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martedì 29 dicembre 2020

MOSCA-PETUŠKĺ. POEMA FERROVIARIO DI VENEDIKT EROFEEV

TITOLO: Mosca - Petuškì. Poema ferroviario
AUTORE: Venedikt Erofeev traduzione di Paolo Nori
EDITORE: Quodlibet Edizioni
PAGINE: 205
PREZZO: € 15,00
GENERE: letteratura russa, letteratura contemporanea, letteratura surreale
LUOGHI VISITATI: Unione Sovietica tra gli anni '60 e '70 circa

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Un romanzo interessante sotto certi versi, ma che ho faticato moltissimo a leggere. Come mi aspettavo è surreale, incomprensibile e indefinito. Alterna momenti di pura fantasia, di visione; a momenti di descrizione della vita in Urss come l’abitudine di bere alcolici (sia bevande alcoliche in senso proprio che sostanze che contengono alcol o derivati come ad esempio i profumi e le acque di colonia). Uno degli aspetti più interessanti è la visione dell’alcol e dello stato perenne di ubriachezza come un mezzo di protesta, di dissenso politico e di opposizione al regime, è senz’altro una forma (e/o una visione) di protesta politica estremamente originale.

La figura di Venedikt Erofeev è quasi leggendaria perché nella Russia comunista è stato disoccupato e addirittura senza fissa dimora, due cose impossibili in Unione Sovietica; ovviamente era uno scrittore non accettato, non riconosciuto ufficialmente.

Questa è la sua opera più famosa, dietro c’è una curiosità tutta russa, è stato un “Samizdat”: si tratta di una specie di auto pubblicazione dell’opera che gira clandestinamente sotto forma di dattiloscritti su carta carbone, spesso lasciavano la Russia e venivano pubblicate in occidente, come è successo a questo libro che è stato pubblicato per la prima volta nel 1973 in Israele mentre in Russia è stato ammesso e pubblicato solo dopo il 1990.

Si tratta del racconto diretto, in prima persona con continui riferimenti e dialoghi con un pubblico di lettori immaginario.

Protagonista è l’alter ego dell’autore che da Mosca prende un treno diretto a Petuškì. Il viaggio è complicato, anzitutto perché Venička deve raggiungere la stazione di Kursk ma gira ubriaco per la capitale; una volta sul treno iniziano una serie di racconti e dialoghi con altri passeggeri (tutti ubriachi) a cui si alternano i monologhi e le visioni personali del protagonista. Interessanti le digressioni su particolari esperienze del protagonista come quelle lavorative, il viaggio in giro per l’Europa e una sorta di rivolta con tanto di dichiarazione di guerra alla Norvegia. Emerge una particolare visione di vita dove tutto è dettato dall’alcol e l’essere ‘inciclonato’ o meno determina anche il modo di comportarsi e le necessità dell’uomo.

“Un bel lampadario. Un po’ troppo pesante. Se si fosse staccato e fosse caduto in testa a qualcuno, gli avrebbe fatto male… Cioè, poi, a dire il vero, neanche male. Intanto che si sgancia e vola, tu sei seduto e, senza sospettare niente, bevi, per esempio, uno xeres. E quando lui ti raggiunge, non sei più tra i vivi. Pesante, questo pensiero: tu sei seduto, e sulla tua testa ti cade un lampadario. Molto pesante, come pensiero…
Ma no, perché pesante!... Se tu, mettiamo, bevi dello xeres, e ti è già passato l’anticiclone, non è un pensiero molto pesante. Ma se sei seduto che ti sei inciclonato e non sei riuscito a farti passare l’anticiclone, e lo xeres non te lo danno, e oltretutto di cade in testa il lampadario, ecco, questo è pesante… molto opprimente, come pensiero. Un pensiero che non tutti riuscirebbero a sopportare. Soprattutto se sei inciclonato…”

Sotto certi versi è un’opera tragicomica, non mancano risvolti quasi divertenti. È assolutamente confuso e incomprensibile. L’aspetto sintattico e lessicale è molto particolare, ricco di ripetizioni, punti di sospensione e punti esclamativi, dialoghi e monologhi. Ma è anche ricco di tantissimi riferimenti e citazioni di autori e opere famose sia russi che europei.

“Lo sa il diavolo, con che genere letterario arriverò a Petuškì. A partire da Mosca ero stato tutto un saggio filosofico e memorie, erano state tutte poesie in prosa, come in Ivan Turgenev… Adesso cominciava il racconto poliziesco… Avevo dato un’occhiata dentro la valigetta, era tutto a posto, lì? Lì era tutto a posto. Ma dov’erano quei cento grammi? E chi pescare?”

 

Nell’opera elemento fondamentale è l’alcol e il bere in tutte le sue possibili forme e alla fine emerge un’interpretazione della vita su questa terra sotto forma di parallelismo con l’ubriachezza.

“E se un giorno morirò (morirò molto presto, lo so), morirò senza aver accettato questo mondo, avendolo compreso da vicino e da lontano, avendolo compreso da fuori e da dentro, ma senza averlo accettato, morirò, e Lui mi chiederà: «Sei stato bene lì? Sei stato male?», e io starò zitto, abbasserò gli occhi e starò zitto, e questo mutismo lo conoscono tutti quelli che cercano una via d’uscita da un lungo e pensante anticiclone. Perché la vita umana, non è forse una breve ciclone dell’anima? E anche un’eclissi dell’anima. È come se tutti noi fossimo ubriachi, solo ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Una ha già vomitato, e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso a avere il vomito. E io, cosa ho fatto io? Io ho assaggiato molta roba, ma non mi ha fatto effetto, e non ho riso neanche una volta come si deve, e non mi è mai venuto il vomito. Io, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, io sono il più sobrio di tutti, a questo mondo: mi va, semplicemente, stretto. «Perché taci?», mi chiede il Signore, tutto circondato da dei fulmini blu. E cosa gli rispondo? Faccio così: taccio, taccio…”

Erofeev è oggi un autore russo “moderno” piuttosto conosciuto, ho scelto di leggere questo libro per il progetto #ilgirodelmondoin12letture attratta principalmente dalla traduzione di Paolo Nori; come detto all’inizio non è stata una lettura facile, la confusione, l’indeterminatezza, l’assenza di una vera e propria trama sono elementi che mi pesano molto durante la lettura, e devo essere sincera me lo aspettavo perché leggendo le trame di altri romanzi della Russia ‘moderna e contemporanea’ questi elementi uniti al surreale sono molto comuni.

Voi conoscete Erofeev? Avete mai letto qualche sua opera? Fatemi sapere nei commenti.

 

lunedì 24 febbraio 2020

I RUSSI SONO MATTI - PAOLO NORI


TITOLO: I russi sono matti - Corso Sintetico di letteratura russa 1820-1991
AUTORE: Paolo Nori
EDITORE: Utet
PAGINE: 184
PREZZO: € 15,00
GENERE: letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: letteratura russa
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)



Esilarante, con ironia e la battuta riesce a tramettere molto sia sulla letteratura russa (traspare tutto l’amore e la passione di Nori) ma anche sul vivere quotidiano, e fornisce una grande lezione di vita.
Titolo e sottotitolo sono fondamentali: dicono già tutto.
Il titolo - I russi sono matti – è legato all’analisi degli scrittori più importanti che in un modo o nell’altro erano un po’ pazzerelli, avendo comportamenti e filosofie di vita singolari un esempio, noto a tutti, Tolstoj odiava il personaggio/romanzo di Anna Karenina.
Il sottotitolo - corso sintetico di letteratura russa- spiega ciò che andremo a leggere: viene spiegato come nasce il romanzo russo (che è quello scritto in russo, prima si scriveva in altre lingue, per lo più francese) e come finisce (oggi la letteratura russa è profondamente cambiata, dopo la caduta dell’URSS c’è stato un passaggio/virata verso l’omologazione alla letteratura occidentale), lo analizza per macro aree e per il tramite delle vite e opere dei suoi più grandi esponenti.

Come dicevo è suddiviso in tre macro parti: potere, amore e byt. 

Nella sezione dedicata al potere si analizza, almeno questa è la mia personalissima interpretazione, il potere della letteratura, non la rappresentazione del potere all’interno dei romanzi, ma il grande potere che i romanzi hanno sulle persone un esempio può essere dato dalla diversa concezione della fustigazione differenza tra il pensiero di Tolstoj e quello di Gogol tanto che le persone per esprimere il proprio potevano dirsi in accordo oppure in disaccordo con uno o l’altro dei grandi scrittori e tutti capivano. Ma soprattutto anche il potere di mostrare le cose, far sì che le cose vengano viste come per la prima volta. Emerge tutto il potere della letteratura e la paura che questo potere genera (o può generare) nell’autorità statale.

“…c’è stato un periodo, negli anni settanta, che il fenomeno del samizdat aveva raggiunto un livello, in Russia, che praticamente si leggevano solo romanzi in samizdat […….] se un libro veniva pubblicato, dice Dovlatov, voleva dire che valeva poco. Perché i libri che valevano tanto, sembra incredibile, i libri che dicevano delle cose importanti, sembra incredibile, facevano paura. Lo stato, il grande stato sovietico, il grande regime sovietico, la più grande potenza mondiale, aveva paura dei libri.”
Nella sezione amore si analizza come il tema venga affrontato nei romanzi russi, facendo emerge una loro grande caratteristica: finiscono male (anche quando finiscono, apparentemente, bene). In questa parte vengono analizzati due romanzi “Anna Karenina” di Tolstoj e “Il maestro e Margherita” di Bulgakov; sono, per ora, gli unici due romanzi russi che io abbia letto, e ritrovarli e vedere l’interpretazione di Nori è stato magnifico.

Nella sezione byt si analizza un qualcosa che può essere tradotto come la vita quotidiana: emerge qui un'altra grande caratteristica dei romanzi russi la loro capacità di mostrare la vita di tutti i giorni fornendoci uno spaccato meraviglioso, anche della quotidianità e delle usanze/tradizioni.

La scrittura è particolare, quasi colloquiale, la costruzione stessa delle frasi è molto articolata, ricca di frasi subordinate, di congiunzioni e di aggettivi. Sembra un dialogo tra il narratore (Paolo Nori) e il lettore, cioè sembra di essere a prendere un caffè con Nori che ti racconta della letteratura russa.
Mi sono innamorata follemente del libro (e del suo autore) dopo nemmeno una pagina, tanto da andare sulla quarta di copertina per vedere chi è Paolo Nori; e cosa ci trovo scritto: “Paolo Nori, nato a Parma nel 1963, abita a Casalecchio di Reno e scrive dei libri; l’ultimo, prima di questo, è La grande Russia portatile” libro che io posseggo anche se non ho ancora letto e a questo punto davvero non vedo l’ora.
“I russi sono matti” l’ho scoperto quando partecipavo al gruppo di lettura su “Anna Karenina” organizzato da Serena de @ilcaffegatto, ad un certo punto sulla chat del gruppo è spuntato questo volume, me lo sono appuntato e poi comprato senza saperne niente, mi aspettavo qualcosa di più “accademico” e “palloso” (preciso – chi mi conosce lo sa bene – a me i libri pallosi tendono a piacere, è un complimento) invece riesce a riassumere (e insegnare moltissimo) sulla letteratura russa in modo divertente e coinvolgente.
Trovo che questo libro sia un ottima idea regalo, perfetta sia per quei lettori che già amano la letteratura russa, sia per quelli che invece ne sono spaventati perché qui potranno fare conoscenza senza impegno. 
Siete amanti della letteratura russa? Conoscete questo volume di Paolo Nori?