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venerdì 17 ottobre 2025

LA NOTTE BIANCA. UN GIALLO INUIT di MO MALØ

TITOLO: La notte bianca. Un giallo Inuit
AUTORE: Mo Malø (pseudonimo di Frédéric Mars)   traduzione di: Maria Moresco
EDITORE: Piemme
PAGINE: 519
PREZZO: € 20
GENERE: giallo, letteratura francese
LUOGHI VISITATI: Groenlandia contemporanea




Oggi parliamo di “La notte bianca. Un giallo inuit” dove il titolo già ci dice tutto. È un romanzo giallo/poliziesco ambientato in Groenlandia, estremamente attuale sia per l’ambientazione sia per le tematiche affrontate.

L’intreccio giallo di base è “semplice” nella base della compagnia petrolifera Green Oil a Nuuk si sono verificati delitti ai danni di alcuni lavoratori e se non fosse per alcuni particolari “curiosi” il responsabile sembra un orso. E fino all’arrivo di Qaanaaq Adriensen questa sembra essere l’unica pista seguita.

“Tutti annuirono saggiamente. Tutti tranne Qaanaaq, che faticava a tenera a bada l’esasperazione.
«Magari potremmo smettere di parlare dell’orso»
«E per quale motivo, di grazia?»
«Perché finora avevamo un orso capace di aprire o di scassinare una serratura, un orso sei volte meno pesante dei suoi simili, un orso abbastanza agile da caricare ritto sulle zampe anteriori, un orso che perde i denti sul primo pezzo di carne un minimo resistente… ed ecco che ora il nostro orso sembrerebbe addirittura capace di far recapitare un fegato! Spiacente, ma io, un orso come questo…lo chiamerei ‘uomo’».”

Il protagonista Qaanaaq Adriensen è un pezzo grosso della polizia investigativa di Copenaghen, figlio d’arte, talvolta è un pochino spocchioso, sembra essere l’unico in grado di condurre un’indagine, non è troppo antipatico e va conosciuto meglio.

E soprattutto come ci suggerisce il nome Qaanaaq è un inuit e proprio in questo viaggio nella terra natale avrà modo di scoprire molto sulle tradizioni del suo popolo e soprattutto sulla sua famiglia d’origine e sulla sua storia personale

“Come aveva potuto respingere così a lungo quelle informazioni, il collegamento inevitabile tra quella storia e la sua stessa origine? Quali forze gli avevano permesso di restare sordo e cieco di fronte a ciò che collegava personalmente proprio lui, Qaanaaq Adriensen, alla sua terra d’origine?”

Talvolta è un pochino spocchioso, sembra l’unico in grado di condurre un’indagine, non è troppo antipatico e va conosciuto meglio.

“Indagare su un crimine molto spesso consisteva nell’aspettare che l’Informazione Giusta piovesse dal cielo, come un frutto maturo sfuggito all’albero dei fatti. Bisognava solo mostrarsi pazienti. Era anche la filosofia di Flora. E quel frutto bisognava accettarlo così com’era. E berne tutto il succo, senza cercare di allungarlo con l’acqua torbida delle proprie deduzioni. Un fatto era un fatto. Bisognava morderlo con tutti i denti.”

I filoni narrativi sono sostanzialmente due e si intrecciano continuamente. Da un lato le indagini sugli omicidi che sono tutt’altro che semplici andando a intrecciarsi con interessi politici ed economici; e poi la vicenda personale di Qaanaaq, anzitutto l’approccio e la scoperta delle tradizioni del suo popolo come ad esempio le parole, la lingua inuit conia parole per ogni cosa anche quelle più moderne come i computer e naturalmente la scoperta delle tradizioni del suo popolo come ad esempio le parole inuit

 

Ho trovato il libro molto interessante perché va oltre il giallo, offre spunti di riflessione su tematiche importanti e attuali come quella ambientale e identitaria, consente di approcciarsi alla Groenlandia, agli Inuit e le loro tradizioni e un pochino anche la vita sulle piattaforme petrolifere.

 

Se ho ben capito è il primo volume di una serie.


martedì 30 giugno 2020

CI RIVEDIAMO LASSÙ - PIERRE LEMAITRE

TITOLO: Ci rivediamo lassù
AUTORE: Pierre Lemaitre - traduzione di Stefania Ricciardi
EDITORE: Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)
PAGINE: 453
PREZZO: € 17,50
GENERE: letteratura francese, letteratura contemporanea
LUOGHI VISITATI: Parigi 1918-1920
Vincitore del Premio Gocourt nel 2013 (il premio letterario più prestigioso di Francia)
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)




Questo romanzo è il primo di una trilogia che Lamaitre ha dedicato alla storia di Francia, si sviluppa tra gli ultimissimi giorni della prima guerra mondiale - iniziamo a conoscere i nostri protagonisti a pochi giorni dall’armistizio - nel novembre 1918 fino al giugno del 1920.

Protagonisti tre uomini, tre uomini che hanno combattuto per la patria: Albert Maillard, Eduard Perincourt e il tenente Henri d’Aulnay-Pradelle. Tre personaggi che non potrebbero essere più diversi tra loro.

Albert Maillard è un ragazzo d’animo buono, eterno indeciso, timido e riservato, un contabile che vive solo con la madre, dopo la guerra si trova ad accudire il suo compagno Édouard.

Édouard Péricourt proviene da una famiglia molto ricca, è un tipo estroso, ribelle, eccentrico ama disegnare e dipingere - praticamente è un bravissimo artista - orfano di madre non ha un buon rapporto con il padre, il banchiere Marcel Péricourt che non vede in lui in figlio maschio tanto agognato – mentre ha un ottimo rapporto con la sorella Madeleine.

Le vicende della guerra o meglio dell’ultima battaglia li unirà in modo quasi indissolubile.

Infine c’è il tenente Henri d’Aunlay-Pradelle un arrivista senza scrupoli, egoista ed egocentrico, proviene da una famiglia nobile oramai decaduta e in rovina, persegue in desiderio di ridare luce al proprio nome e riportare la dimora di famiglia a nuovo splendore, propositi apprezzabili ma non i mezzi con cui cerca di raggiungere i suoi scopi. Per Pradelle la guerra e poi la sua “smobilitazione” sono l’occasione e il mezzo per farsi una posizione e arricchirsi, ma con metodi tutt’altro che onesti.

Ce la faranno i nostri eroi? È la domanda che mi ha frullato in testa dalle prime pagine; una domanda che si fa incalzante quando anche gli avvenimenti si fanno più serrati e soprattutto si avvicina la fine del libro e quindi l’esito della vicenda. Ho sperato in un lieto fine per Albert ed Édouard; mentre per Pradelle ho sperato che ce la facesse, ad affondare però, dato il suo egocentrismo e il suo essere ignobile. Non voglio anticipare nulla…

Lamaitre è un narratore onnisciente, che conosce e scandaglia l’animo umano dei suoi personaggi, rendendoli unici, veri e coerenti, semplicemente meravigliosi; racconta tutto dei suoi personaggi e non perde occasione esprimere un commento e per rivolgersi al lettore. Questa caratteristica del narratore che si rivolge al lettore (che io adoro, inutile dirlo) si rifà alla tradizione della letteratura francese di fine ‘800 che Lamaitre vuole omaggiare ma c’è anche un’altra ragione, come spiega nelle sue interviste vuole ricordare al lettore che sta leggendo una storia, non si tratta di realtà ma di romanzo.

Non mancano i colpi di scena. La narrazione è scorrevole e le vicende dei personaggi sono narrate a capitoli alterni; con un crescendo continuo che tiene incollato il lettore alle pagine.

Oltre le vicende dei personaggi il libro rappresenta anche un’invettiva contro la guerra, nello specifico la Prima Guerra Mondiale, ma le riflessioni si prestano a qualsiasi conflitto. Pone l’accento, in particolare, sul ritorno alla vita normale finito il conflitto - percorso già di per sé non facile - qui le persone vengono lasciate sole, abbonante a sé stesse in primis da quello Stato per cui hanno combattuto e che ora si dimentica di loro, ricordando solo (forse) i caduti.

“Nello stesso tempo, dalla fine della guerra non si fa altro che aspettare. Qui, dopotutto, è un po’ come in trincea. C’è un nemico che non vedi mai, ma che senti con tutto il suo peso. Dipendi da lui. Il nemico, la guerra, la burocrazia, l’esercito, sono tutte cose un po’ simili, nessuno ci capisce niente e nessuno sa risolverle una volta per tutte. […] Ecco come finisce la guerra, mio povero Eugène, un immenso dormitorio di gente stremata che non si è nemmeno capaci di rispedire a casa come si deve. Nessuno che ti dice una parola o soltanto che ti stringe la mano. I giornali ci avevano promesso archi di trionfo, e invece stiamo ammassati in sale esposte ai quattro venti…”

Come detto il libro fa parte di una trilogia ma è autoconclusivo: non solo le vicende narrate si chiudono ma l’autore fornisce ulteriori dettagli e spiegazioni nell’epilogo dove non viene lasciato spazio all’immaginazione del lettore, è un finale chiuso! (altra cosa che io adoro follemente). Ho letto che i libri sono autonomi e questa conclusione ne è la conferma, non vedo l’ora di andare avanti anche perché nel secondo volume “I colori dell’incendio” protagonista sarà proprio Madeleine Péricourt e nel terzo “Lo specchio delle nostre miserie” ho visto che c’è una Louise, e penso sia proprio la ragazzina, ormai donna, che troviamo nel primo romanzo.

Un libro che mi è piaciuto molto. Ho apprezzato la trama, talvolta succedono cose particolare, dettagli quasi surreali, ma trovano il loro senso all’interno della narrazione; anche la delineazione dei personaggi è davvero magnifica. E infine presenta due caratteristiche tecniche che odoro: il narratore onnisciente (addirittura che strizza l’occhio al lettore) e il finale chiuso, dove Lamaitre da conto anche di cosa succede dopo. Inoltre è anche una saga. Se vi piacciono questi elementi narrativi non posso che consigliarvi questo libro.

Voi avete letto qualcosa di Lamaitre?

martedì 10 marzo 2020

IL ROSSO E IL NERO - STENDHAL

TITOLO: Il rosso e il nero. Cronaca del 1830
AUTORE: Stendhal - traduzione di Luigi Maria Sponzilli
EDITORE: Feltrinelli - collana universale economica
PAGINE: 568
PREZZO: € 11,00
GENERE: letteratura francese - classico
LUOGHI VISITATI: Francia di metà XIX secolo
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)




“Il rosso e il nero. Cronaca del 1830” è un romanzo della letteratura francese del XIX secolo scritto da Stendhal (pseudonimo di Marie-Henri Beyle) e pubblicato nel 1830.
Vengono narrate le vicende di Julien Sorel, che grazie alla sua ambizione e alle sue capacità riesce nella scalata alla gerarchia sociale. Da figlio di un carpentiere di campagna riesce a diventare segretario di un importante uomo politico di Parigi. Julien è appassionato di letteratura, conosce il latino e conosce a memoria la Bibbia; grazie all’amicizia con il parroco Chélan diventa precettore dei figli del sindaco di Verrières (il paese di cui è originario nella regione della Borgogna-Franca Contea ai confini con la Svizzera); successivamente entrerà in seminario e poi diventerà, come dicevo, segretario di un importante uomo politico a Parigi: il marchese De La Mole. 

Stendhl ha preso spunto da un fatto di cronaca realmente avvenuto (ha poi mutato nomi di luoghi e persone ed ha arricchito la vicenda fino a scriverne un romanzo lunghissimo) per analizzare e scandagliare l’animo umano e le passioni che lo guidano.
Stendhal tratteggia un quadro della società francese all’epoca della Restaurazione anche da un punto di vista politico - l’aspetto della politica emerge fortissima, con tutti i “partiti” in lotta per il potere ad esempio liberali, giacobini, ultra, monarchici, a cui si aggiungono le fazioni politiche interne al potere religioso che vede contrapporsi Gesuiti e Giansenisti, in lotta per prevalere e influenzare la vita politica della Francia. Un aspetto che emerge prepotentemente è la volontà di alcuni partiti di riportare la situazione sociale ai tempi dell’ “Ancien Regime”.
L’altro aspetto che spicca è quello delle tresche amorose di Julien, che saranno in qualche modo la sua rovina, e sono i mezzi attraverso cui Stendhal approfondisce posizioni e psicologia dei personaggi -  l’analisi introspettiva/psicologica dei protagonisti è molto dettagliata – sia la società francese del XIX secolo sotto l’aspetto delle relazioni sociali.
La narrazione si caratterizza per un narratore onnisciente, utile per portare avanti l’introspezione. Però ho trovato la narrazione pedante, lenta, noiosa; solo verso la fine penso di aver visto uno slancio, una maggior rapidità. 

Il titolo è simbolico, il rosso e il nero rappresentano i colori di due carriere che permettono, o hanno permesso, ai giovani di farsi una posizione: il rosso delle divise militari dell’esercito (che rappresenta la possibilità di farsi una posizione grazie alla carriera militare, possibilità presente negli anni di Napoleone) e il nero delle “divise” degli ecclesiastici cattolici (che rappresenta la possibilità di farsi una posizione e di esercitare un influenza politica nella Francia post Restaurazione).

Capisco e apprezzo le ragioni che stanno alla base del romanzo, ciò che Stendhal voleva narrare, e sono molto contenta di quello che ho appreso sulla società francese nel ‘800 post Restaurazione, ma non mi ha convito o meglio non mi è piaciuto lo stile; devo dire che ci può stare perché ragionandoci è un libro scritto e stampato nel 1830 quindi è plausibile che la narrazione fosse diversa da quella odierna. Il mio voto è 2 stelline su 5, ma voglio dare almeno una altra possibilità a Stendhal e prima o poi leggerò la Certosa di Parma. 

Erano anni che volevo leggere questo libro, penso dalle superiori ma non ne ricordo il motivo; ho approfittato dell’iniziativa lanciata da @rubrica_spazio_libri per leggerlo. Mi sono approcciata senza saperne nulla a parte la mia convinzione che fosse ambientato durante la rivoluzione francese chissà poi perché?!
Voi lo avete letto? E cosa ne pensate? Non vedo l’ora di confrontarmi con voi