AUTORE: Bernard Malamud traduzione di: Giancarlo Buzzi
EDITORE: Minimum Fax
PAGINE: 327
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York fine anni '50
Un libro che mi è piaciuto molto e di cui mi risulta molto
difficile parlare, mi capita con i libri che mi piacciono tanto talmente tanto
da non trovare le parole.
Pubblicato nel 1957 ha un ambientazione coeva che oggi direi
vintage: una New York d’altri tempi dove un panino costa 3 centesimi.
La storia è quella di un negoziante ebreo, Morris Bober e
del suo negozio di alimentari a Brooklyn. Il negozio è l’unica ragione di vita
di Morris ma anche ciò che gli ha rubato la giovinezza, che gli sta succhiando
tutte le energie e in definitiva la vita (praticamente Morris è “sepolto”
dentro al suo negozio da quarant’anni, esce raramente e mai dal quartiere) e
nonostante il grandissimo impegno, tiene aperto dalle sei del mattino alle
dieci di sera, il negozio non dà ai Bober abbastanza per tirare avanti e devono
integrare con il magro stipendio della figlia Helen. Ci sarebbero tante cose da
fare, da migliorare per stare al passo con i tempi e la concorrenza ma non ci
sono i soldi, il negozio è lo stesso da decenni, ormai è fatiscente e i clienti
sempre più scarsi, anche i più fedeli si rivolgono alla concorrenza. Uno dei
problemi è proprio la presenza di nuovi supermercati nel quartiere,
supermercati moderni e attrezzati che inoltre sono gestiti da “gentili”. I
Bober sono ebrei ma vivono in un quartiere “normale” (cioè non ebraico o a
maggioranza ebraica) e la loro appartenenza razziale è motivo di discrimine.
Abbiamo una narrazione lenta, tutto è incentrato sul negozio
che è praticamente anche, salvo pochissime eccezioni, l’unico luogo dove
vediamo i personaggi, dove si svolge “l’azione”. È un libro molto statico e
molto introspettivo: Malamud scandaglia approfonditamente l’animo dei
personaggi, ci racconta quello che dicono e quello che fanno ma anche e
soprattutto i loro pensieri, sentimenti, paure, timori e le loro aspirazioni. Malamud
appartiene al filone della narrativa ebraico-americana come Philip Roth e come
Saul Bellow (per citare i più famosi), ho letto che è considerato il padre
letterario di Roth (anche se quest’ultimo si discosta per essere molto più
diretto e pungente).
Voglio spendere due parole sui personaggi che sono il fulcro
principale della narrazione che come detto sopra non è di azioni ma di
introspezioni.
C’è la famiglia Bober composta da Morris, la moglie Ida e la
figlia Helen, sono ebrei osservanti e per loro l’appartenenza religiosa è molto
importante, non accetterebbero mai un matrimonio misto per la figlia.
Helen ha le idee chiare, è pratica e pragmatica, forse un
po’ troppo idealista e per questo si è fatta terra bruciata intorno, è
terribilmente sola l’unica compagnia le viene dai libri e dalla lettura. Non
che sia priva di ammiratori, è anche una bella ragazza e nello stesso quartiere
vivono altre due famiglie ebree in entrambe ci sarebbe un possibile
pretendente, una ragazzo interessato ma lei vuole qualcosa di diverso, sogna e vuole
una vita con determinate caratteristiche e non accetta compressi.
Il personaggio di Morris è pazzesco, è l’onesta fatta
persona, non ruberebbe un grammo mentre gli altri non si fanno scrupoli a
derubarlo e ingannarlo. È un sessantacinquenne ebreo emigrato dalla Russia
zarista che cerca di realizzare il sogno americano con il suo negozio di
alimentari a Brooklyn. È un uomo buono e onesto, che però si scontra con la
dura realtà della vita, le perdite, la vecchiaia, la malattia e soprattutto il
progresso.
“«Perché ho sgobbato tanto? Dov’è, dov’è finita la mia
giovinezza?»
Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa?
Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sé. Bastava
soltanto scegliere la strada giusta e lui invece aveva scelto quella sbagliata.
Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. Per capirne il motivo bisognava
possedere un’istruzione che lui non aveva. Tutto ciò che sapeva era che voleva
qualcosa di meglio, ma in tutti questi anni non era mai riuscito a trovare il
sistema per ottenerlo. La fortuna era un dono. Karp ce l’aveva, e anche qualche
suo vecchio amico, individui ricchi che ormai erano nonni, mentre la sua povera
figliuola, fatta sua immagine, rischiava – se pure non se lo poneva come
obiettivo - di restare zitella. La vita
era ben povera cosa e il mondo cambiava in peggio. L’America era diventata
troppo complicata e un uomo non contava più nulla. Troppi negozi, troppe depressioni,
troppe ansie. Cosa aveva voluto fuggire, venendo qui?” pag 276 e 277
Infine il “commesso” del titolo Frank Alpine: un giovane di
origini italiane, senza fissa dimora, un piccolo delinquente con un burrascoso
passato alle spalle con la spola tra orfanatrofi e famiglie affidatarie poco
amorevoli. Un ragazzo cresciuto da solo e per strada che ha sempre potuto
contare solo su stesso. A un certo punto (anche per delle ragioni che si
scoprono nel libro) decide di redimersi, di impegnarsi a diventare una persona
migliore e come fa? Facendo il garzone per i Bober, in realtà praticamente
imponendosi come garzone, il suo aiuto è molto prezioso i Bober ormai sono
vecchi. Alla ragione iniziale se ne aggiungerà un’altra, io direi piuttosto
scontata, un infatuazione, un interesse per Helen. (Dico scontata perché
abbiamo vicino due ragazzi dannatamente soli e bisognosi di comprensione).
Voglio leggere altro di Malamud a me è piaciuto molto.
Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cosa mi consigliate.