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venerdì 12 settembre 2025

IO NON MI CHIAMO MIRIAM di MAJGULL AXELSSON

TITOLO: Io non mi chiamo Miriam
AUTORE: Majgull Axelsson   traduzione di: Laura Cangemi
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 562
PREZZO: € 19,50
GENERE: letteratura svedese
LUOGHI VISITATI: Nässjö - Svezia anni '50 e Germania anni '40





“Lanciò un’occhiata alla propria immagine riflessa sulla finestra buia. Aveva esattamente l’aspetto che voleva avere: come in un’inserzione pubblicitaria Vecko-Journalen. Capelli ben pettinati. Vestito impeccabile con la vita sottile e la gonna ampia. Un grembiulino ricamato utile più come decorazione che per proteggere. E poi la collana di perle, il regalo più bello dell’ultimo Natale, quel gioiello che la intimoriva ancora ogni volta che se lo metteva. Come aveva fatto proprio lei, Miriam o Malika, la zingara, la prigioniera di due campi di concentramento, la bugiarda, a diventare una signora sorridente con tanto di collana di perle? Com’era successo?”

 

Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson è un libro estremamente doloroso e interessante sotto molti punti di vista. Protagonista e voce narrante è Miriam una vecchietta che vive in Svezia e che il giorno del suo 85°compleanno, per ragioni a lei inspiegabili, l’io, la coscienza le riportano alla mente il suo triste passato. Tutti conoscono il suo passato, Miriam è una sopravvissuta all’olocausto, è uscita viva da ben due campi di concentramento nazisti, quello che praticamente nessuno sa però è che lei non è ebrea come tutti credono ma una rom e per una serie di ragioni fortuite e casuali si ritrova ebrea (!!! Possibile spoiler!!!! Durante un trasferimento cambia la sua divisa e alcune altre prigioniere la chiamano Miriam -il nome della ragazza ebrea a cui quella divisa apparteneva prima – il numero di matricola è praticamente identico e così dal caso nascono una serie di altre coincidenze e lei diventa Miriam per tutti). Così anche dopo la liberazione continuerà a fingersi ebrea come tutti la credono, del resto finita la seconda guerra mondiale nessuno vuol parlare di Olocausto e i pochissimi sopravvissuti certo non si mettono ad indagare sugli altri.

La narrazione è in prima persona e alterna vari momenti: la vita di oggi e i ricordi del passato, quindi la gioventù in famiglia, la deportazione e le tantissime esperienze nei campi di concentramento, i primi tempi a Jomjpuko e la vita che riprende la normalità. Il passato è in parte raccontato alla nipote Camilla mentre fanno una lunga passeggiata in torno al lago e in parte è rivissuto nel senso che sono narrati direttamente, in presa diretta.

Il libro mostra una dicotomia rom/ebreo, perché se è vero che gli ebrei erano odiati dai nazisti, i rom erano e sono odiati da tutti anche dopo la seconda guerra mondiale, la stessa Miriam una volta salva in Svezia assisterà a ben due esperienze di odio verso i rom. Ma anche nel campo di concentramento, lei è considerata un’ebrea e sente gli altri parlar male dei rom.

“Else era la persona migliore di tutta Ravensbrück. La più buona. La più saggia. La più forte. Ma l’aveva detto. Con un’alzata di spalle. «Zingari. Si sa come sono fatti, quelli…» Else l’aveva salvata. Le aveva dato da mangiare. Le aveva procurato un buon lavoro. L’aveva fatta parlare. Inoltre aveva usato quella parola che Miriam non aveva mai osato pronunciare ma che si teneva dentro, in silenzio. Libertà. Libertà. Però Else era anche quella che aveva detto quella frase sugli zingari. E le aveva fatto paura. Molta più paura del solito. Sentiva che la terra le si poteva spalancare sotto i piedi da un momento all’altro, che rischiava di inciampare e cadere o essere ingoiata da un buco nero e muto. Che nessuno, non un solo essere umano al mondo, avrebbe voluto aiutarla, salvarla, darle il minimo soccorso. E perché questo era quello che era: una rom. Una zingara.
[…] Si vergognava? Era per questo che se ne stava rannicchiata in fondo alla parete di assi, era per questo che voleva mantenere almeno mezzo centimetro di distanza da Else? Sì, forse era così, anche se non sapeva perché. Forse perché aveva mentito? Perché girava per il campo con una cicatrice sul braccio, un triangolo giallo e un numero falso sulla fascia? Ma c’era una vera ragione per vergognarsene? In fondo si trattava di qualcosa che era successo senza alcuna colpa da parte sua, una coincidenza sommatasi a un’altra coincidenza, niente di calcolato e pianificato. Oltretutto non le dava neanche un vantaggio in rapporto alle SS e alle Aufseherinnen, anzi. La ragazza smunta che aveva conosciuto all’arrivo aveva ragioni: i nazisti odiano gli ebrei più di quanto odiassero gli zingari. E però gli altri prigionieri disprezzavano gli zingari più degli ebrei. Il fatto era che nessuno, a parte le puttane e i ladri, sembrava disprezzare gli ebrei, mentre tutti si permettevano di disprezzare gli zingari.”

Questo libro non è testimonianza diretta (come la maggior parte dei libri sull’Olocausto) ma è un ricostruzione inventata e apre uno squarcio su un aspetto dei campi di concentramento di cui si parla poco: ad essere deportati e sterminati non sono stati solo gli ebrei (senza naturalmente nulla togliere alla gravità del fatto) ma anche altre “categorie” tra cui parlando di etnie i rom, per i quali c’era una specifica sezione nel campo di Auschwitz-Birkenau e sono stati utilizzati per esperimenti scientifici (sorte toccata al fratellino di Miriam). Alla fine del libro ci sono le note dell’autrice dove racconta la presenza di alcuni personaggi realmente esistiti e la cosiddetta “rivolta degli zingari” e un dettagliato corredo bibliografico.  

“… dopo qualche settimana ad Auschwitz, si era resa conto che i rom erano gli unici a essere stati assegnati a un settore organizzato per famiglie. Tutti gli altri prigionieri scelti per ammazzarsi di lavoro al servizio del Reich erano stati messi in settori maschili e femminili separati. I rom no. Nel loro campo gli uomini si mescolavano alle donne e ai bambini. All’inizio Malika non capiva perché, ma poi ci era arrivata. Paura. Gli uomini delle SS, quei signori incredibilmente forti, eleganti e impettiti, erano in realtà intimoriti dagli zingari e dalla loro presunta ferocia. Avevano capito che, se si fossero separati i mariti dalle mogli e i genitori dai figli, avrebbero opposto resistenza e non volevano che succedesse. Di conseguenza avevano stipato nel settore degli zingari intere famiglie lasciando che fossero gli adulti a decidere dove dormire. Non che fosse servito a molto. La resistenza avevano dovuto affrontarla lo stesso. […] Sì, era successo. I rom avevano opposto resistenza. E avevano trionfato sulle SS. I rom erano gli unici ad aver mai sconfitto le SS ad Auschwitz. Quel ricordo la indusse a rannicchiarsi il più possibile. Se avesse continuato a chiamarsi Miriam non avrebbe mai potuto raccontare di quella sera. D’altra parte, nessuno avrebbe mai dato ascolto a una Malika eventualmente resuscitata. La gente avrebbe creduto che fosse tutta una menzogna e un’invenzione, stupide fantasie da zingari. Invece non era così. Era vero. Più vero che mai. I rom avevano opposto resistenza. E avevano sconfitto le SS.”

È sicuramente una storia malinconica, triste e dolorosa ma come dico sempre parlando di libri che trattano dell’Olocausto, necessaria. Serve a ricordare e a spronarci a non dimenticare per non ripetere gli stessi errori. E serve anche a insegnarci ad apprezzare quello che abbiamo.

Ho trovato estremamente interessante il punto di vista dell’autrice Majgull Axelsson e voglio approfondire la conoscenza.

Fatemi sapere nei commenti se avete letto questo o altri libri di Majgull Axelsson.


venerdì 7 febbraio 2025

SCOMPARTIMENTO N. 6 di ROSA LIKSOM

TITOLO: Scompartimento n. 6
AUTORE: Rosa Liksom       traduzione di: Delfina Sessa
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 240
PREZZO: € 16,50
GENERE: letteratura finlandese
LUOGHI VISITATI: Mosca anni '80 e viaggio sulla transiberiana

Scompartimento n. 6 ci porta alla scoperta di un impero in decadenza orami prossimo alla fine (l’Unione Sovietica negli anni ’80) attraverso un viaggio in treno sulla Transiberiana da Mosca ad Ulan Bator.

Protagonisti i due occupanti dello scompartimento n. 6 che volenti o nolenti dovranno farsi tutto il viaggio assieme e non potrebbero essere più diversi e distanti. Abbiamo un uomo -Vadim Nikolaevič Ivanov – russo di mezza età, fa periodicamente il viaggio perché lavora come carpentiere nella capitale mongola. È figlio dell’URSS e della sua indottrinatura, è l’emblema dell’uomo russo, quasi uno stereotipo, un tipo modello, una sorta di condensato della società russa. È un grandissimo chiacchierone, non fa altro che parlare e raccontare della sua vita e delle sue esperienze.

E poi c’è una ragazza, finlandese che si trova a fare il viaggio in solitaria forse per rincorrere un sogno o per trovare la propria via o per scappare da una realtà che la mette alla prova o forse tutte le cose assieme; di lei non sappiamo nemmeno il nome.

Nel corso della narrazione conosceremo la storia di entrambi, o tramite le chiacchere o tramite pensieri e l’intervento del narratore. Seppur così diversi alla fine nascerà un intesa o un amicizia? Io ci ho spero…

La scrittura è magnifica, a tratti brutale, dura, cruda ma al tempo stesso lirica e poetica, molto descrittiva che fa immergere il lettore in quello spazio/tempo. Il paesaggio che incontriamo durante il viaggio di per sé è bucolico ma l’intervento e la presenza umana è devastante, e ci viene riportata descrizioni non edulcorate, quasi violente. Fondamentalmente ci vengono raccontati i bassifondi, non la criminalità vera e propria, ma gli strati più bassi della scala sociale e molti ci sono finiti quasi per caso, lo stesso Vadim per esempio è praticamente un miracolo che sia ancora vivo. In generale i rapporti umani e famigliari (le famiglie che incontriamo sono disfunzionali, in primis quelle dei protagonisti) sono degradati: povertà, abbandono e tanto “fare da sé, arrangiarsi”.

“La locomotiva ululò due volte e il treno si mise in moto a sobbalzi. La settima sinfonia di Šostakovič irruppe dall’altoparlante di plastica, e così si allontana Novosibirsk, il frastuono dei suoi sobborghi in costruzione, il suo cielo levigato e soleggiato. Si allontana Novosibirsk, l’odore di acciaio marcio che penetra dal finestrino del vagone. Si allontanano il vago profumo di garofani chiari, l’aroma intenso dell’aglio e l’acre tanfo del sudore spremuto dai lavori forzati. Si allontanano Novosibirsk, gli installatori, i minatori, la città industriale dei sogni passati, cui fan la guardia moderne periferie annerite dal fumo, massacrate dalle intemperie e le tristi carcasse di migliaia di caseggiati prefabbricati. Si allontanano le luci cieche delle fabbriche che sudano a quaranta gradi sotto zero, i loro cancelli miagolanti, i grandi magazzini centrali, le carogne di gatti torturati agli angoli degli alberghi, le babbucce di feltro e i pantaloni di lana marroni, le botteghe delle cooperative di consumo, la terra stanca, Novosibirsk. Già la zona industriale cede il posto a un sobborgo corroso dall’inquinamento. Luce, luce abbagliante, e a un sobborgo segue un altro, luce e penombra, e sfreccia in direzione opposta un treno merci lungo come una notte di veglia, e ancora luce, la luce abbagliante del cielo siberiano, e sobborghi, periferie, sobborghi, agglomerati di case senza fine. Questa è ancora Novosibirsk: autocarri su una strada che non è una strada, un cavallo e una gabbia per fieno, una taiga siberiana, su cui fluttua una nebbia rossa. I boschi filano via a pazza velocità, un caseggiato di diciotto piani solitario in mezzo a campi devastanti sepolti sotto la neve. La foresta dilaga, questa non è più Novosibirsk: una collina, una valle, sottobosco. Il treno precipita verso la tundra ignota e Novosibirsk non è che un mucchio di pietre che vengono risucchiate lontano. Il treno si immerge nella natura, avanza pulsando attraverso il paese innevato, deserto.” Pag 89 e 90

Il libro ha avuto un grandissimo successo, inaspettato data la tematica (semplificando al massimo la Finlandia non ha un buon rapporto con la Russia), è in parte autobiografico nel senso che Rosa Liksom ha davvero fatto un viaggio sulla transiberiana da Mosca a Ulan Bator negli anni ’80 ed era quindi una giovane ragazza finlandese, e quindi penso si sia ispirata per le descrizioni alla sua esperienza non credo che abbia fatto il viaggio con un Vadim. Inoltre il libro è una sorta di omaggio allo scrittore russo Cechov e al suo racconto “La corsia n. 6” in entrambi, pur avendo un ambientazione molto diversa, si respira decadenza e nostalgia. Infine ho visto che da questo libro è stato tratto un film “Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino” anche se leggendo la trama online è piuttosto diversa da quella del libro, ciononostante in futuro potrei farci un pensierino.

Fatemi sapere se lo avete letto e se conoscete questa autrice.




giovedì 14 gennaio 2021

L'ANNO DELLA LEPRE - ARTO PAASILINNA

TITOLO: L'anno della lepre
AUTORE: Arto Paasilinna traduzione di Ernesto Boella
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 212
PREZZO: € 14,00
GENERE: letterarura finlandese
LUOGHI VISITATI: Finlandia anni '70

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


“«E così siamo rimasti qui», disse alla lepre.
Ecco in che situazione si era messo: solo, in mezzo a una foresta, in giacca, una sera d’estate. Abbandonato al suo destino”.

Nonostante avessi letto recensioni e pareri - anche di persone che spesso mi sono d’ispirazione -  non avevo mai avuto voglia di leggere questo libro, non mi chiamava. Mi sembrava insipido, noioso, senza nulla da dirmi, un uomo lascia tutto per girare i boschi con una lepre? Sarà un libro di una noia mortale cosa potrà mai accadere? Di tutto! E quindi come mi succede spesso mi sbagliavo, mai giudicare un libro senza averlo letto.  

Kaarlo Vatanen è un giornalista cinquantenne che vive una vita sull’orlo della depressione a Helsinki. Durante un viaggio di lavoro, il collega alla guida investe accidentalmente una lepre, Vatanen scende a soccorre l’animale e sparisce con lei nella foresta. Abbandona tutto e gira la Finlandia con una lepre.

Vatanen intraprende una nuova vita, è un continuo spostarsi in vari luoghi, fa qualche lavoretto e poi riparte, e durante questi suoi giri incontra una serie di personaggi bislacchi e vive mille avventure, sempre in compagnia della sua inseparabile lepre. Le avventure di Vatanen hanno del surreale, del comico, sono particolari e assurde per quanto possibili, e spesso strappano delle risate.

“Vatanen si gettò il vitello sulle spalle, gli zoccoli gli solleticavano la nuca al ritmo dei suoi passi. La lepre non sapeva bene cosa fare, gli saltellava nervosamente tra i piedi, ma finì per abituarsi all’andatura lenta della marcia. Vatanen camminava in testa, attraverso la foresta, con il vitello sulle spalle, la mucca lo seguiva in silenzio, pensierosa, leccando ogni tanto la testa del vitello, la lepre saltellava in coda al corteo.”

Vatanen cerca di tornare “nella civiltà” a Helsinki ma si deve scontrare con una società che non gli piace, ormai ha trovato la sua strada ed è nella natura incontaminata e selvaggia del nord, della Lapponia dove i rapporti tra persone sono ancora autentici.

“Un uomo ridotto allo stremo delle forze ispirava un certo timore, ma anche fiducia: al nord quest’uomo ha dei diritti che un istinto pieno di tatto gli riconosce. Il padrone di casa gli indicò la sedia accanto alla sua e lo invitò a mangiare.
Vatanen mangiò. Era così sfinito che il cucchiaio gli tremava nelle mani al ritmo dei battiti del cuore. Il berretto se l’era dimenticato in testa. Lo stufato di renna era gustoso e nutriente. Vatanen mangiò tutto.”

È un libro scorrevole con uno stile molto asciutto e conciso, con poche parole mirate Paasilinna descrive persone e luoghi in modo magistrale; è ricco anche di ironia, voglia di libertà e dalla natura selvaggia.  Non manca una velata critica alla moderna società conformista e benpensante.

Anche se sulla carta lo stile di Paasinilnna non è tra i miei preferiti mi ha conquistata.

Il protagonista Vatanen presenta delle somiglianze con l’autore, non solo ne condivide l’anno di nascita e la professione, ma anche la passione e l’amore per la natura e una sorta d’insofferenza verso la società moderna.

“Nel cielo splendeva una pallida falce di luna, le stelle brillavano di una luce opaca nella gelida sera. Questo era il suo mondo, qui poteva vivere in pace. La lepre saltellava silenziosa sulla pista, davanti allo sciatore, come una guida. Vatanen canterellava per lei.”

È una lettura breve, sono duecento pagine, ma bisogna tener conto del particolare formato dei libri Iperborea, se avesse le pagine normali sarebbe più corto, quindi più che un romanzo è un racconto lungo o meglio una novella, come ho letto che Paasilinna amava chiamare le sue opere.

Sempre di Paasilinna avevo letto Piccoli suicidi tra amici e vorrò leggere altre sue opere, mi piace la sua capacità di mescolare tanto humor con una malinconia tipica dei paesi nordici e far vivere ai suoi personaggi delle avventure incredibili ma per quanto particolari e strane non impossibili; inoltre lasciano molto al lettore, tanti episodi divertenti e curiosi su cui ridere, ma anche spunti su cui riflettere, la scrittura ironica diventa anche un mezzo di critica e denuncia sociale.

Avete letto qualcosa di suo? Vi aspetto nei commenti