venerdì 25 luglio 2025

LONESOME DOVE di LARRY MCMURTRY

TITOLO: Lonesome Dove
AUTORE: Larry McMurtry    traduzione di: Margherita Emo
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 992
PREZZO: € 17
GENERE: letteratura americana, letteratura western
LUOGHI VISITATI: Texas metà '800


Un libro meraviglioso che si legge in un soffio nonostante la mola.

Un viaggio epico spostare una mandria di bovini dal Texas al Montana per fondare un nuovo ranch nelle verdeggianti praterie a nord dello Yellowstone dove non è ancora arrivato nessuno. Questa sarebbe già una bellissima storia, ma è solo la principale a cui se ne aggiungono molte altre rendendo impossibile appoggiare il libro.

Quando la mandria e la squadra della Hat Creek abbandonarono l’arida pianura del Wyoming per addentrarsi a poco a poco nel Montana, ebbero tutti l’impressione di lasciarsi alle spalle non solo il caldo e la siccità, ma anche la bruttezza e i pericoli. Invece di essere gessose e coperte di artemisia, le pianure erano coperte d’erba alta e punteggiate di fiori gialli. Le ondulazioni del terreno si allungarono, i riflessi del caldo che avevano avuto negli occhi per tutta l’estate lasciarono il posto all’aria fresca, pungente del mattino e fredda della sera. Cavalcarono per giorni di fianco ai Monti Bighorn, le cui cime sparivano a volte tra le nuvole.
La freschezza dell’aria parve migliorare la vista degli uomini, che si misero a congetturare su quante miglia riuscivano a vedere. Le pianure si stendevano verso nord a perdita d’occhia. Avvistarono molta selvaggina, soprattutto cervi e antilocapre. Una volta videro una grossa mandria di alci e due volte un piccolo branco di bisonti. Non videro altri orsi, ma ci pensavano spesso.
I cowboy vivevano da mesi sotto l’immensa cupola del cielo, eppure il cielo del Montana sembrava più profondo di quello del Texas e del Nebraska. Era così profondo e così azzurro da privare perfino il sole della sua ferocia: appariva più piccolo, in quella vastità, e a mezzogiorno il cielo non diventava mai tutto bianco come aveva fatto più a sud. A nord restava sempre una fascia azzurra, dove nubi bianche galleggiavano come petali in uno stagno.”

Qualsiasi aspetto del western che vi viene in mente in questo libro c’è ed è tutto amalgamato alla perfezione: ranger, ranch, cowboys, mandrie, sceriffi, ladri di cavalli, saloon, indiani, esercito, cercatori d’oro, cacciatori di pellicce, prostitute.

Protagonisti principali sono Gus e Call due Texas Ranger “in pensione” che gestiscono la Hat Creek un ranch/rivendita di bestiame a Lonesome Dove in Texas sul confine con il Messico. Alla base c’è la storia di amicizia e lealtà tra questi due uomini che non potrebbero essere più diversi ma che assieme si completano meravigliosamente e che rappresentano anche la famiglia l’uno dell’altro. Gus sembra fuori luogo nel west, scrive in latino, adora tutti i piaceri della vita e si prende cura di sé, è un gran chiacchierone, giocatore incallito e grandissimo amatore, ma come il suo socio è molto coraggioso e affidabile. Call è l’esatto opposto, burbero, taciturno, infaticabile lavoratore, si ferma solo quando strettamente necessario e i piaceri della vita praticamente non sa cosa sono. Con loro alla Hat Creek ci sono Pea Eye un vecchio compagno nei ranger, il Deets un ex schiavo collaboratore di Call (tra loro c’è un rapporto di reciproca fiducia perché consci del valore dell’altro, non si può parlare davvero di amicizia per le differenze di estrazione sociale diciamo ma è qualcosa che si avvicina molto) e il giovane Newt che aspira a diventare un cowboy e il cuoco messicano Bolivar. La vita procede come sempre quando un giorno arriva Jack Spoon un loro compagno e amico nei ranger che lancia un’idea: traferirsi con una mandria nel Montana e fondare un ranch dove nessuno l’ha ancora fatto. E (inaspettatamente) l’idea prende piede, gli uomini della Hat Creek si organizzano e si parte (la faccio facile, ma non è affatto così già la preparazione è un susseguirsi di avventure).

Ma come detto questa è solo la storia principale (che già di per sé non è poco) ma si affiancano nel corso della narrazione altre storie e altri personaggi, man mano che leggiamo scopriamo e conosciamo meglio tutti i personaggi e il loro vissuto, ad esempio quello di Lorena la ragazza del saloon, ma anche la storia di Newt che viene cresciuto quasi come un figlio da Call e Gus, e poi Spoon che si rivelerà essere un soggetto diverso dagli amici. Ci sono poi le storie dell’indiano Blue Duck e dello sceriffo July Johnson. E poi Clara Allen, una vecchia amica di Gus che gestisce una rivendita di cavalli nel Nebraska e sarà punto di riferimento per i nostri eroi.  

Va detto che Lonesome Dove è ambientato nel west, è sicuramente un romanzo western ma non solo questo è anche molto altro, troviamo amicizia, lealtà, avventura, giustizia, amore, Storia e anche una sorta di autocritica verso il sistema su cui si reggeva il west, l’avvento dei bianchi, la colonizzazione dei territori indiani, la troviamo molto nelle parole di Gus.

“Quando si alzarono, Tobe riprese diligente il suo giro di ronda. Augustus attaccò i muli nuovi al carro nuovo. Le strade di San Antonio erano deserte e silenziose. La luna era alta e un paio di capre randagie sfregavano il muso contro le mura del vecchio Alamo, in cerca di un ciuffo d’erba. Quando erano arrivati nel Texas negli anni Quaranta, la gente non parlava d’altro che di Travis e dei prodi che avevano perso la battaglia, ma adesso la battaglia era stata dimenticata e l’edificio abbandonato.
-Call, si sono dimenticati di noi, come dell’Alamo – disse Augustus.
-Perché non dovrebbero? Non siamo rimasti qui.
-Non è per quello, è perché non siamo morti. Travis ha perso la battaglia e finirà nei libri di storia, quando qualcuno scriverà di questo posto. Se un migliaio di Comanche ci avesse intrappolato in una valle e sterminato tutti, come hanno appena fatto i Sioux con Custer, avrebbero composto canzoni su di noi per cent’anni.
A Call parve un’osservazione sciocca. – Non ci sono mai stati mille Comanche in un posto solo. Se c’erano, prendevano Washngton DC
Ma più Augustus pensava agli insulti che avevano ricevuto nel saloon – un saloon dove in passato erano stati accolti come eroi – più s’indispettiva.
- Avrei dovuto dare un paio di botte in testa a quello sbarbatello di Mobile.
-Era solo spaventato. Sono sicuro che Tobe gli farà la predica la prossima volta che lo vede.
-Non è quello il punto, Woodrow. Non afferri mail il punto.
-E qual è, maledizione?
-Se viviamo altri vent’anni, saremo noi gli indiani. A giudicare da come si sta popolando questo posto, tra poco ci saranno solo chiese e mercerie. E prima che non ce ne rendiamo conto, raduneranno noi vecchi turbolenti e ci rinchiuderanno in una riserva perché le signore non si spaventino.
-Mi sembra improbabile.
-È maledettamente probabile, invece. Se trovo una squaw che mi piace, me la sposo. Se devo essere trattato come un indiano, tanto vale che mi comporti come tale. Abbiamo passato i nostri anni migliori a combattere dalla parte sbagliata.
Call non voleva discutere di simili sciocchezze. Avevano quasi raggiunto i margini della città e passarono accanto ad alcuni tuguri di adobe dove vivevano i messicani più poveri. In uno di loro piangeva un bambino. Call era sollevato all’idea di andarsene. Quando Gus era così riottoso, poteva succedere di tutto. In campagna, se si fosse arrabbiato e avesse sparato a qualcosa, avrebbe sparato a un serpente, non a un barista incivile.
-Non abbiamo combattuto dalla parte sbagliata. Il miracolo è che tu sia rimasto così a lungo dalla parte giusta della legge. Jake è troppo vigliacco per essere un gran fuorilegge, ma tu non lo sei.
-Non è detto che non lo diventi. Sempre meglio che catturare gli ubriaconi per vivere, come Tobe Walker. Che diavolo, si è quasi messo a piangere dalla voglia di venire con noi, quando siamo partiti. Tobe era veloce una volta e, guardalo adesso, è grasso come un castoro.
-È vero che è ingrassato, ma Tobe è sempre stato robusto – disse Call. Su un punto, però Gus aveva probabilmente ragione. Tobe aveva lo sguardo molto triste quando se n’erano andati.” 

Quella di McMurtry è una scrittura magnetica, essenziale e lineare ma al tempo stesso molto descrittiva che immerge il lettore nel contesto, nel paesaggio e nei personaggi, è anche molto realistica e cruda, non mancano momenti drammatici - McMurtry non è clemente con i propri personaggi (cosa in realtà che rende la storia ancor più veritiera, perché la vita – purtroppo – non è una favola) quindi se siete sensibili (leggasi piagnoni come me) preparate i fazzoletti perché le lacrime non mancano. E poi c’è tantissima introspezione, analisi dell’animo umano e il materiale (i personaggi) non manca.

Lonesome Dove è stato pubblicato nel 1985 (ha vinto il premio Pulitzer l’anno successivo) e nel corso dei decenni successivi Mc Murtry ci racconta altre avventure di Gus e Call con dei prequel e dei sequel che francamente non vedo l’ora di leggere (Per le strade di Laredo (sequel), Il cammino del morto e Luna Comanche (prequel)).

 

Fatemi sapere nei commenti se lo avete letto, se conoscete Call e Gus.


venerdì 18 luglio 2025

IL CALAMARO GIGANTE DI FABIO GENOVESI

TITOLO: Il calamaro gigante
AUTORE: Fabio Genovesi
EDITORE:  Feltrinelli
PAGINE: 144
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: il mare alla ricerca del calamaro gigante o mitologico Kraken





Cercate una lettura fresca, divertente, estiva, leggera ma anche molto interessante e istruttiva? Ho il libro giusto: Il calamaro gigante di Fabio Genovesi.

Una scrittura leggera, ironica, divertente che racconta, attraverso capitoli brevi dove si mescola tutto quanto, le storie legate al calamaro gigante con altre personali, autobiografiche dall’autore o comunque presentate come tali. Senza perdere la sua semplicità e colloquialità ci sono - oltre a tantissime curiosità -importanti spunti di riflessione, diventando a tratti quasi “filosofico” e ci sono anche alcune storie commoventi (almeno per me come quella della nonna Giuseppina).

Protagonista indiscusso è il calamaro gigante di cui ad oggi ancora sappiamo molto poco e che è stato per secoli una sorta di animale mitologico. La comunità scientifica negava la sua esistenza e i pochi studiosi che avevano l’ardire di considerarlo reale venivano emarginati, le notizie degli avvistamenti erano per lo più ritenute fantasie di marinai.  

“Insomma, tutto questo discorso per dire che, quando parliamo di calamari, spesso non abbiamo idea di cosa siano davvero. Li abbiamo visti solo fritti o ripieni, o spiaccicati sul bancone di una pescheria. E quindi non li abbiamo mai visti. Perché loro sono diversi da noi uomini, che da morti non cambiamo mica tanto. Se un tizio muro bene, sembra uno che dorme. Lo metti in piedi, gli apri gli occhi e gli piazzi un telefono in mano, e siamo noi. Appena un calamaro muore invece, sparisce con tutta la sua magia.
quel modo armonioso e ipnotico di spostarsi, la morbida potenza dei tentacoli là in fondo, che possono unirsi a formare un’unica punta che buca l’acqua, o aprirsi in una corolla come i raggi di un sole che accende il mare, danzando ognuno per sé eppure in armonia, perché parte del suo cervello sta proprio lì, e ogni braccio pensa un po’ per conto suo. La capacità fantascientifica di cambiare colore, così immediata che in confronto i camaleonti sono dilettanti a una gara della parrocchia. I calamari, come le seppie e i polpi, sono astronavi aliene che aleggiano là sotto, piene di luci in ricognizione sul nostro pianeta.
E questo stesso miracolo, questa magia ipnotica, è il soffio vitale che anima il calamaro gigante. Solo che è un soffio lungo venti metri.
Il corpo vero e proprio, il mantello là in cima, è la parte più corta, contornata da una pinna trasparente che danza per gli spostamenti minimi e precisi, mentre per viaggiare veloce come un missile usa il getto d’acqua del sifone, da dove schizza pure la sua nuvola di inchiostro nero. Il sangue invece è blu, perché la posto del ferro contiene il rame, e a pomparlo in circolo ci pensano tre cuori. Gli occhi sono due, tondi e scuri, grandissimi anche considerando le sue dimensioni: un capodoglio ha occhi di sei centimetri, quelli del calamaro superano i trenta. Perfetti per vivere nel buio degli abissi, dove la luce è pochissima e va raccolta tutta.
E sotto gli occhi comincia la parte più grande del calamaro, otto lunghe braccia tentacolari, più altri due tentacoli che sono lunghi ancor di più. Schizzano lontano ad afferrare la preda con le ventose che li ricoprono, ognuna orlata da un anello tagliente e dentellato, e la portano alla bocca. Che sta lì in mezzo ai tentacoli, e più che una bocca è un becco, uguale a quello dei pappagalli, con dentro una lingua ruvida che si chiama radula, e come una grattugia consuma il cibo prima di ingoiarlo.
Ecco, questo è grosso modo quel che sappiamo del calamaro gigante, il resto è ancora un misto di teorie, scommesse e fantasia.”pag 105 e 106

È una lettura che mi ha sorpresa positivamente, avevo un po’ di timore a leggerla anche dopo aver letto la quarta di copertina pensavo potesse essere più problematica e avevo letto anche svariate critiche. In realtà io l’ho trovata una bella lettura che scorre molto veloce, è vero che si parla tantissimo del calamaro e che le storie sono un po’ simili ma non potrebbe essere diversamente se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo verso la fine ho avuto l’impressione che la narrazione diventi un pochino ripetitiva (nel senso che lo stesso concetto viene ripetuto più volte negli ultimi capitoli) però niente di insopportabile. Inoltre è un concetto che mi sta molto a cuore, si dice in soldoni che l’uomo si è eretto a capo del mondo ma in realtà è una delle tante creature che lo popolano e non è poi nemmeno la migliore.

La lettura di questo libro mi ha riportato a quella de Il libro del mare di Strøksnes con cui ha diversi punti in comune: entrambi scritti in prima persona con racconti autobiografici (o perlomeno così vengono presentati), sono divertenti ed ironici, raccontano tantissime curiosità ed entrambi si occupano in particolare di un animale (diverso ne Il calamaro gigante si parla appunto di calamaro e invece ne Il libro del mare si parla di squalo della Groenlandia) che però hanno in comune l’essere quasi mitologici oltre che enormi e preistorici.

Fabio Genovesi è un autore italiano contemporaneo che voglio approfondire, sono noti i miei problemi (leggasi pregiudizio) con la letteratura italiana non di genere (anche se negli ultimi anni piano piano la sto scoprendo).

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro mi consigliate di questo autore.

Vi aspetto nei commenti


venerdì 11 luglio 2025

TUTTO CAMBIA di ELIZABETH JANE HOWARD

TITOLO: Tutto cambia
AUTORE: Elizabeth Jane Howard         traduzione di: Manuela Francescon
EDITORE: Fazi
PAGINE: 610
PREZZO: € 20
GENERE: letteratura inglese, romanzo famigliare, quinto volume saga Cazalet
LUOGHI VISITATI: Inghilterra anni '50


Tutto cambia 5° volume della saga famigliare dei Cazalet di Jane Howard – attenzione possibili spoiler sui volumi precedenti

Come dice il titolo ci sono tantissimi cambiamenti, ritroviamo la famiglia Cazalet negli anni ’50 alle prese con il progresso, la modernità. Viene definitivamente meno un’epoca, quella che prevede la servitù in casa, la suddivisione in “classi sociali rigide” dove nobiltà e alta borghesia ricca predominano (considerate classi superiori con molti privilegi, appartenervi pone su una sorta di piedistallo, si è in qualche modo migliore degli altri) un mondo fatto di lusso e privilegi e convenzioni sociali rigide. Le donne (e ora anche le donne sposate) per mille ragioni (dalla necessità alla volontà) lavorano e sono molto più indipendenti, così praticamente tutte le nostre protagoniste hanno un lavoro, cosa impensabile ai tempi della Duchessa.

Il cambiamento ben raccontato dalla considerazione di Clary:

“Somigliava a ogni Natale trascorso a Home Place, pensò, con la differenza che qui non c’erano Mrs Tonbridge ed Eileen ad assumersi il peso dei lavori domestici. Adesso dobbiamo cavarcela da sole, pensò. Il che va bene per noi, ma deve essere molto dura per le donne della vecchia generazione, come la povera zia Villy e anche Zoe. Era uno dei tanti cambiamenti, in apparenza insignificanti, innescati dal welfare state e dai governi laburisti. L’elezione di Mr Macmillan non ci farà tornare indietro nel tempo. A meno che uno non sia ricco, e allora può godere ancora dei vecchi privilegi. Chissà se tutte le persone che prima andavano a servizio adesso stanno vivendo una vita migliore.”

Ma cambiano anche le cose nel mondo degli affari, la ditta import export deve affrontare crisi molto pesanti, i legni pregiati interessano ancora? Siamo in un nuovo mondo e i valori sono cambiati.

Tra le crisi che i Cazalet devono affrontare c’è anche quella del destino di Home Place, la residenza estiva nel Sussex, dove hanno trovato rifugio durante la seconda guerra mondiale e che è simbolo del loro status ma anche luogo di mille ricordi, ma al tempo stesso troppo costosa da mantenere.

“La casa però è rimasta la stessa da allora. Se chiudo gli occhi vedo ancora i dettagli di ogni singola stanza, del giardino, del frutteto, dei campi, del bosco col suo torrente. Potrei andarmene in giro bendata e dirvi esattamente dove mi trovo. Ed è così per tutti noi, è questo che sto cercando di dire. Questa casa è dentro di noi e non ce ne dimenticheremo mai. Io credo che siamo fortunati ad avere avuto nella vita un luogo che ci è così caro e che ci porteremo sempre nel cuore”.

A farla da padroni nella scena sono le nuove generazioni, i ragazzi, i figli che avevamo conosciuto piccoli (Polly, Clary, Louise, Teddy e gli altri) ormai sono adulti fatti con tutte le loro vite, la necessità di trovare il loro posto nel mondo, e spesso a loro volta genitori. Ma non ci scordiamo delle generazioni precedenti e quindi scopriamo le sorti di Hugh, Edward, Rupert e Rachel e rispettivi coniugi. Come sempre nelle saghe famigliari amori, tradimenti, nascite e lutti non mancano e seguiamo tutti i personaggi che abbiamo conosciuto nei precedenti volumi.

Come negli altri romanzi c’è una magnifica interpolazione tra la Storia e le vicende personali dei Cazalet, offrendo un interessante spaccato storico e culturale; inoltre la Howard per scrivere la storia della famiglia Cazalet si è ispirata a fatti ed esperienze della propria vita.

Quanto è difficile lasciare andare una storia e dei personaggi, una famiglia come quella dei Cazalet di cui io mi sono sentita parte sin dalle prime pagine del primo volume!

Non posso che consigliarvi di recuperare l’intera saga.


venerdì 27 giugno 2025

POIROT SUL NILO di AGATHA CHRISTIE

TITOLO: Poirot sul Nilo
AUTORE: Agatha Christie     traduzione di: Grazia Maria Griffini
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 265
PREZZO: € 12,50
GENERE: giallo, letteratura inglese
LUOGHI VISITATI: Egitto primi decenni del Novecento



Sono una grandissima fan di Agatha Christie e adoro i suoi gialli, anche se per ragioni a me sconosciute tendo a centellinare la lettura nonostante i titoli numerosi. E non sopporto che si metta in dubbio la sua bravura, lo dico perché il libro si apre con una prefazione che apparentemente sembra criticare il romanzo soprattutto la narrazione della vicenda gialla, lo sottintende. La cosa mi ha fatto arrabbiare parecchio sia per lo smacco alla Christie sia per la mia fissazione di leggere le prefazioni prima del romanzo vero e proprio essendo la prima cosa che si incontra, quando invece molti lettori consigliano di leggerla alla fine. Così con il dente avvelenato ho iniziato la lettura per rimanerne estasiata. Alla fine ho letto anche la postfazione dove emerge il gioco di Dossena “Sembra un modo complicato di dire le cose, ma servirà almeno a dar l’idea che le cose sono complicate, che Agatha Christie era molto brava, e chi parla male di lei dovrebbe farci vedere lui, cosa è capace di fare”.

 

Una bella crociera sul Nilo a bordo del lussuoso battello Karnak in compagnia dello strepitoso Poirot, naturalmente non sarà una vacanza allegra e spensierata.

C’è una nutrita serie di personaggi e di vicende e di misteri che si intrecciano, molti sono i segreti che i passeggeri cercano di tener nascosto e non mancano svariate storie d’amore del resto la Christie sotto pseudonimo ha scritto anche molti “romanzi rosa”.

Tra i passeggeri del battello c’è anche una coppia in luna di miele, i Doyle, Linnet Ridgeway una giovane ereditiera e il neo sposo Simon; ma il loro viaggio è rovinato dall’importuna e opprimente presenza di Jacqueline de Bellefort, un tempo migliore amica di Linnet nonché fidanzata di Simon, decisa a vendicarsi rovinando loro almeno il viaggio di nozze con la sua presenza.

Una mattina Linnet Doyle viene trovata morta nel suo letto, uccisa da un colpo di pistola alla testa e sulla parete vicino a lei è stata tracciata una lettera J. Naturalmente dati i loro rapporti e il loro passato il principale colpevole sembra essere la ex amica Jacqueline, ma ha un alibi di ferro. La sera precedente nel salone ha dato in escandescenze e ha ferito Simon con una rivoltella, per questo è stata accompagnata alla sua cabina e sorvegliata; mentre Simon è stato accompagnato dal dottor Bessner nella propria cabina e medicato.

Poiché i principali sospetti sono da escludere praticamente tutti sulla nave possono essere i colpevoli, inoltre è salito a bordo il colonnello Race (vecchio amico di Poirot) alla ricerca di una spia e ci sono altri misteri da risolvere come il furto di una collana. A complicare ulteriormente la situazione il verificarsi di altri due delitti collegati probabilmente a quello principale, qualcuno ha visto qualcosa e ha cercato di ricattare il colpevole.

La soluzione è davvero geniale! Il delitto architettato è pazzesco! Come sempre ci ho provato, sono stata attenta e anche se qualcosa di stonato l’ho notato alla soluzione non ci sono arrivata. Solo un investigatore meticoloso, attento come Poirot poteva risolverlo.

“Poirot rimase in silenzio. Ma non era un silenzio modesto il suo. Pareva che i suoi occhi volessero dire: «Vi sbagliate. Non hanno pensato a Hercule Poirot»”.

 

 

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete letto.


martedì 17 giugno 2025

GOOD OMENS - SERIE TV

TITOLO: Good Omens
REGIA: Douglas Mackinnon
SOGGETTO: Neil Gaiman e Terry Pratchett
STAGIONE: 1 per 6 episodi da 45 minuti circa
ANNO DI USCITA: 2019
GENERE: commedia fantastico
LUOGHI VISITATI: principalmente Inghilterra 2018





Se siete alla ricerca di una serie tv di intrattenimento, che mixa commedia e dramma, superstizione e credenze religiose, lotta tra il bene e il male vi consiglio di guardare The Good Omes.

Abbiamo un’amicizia millenaria tra un angelo Azraphel e un demone Crowley, esponenti sulla terra delle relative fazioni, Paradiso e Inferno. I due sono coinvolti nella fine del mondo e l’avvento dell’Apocalisse, che però cercano in tutti i modi di scongiurare perché amano troppo la vita sulla Terra.
Tutto è stato previsto, l’Apocalisse dovrà avvenire nel 2018 e l’Anticristo sarà un bambino figlio di un diplomatico americano Warlock Dowling, è compito di Crowley consegnare il neonato in una clinica “amica”, ma purtroppo quella sera sono presenti due partorienti e ci sarà un errore.

Azraphel e Crowling lavorano a casa Dowling ed espongono il bambino a influenze tanto positive quanto negative; quando il giorno dell’undicesimo compleanno di Warlock, il segugio infernale non si presenta, capiscono che deve essere successo qualcosa e si mettono alla ricerca del bambino “giusto” che è Adam Young cresciuto allegramente a Tadfield. 

Entrano in gioco altri personaggi a partire naturalmente dai Cavalieri dell’Apocalisse che vengono convocati da un corriere e i presenteranno all’appuntamento in sella a quattro roboanti e coloratissime motociclette. Conosciamo poi Anathema Device (strega moderna discendente dalla famosissima Agnes Nutter, autrice di un libro di profezie infallibili, messa al rogo nel Seicento dal temutissimo cacciatore di streghe Pulsifer); Newton Pulsifer (sì, discendente del citato cacciatore di streghe) tecnico informatico assoldato dal moderno cacciatore di streghe sergente Shadwell e da lui inviato a Tadfield.

La narrazione procede con una serie di avventure - e anche tanti flash back, tanti viaggi nel passato che ci permettono di scoprire l’amicizia di Azraphel e Crowling ma anche la storia di Agnes e Pulsifer -  fino a che tutti i protagonisti si trovano alla base militare di Tadfield dove avrà luogo lo scontro finale tra bene e male e la posizione determinante sarà quella del piccolo Adam, chissà quali conseguenze possono aver lasciato nel suo io, nei suoi sentimenti la sua infanzia spensierata e allegra in una normalissima famiglia piena di amore.

È una narrazione sicuramente scanzonata, che come detto all’inizio mixa commedia e dramma, molto divertente e ironica, con una pluralità di linee narrative destinate a congiungersi perché tutti coinvolti in qualche modo nella lotta finale. Una serie tv estremamente godibile che pone alla base della narrazione l’amicizia e l’amore, con un finale per me molto bello ed emozionante. Super consigliata.

La serie tv si basa sul romanzo Buona apocalisse a tutti di Terry Pratchett e Neil Gaiman, che io ho comprato dopo aver visto la serie e ora che finalmente l’ho recensita potrò leggere. E potrò vedere anche la seconda stagione che ho visto essere uscita un paio d’anni fa.

Fatemi sapere se la conoscete


martedì 13 maggio 2025

DON CAMILLO di GIOVANNINO GUARESCHI

TITOLO: Don Camillo
AUTORE: Giovannino Guareschi
EDITORE: Bur Rizzoli
PAGINE: 291
PREZZO: € 13
GENERE: letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: nella Bassa (pianura padana emiliana) nell'immediato dopo guerra



Per me leggere Don Camillo è un po’ come tornare a casa, ho visto e rivisto infinite volte i film tratti/ispirati ai romanzi di Guareschi con Gino Cervi e Fernandel. Quindi l’approccio al libro è stato accompagnato da tantissima curiosità ma anche un po’ di timore e invece sono parimenti belli anche perché ho letto che lo stesso Guareschi ha collaborato nella realizzazione/scrittura dei film. Così mentre leggevo mi immaginavo i personaggi con il “volto” televisivo e mi pareva di udire la voce del Cristo sull’altare.

Un piccolo paese della pianura padana emiliana quella che viene chiama “la bassa”, siamo nell’immediato dopoguerra, sembrerebbe un paesino come tanti e sicuramente lo è, ma qui ci sono due figure di riferimento il prete Don Camillo e il sindaco Peppone, il primo democristiano (la definizione la metto io ma non potrebbe essere diversa) e il secondo comunista. Due personaggi forti, presenti, pesanti nella vita del paese che non si fanno problemi a far sentire la propria voce, forte e chiara. È il periodo della lotta politica, del ritorno alla democrazia, della stesura della costituzione, ed è un periodo dove la paura verso il “comunismo” è molto forte.

Abbiamo due protagonisti forti che si scontrano (e non solo a parole) fanno parte di contrapposte fazioni politiche ma a modo loro sono molto legati e amici, in fondo condividono gli stessi principi e si scoprirà una bellissima storia di amicizia che sa andare oltre le divisioni politiche (emerge già in questo volume anche se la storia della loro amicizia e il loro primo incontro si troverà nei volumi successivi, io la conosco per i film).

In particolare una delle mie scene preferite è quella in cui don Camillo e Peppone rinfrescano la pittura delle statuine del presepe, è un episodio molto bello ed è anche quello che chiude il libro, quasi fosse una favola a lieto fine, ed è la dimostrazione della profonda amicizia e stima reciproca che lega i due nonostante le divergenze politiche: la storia di due nemici (politici) che però in fondo si vogliono molto bene, c’è tanta stima reciproca e amicizia vera, non potrebbero esistere senza l’altro, si completano a vicenda.

“La folla mugolò, poi tacque.
Don Camillo gonfiò il torace, si piantò saldo sulle gambe, buttò via il cappello e si segnò. Poi alzò il pugno formidabile e sparò una mazzata sul fungo.
«Mille!» urlò la folla.
«Se a  qualcuno interessa, sappia che a quota 1000 tira una brutta aria!» disse don Camillo.
Peppone era diventato pallido e gli uomini del suo stato maggiore lo sbirciavano tra delusi e offesi. Altra gente ghignava contenta. Peppone guardò negli occhi don Camillo, si ritolse la giacca, si piazzò davanti alla macchina e alzò il pugno.
«Gesù» sussurrò in fretta don Camillo.
«Mille!» urlò la folla. E lo stato maggiore di Peppone fece un balzo di gioia.
«A quota mille tira brutta aria per tutti» concluse lo Sghembo. «Meglio rimanere al piano.»
Peppone si allontanò trionfante da una parte e don Camillo trionfante dall’altra.
«Gesù» disse don Camillo quando fu davanti al Cristo. «Ti ringrazio. Ho avuto una paura matta.»
«Di non far mille?»
«No, che non facesse mille anche quel testone là. L’avrei avuto sulla coscienza.»
«Lo sapevo e l’ho aiutato io» rispose sorridendo il Cristo. «Del resto anche Peppone, appena ti ha visto, ha avuto una paura matta che non riuscissi a fare novecentocinquantadue anche tu».” 

Infine c’è un terzo personaggio fondamentale che è il Gesù dell’altare a cui don Camillo si rivolge molto spesso, cui parla e discute anche delle cose che lo circondano e che gli accadono. È un Gesù saggio, giusto ma anche molto ironico, praticamente una voce della coscienza se vogliamo.

“«È passato Peppone e mi ha salutato» disse allegramente il Cristo.
«Attento Gesù» rispose don Camillo. «Già altri Vi ha addirittura baciato e poi per trenta lire Vi ha venduto. Quello lì che Vi ha salutato è uno che, tre minuti prima, mi aveva detto che il giorno della riscossa troverà sempre un pezzo da 75 per sparare addosso alla casa di Dio!»
«E tu cosa gli hai risposto?»
«Che troverò sempre un mortaio da 81 per rispondergli sparando addosso alla Casa del Popolo.»
«Capisco, don Camillo: il guaio è che tu, il mortaio da 81, ce l’hai sul serio.»
Don Camillo allargò le braccia.
«Gesù» disse «ci sono delle cianfrusaglie che uno non riesce a buttarle via perché sono dei ricordi. Noi uomini siamo tutti un po’ sentimentali. E poi non è meglio che questa roba sia in casa mia piuttosto che in casa d’altri?»
«Don Camillo ha sempre ragione» rispose sorridendo il Cristo. «Fino a quando non farà qualche sopercheria.»
«Per questo non ho paura; ho il miglior consigliere dell’universo» rispose don Camillo. E così il Cristo non seppe più cosa rispondergli.”

Abbiamo una narrazione per episodi dove pian piano iniziamo a conoscere e prendere confidenza con i personaggi e le loro caratteristiche. Ho letto che in realtà l’opera di Guareschi nasce sotto forma di racconti: per la precisione 347 racconti ambientati nella cittadina inventata di Ponteratto che hanno per protagonisti Don Camillo e Peppone, il complesso prende il nome di “Mondo piccolo” e solo successivamente sono stati raccolti in otto libri.

Alla fine del libro c’è una breve biografia di Giovannino Guareschi, che è stato scrittore, giornalista e caricaturista, è famoso in tutto il mondo per “Mondo piccolo”. Ha avuto una vita piuttosto intesa e movimentata e da quello che ho letto io ci vedo molto sia di don Camillo che di Peppone nel senso che nella sua vita Guareschi ha portato avanti una lotta per il bene scontrandosi anche con personaggi politici di spicco, una sorta di scontro con potenti e lui semplice rappresentante del popolo. O meglio ha trasmesso ai suoi personaggi il suo carattere e il suo modo d’essere.

È sicuramente un libro coccola, una coccola per l’anima e per il cuore; come dice lo stesso Guareschi nel prologo non sarà grande letteratura me questo libro appartiene al genere ‘confort’ che fa bene. Probabilmente recupererò anche gli altri libri.

Fatemi sapere nei commenti se conoscete Don Camillo e Peppone e se avete letto Guareschi.


venerdì 9 maggio 2025

LE CITTÀ INVISIBILI di ITALO CALVINO

TITOLO: Le città invisibili
AUTORE: Italo Calvino
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 166
PREZZO: € 12,50
GENERE: letteratura italiana



Le città invisibili di Calvino è un libro estremamente difficile da raccontare, almeno per me.

È un insieme di frammenti che raccontano di città, che si inseriscono Anzitutto abbiamo una cornice narrativa che vede Marco Polo raccontare a Kublai Kahn delle città che ha visto durante i suoi viaggi. Ogni capitolo si apre e si chiude con questa sovrastruttura, che si differenzia del resto del testo per essere in corsivo. Sono parti molto riflessive e ‘filosofeggianti’ perché poi i due si interrogano sul senso della vita e delle città.

I capitoli sono rappresentatati da un insieme di frammenti, di brevissimi racconti, poche pagine i più lunghi, solo pochi paragrafi la maggior parte, in cui vengono narrate delle città. Città immaginarie e immaginifiche, sognate e sognanti, città assolutamente fantasiose; ciascun frammento ci racconta di una città facendo perno su un suo aspetto peculiare che maggiormente la caratterizza. Un insieme di pezzetti di sogni, di immagini di città che non esistono ma che al tempo stesso contengono una e tutte le città del mondo.

 

“La città e la memoria.
All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.”

 Il tutto è estremamente fantasioso e metaforico, la narrazione è praticamente priva di trama, è quasi una sorta di esperimento o esercizio di scrittura. Se da un lato però tutto è astratto e generico oltre che frutto della fantasia dall’altro ci permette in qualche modo di vedere in noi stessi, le città e la cornice narrativa ci porta a riflettere. È un libro in questo senso filosofico.

Devo dire che nonostante io preferisca di gran lunga i libri di trama (in generale) Calvino mi piace – è un pilastro della letteratura italiana del Novecento e devo certo dirlo io che merita di essere letto – nonostante almeno sulla carta le sue opere sono un po’ diverse dai miei gusti abituali. Questo è il secondo libro che leggo dopo Se una notte d’inverno un viaggiatore… anche questo un libro particolarissimo, quasi un ibrido tra un romanzo e una raccolta di racconti (un po’ come Città invisibili) però i racconti sono “lunghi” idealmente rappresentano degli incipit di altrettanti romanzi.

Il libro si apre con una fantastica presentazione della storia da parte dello stesso Calvino (tratta da un intervento che fece in un’università americana, inutile dire che voglio assolutamente recuperare Lezione Americane) che ci racconta sia come è nato questo libro sia più in generale il suo metodo di scrittura (argomenti che mi affascinano sempre tantissimo).

“Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni. Io nello scrivere vado a serie: tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa, oppure soltanto appunti di cose che vorrei scrivere. Ho una cartella per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia; ho una cartella sulle quattro stagioni e una sui cinque sensi; in una ho raccolto pagine sulle città e sui paesaggi della mia vita e in un’altra città immaginarie, fuori dallo spazio e dal tempo. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori.”

Infine in questa edizione Mondadori è presente anche una nota biografica intitolata “cronologia” caratterizzata dall’accompagnare i vari dati biografici con testo, con delle parole di Calvino stesso relativo a quel dato.

Sicuramente voglio approfondire la conoscenza, come dicevo prima Italo Calvino è un importantissimo autore italiano che nonostante io non sia una grande appassionata di letteratura italiana e nonostante i libri che ho letto finora siano piuttosto particolare, a me piace.

Fatemi sapere se lo conoscete e quali titoli mi consigliate di leggere.


venerdì 4 aprile 2025

I DRAGHI, IL GIGANTE, LE DONNE di WAYÉTU MOORE

TITOLO: I draghi, il gigante, le donne
AUTORE: Wayétu Moore         traduzione di: Tiziana Lo Porto
EDITORE: E/O Edizioni
PAGINE: 288
PREZZO: € 18
GENERE: letteratura liberiana
LUOGHI VISITATI: Liberia e USA 


I draghi, il gigante e le donne racconta della guerra civile in Liberia agli inizi degli anni ’90 e lo fa attraverso gli occhi di una bambina di cinque anni, Tutu.

“[…] Ma il principe diventò egli stesso un drago. Un drago dai denti asimmetrici, i gomiti dotati di artigli e occhi sottili come carta. […] E adesso Hawa Undu era presidente della Liberia, lui che un tempo era stato un principe di buone intenzioni. Nonna diceva che tutti parlavano di lui perché c’era un altro principe che voleva andare nella foresta a uccidere Hawa Undu e riportare la pace. Questo principe si chiamava Charles, come mio nonno. Alcuni pensavano che avesse le carte in regola per farcela, che sarebbe riuscito a uccidere Hawa Undu e mettere fine alla maledizione della foresta e dei principi spiriti che vi danzavano dentro, ma altri affermavano che sarebbe finita allo stesso modo, che nessun principe sarebbe riuscito ad andare nella foresta e mantenere le promesse fatte. Il bosco accecava e confondeva. Hawa Undu non sarebbe mai morto.”

La narrazione si può suddividere in tre macro aree: la guerra civile, la vita in America e il ritorno.

Nella prima parte ci viene raccontata la guerra civile in Liberia vista però attraverso gli occhi di una bambina. La narrazione ha molto del favolistico, un mix tra quello che la bambina vede, sente dagli adulti, la sua fantasia e le favole che conosce. Così ad esempio le fazioni in combattimento sono i draghi, il presidente della Liberia un Hawa Undu un drago cattivo. Fondamentale è l’attenzione con cui la famiglia cerca di proteggere la piccola Tutu, non solo fuggendo ma ammantando il tutto, cercando di nascondere la realtà o meglio dando un significato diverso, edulcorato così i morti che incontrano per strada sono persone molto stanche che si stanno riposando oppure gli spari sono rumori di tamburi.

“Altre volte mi portava a cavalluccio mentre camminavamo. Lì dove ero seduta la brezza era più calma, ma è da lì che ho visto la gente sdraiata sulla strada.
«Perché sono tutti sdraiati per terra?» ho chiesto a papà.
«Dormono» a detto lui. «Noi adesso non possiamo dormire perché dobbiamo andare da Mam».”

 

Nella seconda parte viene narrata l’esperienza americana, poiché Tutu e la sua famiglia si trasferiscono in America, dove già viveva Mam che stava studiando grazie ad una borsa di studio. E sarà in America che Tutu e le sorelle crescono e diventano adulte e affrontano molti altri problemi legati al razzismo e all’integrazione.

“«Guardami» ha detto. «Ti vergogni di me?»
«No» devo avere detto.
«Bene» ha continuato. «Perché se ti vergogni di me, allora ti vergogni di te stessa».
Avrei voluto discutere con lei ma non avevo né la forza né il coraggio di mentirle dicendo che non ero stata trasformata, che non ero vittima di un’educazione che non teneva conto di lei.
«Sei africana» ha detto, con le lacrime che le scorrevano sul viso. «Il libro, il libro che ti fanno vedere con gli africani nudi nelle giungle. Lo sai benissimo che non è così. Non lasciare che ti facciano vergognare, okay? Tu sei africana». Quelle parole mi facevano più male di quanto immaginassi. Non le avevo mai sentite prima di quella sera. Tu sei africana. Tu sei africana. Tu sei africana. Parole insieme così profondamente accusatorie e giudicanti che avrei voluto correre fuori dall’auto urlando. Tu sei africana, e mi è venuta voglia di stringere i pugni e combattere. E non sapevo perché.”


“Così noi venuti da Liberia e Nigeria ed Etiopia, da Ghana e Senegal e Repubblica Democratica del Congo, da Kenya, da Zambia e da ogni altro paese, spinti sull’oceano da quelle squame e denti digrignanti, alcuni prima dei nostri genitori e altri dopo, alcuni senza documenti e altri primi nelle loro famiglie a essere nati con il passaporto blu, ci alleniamo a essere neri, essere bianchi, essere americani, essere tutto quello che non siamo. Impariamo le parole, le abitudini, la rabbia, i modi che i nostri genitori sono qui da troppo poco tempo per tramandarci. Accettiamo le prese in giro, i soprannomi, le incomprensioni, le frasi come «In Africa cavalcavate le giraffe?» e «Lì ce l’avete tutti una casa?» e «Gli africani sono troppo aggressivi» e «Voi africani siete convinti di essere migliori» e «Bè, non sembri africana» e «Quando ho detto quella cosa, stavo parlando di altri africani» e «Qualcuno nella tua famiglia ha mai mandato una di quelle lettere-truffa nigeriane in cui chiedono soldi?» e «Ma sei americana?» e «Capelli nero-blu» e «Ci hai venduto» e «Maledetti africani» e «Lì gli uomini hanno più mogli?» e «Sai fare il voodoo?» e «Perché l’Africa è così povera?» e «Perché gli africani puzzano?» e «Grace Jones» e «National Geograpich» e «African Booty Scratcher» e «Non parli come una persona nera» e «I miei genitori donano soldi all’Africa» e «I neri sono così sensibili» e l’esageratamente entusiasta «Sììì, sorella!» e «Non sono razzista ma» e «Maledetti neri» e «Ma perché hanno macchine di lusso e vivono nelle case popolari?» e «Mia mamma non voleva dirla quella che cosa che ha detto. Lo sai come sono quelli delle generazioni precedenti alla nostra» e «Ti sei fatta aiutare con quel compito?» e «Se parli troppo dell’essere nero, sei tu a essere razzista» e «Questa volta non possiamo darle la promozione» e «Per me la razza non conta». Noi incassiamo tutto.” 

 

 

Infine c’è una terza parte che è il ritorno in Liberia, i genitori tornano a vivere nella terra natia e Tutu li raggiunge per una sorta di vacanza che però nasconde anche altri scopi (come rivedere la terra natale e cercare una persona importante del suo passato). Quella che troviamo qui è una Libreria post guerre civili che cerca di riprendersi, di tornare alla normalità ma che non potrà mai tornare davvero come prima, le ferite lasciate dagli di conflitto sono troppo profonde. E anche grazie alle domande, apparentemente ingenue della protagonista, si può riflettere molto sulla guerra e sulle sue cause. E ci ricorda una volta di più le grandi responsabilità che l’Occidente ha nei confronti dell’Africa e dei suoi popoli.

«Chi rovinerebbe le cose per cui combatte?» ho scosso la testa, disillusa.
«Forse non combattevano per la Liberia» ha detto papà a voce bassa, e poi le parole si sono attardate qualche istante, tormentandomi.
[…]
«Dove sono andati i ribelli?» ho chiesto a papà, e ho notato che con le mani stringeva forte il volante.
«Guarda fuori dal finestrino. Sono tutti qui intorno» ha detto. «Alcuni di questi tassisti, benzinai, guardie di sicurezza. Sono dappertutto».
«Si sono solo dati una ripulita e hanno ripreso a vivere le loro vite come se non fosse accaduto nulla» ha detto Mam.”

Ogni parte è a modo suo molto dolorosa e toccante. Sicuramente un libro non facile, si parla oltretutto di eventi successi poche decine di anni fa e che purtroppo succedono quotidianamente in giro per il mondo. 

Da quello che ho capito non è un memoir puro ma unisce l’esperienza personale con l’invenzione, le esperienze di Moore che è fuggita dalla Liberia in guerra e l’esperienza di essere africana e nera negli Stati Uniti, oltre all’esperienza del ritorno “in visita” nel paese natale.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete conoscete.


venerdì 7 marzo 2025

DOVREMMO ESSERE TUTTI FEMMINISTI di CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE

TITOLO: Dovremmo essere tutti femministi
AUTORE: Chimamanda Ngozi Adichie    traduzione di: Francesca Spinelli
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 56
PREZZO: € 9
GENERE: saggio, femminismo








Un libricino piccolo ma tanto prezioso che tutt* noi dovremmo leggere e rileggere.

Chimamanda Ngozie Adichie fornisce una propria definizione di femminismo ed è da qui che voglio partire: “La mia definizione di ‘femminista’ è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio.”

Esiste un problema con il genere e tutti possiamo fare qualcosa per risolverlo, anche nel nostro piccolo e nel quotidiano. Ed è un problema che riguarda tutti, non solo le donne (per quanto ne siano le principali vittime) ma anche gli uomini ne escono “penalizzati” ad esempio devono sempre apparire forti, duri e non devono mostrare le loro emozioni e i loro sentimenti, è un aspetto questo che mi sembra bene sottolineare soprattutto perché, come diremo poi, al femminismo si guarda spesso in modo negativo.

“Il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo. Immaginate quanto saremmo più felici, quanto ci sentiremmo più liberi di essere chi siamo veramente, senza il peso delle aspettative legate al genere.”

Affronta moltissimi aspetti della questione di genere e moltissimi pregiudizi e stereotipi che accompagnano, ancora oggi, la tematica. Il femminismo è spesso (o prevalentemente direi) visto in un accezione negativa, qualcosa di petulante e pretestuoso invece non è così, è un argomento che dovrebbe infiammare tutti! Tutti dovrebbero battersi per un mondo più equo e giusto, perché il problema del genere riguarda tutti indistintamente, perché anche se magari non ci tocca personalmente tutti abbiamo - non dico una o più figure femminili a cui siamo legati (moglie, figlia, sorella, amica) – una madre!

Un aspetto molto importante che sottolinea Adichie, che può magari sembrare banale ma che sta alla base di molte idee e abitudini, è che a furia di vedere e sentire qualcosa si finisce non solo a farci l’abitudine ma anche a somatizzare quello come verità assoluta.

 “Se facciamo di continuo una cosa, diventa normale. Se vediamo di continuo una cosa, diventa normale. Se solo i maschi diventano capoclasse, a un certo punto finiamo per pensare, anche se inconsciamente, che il capoclasse debba per forza essere un maschio. Se continuiamo a vedere solo uomini a capo delle grandi aziende, comincia a sembrarci ‘naturale’ che sono gli uomini possano guidare le grandi aziende.” Pag 9

Il linguaggio e l’approccio col lettore è semplice, diretto, colloquiale, ma al contempo anche intimo e personale è perfetto per farci capire di cosa stiamo parlando, per far immedesimare il lettore e farlo riflettere. Trovo che questo libro sia adatto a tutti, un ottimo primo approccio al tema oppure l’ascolto di una voce importante.

Riporta tantissime esperienze di vita dell’autrice che però ben si adattano a tutto il mondo.

Sicuramente voglio leggere altro di questa autrice, avevo già in wish list “Metà di un sole giallo” ma sicuramente recupererò “Ibisco viola” che viene citato nel testo e in generale voglio approfondire la sua produzione, è una voce che mi piace per come e cosa esprime.

Vi aspetto nei commenti per sapere se avete letto questo saggio e/o altre opere di Chimamanda Ngozi Adichie e per farmi consigliare altri testi femministi.


martedì 25 febbraio 2025

LE VEDOVE DI MALABAR HILL di SUJATA MASSEY

TITOLO: Le vedove di Malabar Hill. Le inchieste di Perveen Mistry
AUTORE: Sujata Massey       traduzione di: Laura Prandino
EDITORE: Beat
PAGINE: 448
PREZZO:€ 13,50
GENERE: letteratura indiana
LUOGHI VISITATI: India primi del '900


Un romanzo ad ambientazione storica che coniuga giallo/mistery, femminismo e Storia, quella dell’India coloniale dei primi del Novecento.

È il primo volume di una serie con protagonista l’avvocatessa Perveen Mistry (prima avvocatessa di Bombay) e investigatrice per caso.

Perveen ha delle grandissime responsabilità perché non vuole far sfigurare (o disonorare) il padre (avvocato famoso e richiesto), inutile dire che non ha vita facile, negli anni ’20 fare l’avvocatessa per un donna era difficile ovunque figuriamoci in una società come quella indiana, inoltre è un attiva sostenitrice dalla causa femminista.  Ma Perveen ha anche uno scheletro nell’armadio (tale Cyrus Sodawalla di Calcutta).

Abbiamo una narrazione particolare che alterna le vicende del presente narrativo (1921) con Perveen avvocatessa che si occupa del caso di Malabar Hill e un passato (anni 1916 e 1917) dove la seguiamo alle prese con un particolare capitolo della sua vita che nella parte presente viene visto come un “neo”, un errore, una storia d’amore tragica che l’ha profondamente segnata e che sembra essere ritornata a tormentarla… La narrazione è molto scorrevole e godibile, si alternano le due parti e spesso i capitoli si chiudono con dei cliffhanger

Venendo al caso “giallo” abbiamo un ricco commerciante musulmano il signor Omar Farid che è da poco deceduto, le tre mogli hanno comunicano di voler rinunciare all’asse ereditario in favore del ‘wake’ di famiglia (il wake è un istituto giuridico particolare oggetto di grandi attenzioni perché si presta anche alla realizzazione di frodi, riassumendo in maniera semplicissima si tratta di un fondo di investimento/beneficienza che dona periodicamente denaro ai bisognosi ma al contempo ripartisce dividenti ai favore di prestabiliti membri della famiglia). Compito di Perveen è quello di parlare con le donne per accertare la loro volontà (le vedove Razia, Sakina e Mumtaz vivono in clausura rispetto al mondo esterno), i rapporti tra le donne non sembrano dei più sereni e ci sono tanti segreti che nascondono. Ci sarà un delitto, viene trovato ucciso Faisal Mukri, l’amministratore ed esecutore testamentario viene quindi chiamata la polizia e inoltre scompare anche una delle figlie. Alla fine il caso verrà risolto grazie alla prontezza e perspicacia di Perveen che ha anche messo a repentaglio la sua vita.

Questo romanzo è il primo di una serie che voglio assolutamente continuare. Come dicevo all’inizio oltre alla parte “gialla” comunque molto bella, il romanzo è un concentrato d’India con il suo mix di culture e religioni, in questa storia si parla nello specifico di parsi o zoroastriani (comunità a cui appartengono Perveen e la sua famiglia) e musulmani (comunità a cui appartiene il signor Farid) ma ci sono accenni anche agli indù. C’è grandissima attenzione alla condizione femminile, il mondo delle donne è fatto di tabù e limitazioni (e questo a prescindere dalla confessione religiosa di appartenenza), alle donne serve l’approvazione scritta del marito o di un membro maschio della famiglia per molte cose come iscriversi all’università oppure la legge che disciplina il divorzio e non è causa di separazione “andare a prostitute” ovviamente se ad andarci è il marito! Infine la ricostruzione storica è davvero magnifica e ci racconta di un India nei primi decenni del ‘900 quando è colonia inglese ed emerge suppur in sottofondo anche la voglia di autodeterminazione degli indiani rispetto agli inglesi, e ci viene portato anche il punto di vista degli inglesi perché tra i personaggi c’è un amica di Perveen, Alice che è la figlia del consigliere del governatore.

 

Fatemi sapere se conoscete le storie con Perveen Mistry. Vi aspetto nei commenti


venerdì 21 febbraio 2025

IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE

TITOLO: Il favoloso mondo di Amélie
REGISTA: Jean-Pierre Jeunet
ATTORI PRINCIPALI:Audrey Tautou nel ruolo di Amélie Poulain
DURATA: 122 minuti
GENERE: commedia
AMBIENTAZIONE: Parigi 1997


Il favoloso mondo di Amélie è un film coccola, un sorta di favola romantica con lieto fine che fa bene allo spettatore.

Protagonista una giovane donna di nome Amélie Poulain una sognatrice che vive praticamente in un mondo di sua invenzione, con tante manie e rituali godendosi le piccole cose e lavora in un bar di Montmartre. 

La sera della morte della principessa Diana per caso trova dietro una mattonella di casa la scatola del tesoro di un bambino e decide di rintracciarlo per restituirgliela. Ma la nostra Amélie non la consegna direttamente, escogita una serie di stratagemmi e guarda il risultato che ottiene: rende migliore la vita di una persona. Così decide che quella sarà la sua missione e inizia dal padre (vedovo e chiuso in se stesso) facendo viaggiare per il mondo il suo adorato nano da giardino, continua poi con la portinaia, con avventori e colleghi del bar e con il droghiere.

Ma oltre a questa missione Amèlie troverà forse anche l’amore, in metropolitana nota un ragazzo, Nino che colleziona le fototessere gettate via, un giorno il ragazzo perde il suo album e per restituirlo Amèlie inventa (anche in questo caso) una serie di missioni e stratagemmi. I due sono davvero molto affini, entrambi sognatori e con degli hobby o delle manie piuttosto particolari.

 Amélie, come detto all’inizio, vive in un mondo frutto della sua fantasia e preferisce questo mondo inventato a quello reale dove ci si può far male. È un ragazza molto sola con un passato piuttosto triste ma a modo suo è felice e si dà da fare per aiutare gli altri ma è giusto come le suggerisce il suo amico “uomo di vetro” (un vecchio vicino di casa così soprannominato per la sua malattia) che anche lei sia felice o almeno ci provi.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo conoscete.


venerdì 7 febbraio 2025

SCOMPARTIMENTO N. 6 di ROSA LIKSOM

TITOLO: Scompartimento n. 6
AUTORE: Rosa Liksom       traduzione di: Delfina Sessa
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 240
PREZZO: € 16,50
GENERE: letteratura finlandese
LUOGHI VISITATI: Mosca anni '80 e viaggio sulla transiberiana

Scompartimento n. 6 ci porta alla scoperta di un impero in decadenza orami prossimo alla fine (l’Unione Sovietica negli anni ’80) attraverso un viaggio in treno sulla Transiberiana da Mosca ad Ulan Bator.

Protagonisti i due occupanti dello scompartimento n. 6 che volenti o nolenti dovranno farsi tutto il viaggio assieme e non potrebbero essere più diversi e distanti. Abbiamo un uomo -Vadim Nikolaevič Ivanov – russo di mezza età, fa periodicamente il viaggio perché lavora come carpentiere nella capitale mongola. È figlio dell’URSS e della sua indottrinatura, è l’emblema dell’uomo russo, quasi uno stereotipo, un tipo modello, una sorta di condensato della società russa. È un grandissimo chiacchierone, non fa altro che parlare e raccontare della sua vita e delle sue esperienze.

E poi c’è una ragazza, finlandese che si trova a fare il viaggio in solitaria forse per rincorrere un sogno o per trovare la propria via o per scappare da una realtà che la mette alla prova o forse tutte le cose assieme; di lei non sappiamo nemmeno il nome.

Nel corso della narrazione conosceremo la storia di entrambi, o tramite le chiacchere o tramite pensieri e l’intervento del narratore. Seppur così diversi alla fine nascerà un intesa o un amicizia? Io ci ho spero…

La scrittura è magnifica, a tratti brutale, dura, cruda ma al tempo stesso lirica e poetica, molto descrittiva che fa immergere il lettore in quello spazio/tempo. Il paesaggio che incontriamo durante il viaggio di per sé è bucolico ma l’intervento e la presenza umana è devastante, e ci viene riportata descrizioni non edulcorate, quasi violente. Fondamentalmente ci vengono raccontati i bassifondi, non la criminalità vera e propria, ma gli strati più bassi della scala sociale e molti ci sono finiti quasi per caso, lo stesso Vadim per esempio è praticamente un miracolo che sia ancora vivo. In generale i rapporti umani e famigliari (le famiglie che incontriamo sono disfunzionali, in primis quelle dei protagonisti) sono degradati: povertà, abbandono e tanto “fare da sé, arrangiarsi”.

“La locomotiva ululò due volte e il treno si mise in moto a sobbalzi. La settima sinfonia di Šostakovič irruppe dall’altoparlante di plastica, e così si allontana Novosibirsk, il frastuono dei suoi sobborghi in costruzione, il suo cielo levigato e soleggiato. Si allontana Novosibirsk, l’odore di acciaio marcio che penetra dal finestrino del vagone. Si allontanano il vago profumo di garofani chiari, l’aroma intenso dell’aglio e l’acre tanfo del sudore spremuto dai lavori forzati. Si allontanano Novosibirsk, gli installatori, i minatori, la città industriale dei sogni passati, cui fan la guardia moderne periferie annerite dal fumo, massacrate dalle intemperie e le tristi carcasse di migliaia di caseggiati prefabbricati. Si allontanano le luci cieche delle fabbriche che sudano a quaranta gradi sotto zero, i loro cancelli miagolanti, i grandi magazzini centrali, le carogne di gatti torturati agli angoli degli alberghi, le babbucce di feltro e i pantaloni di lana marroni, le botteghe delle cooperative di consumo, la terra stanca, Novosibirsk. Già la zona industriale cede il posto a un sobborgo corroso dall’inquinamento. Luce, luce abbagliante, e a un sobborgo segue un altro, luce e penombra, e sfreccia in direzione opposta un treno merci lungo come una notte di veglia, e ancora luce, la luce abbagliante del cielo siberiano, e sobborghi, periferie, sobborghi, agglomerati di case senza fine. Questa è ancora Novosibirsk: autocarri su una strada che non è una strada, un cavallo e una gabbia per fieno, una taiga siberiana, su cui fluttua una nebbia rossa. I boschi filano via a pazza velocità, un caseggiato di diciotto piani solitario in mezzo a campi devastanti sepolti sotto la neve. La foresta dilaga, questa non è più Novosibirsk: una collina, una valle, sottobosco. Il treno precipita verso la tundra ignota e Novosibirsk non è che un mucchio di pietre che vengono risucchiate lontano. Il treno si immerge nella natura, avanza pulsando attraverso il paese innevato, deserto.” Pag 89 e 90

Il libro ha avuto un grandissimo successo, inaspettato data la tematica (semplificando al massimo la Finlandia non ha un buon rapporto con la Russia), è in parte autobiografico nel senso che Rosa Liksom ha davvero fatto un viaggio sulla transiberiana da Mosca a Ulan Bator negli anni ’80 ed era quindi una giovane ragazza finlandese, e quindi penso si sia ispirata per le descrizioni alla sua esperienza non credo che abbia fatto il viaggio con un Vadim. Inoltre il libro è una sorta di omaggio allo scrittore russo Cechov e al suo racconto “La corsia n. 6” in entrambi, pur avendo un ambientazione molto diversa, si respira decadenza e nostalgia. Infine ho visto che da questo libro è stato tratto un film “Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino” anche se leggendo la trama online è piuttosto diversa da quella del libro, ciononostante in futuro potrei farci un pensierino.

Fatemi sapere se lo avete letto e se conoscete questa autrice.




giovedì 30 gennaio 2025

LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA

TITOLO: La signora dello zoo di Varsavia
REGISTA: Niki Caro
ATTORI PRINCIPALI: Jessica Chastain nel ruolo di Antonina ŻabińskaJohan Heldenbergh nel ruolo di Jan Żabiński e Daniel Brühl nel ruolo di Lutz Heck
DURATA: 126 minuti
GENERE: drammatico, biografico
AMBIENTAZIONE: Varsavia fine anni '30 primi anni '40




Un film drammatico che racconta la storia di una famiglia e di una donna, Antonina che ha messo a repentaglio la propria esistenza per salvare delle persone innocenti.

 Protagonista è Antonina Żabińska (interpretata da Jessica Chastain), una donna che ama fortemente gli animali a cui dedica tutta se stessa. Lei e il marito Jan Żabiński (interpretato da Johan Heldenbergh) gestiscono lo zoo di Varsavia allo scoppio della seconda guerra mondiale. Iniziata la guerra lo zoo viene requisito e occupato dai nazisti come base e mezzo di approvvigionamento ma gli Żabiński ottengono di poter continuare a viverci offrendosi di allevare maiali per il Reich andando a recuperare il nutrimento per gli animali al ghetto ebraico. Altro personaggio chiave è Lutz Heck (interpretato da Daniel Brühl) direttore dello zoo di Berlino e per questo conoscente degli Żabiński che allo scoppio della guerra si presenta come ufficiale SS nonché capo zoologo di Hitler. Heck ha mostrato già da tempo un ammirazione per Antonina che sicuramente gli Żabiński sfruttano per mantenere aperto lo zoo come allevamento di suini, ma Heck porta avanti anche un suo esperimento scientifico con dei bisonti dove (volente o nolente) Antonina partecipa.

Gli Żabiński fanno parte di un organizzazione che salverà molti ebrei facendoli fuggire dal ghetto (anzitutto con la scusa dei rifiuti come cibo per maiali escono nascoste delle persone, ma non è l’unico modo), ospitandoli nello zoo e a casa loro, aiutandoli nel camuffarsi da “ariani”. La particolarità che rende la storia degli Żabiński ancor più eroica è che loro avevano i nazisti fuori dalla porta!

Il film è diretto da Niki Caro e si basa sul libro Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman a sua volta tratto da una storia vera di Antonina Żabińska (ricostruita grazie ai suoi diari).

Fatemi sapere se lo conoscete. Un film perfetto da recuperare in occasione della giornata della memoria.


venerdì 24 gennaio 2025

IL SERGENTE DELLA NEVE di MARIO RIGONI STERN

TITOLO: Il sergente della neve
AUTORE: Mario Rigoni Stern
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 144
PREZZO: € 11,50
GENERE: letteratura italiana, memoir, campagna di Russia seconda guerra mondiale
LUOGHI VISITATI: Russia, seconda guerra mondiale


Il sergente della neve è il memoir di Mario Rigoni Stern sulla ritirata dalla campagna di Russia, una testimonianza generica al tempo stesso precisa, racconta solo i fatti, l’esperienza vissuta senza spiegazioni, come dice lo stesso Rigoni Stern ci sono solo nomi di Alpini e non di luoghi perché quelli lui non li conosceva. Si tratta a tutti gli effetti di un memoriale, non è e non vuole essere un romanzo quindi non ci sono particolari spiegazioni e soprattutto c’è tanto non detto semplicemente perché non conosciuto dall’autore stesso.

Il libro racconta un’esperienza di guerra, è una lettura meno “pesante” di quello che mi aspettavo ma comunque molto intensa e dolorosa si occupa della ritirata dalla Russia, sappiamo già come è andata la campagna di Russia e cosa possiamo aspettarci dai ricordi di scuola. La narrazione si divide in due parti la prima (la più breve) che racconta della vita in trincea e poi la seconda parte che è quella più cospicua narra della ritirata. La ritirata dal fronte russo è una marcia lunghissima nel freddo e nella neve, praticamente senza cibo e riposo dove devono comunque combattere contro i russi che contrattaccano (mica li lasciano andare via come nulla fosse) quindi è pieno di imboscate e battaglie, tra cui la tristemente famosa battaglia di Nikolaevka.

“Viene il 26 gennaio 1943, questo giorno di cui si è già tanto parlato. È l’aurora. Il sole sta sorgento dal basso orizzonte ci manda i suoi primi raggi. Il biancore della neve e il sole abbagliano gli occhi. […] Affacciandoci ad una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con un treno pronto per noi. Saremo fuori dalla sacca se raggiungiamo la ferrovia.” Pag 103


Rigoni è in un battaglione di Alpini e racconta la sua esperienza che è personale ma al tempo stesso comune a molti altri, trattandosi di un memoir noi lettori sappiamo che Rigoni Stern ce l’ha fatta è tornato a casa grazie al suo coraggio (tantissimo), agli sforzi e alla sofferenza ma anche a tanta, tantissima fortuna. Ha avuto la capacità di mantenere un grande sangue freddo e grandi capacità organizzative e di comando, ma anche una grande umanità (che dimostra non solo verso i compagni ma anche verso la popolazione russa che lo ripaga con del cibo). Durante la narrazione Rigoni trova spesso delle assonanze tra ciò che vede in Russia (persone e luoghi) con il suo paese e i suoi paesani e in generale con l’Italia e gli italiani a sottolineare ulteriormente che non ha perso l’umanità anzi è un occhio lucido, attento e realistico.

“È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la neve, le nubi, le montagne e i volti dei bambini che giocano son le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Ma anche laggiù in quell’estremo lembo della steppa c’era un angolo caldo. La neve era intatta, l’orizzonte viola, e gli alberi si alzavano verso il cielo: betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppo di isbe. Pareva che non ci fosse la guerra laggiù; erano fuori dal tempo e fuori dal mondo, tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora. Lì aggiustavano gli aratri e le cinghie dei cavalli; i vecchi fumavano, le donne filavano la canapa. Non ci poteva essere la guerra sotto quel cielo viola e quelle betulle bianche, in quelle isbe lontane nelle steppa. Pensavo: «Voglio anch’io andare in quel caldo, e poi si scioglierà la neve, le betulle si faranno verdi e ascolterò la terra germogliare. Andrò nella steppa con le vacche, e alla sera, fumando macorka, ascolterò cantare le quaglie nel campo di grano. D’autunno taglierò a fette le mele e le pere per fare gli sciroppi e aggiusterò le cinghie dei cavalli e gli aratri e diventerò vecchio senza che mai ci sia stata la guerra. Dimenticherò tutto e crederò di essere sempre stato là». Guardavo quel caldo e si faceva sempre più sera.” Pag 67

Una testimonianza importantissima da leggere e una base per approfondire, non è uno storico a parlare ma un ragazzo comune che ha vissuto la campagna di Russia e il rientro “a baita” sulla sua pelle. Non è una lettura facile soprattutto verso la fine ci sono delle pagine per me dolorosissime e difficili (alla fine Rigoni ci dirà chi dei suoi compagni che abbiamo conosciuto all’inizio ce l’ha fatta e chi no, e mi ero affezionata molto ad alcuni). In questo libro si dà voce a tutti quelli che sono tornati ma anche a quelli che non ce l’hanno fatta, si dà voce a chi ha pagato con la vita l’invasione della Russia (inutile come tutte le guerre).

“Ecco, ora è finita la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo ancora camminato. Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero ancora da dire, ma queste è un’altra storia.” pag 126



Non posso che consigliarvelo, è un libro meraviglioso, sicuramente straziante ma anche necessario.

Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cos’altro mi consigliate di Rigoni Stern.


venerdì 17 gennaio 2025

IL COMMESSO di BERNARD MALAMUD

TITOLO: Il commesso 
AUTORE: Bernard Malamud         traduzione di: Giancarlo Buzzi
EDITORE: Minimum Fax
PAGINE: 327
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York fine anni '50




Un libro che mi è piaciuto molto e di cui mi risulta molto difficile parlare, mi capita con i libri che mi piacciono tanto talmente tanto da non trovare le parole.

Pubblicato nel 1957 ha un ambientazione coeva che oggi direi vintage: una New York d’altri tempi dove un panino costa 3 centesimi.

La storia è quella di un negoziante ebreo, Morris Bober e del suo negozio di alimentari a Brooklyn. Il negozio è l’unica ragione di vita di Morris ma anche ciò che gli ha rubato la giovinezza, che gli sta succhiando tutte le energie e in definitiva la vita (praticamente Morris è “sepolto” dentro al suo negozio da quarant’anni, esce raramente e mai dal quartiere) e nonostante il grandissimo impegno, tiene aperto dalle sei del mattino alle dieci di sera, il negozio non dà ai Bober abbastanza per tirare avanti e devono integrare con il magro stipendio della figlia Helen. Ci sarebbero tante cose da fare, da migliorare per stare al passo con i tempi e la concorrenza ma non ci sono i soldi, il negozio è lo stesso da decenni, ormai è fatiscente e i clienti sempre più scarsi, anche i più fedeli si rivolgono alla concorrenza. Uno dei problemi è proprio la presenza di nuovi supermercati nel quartiere, supermercati moderni e attrezzati che inoltre sono gestiti da “gentili”. I Bober sono ebrei ma vivono in un quartiere “normale” (cioè non ebraico o a maggioranza ebraica) e la loro appartenenza razziale è motivo di discrimine.

Abbiamo una narrazione lenta, tutto è incentrato sul negozio che è praticamente anche, salvo pochissime eccezioni, l’unico luogo dove vediamo i personaggi, dove si svolge “l’azione”. È un libro molto statico e molto introspettivo: Malamud scandaglia approfonditamente l’animo dei personaggi, ci racconta quello che dicono e quello che fanno ma anche e soprattutto i loro pensieri, sentimenti, paure, timori e le loro aspirazioni. Malamud appartiene al filone della narrativa ebraico-americana come Philip Roth e come Saul Bellow (per citare i più famosi), ho letto che è considerato il padre letterario di Roth (anche se quest’ultimo si discosta per essere molto più diretto e pungente). 

Voglio spendere due parole sui personaggi che sono il fulcro principale della narrazione che come detto sopra non è di azioni ma di introspezioni.

C’è la famiglia Bober composta da Morris, la moglie Ida e la figlia Helen, sono ebrei osservanti e per loro l’appartenenza religiosa è molto importante, non accetterebbero mai un matrimonio misto per la figlia.

Helen ha le idee chiare, è pratica e pragmatica, forse un po’ troppo idealista e per questo si è fatta terra bruciata intorno, è terribilmente sola l’unica compagnia le viene dai libri e dalla lettura. Non che sia priva di ammiratori, è anche una bella ragazza e nello stesso quartiere vivono altre due famiglie ebree in entrambe ci sarebbe un possibile pretendente, una ragazzo interessato ma lei vuole qualcosa di diverso, sogna e vuole una vita con determinate caratteristiche e non accetta compressi.

Il personaggio di Morris è pazzesco, è l’onesta fatta persona, non ruberebbe un grammo mentre gli altri non si fanno scrupoli a derubarlo e ingannarlo. È un sessantacinquenne ebreo emigrato dalla Russia zarista che cerca di realizzare il sogno americano con il suo negozio di alimentari a Brooklyn. È un uomo buono e onesto, che però si scontra con la dura realtà della vita, le perdite, la vecchiaia, la malattia e soprattutto il progresso.

“«Perché ho sgobbato tanto? Dov’è, dov’è finita la mia giovinezza?»
Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa? Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sé. Bastava soltanto scegliere la strada giusta e lui invece aveva scelto quella sbagliata. Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. Per capirne il motivo bisognava possedere un’istruzione che lui non aveva. Tutto ciò che sapeva era che voleva qualcosa di meglio, ma in tutti questi anni non era mai riuscito a trovare il sistema per ottenerlo. La fortuna era un dono. Karp ce l’aveva, e anche qualche suo vecchio amico, individui ricchi che ormai erano nonni, mentre la sua povera figliuola, fatta sua immagine, rischiava – se pure non se lo poneva come obiettivo -  di restare zitella. La vita era ben povera cosa e il mondo cambiava in peggio. L’America era diventata troppo complicata e un uomo non contava più nulla. Troppi negozi, troppe depressioni, troppe ansie. Cosa aveva voluto fuggire, venendo qui?” pag 276 e 277

Infine il “commesso” del titolo Frank Alpine: un giovane di origini italiane, senza fissa dimora, un piccolo delinquente con un burrascoso passato alle spalle con la spola tra orfanatrofi e famiglie affidatarie poco amorevoli. Un ragazzo cresciuto da solo e per strada che ha sempre potuto contare solo su stesso. A un certo punto (anche per delle ragioni che si scoprono nel libro) decide di redimersi, di impegnarsi a diventare una persona migliore e come fa? Facendo il garzone per i Bober, in realtà praticamente imponendosi come garzone, il suo aiuto è molto prezioso i Bober ormai sono vecchi. Alla ragione iniziale se ne aggiungerà un’altra, io direi piuttosto scontata, un infatuazione, un interesse per Helen. (Dico scontata perché abbiamo vicino due ragazzi dannatamente soli e bisognosi di comprensione).

Voglio leggere altro di Malamud a me è piaciuto molto. Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cosa mi consigliate.