare, okay? Tu sei africana». Quelle parole mi facevano più male di quanto immaginassi. Non le avevo mai sentite prima di quella sera. Tu sei africana. Tu sei africana. Tu sei africana. Parole insieme così profondamente accusatorie e giudicanti che avrei voluto correre fuori dall’auto urlando. Tu sei africana, e mi è venuta voglia di stringere i pugni e combattere. E non sapevo perché.”


“Così noi venuti da Liberia e Nigeria ed Etiopia, da Ghana e Senegal e Repubblica Democratica del Congo, da Kenya, da Zambia e da ogni altro paese, spinti sull’oceano da quelle squame e denti digrignanti, alcuni prima dei nostri genitori e altri dopo, alcuni senza documenti e altri primi nelle loro famiglie a essere nati con il passaporto blu, ci alleniamo a essere neri, essere bianchi, essere americani, essere tutto quello che non siamo. Impariamo le parole, le abitudini, la rabbia, i modi che i nostri genitori sono qui da troppo poco tempo per tramandarci. Accettiamo le prese in giro, i soprannomi, le incomprensioni, le frasi come «In Africa cavalcavate le giraffe?» e «Lì ce l’avete tutti una casa?» e «Gli africani sono troppo aggressivi» e «Voi africani siete convinti di essere migliori» e «Bè, non sembri africana» e «Quando ho detto quella cosa, stavo parlando di altri africani» e «Qualcuno nella tua famiglia ha mai mandato una di quelle lettere-truffa nigeriane in cui chiedono soldi?» e «Ma sei americana?» e «Capelli nero-blu» e «Ci hai venduto» e «Maledetti africani» e «Lì gli uomini hanno più mogli?» e «Sai fare il voodoo?» e «Perché l’Africa è così povera?» e «Perché gli africani puzzano?» e «Grace Jones» e «National Geograpich» e «African Booty Scratcher» e «Non parli come una persona nera» e «I miei genitori donano soldi all’Africa» e «I neri sono così sensibili» e l’esageratamente entusiasta «Sììì, sorella!» e «Non sono razzista ma» e «Maledetti neri» e «Ma perché hanno macchine di lusso e vivono nelle case popolari?» e «Mia mamma non voleva dirla quella che cosa che ha detto. Lo sai come sono quelli delle generazioni precedenti alla nostra» e «Ti sei fatta aiutare con quel compito?» e «Se parli troppo dell’essere nero, sei tu a essere razzista» e «Questa volta non possiamo darle la promozione» e «Per me la razza non conta». Noi incassiamo tutto.” 

 

 

Infine c’è una terza parte che è il ritorno in Liberia, i genitori tornano a vivere nella terra natia e Tutu li raggiunge per una sorta di vacanza che però nasconde anche altri scopi (come rivedere la terra natale e cercare una persona importante del suo passato). Quella che troviamo qui è una Libreria post guerre civili che cerca di riprendersi, di tornare alla normalità ma che non potrà mai tornare davvero come prima, le ferite lasciate dagli di conflitto sono troppo profonde. E anche grazie alle domande, apparentemente ingenue della protagonista, si può riflettere molto sulla guerra e sulle sue cause. E ci ricorda una volta di più le grandi responsabilità che l’Occidente ha nei confronti dell’Africa e dei suoi popoli.

«Chi rovinerebbe le cose per cui combatte?» ho scosso la testa, disillusa.
«Forse non combattevano per la Liberia» ha detto papà a voce bassa, e poi le parole si sono attardate qualche istante, tormentandomi.
[…]
«Dove sono andati i ribelli?» ho chiesto a papà, e ho notato che con le mani stringeva forte il volante.
«Guarda fuori dal finestrino. Sono tutti qui intorno» ha detto. «Alcuni di questi tassisti, benzinai, guardie di sicurezza. Sono dappertutto».
«Si sono solo dati una ripulita e hanno ripreso a vivere le loro vite come se non fosse accaduto nulla» ha detto Mam.”

Ogni parte è a modo suo molto dolorosa e toccante. Sicuramente un libro non facile, si parla oltretutto di eventi successi poche decine di anni fa e che purtroppo succedono quotidianamente in giro per il mondo. 

Da quello che ho capito non è un memoir puro ma unisce l’esperienza personale con l’invenzione, le esperienze di Moore che è fuggita dalla Liberia in guerra e l’esperienza di essere africana e nera negli Stati Uniti, oltre all’esperienza del ritorno “in visita” nel paese natale.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete conoscete.


venerdì 24 maggio 2024

L' AMICA GENIALE (vol. 1) - ELENA FERRANTE

TITOLO: L'amica geniale
AUTORE: Elena Ferrante
EDITORE: E/O
PAGINE: 400
PREZZO:€ 19
GENERE: letteratura italiana, saga 
LUOGHI VISITATI: Napoli immediato secondo dopoguerra
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)





Mancavo solo io, penso l’abbiamo letto tutti. Questo libro, o meglio questa storia perché è una quadrilogia è accompagnata da un grandissimo hype e io generalmente in questi casi aspetto, però per L’amica geniale l’hype non è mai diminuito vuoi per la trasposizione televisiva, vuoi per il mistero che per svariato tempo ha circondato la sua autrice (Elena Ferrante è uno pseudonimo e non si sapeva chi si celasse dietro, tra l’altro mi pare che ora si sa tutto ma non ricordo…). Inoltre snobbavo proprio la storia, un libro italiano ambientato nell’immediato dopoguerra, con delle bambine per protagoniste, poi tanto clamore: no non mi va di leggerlo… Una mattina (due anni fa in questo periodo) vedo che è uscita anche la grapich novel oltre alla serie tv e mi dico basta ora voglio leggere anche io L’amica geniale, compro il libro, lo leggo e me ne innamoro pazzamente. Era un periodo che dormivo pochissimo per via di Giulia (non che ora…) rinunciavo a quelle poche ore di sonno pur di leggere!

Pur avendolo adorato non sono ancora andata avanti perché mi trovo in quella strana situazione in cui da un lato vorresti leggere tutta la storia per vedere come va avanti e cosa succede, dall’altro però non lo voglio finire mi piace pensare che c’è questa storia che mi aspetta. Capita anche a voi?

Veniamo al libro che è meglio.

Un romanzo di formazione e di crescita, un romanzo che racconta un’amicizia forte, importante ma anche turbolenta. Le vicende sono narrate in prima persona da Lenù che racconta la sua amicizia con Lila, si incontrano da bambine e diventano amiche, un amicizia che durerà tutta la vita. Siamo a Napoli in un quartiere popolare nell’immediato dopoguerra, (povertà, precariato, malavita e degrado) in questo primo volume si raccontano una decina d’anni.

“Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ogni giorno, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c’era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi. Certo, a me sarebbero piaciuti i modi gentili che predicavano la maestra e il parroco, ma sentivo che quei modi non erano adatti al nostro rione, anche se eri femmina. Le donne combattevano tra loro più degli uomini, si prendevano per i capelli, si facevano male. Far male era una malattia.”

 Il libro inizia col botto, un prologo fantastico (e per quel che ho letto io finora molto originale): una donna – Lenù – si mette al pc e scrive tutto ciò che ricorda della sua vita con l’amica Lila, ma perché lo fa? Perché Lila a 66 anni scompare volontariamente cancellando ogni traccia dise e quindi l’amica per ripicca, per dispetto, per impedirle di scomparire si mette a scrivere la loro storia! (Mettersi a scrivere in cosegenza della scomparsa di una persona cara non è cosa nuova, ma farlo per impedire a questa persona di cancellare le proprie tracce sì). Già da qui la voglia di leggere la storia e capire perché Lila a un certo punto scompare è tantissima, come scoprire tutta la loro amicizia.

“«È bello» mormorai, «parlare con gli altri».
«Sì, ma solo se quando parli c’è qualcuno che risponde».
Mi sentii in petto uno sbuffo di gioia. Che richiesta c’era in quella bella frase? Mi stava dicendo che voleva parlare soltanto con me perché non prendevo per buono tutto quello che le usciva di bocca ma le rispondevo? Mi stava dicendo che soltanto io sapevo star dietro alle cose che le passavano per la testa?
Sì. E me lo stava dicendo con un tono che non le conoscevo, fievole, sebbene come al solito brusco. […] Ne ragionammo. Avevamo dodici anni, ma camminammo a lungo per le vie bollenti del rione, tra la polvere e le mosche che si lasciavano alla spalle i vecchi camion di passaggio, come due vecchiette che fanno il punto delle loro vite piene di delusioni e si tengono strette l’una all’altra. Nessuno ci capiva, solo noi due – pensavo – ci capivamo. Noi, insieme, soltanto noi, sapevamo come la cappa che gravava sul rione da sempre, cioè fin da quando avevamo memoria […] C’era qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine, nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava accettabile. L’essenziale, però, era saper giocare e io e lei, io e lei soltanto, sapevamo farlo.”
 


 Per quanto riguarda la trama Lila e Lenù si incontrano sui banchi delle elementari, vivono nello stesso palazzo e iniziano a frequentarsi diventando amiche, un’amicizia che durerà tutta la vita. Come detto il periodo narrato copre circa una decina d’anni ci sono gli anni delle elementari, poi la crescita i primi amori e le diverse esperienze che fanno. Anzitutto scolastiche perché Lila non può proseguire la scuola oltre la quinta elementare per problemi economici e dovrà andare a lavorare nel negozio di calzolaio del padre, mentre Lenù (da qui l’appellativo di amica geniale) va alle medie e al liceo, ovviamente anche le frequentazioni sono diverse, gli impegni non permettono loro di passare tutto il tempo assieme ma spesso riescono a vedersi e uscire assieme ai coetanei del rione (un agglomerato molto interessante di personaggi secondari).

“Fu durante quel percorso verso via Orazio che cominciai a sentirmi in modo chiaro un’estranea resa infelice dalla mia stessa estraneità. Ero cresciuta con quei ragazzi, ritenevo normali i loro comportamenti, la loro lingua violenta era la mia. Ma seguivo anche quotidianamente, ormai da sei anni, un percorso di cui loro ignoravano tutto e che io invece affrontavo in modo così brillante da risultare la più capace. Con loro non potevo usare niente di ciò che imparavo ogni giorno, dovevo contenermi, in qualche modo autodegradarmi. Ciò che ero a scuola, lì ero obbligata a metterlo tra parentesi o a usarlo a tradimento, per intimidirli. Mi chiesi cosa ci facevo in quell’auto. C’erano i miei amici, certo, […] stavamo andando alla festa […]. Ma proprio quella festa ratificava che Lila, l’unica persona che sentivo ancora necessaria malgrado le nostre vite divergenti, non ci apparteneva più, e venendo meno lei, ogni mediazione tra me e quei giovani, quell’auto in corsa per quelle strade, si era esaurita.”

Io mi sono focalizzata soprattutto sulle due protagoniste. Entrambe le ragazze sono molto intelligenti e portate allo studio ma hanno possibilità diverse, Lila arriva alle elementari che sa già leggere, scrivere e fare di conto senza che nessuno glielo abbia mai insegnato, studierà da autodidatta greco e latino perché li studia Lenù al liceo e darà ripetizioni all’amica ma come detto non può proseguire. Le due amiche sono molto diverse anche caratterialmente Lila è definita una bambina cattiva, è esplosiva, coraggiosa e determinata mentre Lenù è più mite, timida e sognatrice; hanno in comune la voglia di emanciparsi e lasciare il rione e la povertà, seguiranno (per tante ragioni) vie diverse.

Il finale di questo libro è un cliffhanger pazzesco!

Il libro non è solo una storia di amicizia ma anche un modo per approcciarsi a una parte della nostra storia perché con le vicende di Lila e Lenù ripercorriamo anche la storia dell’Italia a partire dal secondo dopoguerra con un affresco in particolare su Napoli e in generale della nostra società (ruolo della donna ma anche alla figura del o della maestra, aspettative, criminalità, politica).

Voglio continuare la lettura non solo di questa quadrilogia ma di tutti i libri di Elena Ferrante.

Fatemi sapere se avete letto la storia dell’amica geniale vi aspetto nei commenti.


venerdì 3 maggio 2024

LE STREGHE DI SMIRNE di MARA MEIMARIDI

TITOLO: Le streghe di Smirne
AUTORE: Mara Meimaridi         
EDITORE: E/O
PAGINE: 621
PREZZO: € 9,50
GENERE: letteratura greca, romanzo storico
LUOGHI VISITATI: Smirne, Turchia a cavallo tra la fine dell'800 e gli inizi del '900
acquistabile su amazon: qui (link affiliato) 


Per me un’opportunità mancata, una storia interessante con una protagonista tosta ma lo sviluppo mi ha lasciato un po’ perplessa.

Protagonista principale è Katina, ma la sua storia ci viene raccontata all’interno di una struttura narrativa particolare nel senso che a parlare è una sua nipote che dopo la morte della zia riceve uno scrigno e dalle carte e istruzioni contenute si realizza una sorta di passaggio o di svelamento di particolari poteri nell’io narrante Maria. Sarà Maria che in stato di trance racconta o meglio scrive sotto dettatura la vita della zia. Si alternano, in modo non regolare, il presente e il passato, passato che è il tempo di Katina e una parte dell’infanzia di Maria in particolare l’estate che trascorse a casa della zia, dove vede e sente cose che lì per lì bambina non capisce.

Le parti su Katina e la sua storia sono bellissime, interessanti, coinvolgenti tiene attaccato alla pagine, Katina è una bambina quando con la madre Eftalia arrivano a Smirne senza un soldo e nel tempo con determinazione metteranno in piedi (ognuna a modo loro) un attività economica e imprenditoriale di successo. Katina è una donna tenace, agguerrita, impavida, una donna lavoratrice e imprenditrice, caparbia che sa imporsi e farsi rispettare, gestirà egregiamente le attività della famiglia del marito pur senza aver ricevuto una particolare formazione né supporto, e ne creerà di proprie, sa trarre il meglio da ogni situazione e non si lascia abbattere. È una donna “self made” che riesce a imporsi in un mondo di e per uomini. Riuscirà a conquistare gli uomini più belli e ricchi di Smirne, ma non siede sugli allori, sì da fare, ci sono i matrimoni, i figli e la vita in una città cosmopolita e in pieno fermento a cavallo tra Otto e Novecento.

È una storia di determinazione e resilienza, coraggio e forza tutta al femminile e con alcuni insegnamenti “femministi” che trovo molto importanti e utili.

“Eftalìa le lanciò un’occhiata e continuò a prestare sul prezzemolo per ridurlo in poltiglia.
Tap…tap…tap...
«Perché ti arrabbi, mamma? Dai, lascia stare i tuoi traffici e la ciccia delle altre. Ti spezzi la schiena per due soldi. Ci manca qualche cosa?».
«Oggi è venuta la sora Pinnéla dal quartiere vecchio» fece Eftalìa. «Ho mandato un po’ di riso a Caterina-la-pazza, quella del quartiere turco. La conosci, no?».
«Sì».
«Tu lo sai che Caterina-la-pazza era la prima signora Tsesmé? Lo sai che Caterina-la-pazza aveva una casa piena di quadri e tappeti, marito, figli, carrozze e ogni altro ben di dio? Lo sai che era generosa e dava a chiunque ne avesse bisogno? Se non lo sai, te lo dico io».
Tap…tap…tap…
«E come ha fatto a ridursi così?» chiese Katina, che si era intanto seduta una sedia.
«È successo perché pensava che tutte quelle cose fossero eterne e che il domani fosse uguale all’oggi e dopodomani ancora meglio. Ma ha perduto il marito e le nuore l’hanno buttata fuori di casa. E lei aveva messo tutto a nome di figli. Così, le ha dato di volta il cervello».
Tap…tap…tap…
«Tuo marito non ha le lire di un pascià, né i tuoi figli di beni di Abramo. Ognuna di noi deve badare a procurarsi il suo personale sostegno, sia di nascosto sia grazie al proprio marito, e a mettersi sempre da parte quanto più denaro può. Altrimenti ci si attacca come le sanguisughe a chiunque, per succhiargli qualche cosa per vivere. E se sei una sanguisuga non sei niente di più di una sanguisuga. E allora dovrai chinare la testa e prenderti le botte e sorbirti le corna e dire pure grazie».
Smise di pestare e la guardò dritto negli occhi.
«Tu lo sai quanti soldi ho io?».
«Ne hai?» chiese stupita Katina.
«Beh, vedi che non lo sai?».
Tap…tap…tap…
«Sai che fa Pinnéla al sor Arghìris, visto che stiamo parlando di lei? ».
«Che fa?».
Katina sorbiva la lezione pervasa da strane sensazioni: capiva che le era sfuggito qualcosa di importante e che doveva anche lei immancabilmente fare qualcosa, al più tardi quella stessa sera.
« ‘Ho preso due ocche di carne, Arghìris’ gli dice ‘e ce la siamo mangiata tutta’. Bugia. Ne ha presa meno di un’occa, l’ha farcita all’inverosimile, l’ha messa al forno con patate e cipolle, per mangiare fino a scoppiare, e il resto dei soldi li ha aggiunti al suo gruzzolo. Quanti ne avrà accumulati Pinnéla fino a oggi, dopo trent’anni della stessa solfa? Forse cento lire d’oro! Te lo saresti aspettato da lei? E una volta che sor Arghìris fu costretto a prendere un prestito per il suo lavoro e stava per impazzire, il pover’uomo, perché gli avrebbero portato via la barca e la pescheria…».
«… gliele diede Pinnèla le lire, naturalmente» concluse Katina come una scolaretta.
«Sei matta? Neanche glielo disse! Lasciò che andasse a cercare un prestito e a lavorare il doppio per tirare avanti alla meglio».
«Che belva!».
«Che volpe!» gridò Eftalìa innervosita. «Chi è Arghìris?».
«È il marito».
«È un estraneo».
«Sì, ma è anche il marito».
«Adesso. Domani potrebbe non esserlo, potrebbe morire, ammalarsi, impelagarsi in un’altra storia».
A questo punto Katina espresse serie obiezioni.
«Ma che dici pure tu, mamma! Sor Arghìris che se la fa con un’altra… Ma l’hai visto com’è Arghìris, che peggio di così non si può? Avrà ottocento anni, tartaglia ed è giallo come un melone. Ha più rughe lui sulla faccia che tutti i cammelli di Smirne messi insieme, anzi è proprio un cammello».
«Ma è un cammello maschio» dichiarò la madre. «Noi finora, mia cara Katina, non abbiamo potuto fare niente di nascosto. Sì e no riuscivamo a mangiare tutti i giorni. Adesso possiamo. Le fortune die non le dispensa ogni giorno».
«Io non ti metterò alla porta, mamma. Non dire sciocchezze».
«Lo so» rispose Efalìa.
E ricominciò a pestare nel mortaio con più rabbia.” 

Però il libro presenta alcuni punti dolenti. Anzitutto (e qui sicuramente è colpa mia) i nomi che sono da un lato distanti da quelli usuali essendo greci/turchi ma soprattutto sono molto simili ad esempio ci sono due personaggi che si chiamano Spiros e Siros, mi domando non ci sono altri nomi?

Poi la mancanza di spiegazioni soprattutto nell’introduzione dei personaggi, si parla di qualcuno come se il lettore già lo conoscesse (o dovesse conoscerlo) ma non è così: avete presente quando sentite due anziani che parlano di persone che conoscono loro e della loro generazione e danno per scontato che tu (come loro) ne conosca vita morte e miracoli? Mi sono sentita un estranea.

Il quadro generale nella narrazione è un po’ confuso e talvolta frettoloso. Mi è dispiaciuto moltissimo che la parte finale dalla vita di Katina non venga sviluppata maggiormente, si chiude praticamente all’improvviso senza spiegazioni, scopriremo qualcosa dopo ma in modo molto sommario. E sul finale del libro ho fatto davvero fatica perché non si capisce più chi è chi e chi fa cosa, è confuso e indefinito e mi ha messo parecchi dubbi.

Il libro tratta molti temi interessanti: la Storia si interpola con le vicende di fantasia, si parla molto di magia e dello stereotipo della donna “strega”; l’emancipazione femminile; c’è un quadro meraviglioso della vita a Smirne tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, una città cosmopolita dove convivono pacificamente e allegramente diverse comunità, scopriamo anche il modo di vivere usi e costumi.

Dicevo che si parla di poteri magici (siamo nell’ambito di un realismo magico) che si distinguono in due categorie: da un lato poteri quasi premonitori che ha Katina che però è usato pochissimo e non viene sviluppato molto (peccato perché poteva essere interessante) e poi l’insieme di pratiche e ricette che fanno una magia pratica, data dall’insieme di intrugli e formule ed è attraverso questa magia che Katina, pur non è bella, riesce ad accalappiare e sposare gli uomini più belli e ricchi di Smirne.

“Finché un giorno, mentre Katina andava a raccogliere i panni, vide nascosto sul legno del recinto un sortilegio. Il segno era stato attentamente sgrossato con la scure e poi la corteccia era stata risistemata. Benedetto il vento, che faceva agitare il bucato e aveva scoperto la spaccatura.
«È l’occhio di Allah» osservò Eftalìa.
Era un pezzo tagliato dalle mutande di Katina, che erano andate perse (ecco dove stavano!), bruciato e rovinato, avvolto in fili incrociati, con le estremità sporcate di nero; il panno era inchiodato con paletti di legno conficcati in tre punti.” 

“…a un certo punto Katina sospettò di sua madre, perché la signora Nina ce l’aveva proprio sullo stomaco e l’aveva colta durante una notte di luna piena a rimescolare della terra di tomba e a leggere il suo taccuino.
«… metti il chiavistello alla porta, mettiti le scarpe e va sul ponte appena tramonta la luna. Due legni seccati sepolti in terra di tomba e raccolti di sera, appena mette fuori il naso la costellazione delle Pleiadi. Occhio non ti veda mentre li prendi. Uniscili nel mezzo con una fune con quaranta nodi e per ogni nodo un pelo di gatta nera e le parole ‘seni baglamak ghighiò ghitzilma…’ Ti lego perché tu la sciolga. Poi fa sulla porta della tua nemica il cerchio funebre. Dì tre volte dentro di te: ‘Ames atethi. Ames seghità. Ames sanklà. Ghighio ghitzilma…’. Seppellisci il sortilegio nella terra, accanto alla casa, in modo che non possa trovarlo e scioglierlo mai. E la disgrazia arriverà. Le anime cattive che chiedono vendetta sono al tuo servizio, seguono l’occhio del morto e si attaccano al cerchio funebre. Non possono fuggire, ma solo entrare nella casa. E chiedono il male. E la disgrazia verrà».” 

 

Personalmente avrei sviluppato solo la storia di Katina, senza gusci narrativi di contorno di cui non trovo il senso.

Nonostante i “difetti” per me vale la pena leggerlo per la figura di Katina e si sua madre Eftalia e le loro storie, c’è una parte sulla vita della madre davvero toccante che mi ricordo perfettamente a distanza di anni.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete letto.