AUTORE: Mario Rigoni Stern
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 144
GENERE: letteratura italiana, memoir, campagna di Russia seconda guerra mondiale
LUOGHI VISITATI: Russia, seconda guerra mondiale
Il sergente della neve è il memoir di Mario Rigoni Stern sulla ritirata dalla campagna di Russia, una testimonianza generica al tempo stesso precisa, racconta solo i fatti, l’esperienza vissuta senza spiegazioni, come dice lo stesso Rigoni Stern ci sono solo nomi di Alpini e non di luoghi perché quelli lui non li conosceva. Si tratta a tutti gli effetti di un memoriale, non è e non vuole essere un romanzo quindi non ci sono particolari spiegazioni e soprattutto c’è tanto non detto semplicemente perché non conosciuto dall’autore stesso.
Il libro racconta un’esperienza di guerra, è una lettura meno “pesante” di quello che mi aspettavo ma comunque molto intensa e dolorosa si occupa della ritirata dalla Russia, sappiamo già come è andata la campagna di Russia e cosa possiamo aspettarci dai ricordi di scuola. La narrazione si divide in due parti la prima (la più breve) che racconta della vita in trincea e poi la seconda parte che è quella più cospicua narra della ritirata. La ritirata dal fronte russo è una marcia lunghissima nel freddo e nella neve, praticamente senza cibo e riposo dove devono comunque combattere contro i russi che contrattaccano (mica li lasciano andare via come nulla fosse) quindi è pieno di imboscate e battaglie, tra cui la tristemente famosa battaglia di Nikolaevka.
“Viene il 26 gennaio 1943, questo giorno di cui si è già tanto parlato. È l’aurora. Il sole sta sorgento dal basso orizzonte ci manda i suoi primi raggi. Il biancore della neve e il sole abbagliano gli occhi. […] Affacciandoci ad una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con un treno pronto per noi. Saremo fuori dalla sacca se raggiungiamo la ferrovia.” Pag 103
Rigoni è
in un battaglione di Alpini e racconta la sua esperienza che è
personale ma al tempo stesso comune a molti altri, trattandosi di un
memoir noi lettori sappiamo che Rigoni Stern ce l’ha fatta è
tornato a casa grazie al suo coraggio (tantissimo), agli sforzi e
alla sofferenza ma anche a tanta, tantissima fortuna. Ha avuto la
capacità di mantenere un grande sangue freddo e grandi capacità
organizzative e di comando, ma anche una grande umanità (che
dimostra non solo verso i compagni ma anche verso la popolazione
russa che lo ripaga con del cibo). Durante la narrazione Rigoni trova
spesso delle assonanze tra ciò che vede in Russia (persone e luoghi)
con il suo paese e i suoi paesani e in generale con l’Italia e gli
italiani a sottolineare ulteriormente che non ha perso l’umanità
anzi è un occhio lucido, attento e realistico.
“È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la neve, le nubi, le montagne e i volti dei bambini che giocano son le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Ma anche laggiù in quell’estremo lembo della steppa c’era un angolo caldo. La neve era intatta, l’orizzonte viola, e gli alberi si alzavano verso il cielo: betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppo di isbe. Pareva che non ci fosse la guerra laggiù; erano fuori dal tempo e fuori dal mondo, tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora. Lì aggiustavano gli aratri e le cinghie dei cavalli; i vecchi fumavano, le donne filavano la canapa. Non ci poteva essere la guerra sotto quel cielo viola e quelle betulle bianche, in quelle isbe lontane nelle steppa. Pensavo: «Voglio anch’io andare in quel caldo, e poi si scioglierà la neve, le betulle si faranno verdi e ascolterò la terra germogliare. Andrò nella steppa con le vacche, e alla sera, fumando macorka, ascolterò cantare le quaglie nel campo di grano. D’autunno taglierò a fette le mele e le pere per fare gli sciroppi e aggiusterò le cinghie dei cavalli e gli aratri e diventerò vecchio senza che mai ci sia stata la guerra. Dimenticherò tutto e crederò di essere sempre stato là». Guardavo quel caldo e si faceva sempre più sera.” Pag 67
Una testimonianza importantissima da leggere e una base per approfondire, non è uno storico a parlare ma un ragazzo comune che ha vissuto la campagna di Russia e il rientro “a baita” sulla sua pelle. Non è una lettura facile soprattutto verso la fine ci sono delle pagine per me dolorosissime e difficili (alla fine Rigoni ci dirà chi dei suoi compagni che abbiamo conosciuto all’inizio ce l’ha fatta e chi no, e mi ero affezionata molto ad alcuni). In questo libro si dà voce a tutti quelli che sono tornati ma anche a quelli che non ce l’hanno fatta, si dà voce a chi ha pagato con la vita l’invasione della Russia (inutile come tutte le guerre).
“Ecco, ora è finita la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo ancora camminato. Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero ancora da dire, ma queste è un’altra storia.” pag 126
Non posso che consigliarvelo, è un libro meraviglioso, sicuramente straziante ma anche necessario.
Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cos’altro mi consigliate di Rigoni Stern.
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