martedì 13 maggio 2025

DON CAMILLO di GIOVANNINO GUARESCHI

TITOLO: Don Camillo
AUTORE: Giovannino Guareschi
EDITORE: Bur Rizzoli
PAGINE: 291
PREZZO: € 13
GENERE: letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: nella Bassa (pianura padana emiliana) nell'immediato dopo guerra



Per me leggere Don Camillo è un po’ come tornare a casa, ho visto e rivisto infinite volte i film tratti/ispirati ai romanzi di Guareschi con Gino Cervi e Fernandel. Quindi l’approccio al libro è stato accompagnato da tantissima curiosità ma anche un po’ di timore e invece sono parimenti belli anche perché ho letto che lo stesso Guareschi ha collaborato nella realizzazione/scrittura dei film. Così mentre leggevo mi immaginavo i personaggi con il “volto” televisivo e mi pareva di udire la voce del Cristo sull’altare.

Un piccolo paese della pianura padana emiliana quella che viene chiama “la bassa”, siamo nell’immediato dopoguerra, sembrerebbe un paesino come tanti e sicuramente lo è, ma qui ci sono due figure di riferimento il prete Don Camillo e il sindaco Peppone, il primo democristiano (la definizione la metto io ma non potrebbe essere diversa) e il secondo comunista. Due personaggi forti, presenti, pesanti nella vita del paese che non si fanno problemi a far sentire la propria voce, forte e chiara. È il periodo della lotta politica, del ritorno alla democrazia, della stesura della costituzione, ed è un periodo dove la paura verso il “comunismo” è molto forte.

Abbiamo due protagonisti forti che si scontrano (e non solo a parole) fanno parte di contrapposte fazioni politiche ma a modo loro sono molto legati e amici, in fondo condividono gli stessi principi e si scoprirà una bellissima storia di amicizia che sa andare oltre le divisioni politiche (emerge già in questo volume anche se la storia della loro amicizia e il loro primo incontro si troverà nei volumi successivi, io la conosco per i film).

In particolare una delle mie scene preferite è quella in cui don Camillo e Peppone rinfrescano la pittura delle statuine del presepe, è un episodio molto bello ed è anche quello che chiude il libro, quasi fosse una favola a lieto fine, ed è la dimostrazione della profonda amicizia e stima reciproca che lega i due nonostante le divergenze politiche: la storia di due nemici (politici) che però in fondo si vogliono molto bene, c’è tanta stima reciproca e amicizia vera, non potrebbero esistere senza l’altro, si completano a vicenda.

“La folla mugolò, poi tacque.
Don Camillo gonfiò il torace, si piantò saldo sulle gambe, buttò via il cappello e si segnò. Poi alzò il pugno formidabile e sparò una mazzata sul fungo.
«Mille!» urlò la folla.
«Se a  qualcuno interessa, sappia che a quota 1000 tira una brutta aria!» disse don Camillo.
Peppone era diventato pallido e gli uomini del suo stato maggiore lo sbirciavano tra delusi e offesi. Altra gente ghignava contenta. Peppone guardò negli occhi don Camillo, si ritolse la giacca, si piazzò davanti alla macchina e alzò il pugno.
«Gesù» sussurrò in fretta don Camillo.
«Mille!» urlò la folla. E lo stato maggiore di Peppone fece un balzo di gioia.
«A quota mille tira brutta aria per tutti» concluse lo Sghembo. «Meglio rimanere al piano.»
Peppone si allontanò trionfante da una parte e don Camillo trionfante dall’altra.
«Gesù» disse don Camillo quando fu davanti al Cristo. «Ti ringrazio. Ho avuto una paura matta.»
«Di non far mille?»
«No, che non facesse mille anche quel testone là. L’avrei avuto sulla coscienza.»
«Lo sapevo e l’ho aiutato io» rispose sorridendo il Cristo. «Del resto anche Peppone, appena ti ha visto, ha avuto una paura matta che non riuscissi a fare novecentocinquantadue anche tu».” 

Infine c’è un terzo personaggio fondamentale che è il Gesù dell’altare a cui don Camillo si rivolge molto spesso, cui parla e discute anche delle cose che lo circondano e che gli accadono. È un Gesù saggio, giusto ma anche molto ironico, praticamente una voce della coscienza se vogliamo.

“«È passato Peppone e mi ha salutato» disse allegramente il Cristo.
«Attento Gesù» rispose don Camillo. «Già altri Vi ha addirittura baciato e poi per trenta lire Vi ha venduto. Quello lì che Vi ha salutato è uno che, tre minuti prima, mi aveva detto che il giorno della riscossa troverà sempre un pezzo da 75 per sparare addosso alla casa di Dio!»
«E tu cosa gli hai risposto?»
«Che troverò sempre un mortaio da 81 per rispondergli sparando addosso alla Casa del Popolo.»
«Capisco, don Camillo: il guaio è che tu, il mortaio da 81, ce l’hai sul serio.»
Don Camillo allargò le braccia.
«Gesù» disse «ci sono delle cianfrusaglie che uno non riesce a buttarle via perché sono dei ricordi. Noi uomini siamo tutti un po’ sentimentali. E poi non è meglio che questa roba sia in casa mia piuttosto che in casa d’altri?»
«Don Camillo ha sempre ragione» rispose sorridendo il Cristo. «Fino a quando non farà qualche sopercheria.»
«Per questo non ho paura; ho il miglior consigliere dell’universo» rispose don Camillo. E così il Cristo non seppe più cosa rispondergli.”

Abbiamo una narrazione per episodi dove pian piano iniziamo a conoscere e prendere confidenza con i personaggi e le loro caratteristiche. Ho letto che in realtà l’opera di Guareschi nasce sotto forma di racconti: per la precisione 347 racconti ambientati nella cittadina inventata di Ponteratto che hanno per protagonisti Don Camillo e Peppone, il complesso prende il nome di “Mondo piccolo” e solo successivamente sono stati raccolti in otto libri.

Alla fine del libro c’è una breve biografia di Giovannino Guareschi, che è stato scrittore, giornalista e caricaturista, è famoso in tutto il mondo per “Mondo piccolo”. Ha avuto una vita piuttosto intesa e movimentata e da quello che ho letto io ci vedo molto sia di don Camillo che di Peppone nel senso che nella sua vita Guareschi ha portato avanti una lotta per il bene scontrandosi anche con personaggi politici di spicco, una sorta di scontro con potenti e lui semplice rappresentante del popolo. O meglio ha trasmesso ai suoi personaggi il suo carattere e il suo modo d’essere.

È sicuramente un libro coccola, una coccola per l’anima e per il cuore; come dice lo stesso Guareschi nel prologo non sarà grande letteratura me questo libro appartiene al genere ‘confort’ che fa bene. Probabilmente recupererò anche gli altri libri.

Fatemi sapere nei commenti se conoscete Don Camillo e Peppone e se avete letto Guareschi.


venerdì 9 maggio 2025

LE CITTÀ INVISIBILI di ITALO CALVINO

TITOLO: Le città invisibili
AUTORE: Italo Calvino
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 166
PREZZO: € 12,50
GENERE: letteratura italiana



Le città invisibili di Calvino è un libro estremamente difficile da raccontare, almeno per me.

È un insieme di frammenti che raccontano di città, che si inseriscono Anzitutto abbiamo una cornice narrativa che vede Marco Polo raccontare a Kublai Kahn delle città che ha visto durante i suoi viaggi. Ogni capitolo si apre e si chiude con questa sovrastruttura, che si differenzia del resto del testo per essere in corsivo. Sono parti molto riflessive e ‘filosofeggianti’ perché poi i due si interrogano sul senso della vita e delle città.

I capitoli sono rappresentatati da un insieme di frammenti, di brevissimi racconti, poche pagine i più lunghi, solo pochi paragrafi la maggior parte, in cui vengono narrate delle città. Città immaginarie e immaginifiche, sognate e sognanti, città assolutamente fantasiose; ciascun frammento ci racconta di una città facendo perno su un suo aspetto peculiare che maggiormente la caratterizza. Un insieme di pezzetti di sogni, di immagini di città che non esistono ma che al tempo stesso contengono una e tutte le città del mondo.

 

“La città e la memoria.
All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.”

 Il tutto è estremamente fantasioso e metaforico, la narrazione è praticamente priva di trama, è quasi una sorta di esperimento o esercizio di scrittura. Se da un lato però tutto è astratto e generico oltre che frutto della fantasia dall’altro ci permette in qualche modo di vedere in noi stessi, le città e la cornice narrativa ci porta a riflettere. È un libro in questo senso filosofico.

Devo dire che nonostante io preferisca di gran lunga i libri di trama (in generale) Calvino mi piace – è un pilastro della letteratura italiana del Novecento e devo certo dirlo io che merita di essere letto – nonostante almeno sulla carta le sue opere sono un po’ diverse dai miei gusti abituali. Questo è il secondo libro che leggo dopo Se una notte d’inverno un viaggiatore… anche questo un libro particolarissimo, quasi un ibrido tra un romanzo e una raccolta di racconti (un po’ come Città invisibili) però i racconti sono “lunghi” idealmente rappresentano degli incipit di altrettanti romanzi.

Il libro si apre con una fantastica presentazione della storia da parte dello stesso Calvino (tratta da un intervento che fece in un’università americana, inutile dire che voglio assolutamente recuperare Lezione Americane) che ci racconta sia come è nato questo libro sia più in generale il suo metodo di scrittura (argomenti che mi affascinano sempre tantissimo).

“Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni. Io nello scrivere vado a serie: tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa, oppure soltanto appunti di cose che vorrei scrivere. Ho una cartella per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia; ho una cartella sulle quattro stagioni e una sui cinque sensi; in una ho raccolto pagine sulle città e sui paesaggi della mia vita e in un’altra città immaginarie, fuori dallo spazio e dal tempo. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori.”

Infine in questa edizione Mondadori è presente anche una nota biografica intitolata “cronologia” caratterizzata dall’accompagnare i vari dati biografici con testo, con delle parole di Calvino stesso relativo a quel dato.

Sicuramente voglio approfondire la conoscenza, come dicevo prima Italo Calvino è un importantissimo autore italiano che nonostante io non sia una grande appassionata di letteratura italiana e nonostante i libri che ho letto finora siano piuttosto particolare, a me piace.

Fatemi sapere se lo conoscete e quali titoli mi consigliate di leggere.


venerdì 4 aprile 2025

I DRAGHI, IL GIGANTE, LE DONNE di WAYÉTU MOORE

TITOLO: I draghi, il gigante, le donne
AUTORE: Wayétu Moore         traduzione di: Tiziana Lo Porto
EDITORE: E/O Edizioni
PAGINE: 288
PREZZO: € 18
GENERE: letteratura liberiana
LUOGHI VISITATI: Liberia e USA 


I draghi, il gigante e le donne racconta della guerra civile in Liberia agli inizi degli anni ’90 e lo fa attraverso gli occhi di una bambina di cinque anni, Tutu.

“[…] Ma il principe diventò egli stesso un drago. Un drago dai denti asimmetrici, i gomiti dotati di artigli e occhi sottili come carta. […] E adesso Hawa Undu era presidente della Liberia, lui che un tempo era stato un principe di buone intenzioni. Nonna diceva che tutti parlavano di lui perché c’era un altro principe che voleva andare nella foresta a uccidere Hawa Undu e riportare la pace. Questo principe si chiamava Charles, come mio nonno. Alcuni pensavano che avesse le carte in regola per farcela, che sarebbe riuscito a uccidere Hawa Undu e mettere fine alla maledizione della foresta e dei principi spiriti che vi danzavano dentro, ma altri affermavano che sarebbe finita allo stesso modo, che nessun principe sarebbe riuscito ad andare nella foresta e mantenere le promesse fatte. Il bosco accecava e confondeva. Hawa Undu non sarebbe mai morto.”

La narrazione si può suddividere in tre macro aree: la guerra civile, la vita in America e il ritorno.

Nella prima parte ci viene raccontata la guerra civile in Liberia vista però attraverso gli occhi di una bambina. La narrazione ha molto del favolistico, un mix tra quello che la bambina vede, sente dagli adulti, la sua fantasia e le favole che conosce. Così ad esempio le fazioni in combattimento sono i draghi, il presidente della Liberia un Hawa Undu un drago cattivo. Fondamentale è l’attenzione con cui la famiglia cerca di proteggere la piccola Tutu, non solo fuggendo ma ammantando il tutto, cercando di nascondere la realtà o meglio dando un significato diverso, edulcorato così i morti che incontrano per strada sono persone molto stanche che si stanno riposando oppure gli spari sono rumori di tamburi.

“Altre volte mi portava a cavalluccio mentre camminavamo. Lì dove ero seduta la brezza era più calma, ma è da lì che ho visto la gente sdraiata sulla strada.
«Perché sono tutti sdraiati per terra?» ho chiesto a papà.
«Dormono» a detto lui. «Noi adesso non possiamo dormire perché dobbiamo andare da Mam».”

 

Nella seconda parte viene narrata l’esperienza americana, poiché Tutu e la sua famiglia si trasferiscono in America, dove già viveva Mam che stava studiando grazie ad una borsa di studio. E sarà in America che Tutu e le sorelle crescono e diventano adulte e affrontano molti altri problemi legati al razzismo e all’integrazione.

“«Guardami» ha detto. «Ti vergogni di me?»
«No» devo avere detto.
«Bene» ha continuato. «Perché se ti vergogni di me, allora ti vergogni di te stessa».
Avrei voluto discutere con lei ma non avevo né la forza né il coraggio di mentirle dicendo che non ero stata trasformata, che non ero vittima di un’educazione che non teneva conto di lei.
«Sei africana» ha detto, con le lacrime che le scorrevano sul viso. «Il libro, il libro che ti fanno vedere con gli africani nudi nelle giungle. Lo sai benissimo che non è così. Non lasciare che ti facciano vergognare, okay? Tu sei africana». Quelle parole mi facevano più male di quanto immaginassi. Non le avevo mai sentite prima di quella sera. Tu sei africana. Tu sei africana. Tu sei africana. Parole insieme così profondamente accusatorie e giudicanti che avrei voluto correre fuori dall’auto urlando. Tu sei africana, e mi è venuta voglia di stringere i pugni e combattere. E non sapevo perché.”


“Così noi venuti da Liberia e Nigeria ed Etiopia, da Ghana e Senegal e Repubblica Democratica del Congo, da Kenya, da Zambia e da ogni altro paese, spinti sull’oceano da quelle squame e denti digrignanti, alcuni prima dei nostri genitori e altri dopo, alcuni senza documenti e altri primi nelle loro famiglie a essere nati con il passaporto blu, ci alleniamo a essere neri, essere bianchi, essere americani, essere tutto quello che non siamo. Impariamo le parole, le abitudini, la rabbia, i modi che i nostri genitori sono qui da troppo poco tempo per tramandarci. Accettiamo le prese in giro, i soprannomi, le incomprensioni, le frasi come «In Africa cavalcavate le giraffe?» e «Lì ce l’avete tutti una casa?» e «Gli africani sono troppo aggressivi» e «Voi africani siete convinti di essere migliori» e «Bè, non sembri africana» e «Quando ho detto quella cosa, stavo parlando di altri africani» e «Qualcuno nella tua famiglia ha mai mandato una di quelle lettere-truffa nigeriane in cui chiedono soldi?» e «Ma sei americana?» e «Capelli nero-blu» e «Ci hai venduto» e «Maledetti africani» e «Lì gli uomini hanno più mogli?» e «Sai fare il voodoo?» e «Perché l’Africa è così povera?» e «Perché gli africani puzzano?» e «Grace Jones» e «National Geograpich» e «African Booty Scratcher» e «Non parli come una persona nera» e «I miei genitori donano soldi all’Africa» e «I neri sono così sensibili» e l’esageratamente entusiasta «Sììì, sorella!» e «Non sono razzista ma» e «Maledetti neri» e «Ma perché hanno macchine di lusso e vivono nelle case popolari?» e «Mia mamma non voleva dirla quella che cosa che ha detto. Lo sai come sono quelli delle generazioni precedenti alla nostra» e «Ti sei fatta aiutare con quel compito?» e «Se parli troppo dell’essere nero, sei tu a essere razzista» e «Questa volta non possiamo darle la promozione» e «Per me la razza non conta». Noi incassiamo tutto.” 

 

 

Infine c’è una terza parte che è il ritorno in Liberia, i genitori tornano a vivere nella terra natia e Tutu li raggiunge per una sorta di vacanza che però nasconde anche altri scopi (come rivedere la terra natale e cercare una persona importante del suo passato). Quella che troviamo qui è una Libreria post guerre civili che cerca di riprendersi, di tornare alla normalità ma che non potrà mai tornare davvero come prima, le ferite lasciate dagli di conflitto sono troppo profonde. E anche grazie alle domande, apparentemente ingenue della protagonista, si può riflettere molto sulla guerra e sulle sue cause. E ci ricorda una volta di più le grandi responsabilità che l’Occidente ha nei confronti dell’Africa e dei suoi popoli.

«Chi rovinerebbe le cose per cui combatte?» ho scosso la testa, disillusa.
«Forse non combattevano per la Liberia» ha detto papà a voce bassa, e poi le parole si sono attardate qualche istante, tormentandomi.
[…]
«Dove sono andati i ribelli?» ho chiesto a papà, e ho notato che con le mani stringeva forte il volante.
«Guarda fuori dal finestrino. Sono tutti qui intorno» ha detto. «Alcuni di questi tassisti, benzinai, guardie di sicurezza. Sono dappertutto».
«Si sono solo dati una ripulita e hanno ripreso a vivere le loro vite come se non fosse accaduto nulla» ha detto Mam.”

Ogni parte è a modo suo molto dolorosa e toccante. Sicuramente un libro non facile, si parla oltretutto di eventi successi poche decine di anni fa e che purtroppo succedono quotidianamente in giro per il mondo. 

Da quello che ho capito non è un memoir puro ma unisce l’esperienza personale con l’invenzione, le esperienze di Moore che è fuggita dalla Liberia in guerra e l’esperienza di essere africana e nera negli Stati Uniti, oltre all’esperienza del ritorno “in visita” nel paese natale.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete conoscete.


venerdì 7 marzo 2025

DOVREMMO ESSERE TUTTI FEMMINISTI di CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE

TITOLO: Dovremmo essere tutti femministi
AUTORE: Chimamanda Ngozi Adichie    traduzione di: Francesca Spinelli
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 56
PREZZO: € 9
GENERE: saggio, femminismo








Un libricino piccolo ma tanto prezioso che tutt* noi dovremmo leggere e rileggere.

Chimamanda Ngozie Adichie fornisce una propria definizione di femminismo ed è da qui che voglio partire: “La mia definizione di ‘femminista’ è questa: un uomo o una donna che dice sì, esiste un problema con il genere così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio. Tutti noi, donne e uomini, dobbiamo fare meglio.”

Esiste un problema con il genere e tutti possiamo fare qualcosa per risolverlo, anche nel nostro piccolo e nel quotidiano. Ed è un problema che riguarda tutti, non solo le donne (per quanto ne siano le principali vittime) ma anche gli uomini ne escono “penalizzati” ad esempio devono sempre apparire forti, duri e non devono mostrare le loro emozioni e i loro sentimenti, è un aspetto questo che mi sembra bene sottolineare soprattutto perché, come diremo poi, al femminismo si guarda spesso in modo negativo.

“Il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere invece di riconoscere come siamo. Immaginate quanto saremmo più felici, quanto ci sentiremmo più liberi di essere chi siamo veramente, senza il peso delle aspettative legate al genere.”

Affronta moltissimi aspetti della questione di genere e moltissimi pregiudizi e stereotipi che accompagnano, ancora oggi, la tematica. Il femminismo è spesso (o prevalentemente direi) visto in un accezione negativa, qualcosa di petulante e pretestuoso invece non è così, è un argomento che dovrebbe infiammare tutti! Tutti dovrebbero battersi per un mondo più equo e giusto, perché il problema del genere riguarda tutti indistintamente, perché anche se magari non ci tocca personalmente tutti abbiamo - non dico una o più figure femminili a cui siamo legati (moglie, figlia, sorella, amica) – una madre!

Un aspetto molto importante che sottolinea Adichie, che può magari sembrare banale ma che sta alla base di molte idee e abitudini, è che a furia di vedere e sentire qualcosa si finisce non solo a farci l’abitudine ma anche a somatizzare quello come verità assoluta.

 “Se facciamo di continuo una cosa, diventa normale. Se vediamo di continuo una cosa, diventa normale. Se solo i maschi diventano capoclasse, a un certo punto finiamo per pensare, anche se inconsciamente, che il capoclasse debba per forza essere un maschio. Se continuiamo a vedere solo uomini a capo delle grandi aziende, comincia a sembrarci ‘naturale’ che sono gli uomini possano guidare le grandi aziende.” Pag 9

Il linguaggio e l’approccio col lettore è semplice, diretto, colloquiale, ma al contempo anche intimo e personale è perfetto per farci capire di cosa stiamo parlando, per far immedesimare il lettore e farlo riflettere. Trovo che questo libro sia adatto a tutti, un ottimo primo approccio al tema oppure l’ascolto di una voce importante.

Riporta tantissime esperienze di vita dell’autrice che però ben si adattano a tutto il mondo.

Sicuramente voglio leggere altro di questa autrice, avevo già in wish list “Metà di un sole giallo” ma sicuramente recupererò “Ibisco viola” che viene citato nel testo e in generale voglio approfondire la sua produzione, è una voce che mi piace per come e cosa esprime.

Vi aspetto nei commenti per sapere se avete letto questo saggio e/o altre opere di Chimamanda Ngozi Adichie e per farmi consigliare altri testi femministi.


martedì 25 febbraio 2025

LE VEDOVE DI MALABAR HILL di SUJATA MASSEY

TITOLO: Le vedove di Malabar Hill. Le inchieste di Perveen Mistry
AUTORE: Sujata Massey       traduzione di: Laura Prandino
EDITORE: Beat
PAGINE: 448
PREZZO:€ 13,50
GENERE: letteratura indiana
LUOGHI VISITATI: India primi del '900


Un romanzo ad ambientazione storica che coniuga giallo/mistery, femminismo e Storia, quella dell’India coloniale dei primi del Novecento.

È il primo volume di una serie con protagonista l’avvocatessa Perveen Mistry (prima avvocatessa di Bombay) e investigatrice per caso.

Perveen ha delle grandissime responsabilità perché non vuole far sfigurare (o disonorare) il padre (avvocato famoso e richiesto), inutile dire che non ha vita facile, negli anni ’20 fare l’avvocatessa per un donna era difficile ovunque figuriamoci in una società come quella indiana, inoltre è un attiva sostenitrice dalla causa femminista.  Ma Perveen ha anche uno scheletro nell’armadio (tale Cyrus Sodawalla di Calcutta).

Abbiamo una narrazione particolare che alterna le vicende del presente narrativo (1921) con Perveen avvocatessa che si occupa del caso di Malabar Hill e un passato (anni 1916 e 1917) dove la seguiamo alle prese con un particolare capitolo della sua vita che nella parte presente viene visto come un “neo”, un errore, una storia d’amore tragica che l’ha profondamente segnata e che sembra essere ritornata a tormentarla… La narrazione è molto scorrevole e godibile, si alternano le due parti e spesso i capitoli si chiudono con dei cliffhanger

Venendo al caso “giallo” abbiamo un ricco commerciante musulmano il signor Omar Farid che è da poco deceduto, le tre mogli hanno comunicano di voler rinunciare all’asse ereditario in favore del ‘wake’ di famiglia (il wake è un istituto giuridico particolare oggetto di grandi attenzioni perché si presta anche alla realizzazione di frodi, riassumendo in maniera semplicissima si tratta di un fondo di investimento/beneficienza che dona periodicamente denaro ai bisognosi ma al contempo ripartisce dividenti ai favore di prestabiliti membri della famiglia). Compito di Perveen è quello di parlare con le donne per accertare la loro volontà (le vedove Razia, Sakina e Mumtaz vivono in clausura rispetto al mondo esterno), i rapporti tra le donne non sembrano dei più sereni e ci sono tanti segreti che nascondono. Ci sarà un delitto, viene trovato ucciso Faisal Mukri, l’amministratore ed esecutore testamentario viene quindi chiamata la polizia e inoltre scompare anche una delle figlie. Alla fine il caso verrà risolto grazie alla prontezza e perspicacia di Perveen che ha anche messo a repentaglio la sua vita.

Questo romanzo è il primo di una serie che voglio assolutamente continuare. Come dicevo all’inizio oltre alla parte “gialla” comunque molto bella, il romanzo è un concentrato d’India con il suo mix di culture e religioni, in questa storia si parla nello specifico di parsi o zoroastriani (comunità a cui appartengono Perveen e la sua famiglia) e musulmani (comunità a cui appartiene il signor Farid) ma ci sono accenni anche agli indù. C’è grandissima attenzione alla condizione femminile, il mondo delle donne è fatto di tabù e limitazioni (e questo a prescindere dalla confessione religiosa di appartenenza), alle donne serve l’approvazione scritta del marito o di un membro maschio della famiglia per molte cose come iscriversi all’università oppure la legge che disciplina il divorzio e non è causa di separazione “andare a prostitute” ovviamente se ad andarci è il marito! Infine la ricostruzione storica è davvero magnifica e ci racconta di un India nei primi decenni del ‘900 quando è colonia inglese ed emerge suppur in sottofondo anche la voglia di autodeterminazione degli indiani rispetto agli inglesi, e ci viene portato anche il punto di vista degli inglesi perché tra i personaggi c’è un amica di Perveen, Alice che è la figlia del consigliere del governatore.

 

Fatemi sapere se conoscete le storie con Perveen Mistry. Vi aspetto nei commenti


venerdì 21 febbraio 2025

IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE

TITOLO: Il favoloso mondo di Amélie
REGISTA: Jean-Pierre Jeunet
ATTORI PRINCIPALI:Audrey Tautou nel ruolo di Amélie Poulain
DURATA: 122 minuti
GENERE: commedia
AMBIENTAZIONE: Parigi 1997


Il favoloso mondo di Amélie è un film coccola, un sorta di favola romantica con lieto fine che fa bene allo spettatore.

Protagonista una giovane donna di nome Amélie Poulain una sognatrice che vive praticamente in un mondo di sua invenzione, con tante manie e rituali godendosi le piccole cose e lavora in un bar di Montmartre. 

La sera della morte della principessa Diana per caso trova dietro una mattonella di casa la scatola del tesoro di un bambino e decide di rintracciarlo per restituirgliela. Ma la nostra Amélie non la consegna direttamente, escogita una serie di stratagemmi e guarda il risultato che ottiene: rende migliore la vita di una persona. Così decide che quella sarà la sua missione e inizia dal padre (vedovo e chiuso in se stesso) facendo viaggiare per il mondo il suo adorato nano da giardino, continua poi con la portinaia, con avventori e colleghi del bar e con il droghiere.

Ma oltre a questa missione Amèlie troverà forse anche l’amore, in metropolitana nota un ragazzo, Nino che colleziona le fototessere gettate via, un giorno il ragazzo perde il suo album e per restituirlo Amèlie inventa (anche in questo caso) una serie di missioni e stratagemmi. I due sono davvero molto affini, entrambi sognatori e con degli hobby o delle manie piuttosto particolari.

 Amélie, come detto all’inizio, vive in un mondo frutto della sua fantasia e preferisce questo mondo inventato a quello reale dove ci si può far male. È un ragazza molto sola con un passato piuttosto triste ma a modo suo è felice e si dà da fare per aiutare gli altri ma è giusto come le suggerisce il suo amico “uomo di vetro” (un vecchio vicino di casa così soprannominato per la sua malattia) che anche lei sia felice o almeno ci provi.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo conoscete.


venerdì 7 febbraio 2025

SCOMPARTIMENTO N. 6 di ROSA LIKSOM

TITOLO: Scompartimento n. 6
AUTORE: Rosa Liksom       traduzione di: Delfina Sessa
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 240
PREZZO: € 16,50
GENERE: letteratura finlandese
LUOGHI VISITATI: Mosca anni '80 e viaggio sulla transiberiana

Scompartimento n. 6 ci porta alla scoperta di un impero in decadenza orami prossimo alla fine (l’Unione Sovietica negli anni ’80) attraverso un viaggio in treno sulla Transiberiana da Mosca ad Ulan Bator.

Protagonisti i due occupanti dello scompartimento n. 6 che volenti o nolenti dovranno farsi tutto il viaggio assieme e non potrebbero essere più diversi e distanti. Abbiamo un uomo -Vadim Nikolaevič Ivanov – russo di mezza età, fa periodicamente il viaggio perché lavora come carpentiere nella capitale mongola. È figlio dell’URSS e della sua indottrinatura, è l’emblema dell’uomo russo, quasi uno stereotipo, un tipo modello, una sorta di condensato della società russa. È un grandissimo chiacchierone, non fa altro che parlare e raccontare della sua vita e delle sue esperienze.

E poi c’è una ragazza, finlandese che si trova a fare il viaggio in solitaria forse per rincorrere un sogno o per trovare la propria via o per scappare da una realtà che la mette alla prova o forse tutte le cose assieme; di lei non sappiamo nemmeno il nome.

Nel corso della narrazione conosceremo la storia di entrambi, o tramite le chiacchere o tramite pensieri e l’intervento del narratore. Seppur così diversi alla fine nascerà un intesa o un amicizia? Io ci ho spero…

La scrittura è magnifica, a tratti brutale, dura, cruda ma al tempo stesso lirica e poetica, molto descrittiva che fa immergere il lettore in quello spazio/tempo. Il paesaggio che incontriamo durante il viaggio di per sé è bucolico ma l’intervento e la presenza umana è devastante, e ci viene riportata descrizioni non edulcorate, quasi violente. Fondamentalmente ci vengono raccontati i bassifondi, non la criminalità vera e propria, ma gli strati più bassi della scala sociale e molti ci sono finiti quasi per caso, lo stesso Vadim per esempio è praticamente un miracolo che sia ancora vivo. In generale i rapporti umani e famigliari (le famiglie che incontriamo sono disfunzionali, in primis quelle dei protagonisti) sono degradati: povertà, abbandono e tanto “fare da sé, arrangiarsi”.

“La locomotiva ululò due volte e il treno si mise in moto a sobbalzi. La settima sinfonia di Šostakovič irruppe dall’altoparlante di plastica, e così si allontana Novosibirsk, il frastuono dei suoi sobborghi in costruzione, il suo cielo levigato e soleggiato. Si allontana Novosibirsk, l’odore di acciaio marcio che penetra dal finestrino del vagone. Si allontanano il vago profumo di garofani chiari, l’aroma intenso dell’aglio e l’acre tanfo del sudore spremuto dai lavori forzati. Si allontanano Novosibirsk, gli installatori, i minatori, la città industriale dei sogni passati, cui fan la guardia moderne periferie annerite dal fumo, massacrate dalle intemperie e le tristi carcasse di migliaia di caseggiati prefabbricati. Si allontanano le luci cieche delle fabbriche che sudano a quaranta gradi sotto zero, i loro cancelli miagolanti, i grandi magazzini centrali, le carogne di gatti torturati agli angoli degli alberghi, le babbucce di feltro e i pantaloni di lana marroni, le botteghe delle cooperative di consumo, la terra stanca, Novosibirsk. Già la zona industriale cede il posto a un sobborgo corroso dall’inquinamento. Luce, luce abbagliante, e a un sobborgo segue un altro, luce e penombra, e sfreccia in direzione opposta un treno merci lungo come una notte di veglia, e ancora luce, la luce abbagliante del cielo siberiano, e sobborghi, periferie, sobborghi, agglomerati di case senza fine. Questa è ancora Novosibirsk: autocarri su una strada che non è una strada, un cavallo e una gabbia per fieno, una taiga siberiana, su cui fluttua una nebbia rossa. I boschi filano via a pazza velocità, un caseggiato di diciotto piani solitario in mezzo a campi devastanti sepolti sotto la neve. La foresta dilaga, questa non è più Novosibirsk: una collina, una valle, sottobosco. Il treno precipita verso la tundra ignota e Novosibirsk non è che un mucchio di pietre che vengono risucchiate lontano. Il treno si immerge nella natura, avanza pulsando attraverso il paese innevato, deserto.” Pag 89 e 90

Il libro ha avuto un grandissimo successo, inaspettato data la tematica (semplificando al massimo la Finlandia non ha un buon rapporto con la Russia), è in parte autobiografico nel senso che Rosa Liksom ha davvero fatto un viaggio sulla transiberiana da Mosca a Ulan Bator negli anni ’80 ed era quindi una giovane ragazza finlandese, e quindi penso si sia ispirata per le descrizioni alla sua esperienza non credo che abbia fatto il viaggio con un Vadim. Inoltre il libro è una sorta di omaggio allo scrittore russo Cechov e al suo racconto “La corsia n. 6” in entrambi, pur avendo un ambientazione molto diversa, si respira decadenza e nostalgia. Infine ho visto che da questo libro è stato tratto un film “Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino” anche se leggendo la trama online è piuttosto diversa da quella del libro, ciononostante in futuro potrei farci un pensierino.

Fatemi sapere se lo avete letto e se conoscete questa autrice.