martedì 25 febbraio 2025

LE VEDOVE DI MALABAR HILL di SUJATA MASSEY

TITOLO: Le vedove di Malabar Hill. Le inchieste di Perveen Mistry
AUTORE: Sujata Massey       traduzione di: Laura Prandino
EDITORE: Beat
PAGINE: 448
PREZZO:€ 13,50
GENERE: letteratura indiana
LUOGHI VISITATI: India primi del '900


Un romanzo ad ambientazione storica che coniuga giallo/mistery, femminismo e Storia, quella dell’India coloniale dei primi del Novecento.

È il primo volume di una serie con protagonista l’avvocatessa Perveen Mistry (prima avvocatessa di Bombay) e investigatrice per caso.

Perveen ha delle grandissime responsabilità perché non vuole far sfigurare (o disonorare) il padre (avvocato famoso e richiesto), inutile dire che non ha vita facile, negli anni ’20 fare l’avvocatessa per un donna era difficile ovunque figuriamoci in una società come quella indiana, inoltre è un attiva sostenitrice dalla causa femminista.  Ma Perveen ha anche uno scheletro nell’armadio (tale Cyrus Sodawalla di Calcutta).

Abbiamo una narrazione particolare che alterna le vicende del presente narrativo (1921) con Perveen avvocatessa che si occupa del caso di Malabar Hill e un passato (anni 1916 e 1917) dove la seguiamo alle prese con un particolare capitolo della sua vita che nella parte presente viene visto come un “neo”, un errore, una storia d’amore tragica che l’ha profondamente segnata e che sembra essere ritornata a tormentarla… La narrazione è molto scorrevole e godibile, si alternano le due parti e spesso i capitoli si chiudono con dei cliffhanger

Venendo al caso “giallo” abbiamo un ricco commerciante musulmano il signor Omar Farid che è da poco deceduto, le tre mogli hanno comunicano di voler rinunciare all’asse ereditario in favore del ‘wake’ di famiglia (il wake è un istituto giuridico particolare oggetto di grandi attenzioni perché si presta anche alla realizzazione di frodi, riassumendo in maniera semplicissima si tratta di un fondo di investimento/beneficienza che dona periodicamente denaro ai bisognosi ma al contempo ripartisce dividenti ai favore di prestabiliti membri della famiglia). Compito di Perveen è quello di parlare con le donne per accertare la loro volontà (le vedove Razia, Sakina e Mumtaz vivono in clausura rispetto al mondo esterno), i rapporti tra le donne non sembrano dei più sereni e ci sono tanti segreti che nascondono. Ci sarà un delitto, viene trovato ucciso Faisal Mukri, l’amministratore ed esecutore testamentario viene quindi chiamata la polizia e inoltre scompare anche una delle figlie. Alla fine il caso verrà risolto grazie alla prontezza e perspicacia di Perveen che ha anche messo a repentaglio la sua vita.

Questo romanzo è il primo di una serie che voglio assolutamente continuare. Come dicevo all’inizio oltre alla parte “gialla” comunque molto bella, il romanzo è un concentrato d’India con il suo mix di culture e religioni, in questa storia si parla nello specifico di parsi o zoroastriani (comunità a cui appartengono Perveen e la sua famiglia) e musulmani (comunità a cui appartiene il signor Farid) ma ci sono accenni anche agli indù. C’è grandissima attenzione alla condizione femminile, il mondo delle donne è fatto di tabù e limitazioni (e questo a prescindere dalla confessione religiosa di appartenenza), alle donne serve l’approvazione scritta del marito o di un membro maschio della famiglia per molte cose come iscriversi all’università oppure la legge che disciplina il divorzio e non è causa di separazione “andare a prostitute” ovviamente se ad andarci è il marito! Infine la ricostruzione storica è davvero magnifica e ci racconta di un India nei primi decenni del ‘900 quando è colonia inglese ed emerge suppur in sottofondo anche la voglia di autodeterminazione degli indiani rispetto agli inglesi, e ci viene portato anche il punto di vista degli inglesi perché tra i personaggi c’è un amica di Perveen, Alice che è la figlia del consigliere del governatore.

 

Fatemi sapere se conoscete le storie con Perveen Mistry. Vi aspetto nei commenti


venerdì 21 febbraio 2025

IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE

TITOLO: Il favoloso mondo di Amélie
REGISTA: Jean-Pierre Jeunet
ATTORI PRINCIPALI:Audrey Tautou nel ruolo di Amélie Poulain
DURATA: 122 minuti
GENERE: commedia
AMBIENTAZIONE: Parigi 1997


Il favoloso mondo di Amélie è un film coccola, un sorta di favola romantica con lieto fine che fa bene allo spettatore.

Protagonista una giovane donna di nome Amélie Poulain una sognatrice che vive praticamente in un mondo di sua invenzione, con tante manie e rituali godendosi le piccole cose e lavora in un bar di Montmartre. 

La sera della morte della principessa Diana per caso trova dietro una mattonella di casa la scatola del tesoro di un bambino e decide di rintracciarlo per restituirgliela. Ma la nostra Amélie non la consegna direttamente, escogita una serie di stratagemmi e guarda il risultato che ottiene: rende migliore la vita di una persona. Così decide che quella sarà la sua missione e inizia dal padre (vedovo e chiuso in se stesso) facendo viaggiare per il mondo il suo adorato nano da giardino, continua poi con la portinaia, con avventori e colleghi del bar e con il droghiere.

Ma oltre a questa missione Amèlie troverà forse anche l’amore, in metropolitana nota un ragazzo, Nino che colleziona le fototessere gettate via, un giorno il ragazzo perde il suo album e per restituirlo Amèlie inventa (anche in questo caso) una serie di missioni e stratagemmi. I due sono davvero molto affini, entrambi sognatori e con degli hobby o delle manie piuttosto particolari.

 Amélie, come detto all’inizio, vive in un mondo frutto della sua fantasia e preferisce questo mondo inventato a quello reale dove ci si può far male. È un ragazza molto sola con un passato piuttosto triste ma a modo suo è felice e si dà da fare per aiutare gli altri ma è giusto come le suggerisce il suo amico “uomo di vetro” (un vecchio vicino di casa così soprannominato per la sua malattia) che anche lei sia felice o almeno ci provi.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo conoscete.


venerdì 7 febbraio 2025

SCOMPARTIMENTO N. 6 di ROSA LIKSOM

TITOLO: Scompartimento n. 6
AUTORE: Rosa Liksom       traduzione di: Delfina Sessa
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 240
PREZZO: € 16,50
GENERE: letteratura finlandese
LUOGHI VISITATI: Mosca anni '80 e viaggio sulla transiberiana

Scompartimento n. 6 ci porta alla scoperta di un impero in decadenza orami prossimo alla fine (l’Unione Sovietica negli anni ’80) attraverso un viaggio in treno sulla Transiberiana da Mosca ad Ulan Bator.

Protagonisti i due occupanti dello scompartimento n. 6 che volenti o nolenti dovranno farsi tutto il viaggio assieme e non potrebbero essere più diversi e distanti. Abbiamo un uomo -Vadim Nikolaevič Ivanov – russo di mezza età, fa periodicamente il viaggio perché lavora come carpentiere nella capitale mongola. È figlio dell’URSS e della sua indottrinatura, è l’emblema dell’uomo russo, quasi uno stereotipo, un tipo modello, una sorta di condensato della società russa. È un grandissimo chiacchierone, non fa altro che parlare e raccontare della sua vita e delle sue esperienze.

E poi c’è una ragazza, finlandese che si trova a fare il viaggio in solitaria forse per rincorrere un sogno o per trovare la propria via o per scappare da una realtà che la mette alla prova o forse tutte le cose assieme; di lei non sappiamo nemmeno il nome.

Nel corso della narrazione conosceremo la storia di entrambi, o tramite le chiacchere o tramite pensieri e l’intervento del narratore. Seppur così diversi alla fine nascerà un intesa o un amicizia? Io ci ho spero…

La scrittura è magnifica, a tratti brutale, dura, cruda ma al tempo stesso lirica e poetica, molto descrittiva che fa immergere il lettore in quello spazio/tempo. Il paesaggio che incontriamo durante il viaggio di per sé è bucolico ma l’intervento e la presenza umana è devastante, e ci viene riportata descrizioni non edulcorate, quasi violente. Fondamentalmente ci vengono raccontati i bassifondi, non la criminalità vera e propria, ma gli strati più bassi della scala sociale e molti ci sono finiti quasi per caso, lo stesso Vadim per esempio è praticamente un miracolo che sia ancora vivo. In generale i rapporti umani e famigliari (le famiglie che incontriamo sono disfunzionali, in primis quelle dei protagonisti) sono degradati: povertà, abbandono e tanto “fare da sé, arrangiarsi”.

“La locomotiva ululò due volte e il treno si mise in moto a sobbalzi. La settima sinfonia di Šostakovič irruppe dall’altoparlante di plastica, e così si allontana Novosibirsk, il frastuono dei suoi sobborghi in costruzione, il suo cielo levigato e soleggiato. Si allontana Novosibirsk, l’odore di acciaio marcio che penetra dal finestrino del vagone. Si allontanano il vago profumo di garofani chiari, l’aroma intenso dell’aglio e l’acre tanfo del sudore spremuto dai lavori forzati. Si allontanano Novosibirsk, gli installatori, i minatori, la città industriale dei sogni passati, cui fan la guardia moderne periferie annerite dal fumo, massacrate dalle intemperie e le tristi carcasse di migliaia di caseggiati prefabbricati. Si allontanano le luci cieche delle fabbriche che sudano a quaranta gradi sotto zero, i loro cancelli miagolanti, i grandi magazzini centrali, le carogne di gatti torturati agli angoli degli alberghi, le babbucce di feltro e i pantaloni di lana marroni, le botteghe delle cooperative di consumo, la terra stanca, Novosibirsk. Già la zona industriale cede il posto a un sobborgo corroso dall’inquinamento. Luce, luce abbagliante, e a un sobborgo segue un altro, luce e penombra, e sfreccia in direzione opposta un treno merci lungo come una notte di veglia, e ancora luce, la luce abbagliante del cielo siberiano, e sobborghi, periferie, sobborghi, agglomerati di case senza fine. Questa è ancora Novosibirsk: autocarri su una strada che non è una strada, un cavallo e una gabbia per fieno, una taiga siberiana, su cui fluttua una nebbia rossa. I boschi filano via a pazza velocità, un caseggiato di diciotto piani solitario in mezzo a campi devastanti sepolti sotto la neve. La foresta dilaga, questa non è più Novosibirsk: una collina, una valle, sottobosco. Il treno precipita verso la tundra ignota e Novosibirsk non è che un mucchio di pietre che vengono risucchiate lontano. Il treno si immerge nella natura, avanza pulsando attraverso il paese innevato, deserto.” Pag 89 e 90

Il libro ha avuto un grandissimo successo, inaspettato data la tematica (semplificando al massimo la Finlandia non ha un buon rapporto con la Russia), è in parte autobiografico nel senso che Rosa Liksom ha davvero fatto un viaggio sulla transiberiana da Mosca a Ulan Bator negli anni ’80 ed era quindi una giovane ragazza finlandese, e quindi penso si sia ispirata per le descrizioni alla sua esperienza non credo che abbia fatto il viaggio con un Vadim. Inoltre il libro è una sorta di omaggio allo scrittore russo Cechov e al suo racconto “La corsia n. 6” in entrambi, pur avendo un ambientazione molto diversa, si respira decadenza e nostalgia. Infine ho visto che da questo libro è stato tratto un film “Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino” anche se leggendo la trama online è piuttosto diversa da quella del libro, ciononostante in futuro potrei farci un pensierino.

Fatemi sapere se lo avete letto e se conoscete questa autrice.




giovedì 30 gennaio 2025

LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA

TITOLO: La signora dello zoo di Varsavia
REGISTA: Niki Caro
ATTORI PRINCIPALI: Jessica Chastain nel ruolo di Antonina ŻabińskaJohan Heldenbergh nel ruolo di Jan Żabiński e Daniel Brühl nel ruolo di Lutz Heck
DURATA: 126 minuti
GENERE: drammatico, biografico
AMBIENTAZIONE: Varsavia fine anni '30 primi anni '40




Un film drammatico che racconta la storia di una famiglia e di una donna, Antonina che ha messo a repentaglio la propria esistenza per salvare delle persone innocenti.

 Protagonista è Antonina Żabińska (interpretata da Jessica Chastain), una donna che ama fortemente gli animali a cui dedica tutta se stessa. Lei e il marito Jan Żabiński (interpretato da Johan Heldenbergh) gestiscono lo zoo di Varsavia allo scoppio della seconda guerra mondiale. Iniziata la guerra lo zoo viene requisito e occupato dai nazisti come base e mezzo di approvvigionamento ma gli Żabiński ottengono di poter continuare a viverci offrendosi di allevare maiali per il Reich andando a recuperare il nutrimento per gli animali al ghetto ebraico. Altro personaggio chiave è Lutz Heck (interpretato da Daniel Brühl) direttore dello zoo di Berlino e per questo conoscente degli Żabiński che allo scoppio della guerra si presenta come ufficiale SS nonché capo zoologo di Hitler. Heck ha mostrato già da tempo un ammirazione per Antonina che sicuramente gli Żabiński sfruttano per mantenere aperto lo zoo come allevamento di suini, ma Heck porta avanti anche un suo esperimento scientifico con dei bisonti dove (volente o nolente) Antonina partecipa.

Gli Żabiński fanno parte di un organizzazione che salverà molti ebrei facendoli fuggire dal ghetto (anzitutto con la scusa dei rifiuti come cibo per maiali escono nascoste delle persone, ma non è l’unico modo), ospitandoli nello zoo e a casa loro, aiutandoli nel camuffarsi da “ariani”. La particolarità che rende la storia degli Żabiński ancor più eroica è che loro avevano i nazisti fuori dalla porta!

Il film è diretto da Niki Caro e si basa sul libro Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman a sua volta tratto da una storia vera di Antonina Żabińska (ricostruita grazie ai suoi diari).

Fatemi sapere se lo conoscete. Un film perfetto da recuperare in occasione della giornata della memoria.


venerdì 24 gennaio 2025

IL SERGENTE DELLA NEVE di MARIO RIGONI STERN

TITOLO: Il sergente della neve
AUTORE: Mario Rigoni Stern
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 144
PREZZO: € 11,50
GENERE: letteratura italiana, memoir, campagna di Russia seconda guerra mondiale
LUOGHI VISITATI: Russia, seconda guerra mondiale


Il sergente della neve è il memoir di Mario Rigoni Stern sulla ritirata dalla campagna di Russia, una testimonianza generica al tempo stesso precisa, racconta solo i fatti, l’esperienza vissuta senza spiegazioni, come dice lo stesso Rigoni Stern ci sono solo nomi di Alpini e non di luoghi perché quelli lui non li conosceva. Si tratta a tutti gli effetti di un memoriale, non è e non vuole essere un romanzo quindi non ci sono particolari spiegazioni e soprattutto c’è tanto non detto semplicemente perché non conosciuto dall’autore stesso.

Il libro racconta un’esperienza di guerra, è una lettura meno “pesante” di quello che mi aspettavo ma comunque molto intensa e dolorosa si occupa della ritirata dalla Russia, sappiamo già come è andata la campagna di Russia e cosa possiamo aspettarci dai ricordi di scuola. La narrazione si divide in due parti la prima (la più breve) che racconta della vita in trincea e poi la seconda parte che è quella più cospicua narra della ritirata. La ritirata dal fronte russo è una marcia lunghissima nel freddo e nella neve, praticamente senza cibo e riposo dove devono comunque combattere contro i russi che contrattaccano (mica li lasciano andare via come nulla fosse) quindi è pieno di imboscate e battaglie, tra cui la tristemente famosa battaglia di Nikolaevka.

“Viene il 26 gennaio 1943, questo giorno di cui si è già tanto parlato. È l’aurora. Il sole sta sorgento dal basso orizzonte ci manda i suoi primi raggi. Il biancore della neve e il sole abbagliano gli occhi. […] Affacciandoci ad una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con un treno pronto per noi. Saremo fuori dalla sacca se raggiungiamo la ferrovia.” Pag 103


Rigoni è in un battaglione di Alpini e racconta la sua esperienza che è personale ma al tempo stesso comune a molti altri, trattandosi di un memoir noi lettori sappiamo che Rigoni Stern ce l’ha fatta è tornato a casa grazie al suo coraggio (tantissimo), agli sforzi e alla sofferenza ma anche a tanta, tantissima fortuna. Ha avuto la capacità di mantenere un grande sangue freddo e grandi capacità organizzative e di comando, ma anche una grande umanità (che dimostra non solo verso i compagni ma anche verso la popolazione russa che lo ripaga con del cibo). Durante la narrazione Rigoni trova spesso delle assonanze tra ciò che vede in Russia (persone e luoghi) con il suo paese e i suoi paesani e in generale con l’Italia e gli italiani a sottolineare ulteriormente che non ha perso l’umanità anzi è un occhio lucido, attento e realistico.

“È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la neve, le nubi, le montagne e i volti dei bambini che giocano son le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Ma anche laggiù in quell’estremo lembo della steppa c’era un angolo caldo. La neve era intatta, l’orizzonte viola, e gli alberi si alzavano verso il cielo: betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppo di isbe. Pareva che non ci fosse la guerra laggiù; erano fuori dal tempo e fuori dal mondo, tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora. Lì aggiustavano gli aratri e le cinghie dei cavalli; i vecchi fumavano, le donne filavano la canapa. Non ci poteva essere la guerra sotto quel cielo viola e quelle betulle bianche, in quelle isbe lontane nelle steppa. Pensavo: «Voglio anch’io andare in quel caldo, e poi si scioglierà la neve, le betulle si faranno verdi e ascolterò la terra germogliare. Andrò nella steppa con le vacche, e alla sera, fumando macorka, ascolterò cantare le quaglie nel campo di grano. D’autunno taglierò a fette le mele e le pere per fare gli sciroppi e aggiusterò le cinghie dei cavalli e gli aratri e diventerò vecchio senza che mai ci sia stata la guerra. Dimenticherò tutto e crederò di essere sempre stato là». Guardavo quel caldo e si faceva sempre più sera.” Pag 67

Una testimonianza importantissima da leggere e una base per approfondire, non è uno storico a parlare ma un ragazzo comune che ha vissuto la campagna di Russia e il rientro “a baita” sulla sua pelle. Non è una lettura facile soprattutto verso la fine ci sono delle pagine per me dolorosissime e difficili (alla fine Rigoni ci dirà chi dei suoi compagni che abbiamo conosciuto all’inizio ce l’ha fatta e chi no, e mi ero affezionata molto ad alcuni). In questo libro si dà voce a tutti quelli che sono tornati ma anche a quelli che non ce l’hanno fatta, si dà voce a chi ha pagato con la vita l’invasione della Russia (inutile come tutte le guerre).

“Ecco, ora è finita la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo ancora camminato. Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero ancora da dire, ma queste è un’altra storia.” pag 126



Non posso che consigliarvelo, è un libro meraviglioso, sicuramente straziante ma anche necessario.

Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cos’altro mi consigliate di Rigoni Stern.


venerdì 17 gennaio 2025

IL COMMESSO di BERNARD MALAMUD

TITOLO: Il commesso 
AUTORE: Bernard Malamud         traduzione di: Giancarlo Buzzi
EDITORE: Minimum Fax
PAGINE: 327
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York fine anni '50




Un libro che mi è piaciuto molto e di cui mi risulta molto difficile parlare, mi capita con i libri che mi piacciono tanto talmente tanto da non trovare le parole.

Pubblicato nel 1957 ha un ambientazione coeva che oggi direi vintage: una New York d’altri tempi dove un panino costa 3 centesimi.

La storia è quella di un negoziante ebreo, Morris Bober e del suo negozio di alimentari a Brooklyn. Il negozio è l’unica ragione di vita di Morris ma anche ciò che gli ha rubato la giovinezza, che gli sta succhiando tutte le energie e in definitiva la vita (praticamente Morris è “sepolto” dentro al suo negozio da quarant’anni, esce raramente e mai dal quartiere) e nonostante il grandissimo impegno, tiene aperto dalle sei del mattino alle dieci di sera, il negozio non dà ai Bober abbastanza per tirare avanti e devono integrare con il magro stipendio della figlia Helen. Ci sarebbero tante cose da fare, da migliorare per stare al passo con i tempi e la concorrenza ma non ci sono i soldi, il negozio è lo stesso da decenni, ormai è fatiscente e i clienti sempre più scarsi, anche i più fedeli si rivolgono alla concorrenza. Uno dei problemi è proprio la presenza di nuovi supermercati nel quartiere, supermercati moderni e attrezzati che inoltre sono gestiti da “gentili”. I Bober sono ebrei ma vivono in un quartiere “normale” (cioè non ebraico o a maggioranza ebraica) e la loro appartenenza razziale è motivo di discrimine.

Abbiamo una narrazione lenta, tutto è incentrato sul negozio che è praticamente anche, salvo pochissime eccezioni, l’unico luogo dove vediamo i personaggi, dove si svolge “l’azione”. È un libro molto statico e molto introspettivo: Malamud scandaglia approfonditamente l’animo dei personaggi, ci racconta quello che dicono e quello che fanno ma anche e soprattutto i loro pensieri, sentimenti, paure, timori e le loro aspirazioni. Malamud appartiene al filone della narrativa ebraico-americana come Philip Roth e come Saul Bellow (per citare i più famosi), ho letto che è considerato il padre letterario di Roth (anche se quest’ultimo si discosta per essere molto più diretto e pungente). 

Voglio spendere due parole sui personaggi che sono il fulcro principale della narrazione che come detto sopra non è di azioni ma di introspezioni.

C’è la famiglia Bober composta da Morris, la moglie Ida e la figlia Helen, sono ebrei osservanti e per loro l’appartenenza religiosa è molto importante, non accetterebbero mai un matrimonio misto per la figlia.

Helen ha le idee chiare, è pratica e pragmatica, forse un po’ troppo idealista e per questo si è fatta terra bruciata intorno, è terribilmente sola l’unica compagnia le viene dai libri e dalla lettura. Non che sia priva di ammiratori, è anche una bella ragazza e nello stesso quartiere vivono altre due famiglie ebree in entrambe ci sarebbe un possibile pretendente, una ragazzo interessato ma lei vuole qualcosa di diverso, sogna e vuole una vita con determinate caratteristiche e non accetta compressi.

Il personaggio di Morris è pazzesco, è l’onesta fatta persona, non ruberebbe un grammo mentre gli altri non si fanno scrupoli a derubarlo e ingannarlo. È un sessantacinquenne ebreo emigrato dalla Russia zarista che cerca di realizzare il sogno americano con il suo negozio di alimentari a Brooklyn. È un uomo buono e onesto, che però si scontra con la dura realtà della vita, le perdite, la vecchiaia, la malattia e soprattutto il progresso.

“«Perché ho sgobbato tanto? Dov’è, dov’è finita la mia giovinezza?»
Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa? Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sé. Bastava soltanto scegliere la strada giusta e lui invece aveva scelto quella sbagliata. Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. Per capirne il motivo bisognava possedere un’istruzione che lui non aveva. Tutto ciò che sapeva era che voleva qualcosa di meglio, ma in tutti questi anni non era mai riuscito a trovare il sistema per ottenerlo. La fortuna era un dono. Karp ce l’aveva, e anche qualche suo vecchio amico, individui ricchi che ormai erano nonni, mentre la sua povera figliuola, fatta sua immagine, rischiava – se pure non se lo poneva come obiettivo -  di restare zitella. La vita era ben povera cosa e il mondo cambiava in peggio. L’America era diventata troppo complicata e un uomo non contava più nulla. Troppi negozi, troppe depressioni, troppe ansie. Cosa aveva voluto fuggire, venendo qui?” pag 276 e 277

Infine il “commesso” del titolo Frank Alpine: un giovane di origini italiane, senza fissa dimora, un piccolo delinquente con un burrascoso passato alle spalle con la spola tra orfanatrofi e famiglie affidatarie poco amorevoli. Un ragazzo cresciuto da solo e per strada che ha sempre potuto contare solo su stesso. A un certo punto (anche per delle ragioni che si scoprono nel libro) decide di redimersi, di impegnarsi a diventare una persona migliore e come fa? Facendo il garzone per i Bober, in realtà praticamente imponendosi come garzone, il suo aiuto è molto prezioso i Bober ormai sono vecchi. Alla ragione iniziale se ne aggiungerà un’altra, io direi piuttosto scontata, un infatuazione, un interesse per Helen. (Dico scontata perché abbiamo vicino due ragazzi dannatamente soli e bisognosi di comprensione).

Voglio leggere altro di Malamud a me è piaciuto molto. Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cosa mi consigliate.


venerdì 27 dicembre 2024

IL QUARTO RE MAGIO - Aa.Vv.

TITOLO: Il quarto re magio
AUTORE: aa.vv.
EDITORE: Marcos y Marcos
PAGINE: 296
PREZZO: € 12
GENERE: raccolta di racconti, racconti natalizi
LUOGHI VISITATI: vari



Una raccolta di racconti natalizi molto diversi tra loro per autore, epoca d’ambientazione e genere, c’è davvero di tutto dal classico al fantascientifico passando anche per il western. Assolutamente da leggere.

Si tratta di una raccolta estremamente “snella” non ci sono introduzioni o spiegazioni ma semplicemente i racconti. A fine libro, troviamo poche pagine in cui vengono fornite informazioni essenziali sulla biografia e produzione di ciascun autore (parlo di un paragrafo a testa) e la fonte del racconto.

Come tutte le raccolte di racconti si presta sia ad essere letta tutta d’un fiato (come ho fatto io) oppure diluita nel corso del tempo o dei Natali; la trovo perfetta sia per approcciarsi ad autori nuovi (io praticamente non ne conoscevo nessuno) sia per approfondire (magari con opere “minori”) autori che già amiamo. Nel complesso il libro mi è piaciuto davvero molto naturalmente non tutti i racconti mi sono piaciuti allo stesso modo e alcuni non mi sono piaciuti affatto, probabilmente non li ho compresi io.

Di seguito vi parlo di ciascun racconto senza spoiler.

1. Tutti i giorni Natale di Henrich Boll: protagonista una famiglia benestante tedesca subito dopo la fine della seconda guerra mondiale; dopo tanti anni la zia Milla può di nuovo fare l’albero di Natale, ma a gennaio 1947 al momento di metter via gli addobbi succede la tragedia: la zia Milla perde la ragione e l’unico modo di placarla è riproporre la festa di Natale tutte le sere, ma con quali difficoltà e per quanto tempo si potrà andare avanti? Un racconto interessante che da un lato fornisce una visione particolare del Natale che diventa oggetto di una paranoia, di una malattia e dall’altro permette uno spaccato sul modo di festeggiare in una famiglia dell’alta borghesia tedesca, dove il pezzo forte è un albero magnifico con decorazioni d’artigianato pazzesche.


“La principale attrazione dell’albero di natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava pace pace.” Pag 13

“Mi ricordo ancora bene del giorno in cui fummo invitati: era il gennaio del 1947, fuori faceva un gran freddo, ma da mio zio era caldo e c’era cibo in abbondanza. Quando si spensero le lampade e si accesero le candele, quando i nanetti cominciarono a battere col martelletto sulle incudini, l’angelo a sussurrare ‘pace, pace’, mi sentii trasportare indietro, in un tempo che avevo creduto ormai passato.” Pag 16

2. Il dono dei magi di Luciano Bianciardi: voce narrante e protagonista è un livornese, il dottor Melchiorri che assieme a un tedesco e a un angloindiano, nel dicembre 1947 battono il deserto libanese alla ricerca di petrolio con una società di fantasia e una licenza fantasma; la notte devono fare la guarda ‘all’albero di Natale’ la macchina trivellatrice perché i beduini cercano sempre di rubare il petrolio. Ma la notte del 24 dicembre arriva una coppia di giovani, lei incinta con le doglie e un bambino che sta per nascere: i tre uomini mettono a disposizione la loro rimessa e cercano di aiutare come possono, mettendo assieme anche dei doni da dare al bambino. Come si vede la trama non è affatto originale o nuova, è una sorta di rivisiatazione o retelling, la storia che tutti conosciamo inserita in un contesto diverso che ci fa riscoprire, ancora un volta, il senso del Natale.

“Ci guardavamo in faccia, come per interrogarci, senza dire una parola: questi sono doni per il padre e per la madre, ma ci vorrebbe qualcosa anche per lui, il piccolo. Qualcosa per dargli il benvenuto in questo mondaccio, per fagli capire (o per capirlo noi, piuttosto?) che in mezzo agli uomini qualche volta capita di incontrare gente buona, che la gente a volte può anche essere buona, che tutti abbiamo bisogno, per lo meno una volta all’anno di un gesto di bontà. Di farlo, quel gesto, più ancora che riceverlo.” Pag 58

3. A casa per Natale di Dambudzo Marechera: è il racconto che mi è piaciuto meno in assoluto avevo letto trattarsi di uno scrittore dello Zimbawe e avevo aspettative altissime anche per scoprire usanze magari diverse dalla nostre. C’è un io narrante che torna a casa per Natale dopo anni di assenza, ad attenderlo c’è sua sorella Ruth e come vuole la tradizione l’uomo di casa deve uccidere una capra che verrà poi cucinata e mangiata. Il nostro io narrante si rifiuta di uccidere l’animale e inizia un monologo (interminabile) sull’ingiustizia del mangiare gli animali, sul fatto che tutto il mondo altro non è che una catena alimentare e che non si può chiamare progresso gli allevamenti intensivi. Ragionamenti e osservazioni non sbagliate anzi condivisibili, ma a me il racconto in sé non è piaciuto, probabilmente nel suo contesto originario aveva maggior significato.

4. Un altro Natale di William Trevor: come il conflitto nordirlandese può influenzare la vita delle persone anche a tantissimi chilometri di distanza, non solo il Natale ma anche la vita quotidiana: una famiglia irlandese vive da tantissimi anni in Inghilterra, è gente brava ed onesta ma ciò forse non basta, soprattutto quando la questione nordirlandese diventa oggetto di discussione.

1.               La stella di Arthur C. Clarke: un racconto di natale fantascientifico davvero pazzesco. L’io narrante è un astrofisico gesuita in missione nello spazio per studiare la nebulosa Phoenix, nebulosa che a un certo punto si trasformò da supernova a nana bianca distruggendo tutti i pianeti del suo sistema, tutti tranne uno dove gli abitanti nascosero in una cripta i ricordi e i segni della loro esistenza. Punto focale è che il narratore è un uomo di Dio e si interroga sul perché Dio abbia permesso la distruzione di quel popolo e quale significato ciò possa avere, anche perché il fenomeno oggetto di studio è stato osservato anche dalla terra, almeno secondo le leggende. Clarke è l’autore del libro e della sceneggiatura di 2001: Odissea nello spazio.

 

2.               Ragazzi a Natale di Pier Vittorio Tondelli: un racconto con tre sere della vigilia di natale: a Berlino Ovest senza amici un ragazzo paragona l’essere soli in un giorno di festa all’essere in guerra; alla caserma di lancieri a Roma un ragazzo arrabbiato perché non gli hanno firmato la licenza e deve passare la festa in caserma; un paesino sugli appennini un quindicenne innamorato da il primo bacio. Tre ragazzi protagonisti o forse lo stesso in momenti diversi della sua vita? Non l’ho capito ma è un racconto molto bello che mi ha fatto venir voglia di conoscere questo autore.

7. Il dono dei magi di O. Henry: una favola natalizia, due ragazzi innamorati – Della e Jim – che sacrificano quanto hanno di più prezioso per poter fare un regalo speciale all’altro. Racchiude e racconta la vera magia o il vero significato del Natale.

8. Il Babbo Natale di Viale Neri arriva prima di Cristiano Cavina: una storia bella tosta, una storia di crescita che scalda il cuore ma che al contempo apre gli occhi, ci ricorda che le cose possono essere anche molto diverse “dalla normalità”. Viale Neri è un quartiere popolare dove troviamo degrado sociale e famigliare, e qui Babbo Natale arriva prima, il 23 dai frati dove i ragazzini prendono i loro doni – possibilmente vestisti per l’inverno – ma l’ultima volta il nostro protagonista disobbedisce e prende un libro, “I ragazzi della Via Pal” che tanto assomigliano a lui e ai suoi coetanei, e proprio quella scelta gli cambierà la vita… Cavina è un autore che voglio approfondire.

9. Natale per forza di O. Henry: il natale nel West, per me è un ambientazione fantastica avete mai pensato al natale nel selvaggio ovest? Io no, e già l’ambientazione mi aveva incuriosito facendomi pensare a come potesse essere il natale (addobbi, festeggiamenti, tradizioni) nel far west. La storia è una favola natalizia, abbiamo un cercatore d’oro di nome Cherokee che fonda la cittadina di Yellowhammer, ma l’oro finisce presto e si trasferisce altrove, fa fortuna e decide di omaggiare la sua cittadina presentandosi vestito da Babbo Natale con tantissimi regali e fare una meravigliosa festa. Le cose vanno diversamente da come aveva immaginato Cherokee, ma direi anche molto meglio. O. Henry è un altro autore che voglio approfondire, è un autore di racconti che ambienta tra la fine dell’800 e i primi del ‘900.

10. Un uovo caldo di Guy de Maupassant: si tratta di una storia natalizia, tratta da una raccolta tematica dell’autore che però ci narra un natale un po’ diverso da quello a cui siamo abiuati oggi, alla nostra (o almeno alla mia idea di natale). Un medico racconta un’episodio a cui ha assististo quando prestava servizio in campagna dove durante la messa di natale assiste ad un “miracolo”: dopo un eccezionale nevicata un uomo trova un uovo caldo e lo dona alla moglie che, dopo averlo mangiato impazzisce, provano di tutto ma nulla funziona, viene poi esorcizzata durante la messa di natale.

11. Cento di questi alberi di Jack Ritchie: racconto breve e divertente con protagonista Rober Cassett un guardiacaccia zelante e pasticcione, ne combina una peggio dell’altra. La vigilia di Natale coglie in flagrante Julia a tagliare un pino in proprietà demaniale, decide di portala a processo e va a casa dal giudice Horley che però è lo zio della ragazza, alla fine lo invitano a passare il natale da loro. È brevissimo, spassoso e c’è naturalmente anche il lieto fine da storia natalizia.

12. Cristallo di rocca di Adalbert Stifter: la vicenda si svolge principalmente tra la vigilia e il giorno di natale, siamo a metà Ottocento in un paesino sperduto tra le alpi austriache; la storia ruota attorno a due fratellini che di ritorno dalla visita alla nonna si perdono per la tormenta di neve. La narrazione è lenta, il racconto è estremamente lungo, e non è tra i miei preferiti come punti di forza ci sono delle bellissime descrizioni paesaggistiche (come inquadrature amplissime che man mano si stringono sui dettagli) e degli accenni alle tradizioni per natale di quei luoghi.

13. Natale a Thompson Hall di Anthony Trollope: rispetto a questo racconto avevo grandi aspettative perché con lo stesso titolo c’è un libro edito Sellerio, non l’ho ancora fatto nonostante nel frattempo abbia anche comperato il libro, ma dovrei controllare se quello che leggiamo qui è l’inizio del romanzo oppure è il racconto finito. Anche se mi aspettavo molto più “Natale” con descrizioni dei festeggiamenti e delle usanze il racconto e il suo autore mi sono piaciuti molto (tra l’altro essendo anch’esso uno scrittore ottocentesco il paragone con Cristallo di rocca è inevitabile) il racconto è quasi comico, scorrevole e brioso. Protagonista la signora Brow che tornando alla casa di famiglia (Thompson Hall appunto) per trascorre il Natale tutti assieme, durante il viaggio soggiornano una notte a Parigi e qui la signora vivrà una serie di disavventure…

14. Da Nazareth a Betlemme di Pier Paolo Pasolini: non è un vero e proprio racconto ma un copione di un opera teatrale o cinematografica, penso del film sulla vita di Gesù “Il vangelo secondo Matteo”. È uno dei racconti che mi è piaciuto meno ma perché non è un vero e proprio racconto di fantasia come gli altri.

Vi aspetto nei commenti per sapere se avete letto questa raccolta e se conoscete qualcuno di questi autori o racconti.