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venerdì 3 ottobre 2025

PELLICCE, TACCHI A SPILLO E UN CADAVERE NEL BAGAGLIAIO di DAR'JA DONCOVA

TITOLO: Pellicce, tacchi a spillo e un cadavere nel bagagliaio 
AUTORE: Dar'ja Doncova   traduzione di: C. De Lotto
EDITORE: Sonzogno
PAGINE: 393
PREZZO: disponibile solo all'usato
GENERE: letteratura russa
LUOGHI VISITATI: Mosca fine anni '90

 

 


 

Se cercate un giallo con una protagonista sopra le righe (leggasi matta come un cavallo) che si lancia in un’avventura pazzesca, perché grandissima fan di Agatha Christie e approfitta di ogni occasione per cimentarsi nella risoluzione di gialli, con il plus di essere ambientato in Russia nei primi anni ’90 questo è il libro che fa per voi.

È un libro che intrattiene, che avvince, che tiene compagnia e permette anche di buttare l’occhio su uno scorcio di Russia, una Russia abbastanza contemporanea poiché siamo alla fine degli anni ’90 (c’è proprio un riferimento temporale all’interno della storia).

Sicuramente il focus principale è la trama ed è un giallo, non è un libro che brilla per la scrittura (e questa considerazione mi è venuta spontanea solo perché subito dopo ho letto Dio di illusioni di Donna Tartt) ma al contempo permette di avvicinarsi alla letteratura russa con qualcosa che non sia un classico (non che ci sia nulla di male, chiaramente ma talvolta ci sta anche qualcosa di più leggero) e permette anche di avvicinarsi alla società russa. Infine se vogliamo attraverso una protagonista sui generis porta anche a chiedersi io farei lo stesso? Metterei a rischio la mia vita per aiutare gli altri? Molto probabilmente no, pur nella sua semplicità può portare il lettore a riflettere non solo su cosa farebbe al posto di Dar’ja, ma anche su quella che è la società contemporanea e cosa possiamo fare noi semplici cittadini.

Veniamo quindi alla trama, la protagonista Dar’ja trova un morto nel suo bagagliaio, il suo amico e colonnello della polizia Aleksandr Michajlovič Degtjarev, conoscendola, la invita molto caldamente a starne fuori. E potrebbe anche averla convinta, se non fosse che pochi giorni dopo riceve una telefonata da un’amica francese che la chiama disperata perché suo marito, Basil (amico di Dar’ja) è scomparso dopo essersi recato a Mosca per lavoro e, ciliegina sulla torta, il socio in affari di Basil è proprio l’uomo che Dar’ja ha trovato morto nel suo bagagliaio. Iniziano così una serie di avventure alla ricerca della verità.

Dar’ja è piena di inventiva, è una maestra dei travestimenti e non si risparmia minimamente (nemmeno dal punto di vista economico) e non desiste neanche quando alcune persone coinvolte vengono uccise.

La protagonista è anche una donna estremamente altruista oltre ad accogliere molti ospiti in casa, quando nel corso delle vicende si “scontra” con la povertà di brave persone corre al supermercato a fare spesa, aiuta il prossimo come può. Noi la conosciamo ricchissima, ma non è sempre stata così e non si scorda il suo passato. È un personaggio strampalato ma al tempo stesso molto umano, interessante e simpatico.

C’è tanta Mosca, tanta ospitalità e cordialità che penso siano tipiche russe. Come dicevo all’inizio se la scrittura è piana, lineare e semplice (e per me non sono elementi negativi, anzi) ho avuto un po’ di difficoltà con i nomi sia perché diversi dai nostri sia soprattutto perché compositi di nome/cognome/patronimico, la declinazione al femminile dei cognomi per le donne, e poi un uso massiccio di soprannomi e abbreviativi, diciamo che se non si è molto abituati come me ci vuole un pochino a capire il meccanismo.

Se ho capito bene, questo libro è il primo o comunque fa parte di una serie (anche piuttosto lunga) di gialli con protagonista sempre Dar’ja e non nego che mi piacerebbe recuperarne qualcuno. Però non riesco a trovare nulla

Fatemi sapere nei commenti se le avete letto.

martedì 29 dicembre 2020

MOSCA-PETUŠKĺ. POEMA FERROVIARIO DI VENEDIKT EROFEEV

TITOLO: Mosca - Petuškì. Poema ferroviario
AUTORE: Venedikt Erofeev traduzione di Paolo Nori
EDITORE: Quodlibet Edizioni
PAGINE: 205
PREZZO: € 15,00
GENERE: letteratura russa, letteratura contemporanea, letteratura surreale
LUOGHI VISITATI: Unione Sovietica tra gli anni '60 e '70 circa

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


Un romanzo interessante sotto certi versi, ma che ho faticato moltissimo a leggere. Come mi aspettavo è surreale, incomprensibile e indefinito. Alterna momenti di pura fantasia, di visione; a momenti di descrizione della vita in Urss come l’abitudine di bere alcolici (sia bevande alcoliche in senso proprio che sostanze che contengono alcol o derivati come ad esempio i profumi e le acque di colonia). Uno degli aspetti più interessanti è la visione dell’alcol e dello stato perenne di ubriachezza come un mezzo di protesta, di dissenso politico e di opposizione al regime, è senz’altro una forma (e/o una visione) di protesta politica estremamente originale.

La figura di Venedikt Erofeev è quasi leggendaria perché nella Russia comunista è stato disoccupato e addirittura senza fissa dimora, due cose impossibili in Unione Sovietica; ovviamente era uno scrittore non accettato, non riconosciuto ufficialmente.

Questa è la sua opera più famosa, dietro c’è una curiosità tutta russa, è stato un “Samizdat”: si tratta di una specie di auto pubblicazione dell’opera che gira clandestinamente sotto forma di dattiloscritti su carta carbone, spesso lasciavano la Russia e venivano pubblicate in occidente, come è successo a questo libro che è stato pubblicato per la prima volta nel 1973 in Israele mentre in Russia è stato ammesso e pubblicato solo dopo il 1990.

Si tratta del racconto diretto, in prima persona con continui riferimenti e dialoghi con un pubblico di lettori immaginario.

Protagonista è l’alter ego dell’autore che da Mosca prende un treno diretto a Petuškì. Il viaggio è complicato, anzitutto perché Venička deve raggiungere la stazione di Kursk ma gira ubriaco per la capitale; una volta sul treno iniziano una serie di racconti e dialoghi con altri passeggeri (tutti ubriachi) a cui si alternano i monologhi e le visioni personali del protagonista. Interessanti le digressioni su particolari esperienze del protagonista come quelle lavorative, il viaggio in giro per l’Europa e una sorta di rivolta con tanto di dichiarazione di guerra alla Norvegia. Emerge una particolare visione di vita dove tutto è dettato dall’alcol e l’essere ‘inciclonato’ o meno determina anche il modo di comportarsi e le necessità dell’uomo.

“Un bel lampadario. Un po’ troppo pesante. Se si fosse staccato e fosse caduto in testa a qualcuno, gli avrebbe fatto male… Cioè, poi, a dire il vero, neanche male. Intanto che si sgancia e vola, tu sei seduto e, senza sospettare niente, bevi, per esempio, uno xeres. E quando lui ti raggiunge, non sei più tra i vivi. Pesante, questo pensiero: tu sei seduto, e sulla tua testa ti cade un lampadario. Molto pesante, come pensiero…
Ma no, perché pesante!... Se tu, mettiamo, bevi dello xeres, e ti è già passato l’anticiclone, non è un pensiero molto pesante. Ma se sei seduto che ti sei inciclonato e non sei riuscito a farti passare l’anticiclone, e lo xeres non te lo danno, e oltretutto di cade in testa il lampadario, ecco, questo è pesante… molto opprimente, come pensiero. Un pensiero che non tutti riuscirebbero a sopportare. Soprattutto se sei inciclonato…”

Sotto certi versi è un’opera tragicomica, non mancano risvolti quasi divertenti. È assolutamente confuso e incomprensibile. L’aspetto sintattico e lessicale è molto particolare, ricco di ripetizioni, punti di sospensione e punti esclamativi, dialoghi e monologhi. Ma è anche ricco di tantissimi riferimenti e citazioni di autori e opere famose sia russi che europei.

“Lo sa il diavolo, con che genere letterario arriverò a Petuškì. A partire da Mosca ero stato tutto un saggio filosofico e memorie, erano state tutte poesie in prosa, come in Ivan Turgenev… Adesso cominciava il racconto poliziesco… Avevo dato un’occhiata dentro la valigetta, era tutto a posto, lì? Lì era tutto a posto. Ma dov’erano quei cento grammi? E chi pescare?”

 

Nell’opera elemento fondamentale è l’alcol e il bere in tutte le sue possibili forme e alla fine emerge un’interpretazione della vita su questa terra sotto forma di parallelismo con l’ubriachezza.

“E se un giorno morirò (morirò molto presto, lo so), morirò senza aver accettato questo mondo, avendolo compreso da vicino e da lontano, avendolo compreso da fuori e da dentro, ma senza averlo accettato, morirò, e Lui mi chiederà: «Sei stato bene lì? Sei stato male?», e io starò zitto, abbasserò gli occhi e starò zitto, e questo mutismo lo conoscono tutti quelli che cercano una via d’uscita da un lungo e pensante anticiclone. Perché la vita umana, non è forse una breve ciclone dell’anima? E anche un’eclissi dell’anima. È come se tutti noi fossimo ubriachi, solo ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Una ha già vomitato, e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso a avere il vomito. E io, cosa ho fatto io? Io ho assaggiato molta roba, ma non mi ha fatto effetto, e non ho riso neanche una volta come si deve, e non mi è mai venuto il vomito. Io, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, io sono il più sobrio di tutti, a questo mondo: mi va, semplicemente, stretto. «Perché taci?», mi chiede il Signore, tutto circondato da dei fulmini blu. E cosa gli rispondo? Faccio così: taccio, taccio…”

Erofeev è oggi un autore russo “moderno” piuttosto conosciuto, ho scelto di leggere questo libro per il progetto #ilgirodelmondoin12letture attratta principalmente dalla traduzione di Paolo Nori; come detto all’inizio non è stata una lettura facile, la confusione, l’indeterminatezza, l’assenza di una vera e propria trama sono elementi che mi pesano molto durante la lettura, e devo essere sincera me lo aspettavo perché leggendo le trame di altri romanzi della Russia ‘moderna e contemporanea’ questi elementi uniti al surreale sono molto comuni.

Voi conoscete Erofeev? Avete mai letto qualche sua opera? Fatemi sapere nei commenti.