TITOLO: Inés dell'anima mia
AUTORE:
Isabel Allende - traduzione di Elena Liverani
EDITORE:
Feltrinelli (Universale Economica)
PAGINE:
326
PREZZO:
€ 10,00
GENERE:
romanzo storico, letteratura cilena
LUOGHI VISITATI:Spagna, Nuovo Mondo, Cile negli anni dal 1500 al 1553
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Un bellissimo romanzo storico
incentrato su una figura cardine per la conquista del Cile: Inés Suàrez.
Inés Suàrez è una donna forte,
combattiva, passionale, un bel personaggio. Ma non è solo un personaggio
letterario è una donna realmente esistita e Isabel Allende si è limitata a
romanzare la storia della sua vita colmando alcune lacune ma rimanendo il più
possibile fedele alla realtà storica.
Inés nasce in Spagna e si reca
nelle Americhe alla ricerca del marito, Juan de Malaga, che era partito per il
Nuovo Mondo in cerca di fortuna abbadandola, ma Inés non parte alla ricerca di
un uomo ma di una vita diversa e migliore, è alla ricerca della libertà.
“A differenza di Juan, non credevo
all’esistenza di una città d’oro, dalle acque incantate che donavano l’eterna
giovinezza, o di amazzoni che se la spassavano con gli uomini per poi
congedarli carichi di gioielli, ma sospettavo che là ci fosse qualcosa di ancor
più prezioso: la libertà. Nel Nuovo Mondo ognuno era padrone di se stesso, non
ci si doveva chinare davanti a nessuno, si poteva commettere errori e
cominciare di nuovo, essere una persona diversa, vivere un’altra vita.”
La nostra Inés ha
manifestato da sempre il desiderio di una vita diversa da quella che la Spagna
e il suo ruolo di donna potevano offrirle in patria; è un abile ricamatrice, sa
cucinare ma soprattutto è una bravissima infermiera, sa prendersi cura di
feriti e malati; e tutte queste doti saranno essenziali nella vita nel Nuovo
Mondo e nel viaggio verso il Cile e nella nuova colonia.
“Ho vissuto più di quarant’anni
nel Nuovo Mondo e ancora non mi sono abituata al disordine, benché io stessa ne
abbia beneficiato, dato che, se fossi rimasta nel mio paesino d’origine, oggi
sarei un’anziana qualsiasi, povera e cieca per il tanto cucire pizzi alla luce
di una lanterna. Là sarei Inés, la sarta della strada dell’acquedotto. Qui sono
doña Inés Suàrez, signora tra le più influenti, vedova dell’eccellentissimo
governatore don Rodrigo de Quiroga, conquistatrice e fondatrice del Regno del
Cile.”
Nel Nuovo Mondo scopre di essere
diventata vedova, partecipa alla conquista del Cile al fianco del suo nuovo
amore Pedro de Valdivia, l’hidalgo (già luogotenente di Pizarro in Perù) e
condottiero che riuscirà a conquistare il Cile e ne diventerà il primo
governatore. Con la spedizione di Valdivia e Inés Suàrez viene fondata
la città di Santiago, ma le avventure sono solo all’inizio perché sarà
necessario difendere questa città e le altre che pian piano vengono fondate.
“Durante i mesi successivi, la città
germogliò come per miracolo. Verso la fine dell’estate erano sorte già
parecchie case di bell’aspetto, avevano piantato filari d’alberi per avere
ombra e uccelli nelle strade, la gente stava raccogliendo le prime verdure
dagli orti, gli animali sembravano sani e avevamo immagazzinato provviste per
l’inverno. Tale prosperità irritava gli indios della valle, che si rendevano
perfettamente conto che non eravamo lì di passaggio. Supponevano, e a ragione,
che sarebbero arrivati altri huincas a sottrarre loro la terra e a trasformarli
in schiavi. Mentre noi ci adoperavamo per stabilirci, loro si preparavano a
cacciarci. Si mantenevano invisibili, ma iniziammo a sentire il lugubre
richiamo della trutruca e dei pilloi, flauti ricavati dalle ossa delle gambe
dei nemici uccisi.”
Doña Inés Suàrez è conosciuta
soprattutto per il ruolo cruciale ricoperto nella difesa della città di
Santiago da un attacco dei Mapuche.
Come dicevo si tratta di romanzo storico ed è ricco di
personaggi storici, avvenimenti e soprattutto di Storia del Nuovo Mondo, che io
conosco poco. Si parla dell’arrivo di Pizarro, della scelta di Valdivia di
intraprendere l’esplorazione e la conquista del Cile, la difesa dello stesso
dagli attacchi della popolazione Mapuche; non mancano le descrizioni della vita quotidiana nel Nuovo Mondo e
nemmeno la parte più personale/intima della vita di Inés e dei suoi amori (in
fondo è lei la protagonista del romanzo).
Molto interessanti sono i brevi approfondimenti
sulla cultura indios e sulla città di Cuzco come deve averla vista Inés Suàrez al
suo arrivo in Perù.
“Non ho mai visto niente di simile
alla magnifica città di Cuzco, ombelico dell’impero inca, città sacra dove gli
uomini possono parlare con la divinità. Forse Madrid, Roma, o qualche città
araba, che hanno fama di essere splendide, possono essere paragonate a Cuzco,
ma io non le ho mai viste. Nonostante i danneggiamenti e in vandalismi subiti
durante la guerra, era un gioiello bianco e rispendente sotto il cielo color
porpora. Mi si bloccò il respiro e per diversi giorni mi sentii soffocare, non
per l’altitudine o l’aria rarefatta, di cui mi avevano avvertito, ma per
l’imponente bellezza dei suoi templi, delle fortezze e degli edifici. Si dice
che all’arrivo dei primi spagnoli ci fossero palazzi rivestiti d’oro, anche se
ora le mura erano nude. A nord della città si erge una costruzione
spettacolare, Sacsayhuamán, la fortezza sacra con i suoi tre ordini di cinta
murarie a zigzag, il Tempio del Sole, il suo labirinto di strade, torrioni,
marciapiedi, scale, terrazzi, cantine e stanze dove vivevano nell’agio
cinquanta o sessantamila persone. Il nome significa ‘falco soddisfatto’ e, come
un falco, vigila su Cuzco. Venne costruita con monumentali blocchi di pietra
tagliati e assemblati senza malta e con una tale precisione che tra le giunture
non entrerebbe neanche una daga sottile. Come fecero a fendere quelle enormi
pietre senza strumenti di metallo? Come le trasportarono, da molte leghe di
distanza, senza ruote né cavalli? E mi domandavo inoltre come una manciata di
soldati spagnoli fosse riuscita a conquistare in così poco tempo un impero in
grado di essere una tale meraviglia. Per quanto avessero fomentato le dispute
tra gli inca e potessero contare su migliaia di yanaconas, pronti a servirli e
a battersi per loro, quell’impresa eroica, ancora oggi, mi sembra inspiegabile.
‘Abbiamo Dio dalla nostra parte, oltre che la polvere da sparo e il ferro’
dicevano gli spagnoli, grati ai nativi di difendersi con armi di pietra.
‘Quando ci videro arrivare dal mare in grandi case provviste di ali, credettero
che fossimo divinità’ aggiungevano, ma penso che fossero stati loro a
diffondere tale versione alla quale gli indios, e persino loro stessi, finirono
col credere.”
“Da dove venivano questi Mapuche? Si
dice che assomiglino a certi popoli asiatici. Se davvero provengono da lì, non
riesco a spiegarmi come abbiano potuto attraversare mari così tempestosi e
terre tanto estese per giungere fino a qui. Sono selvaggi, non conoscono né
l’arte né la scrittura, non costruiscono né città né templi, non hanno caste,
classi né sacerdoti, ma solo capitani di guerra, i loro toquis. Si muovano da
un luogo all’altro, liberi e nudi, con le numerose mogli e i figli, che combattono
insieme a loro nelle battaglie. Non compiono sacrifici umani e non adorano
idoli. Credono in un unico dio, che non è il nostro Dio, che loro chiamano
Ngenechén.”
Sempre parlando di personaggi una
menzione la merita, secondo me, il cronista Daniel Belalcázar incontrato durante la
traversata dell’Oceano - non sono riuscita a capire se è realmente esistito o
meno – ma il ruolo che svolge nel romanzo è interessante: la voce fuori dal
coro che mostra la realtà per quello che è, senza essere soggiogato da pensiero
dominante.
“Questo Belalcázar era un uomo di poca fede,
ma molto divertente. Di pomeriggio ci dilettava con i racconti dei suoi viaggi
e di ciò che avremmo visto nel Nuovo Mondo. «Di certo non ciclopi, giganti e
nemmeno uomini con quattro braccia e teste di cani, ma sicuramente incontrerete
esseri primitivi e malvagi, soprattutto fra gli spagnoli’ asseriva scherzando.
Ci assicurò che gli abitanti del Nuovo Mondo non erano tutti selvaggi: aztechi,
maya e inca erano più raffinati di noi, quanto meno si facevano il bagno e non
andavano in giro coperti di pidocchi».
«Avidità, solo avidità» aggiunge. «Il giorno in cui noi spagnoli
abbiamo messo piede sul suolo del Nuovo Mondo abbiamo segnato la fine di quelle
culture. All’inizio ci accolsero bene. La loro curiosità superò la prudenza.
Non appena si resero conto che agli strani barbuti spuntati dal mare piaceva
l’oro, quel metallo morbido e inutile che loro possedevano in abbondanza,
glielo regalarono a piene mani. Tuttavia, ben presto, il nostro insaziabile
appetito e brutale orgoglio risultarono offensivi. E ci mancherebbe altro! I
nostri soldati abusano delle loro donne, entrano nelle loro case e sottraggono
senza chiedere permesso quel che gli pare e il primo che osi frapporsi lo
mandano all’altro mondo con una sciabolata. Proclamano che la terra in cui sono
appena arrivati appartiene a un sovrano che vive dall’altra parte del mare e
pretendono che i nativi adorino due bastoni a forma di croce».
«Speriamo che non la sentano parlare così, signor Belalcázar! La accuseranno
presso l’imperatore di essere un traditore e un eretico» lo ammonii.
«Non faccio altro che dire la verità. Lo
constaterà anche lei, signora, che i conquistadores sono senza ritegno:
arrivano come mendicanti, si comportano da ladri e si credono dei signori. »”
Il romanzo è strutturato sotto
forma di memorie che la stessa Inés Suàrez
scrive per lasciare traccia e testimonianza della sua esistenza. Spesso
durante la scrittura si rivolge direttamente alla figlia (cui le memorie sono
destinate) oppure ad un ipotetico lettore. Anticipa spesso gli avvenimenti per
poi proseguire cronologicamente e riprenderli.
La narrazione è lenta, ricca
quasi ridondante - caratteristica che ho sentito essere propria dei libri della
Allende, scrittrice prolissa e divagatrice – accompagnata però da una scrittura
spesso ironica e pungente; così se ci sono alcune parti un pochino più lente e
stagnati (soprattutto all’inizio) si compensano bene e nel complesso l’ho
trovato coinvolgente, è una storia ricca di avventure dove c’è il desiderio di
vedere come prosegue.
Se proprio vogliamo trovare una
pecca, ne ho due. La prima è una considerazione circa l’eccessiva sessualità
nel senso che talvolta Inés descrive anche minuziosamente scene di sesso con i
suoi amanti il che non è un problema in se e per se ma mi sembra stonare con la
finzione letteraria per cui si tratta delle memorie che scrive per la figlia
anche se la stessa Inés a un certo punto spiega la scelta come diretta a insegnare/istruire
la figlia nell’ottica di migliorarle la vita ed eventualmente il matrimonio
come una sorta di sapienza e di esperienza che si possono diffondere
positivamente tra le donne per il loro maggior benessere e appagamento e
migliorare la loro vita sessuale ma anche generale.
Ciò che mi ha un pochino deluso è
la conclusione che è un po’ “veloce” e frettolosa, sbrigativa soprattutto se
paragonata all’inizio molto più lento e pieno di digressioni sul giovane
Valdivia e sul suo amico Aguirre durante le campagne al servizio
dell’imperatore Carlo V in giro per l’Europa. Il romanzo si chiude
fondamentalmente con la ricostruzione della morte del primo governatore del
Cile Valdivia; anche se della vita successiva di Inés Suàrez viene dato conto
durante tutto il romanzo attraverso quei meccanismi di anticipazione della
narrazione di cui ho detto prima.
C’è anche una nota positiva: il
libro è corredato da splendide
illustrazioni nonostante si tratti di un libro in edizione economica
(perché stiamo fa parte dalla collana Universale Economica Feltrinelli) con un
prezzo basso. Le illustrazioni sono tratte dall’edizione de “La Araucana” di
Alonso de Ercilla del 1852.
Ho letto questo romanzo per il
progetto #unannoconlastoria e sono molto contenta sia per le possibilità di
approfondire il Nuovo Mondo sia per aver conosciuto una scrittrice molto famosa
di cui io ancora non avevo letto nulla, ma rimedierò. Avete consigli in
proposito?