venerdì 28 giugno 2024

IL PIÙ GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE di ROY LEWIS

TITOLO: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
AUTORE: Roy Lewis     traduzione di: Carlo Brera
EDITORE: Adelphi
PAGINE: 178
PREZZO: € 12,00
GENERE: letteratura inglese, letteratura umoristica
LUOGHI VISITATI: Pleistocene
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“Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquemila anni.
Detto così alla buona, è il racconto comico della scoperta e dell’uso, da parte di una famiglia di uomini estremamente primitivi, di alcune delle cose più potenti e spaventose su cui la razza umana abbia mai messo le mani: il fuoco, la lancia, il matrimonio e così via. È anche un modo di ricordarci che i problemi del progresso non sono cominciati con l’era atomica, ma con l’esigenza di cucinare senza essere cucinati e di mangiare senza essere mangiati. E ci ricorda pure che la prima arma a uccidere la gente lasciando in piedi gli edifici fu la clava.”

Un libro breve denso e divertente che catapulta il lettore nella Preistoria al seguito di un clan familiare di ominidi/uomini scimmia capeggiati da Edward: instancabile (e incontentabile) inventore, così per fare un esempio Edward è colui che porta il fuoco andando a prenderlo al vulcano e trasportandolo poi fino alla caverna.

“«Abbiamo vinto!» gridammo, sopraffatti dalla gioia e ancora increduli. «Abbiamo vintooo!».
«Ma naturale che abbiamo vinto» disse papà. «E ricordatevelo bene: la natura non sta necessariamente dalla parte del più forte. La natura sta dalla parte della specie che sa far valere un vantaggio tecnologico sull’altra. Ossia noi… per il momento». Ci rivolse uno sguardo ammonitore. «Per il momento, ho detto. Non lasciatevi inebriare da un successo sporadico. Abbiamo ancora tanta strada da fare… tantissima strada. Ma adesso prendiamo possesso di questa invidiabile residenza».”
 

Edward è un grandissimo sostenitore e fautore dell’evoluzione, non si accontenta, vuole sempre migliorare la propria vita e quella degli altri, per questo motivo litiga spesso con suo fratello Vania che invece vive ancora sugli alberi ma però con la scusa di andare a “sgridare” Edward approfitta sempre per scaldarsi al fuoco e mangiare la carne che cacciano e cucinano.

Le vicende sono narrate in prima persona da uno dei figli di Edward, Ernest che racconta a suo figlio le mirabolanti scoperte e capacità del padre.

La cifra stilistica del libro è l’ironia, è un libro molto divertente e spassoso ma è pieno di riflessioni e spunti per riflettere sulla condizione umana ancora oggi. Altra caratteristica è il punto di vista della narrazione o meglio il linguaggio e le conoscenze utilizzate: le vicende sono ambientate nel Pleistocene ma sono raccontate con gli occhi di oggi. Questi ominidi ragionano in termini di teoria dell’evoluzione, sicuramente alcune conoscenze potevano essere frutto di osservazione e logica (ad esempio vedendo una tigre dai denti a sciabola “predicono” la sua estinzione perché ora i denti enormi le sono d’impaccio) però Ernest conosce il nome dell’era geologica in cui vive, conoscono nomi di animali, cose, alberi e luoghi (viene citata l’America!). Ma il tutto è ben congegnato, al servizio dell’ironia e di noi lettori che possiamo capire e apprezzare.

Come detto è anche ricco di spunti di riflessione e assistiamo ad una sorta di doppio scontro ideologico:

Edward vs Vania: il progresso, la ricerca tecnologica, la voglia di migliorarsi e di avere sempre di più, non accontentarsi di stare bene contro il conservatorismo, il va bene così, è contro natura evolversi ulteriormente, la paura delle novità e dei progressi (di cui però si giova).

“«Sono tornato ieri» riprese zio Vania «e naturalmente avevo già intenzione di venirvi a trovare. La sera stessa ho capito che c’era qualcosa che non andava. Mi risulta che da queste parti ci sono undici vulcani, Edward… non dodici! Guai in arrivo, quindi, e ho subodorato che c’entravi tu. Sperando ancora, assurdamente, ma col cuore stretto, son corso qui. Avevo ragione. Vulcani privati, nientemeno! Stavolta l’hai fatta grossa, Edward!».
Papà ebbe un ghigno sornione. «Lo credi davvero, Vania?» gli domandò. «Insomma, secondo te ci siamo, è il punto di svolta? L’avevo pensato anch’io, ma come si fa a esserne sicuri? Indubbiamente è una svolta, nell’ascesa dell’uomo, ma sarà proprio la svolta?» e papà strizzò gli occhi, in una sua tipica smorfia di comica disperazione.
«Che ne so se è una svolta o la svolta» ribatté zio Vania. «Io non presumo affatto di sapere quello che tu credi di fare, Edward. Ti monti la testa, questi sì! E ti dico che questa è la cosa più perversa e contro natura che uno…».
«È contro natura, eh?» disse papà, interrompendolo con impazienza. «Ma allora, Vania, l’artificiale è entrato nella vita subumana già con gli utensili di pietra. Sai, forse è stato proprio quello il passo decisivo, e questa è solo un’elaborazione; e però la selce la usi anche tu, e quindi…».
«Ne abbiamo già discusso mille volte» rispose zio Vania. «Entro limiti ragionevoli, gli utensili e i manufatti non infrangono l’ordine naturale. I ragni usano la rete per catturare le prede; gli uccelli costruiscono nidi che noi manco ci sogniamo; e chissà quante volte le scimmie avranno scagliato una noce di cocco per spaccarla su quella tua testa dura – cosa che spiega i tuoi deliri. Non più tardi di qualche settimana fa, ho visto un branco di gorilla attaccare una coppia di elefanti – elefanti, nota bene! – con dei bastoni. Sono disposto ad accettare come naturali le semplici selci sbozzate, a patto di non giungere a dipenderne, e di non raffinarle indebitamente. Non sono un reazionario, Edward, tanto è vero che fin lì ci arrivo. Ma questo!... È tutta un’altra cosa. Non si sa dove può portare. Coinvolge tutti. Anche me. Potresti bruciarci la foresta. Che fine farei io, allora?».”

Ernst vs Edward: la praticità e la possibilità di trarre vantaggi notevoli dalle scoperte e tenerli solo per se contro l’idealismo e progetti (romantici) di evoluzione della specie, un condividere gratuitamente con tutti le scoperte affinché tutti ne possano beneficiare; egoismo verso concetto di comunità.

Bello, bello bello. Un finale un po’ forte ma capisco necessario, inoltre siamo nel Pleistocene!

Consiglio assolutamente la lettura a chi cerca un libro di intrattenimento, un libro che parli della preistoria, divertente ma al tempo stesso dietro le battute e l’ironia si nascondono riflessioni interessanti e attuali.

Fatemi sepere se lo avete letto.


venerdì 14 giugno 2024

MR HOLMES E IL MISTERO DEL CASO IRRISOLTO - FILM

TITOLO: Mr Holmes e il mistero del caso irrisolto
REGISTA: Bill Condon
ATTORI PRINCIPALI: Ian McKellen nel ruolo di Holmes
DURATA: 104 minuti
GENERE: giallo, drammatico
AMBIENTAZIONE: Inghilterra fine anni '40

Una commedia dolce amara tinta di giallo con protagonista uno Sherlock Holmes alle prese con gli acciacchi della vecchiaia e soprattutto un dubbio lacerante sulla risoluzione di un caso, pensa di aver sbagliato, di aver fallito e che questo suo errore abbia portato a una conseguenza drammatica.

Conosciamo un Holmes anziano, scontroso e arcigno, si è ritirato da tempo a vita privata in campagna dove alleva api e vive con una governante (Mrs Murno e suo figlio Roger), è appena tornato dal Giappone, un viaggio lungo e faticoso per recuperare una pianta (il fiore del pepe) che spera possa aiutarlo con la memoria.

Si parla dei libri del suo amico Watson che lo vedono protagonista e anche un film che lo stesso Holmes ha letto e visto per caso e che sono pieni di licenze poetiche come la pipa e il cappello da caccia Deerstalker e ovviamente a Holmes non piacciono. In particolare c’è una cosa che lo tormenta il caso Kelmot: la ricostruzione che ne è stata fatta non lo convince ma non ricorda nulla a parte che è stato il suo ultimo caso prima di ritirarsi, così cerca di ricordare come andarono realmente i fatti e per questo sta scrivendo il racconto di quel caso.

La narrazione procede per flash back che alternano il presente con il viaggio in Giappone e il passato, in particolare la ricostruzione del caso Kelmot.

Holmes trova nel piccolo Roger un aiutante fedele e prezioso sia per le api che allevano assieme sia per il caso, tra i due si instaura un dolcissimo rapporto di amicizia quasi nonno nipote veramente intenso e commovente e anche il finale è davvero molto bello. Il piccolo Roger ha bisogno di una figura amica, è orfano di padre (morto nella RAF), ha solo la madre che sta cercando di dargli un futuro e per questo sta organizzando di trasferirsi sulla costa dove potrebbero lavorare entrambi in un albergo.

È un film anche tenero e triste, c’è tanto Holmes con le sue grandi capacità deduttive e logiche, un caso finale che lo segna nel profondo e lo fa smettere e poi la vecchiaia con tutti i suoi problemi che ne conseguono. Intenso, bello e dolceamaro come spesso accadde alle narrazioni quando hanno per protagonisti dei “vecchietti”.

Quella che emerge è la figura dello Sherlock Holmes uomo, uomo con dei sentimenti, con un passato che lo tormenta, alle prese con gli acciacchi dovuti all’età, un film godibilissimo.

L’Holmes che conosciamo in questo film (e lo si vede già dalla locandina) è un Holmes molto diverso dal personaggio descritto dal dottor Watson: niente pipa e niente cappello da cacciatore, per quanto, come spiegherà lo stesso Holmes la pipa gli piaceva ma dopo il successo l’abbandona perché non riusciva più a fumarla in pubblico e cercherà anche di discostarsi il più possibile dal personaggio letterario creando una sorta di dicotomia tra l’Holmes narrato da Watson e l’Holmes reale.

Non sono una grande esperta di Sherlock Holmes, ho letto due libri in passato (Il mastino dei Baskerville e una raccolta di racconti, entrambi in edizione ragazzi) che mi piacquero molto e da tempo voglio approfondire la conoscenza inoltre è una delle figure investigative più famose e io adoro i gialli.

Film consigliato a chi ama i gialli e Sherlock Holmes ma anche a chi ama le storie con dei vecchietti per protagonisti.

Fatemi sapere se lo avete visto.


venerdì 7 giugno 2024

ROSSO ISTANBUL - FERZAN ÖZPETEK

TITOLO: Rosso Istanbul
AUTORE: Ferzan Özpetek
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 111
PREZZO: € 11,50
GENERE: letteratura turca
LUOGHI VISITATI: Istanbul 
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Dietro ai libri che compro e leggo spesso c’è una storia da raccontare, una sorta di paratesto, di contorno e di aneddoti che potrebbero anche essere interessanti e curiosi. Libro preso praticamente a scatola chiusa in accoppiata nella promo due a 9e90 e avendo Istanbul nel testo l’ho preso perché mi piace viaggiare con i libri. Poi quando lo prendo in mano per leggerlo mi accorgo che avevo letto tempo prima una recensione e di aver pensato questo libro è di quelli che non fanno per me, non mi interessa ecc ecc,  però ormai avevo deciso di leggerlo, mi ero portata solo quello ed è breve mi sono buttata ed è stata una folgorazione anche in questo caso!!

Ferzan Özpetek è anche un regista turco ma da tanti anni trasferitosi a Roma, ha la capacità di mettere su carta o su pellicola le storie che vede, per sua ammissione/dichiarazione trae spunto da ciò che lo circonda e ci crea delle storie.

“Quanti segreti, penso con un sorriso. Misteri mai risolti, segreti di famiglia mai svelati. Crimini veri e crimini del cuore. Forse è per questo che, nei miei film, mi piace raccontarli, quei segreti; svelarli, con dolcezza; scioglierli e spiegarne il perché.” “Io, invece, mi guardo sempre intorno. Ascolto le convesazioni altrui. Mi chiedo che cosa stiano digitando, le persone, sulla tastiera del loro cellulare, a chi rispondano. Cerco di immaginare le loro storie chiuse dentro a un telefonino. E i loro segreti, i rimpianti, i sogni. Per raccontarli nei miei film. Qualcuno ha detto che sono un ladro di storie, e forse è davvero così.” 

Questo libro è un mix tra realtà e finzione, un continuo alternarsi tra l’autobiografia e l’invenzione, che analizza l’amore in tutte le sue sfaccettature. Una storia inventata, se vogliamo ricamata, su una persona vista in aereo. Un racconto lungo dove si alternano dei capitoli brevi intitolati Lui-Lei a seconda del protagonista.

La parte di lui è autobiografica protagonista è lo stesso Özpetek, scritto in prima persona, ci racconta della volta in cui torna ad Istanbul per salutare la madre e soprattutto la propria casa. Il suo quartiere natale è oggetto di un “rinnovamento” che vede l’abbattimento delle ville/dimore storiche per costruire palazzine moderne. Il ritorno a casa diventa anche occasione per rivedere amici e luoghi, è un tuffo nel passato, nell’infanzia e nell’adolescenza, amici e primi amori, la vita in famiglia, la madre. Una ricostruzione melanconica dolce amara.

La parte di Lei è scritta in terza persona e protagonista è Anna in viaggio con il marito Michele e una coppia di giovani loro impiegati (Andrea ed Elena); le sue avventure ad Istanbul iniziano con la classica visita turistica alla città fino a che una serie di eventi inaspettati, casuali e drammatici cambiano la vita di Anna che prende una decisione drastica e coraggiosa e la sua vita prenderà una piega molto diversa e la porterà a scoprire anche la vera Istanbul.

“Nella cartolina di mio padre, Istanbul è ritratta in biaco e nero. Istanbul, la città della malinconia, anzi dell’hüzün, quel sentimento a metà fra la tristezza e la nostalgia. Sarà per i palazzi abbandonati che si stanno sgretolando; o per le yali, le antiche case di legno costruite su pontili e affacciate sull’acqua del Bosforo, usate un tempo per la villeggiatura. Poi bruciate o distrutte, una dietro l’altra. Hüzün sono le sere piovose d’inverno, e i gabbiani in certe albe tristi.
Per me Istanbul è, invece, una città di colori. Il blu della Moschea di Rüstem Pasha, avvolta di maioliche Iznik, in Anatolia, dove sono state create e modellate. E l’azzurro di certe giornate in cui il cielo ti fa venir voglia di diventare un aquilone.
[…] Istanbul è il blu e rosso, che paiono riuscire a fonderssi solo in certi tramonti sul Bosforo. E il rosso, il rosso dei carrettini dei venditori ambulanti simit: le ciambelle calde ricoperte di sesamo che sono la prima cosa che compro quando arrivo. Il rosso fiammante dei vecchi tram: oggi ne è rimasto solo uno, con cui i turisti attraversano il cuore della città. Il rosso-arancio con cui erano decorati i piattini del tè che una volta ti porgevano nei kahve: tè bollente, servito nei bicchieri di vetro."

Altra grandissima protagonista è la città di Istanbul che viene analizzata e raccontata da vari punti di vista, quella dei turisti, quella di chi ritorna dopo tanto tempo, e quella di chi la vive quotidianamente e si batte per mantenerla in un certo modo. La città si trova anche al centro di uno scontro tra modernità e passato, tra chi vuole cambiarle faccia e avvicinarla il più possibile all’occidente e al moderno e chi invece vuole preservarne l’identità storica e culturale e questo scontro sfocia in proteste e che infiammano la città con manifestanti con garofani rossi e che ballano nelle piazze e polizia che risponde con idranti e manganelli. Entrambi i nostri protagonisti per ragioni e in modo diverso si trovano coinvolti in queste proteste.

“C’è una donna vestita di rosso che va incontro alla polizia, vorrebbe parlare, dire qualcosa, convincerli. Ha un abito scarlatto che è come una bandiera: un vestito più adatto, forse, per passeggiare in riva al Bosforo, o stare seduta al tavolo di un elegante caffè di Bebek. E invece è lì. Viene investita in pieno da un getto d’acqua, ma non cade, non vacilla. È come se quel vestito fosse un’armatura. La forza delle idee. O forse, solo di un abito rosso.
E poi è rosso, rosso ovunque, per tutti i giorni che seguono, freneticamente. Al ritmo delle pentole che le donne anziane con il velo battono alle finestre per dire che sì, anche loro sono d’accordo, stanno dalla parte dei manifestanti. È rosso per i garofani scarlatti che i manifestanti portano per strada, che offrono ai militari: segno di pace, di rivoluzione, di resistenza. Una ragazza porge un fiore a un poliziotto chiuso nel suo casco, lui china la testa. Riusciranno i petali a sconfiggere la violenza?
La rivoluzione dei garofani, Lisbona 1974. La primavera di Praga, nel 1968, e i fiori contro i carri armati. Un ragazzo solo contro i carri armati, in piazza Tienanmen, 1989. Le barricate a Parigi, nel 1830: la Libertè guidant le peuple, una donna che sventola una bandiera alla guida dei rivoluzionari nel quadro di Delacroix, come oggi fanno le ragazze di Gezi Park. Perché tutto cambia, ma non la voglia di cambiare il mondo. Tutto cambia, ma non la rivoluzione.”

Un libro breve ma inteso, forte che si occupa di amore e vita, introspezione, nostalgia del passato e paura per un futuro incerto. Ti porta a chiederti io cosa farei al posto dei protagonisti?

Lettura superconsigliata, fatemi sapere nei commenti se avete letto il libro e cosa ne pensate.


venerdì 24 maggio 2024

L' AMICA GENIALE (vol. 1) - ELENA FERRANTE

TITOLO: L'amica geniale
AUTORE: Elena Ferrante
EDITORE: E/O
PAGINE: 400
PREZZO:€ 19
GENERE: letteratura italiana, saga 
LUOGHI VISITATI: Napoli immediato secondo dopoguerra
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)





Mancavo solo io, penso l’abbiamo letto tutti. Questo libro, o meglio questa storia perché è una quadrilogia è accompagnata da un grandissimo hype e io generalmente in questi casi aspetto, però per L’amica geniale l’hype non è mai diminuito vuoi per la trasposizione televisiva, vuoi per il mistero che per svariato tempo ha circondato la sua autrice (Elena Ferrante è uno pseudonimo e non si sapeva chi si celasse dietro, tra l’altro mi pare che ora si sa tutto ma non ricordo…). Inoltre snobbavo proprio la storia, un libro italiano ambientato nell’immediato dopoguerra, con delle bambine per protagoniste, poi tanto clamore: no non mi va di leggerlo… Una mattina (due anni fa in questo periodo) vedo che è uscita anche la grapich novel oltre alla serie tv e mi dico basta ora voglio leggere anche io L’amica geniale, compro il libro, lo leggo e me ne innamoro pazzamente. Era un periodo che dormivo pochissimo per via di Giulia (non che ora…) rinunciavo a quelle poche ore di sonno pur di leggere!

Pur avendolo adorato non sono ancora andata avanti perché mi trovo in quella strana situazione in cui da un lato vorresti leggere tutta la storia per vedere come va avanti e cosa succede, dall’altro però non lo voglio finire mi piace pensare che c’è questa storia che mi aspetta. Capita anche a voi?

Veniamo al libro che è meglio.

Un romanzo di formazione e di crescita, un romanzo che racconta un’amicizia forte, importante ma anche turbolenta. Le vicende sono narrate in prima persona da Lenù che racconta la sua amicizia con Lila, si incontrano da bambine e diventano amiche, un amicizia che durerà tutta la vita. Siamo a Napoli in un quartiere popolare nell’immediato dopoguerra, (povertà, precariato, malavita e degrado) in questo primo volume si raccontano una decina d’anni.

“Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ogni giorno, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c’era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi. Certo, a me sarebbero piaciuti i modi gentili che predicavano la maestra e il parroco, ma sentivo che quei modi non erano adatti al nostro rione, anche se eri femmina. Le donne combattevano tra loro più degli uomini, si prendevano per i capelli, si facevano male. Far male era una malattia.”

 Il libro inizia col botto, un prologo fantastico (e per quel che ho letto io finora molto originale): una donna – Lenù – si mette al pc e scrive tutto ciò che ricorda della sua vita con l’amica Lila, ma perché lo fa? Perché Lila a 66 anni scompare volontariamente cancellando ogni traccia dise e quindi l’amica per ripicca, per dispetto, per impedirle di scomparire si mette a scrivere la loro storia! (Mettersi a scrivere in cosegenza della scomparsa di una persona cara non è cosa nuova, ma farlo per impedire a questa persona di cancellare le proprie tracce sì). Già da qui la voglia di leggere la storia e capire perché Lila a un certo punto scompare è tantissima, come scoprire tutta la loro amicizia.

“«È bello» mormorai, «parlare con gli altri».
«Sì, ma solo se quando parli c’è qualcuno che risponde».
Mi sentii in petto uno sbuffo di gioia. Che richiesta c’era in quella bella frase? Mi stava dicendo che voleva parlare soltanto con me perché non prendevo per buono tutto quello che le usciva di bocca ma le rispondevo? Mi stava dicendo che soltanto io sapevo star dietro alle cose che le passavano per la testa?
Sì. E me lo stava dicendo con un tono che non le conoscevo, fievole, sebbene come al solito brusco. […] Ne ragionammo. Avevamo dodici anni, ma camminammo a lungo per le vie bollenti del rione, tra la polvere e le mosche che si lasciavano alla spalle i vecchi camion di passaggio, come due vecchiette che fanno il punto delle loro vite piene di delusioni e si tengono strette l’una all’altra. Nessuno ci capiva, solo noi due – pensavo – ci capivamo. Noi, insieme, soltanto noi, sapevamo come la cappa che gravava sul rione da sempre, cioè fin da quando avevamo memoria […] C’era qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine, nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava accettabile. L’essenziale, però, era saper giocare e io e lei, io e lei soltanto, sapevamo farlo.”
 


 Per quanto riguarda la trama Lila e Lenù si incontrano sui banchi delle elementari, vivono nello stesso palazzo e iniziano a frequentarsi diventando amiche, un’amicizia che durerà tutta la vita. Come detto il periodo narrato copre circa una decina d’anni ci sono gli anni delle elementari, poi la crescita i primi amori e le diverse esperienze che fanno. Anzitutto scolastiche perché Lila non può proseguire la scuola oltre la quinta elementare per problemi economici e dovrà andare a lavorare nel negozio di calzolaio del padre, mentre Lenù (da qui l’appellativo di amica geniale) va alle medie e al liceo, ovviamente anche le frequentazioni sono diverse, gli impegni non permettono loro di passare tutto il tempo assieme ma spesso riescono a vedersi e uscire assieme ai coetanei del rione (un agglomerato molto interessante di personaggi secondari).

“Fu durante quel percorso verso via Orazio che cominciai a sentirmi in modo chiaro un’estranea resa infelice dalla mia stessa estraneità. Ero cresciuta con quei ragazzi, ritenevo normali i loro comportamenti, la loro lingua violenta era la mia. Ma seguivo anche quotidianamente, ormai da sei anni, un percorso di cui loro ignoravano tutto e che io invece affrontavo in modo così brillante da risultare la più capace. Con loro non potevo usare niente di ciò che imparavo ogni giorno, dovevo contenermi, in qualche modo autodegradarmi. Ciò che ero a scuola, lì ero obbligata a metterlo tra parentesi o a usarlo a tradimento, per intimidirli. Mi chiesi cosa ci facevo in quell’auto. C’erano i miei amici, certo, […] stavamo andando alla festa […]. Ma proprio quella festa ratificava che Lila, l’unica persona che sentivo ancora necessaria malgrado le nostre vite divergenti, non ci apparteneva più, e venendo meno lei, ogni mediazione tra me e quei giovani, quell’auto in corsa per quelle strade, si era esaurita.”

Io mi sono focalizzata soprattutto sulle due protagoniste. Entrambe le ragazze sono molto intelligenti e portate allo studio ma hanno possibilità diverse, Lila arriva alle elementari che sa già leggere, scrivere e fare di conto senza che nessuno glielo abbia mai insegnato, studierà da autodidatta greco e latino perché li studia Lenù al liceo e darà ripetizioni all’amica ma come detto non può proseguire. Le due amiche sono molto diverse anche caratterialmente Lila è definita una bambina cattiva, è esplosiva, coraggiosa e determinata mentre Lenù è più mite, timida e sognatrice; hanno in comune la voglia di emanciparsi e lasciare il rione e la povertà, seguiranno (per tante ragioni) vie diverse.

Il finale di questo libro è un cliffhanger pazzesco!

Il libro non è solo una storia di amicizia ma anche un modo per approcciarsi a una parte della nostra storia perché con le vicende di Lila e Lenù ripercorriamo anche la storia dell’Italia a partire dal secondo dopoguerra con un affresco in particolare su Napoli e in generale della nostra società (ruolo della donna ma anche alla figura del o della maestra, aspettative, criminalità, politica).

Voglio continuare la lettura non solo di questa quadrilogia ma di tutti i libri di Elena Ferrante.

Fatemi sapere se avete letto la storia dell’amica geniale vi aspetto nei commenti.


venerdì 17 maggio 2024

LA STORIA DELLE API - MAJA LUNDE

TITOLO: La storia delle api
AUTORE: Maja Lunde         traduzione di: Giovanna Paterniti
EDITORE: Marsilio
PAGINE: 426
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura scandinava, letteratura norvegese, letteratura ecologista
LUOGHI VISITATI: Inghilterra '8oo, Ohio 2007, Cina 2098 
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)




“Il suono era diverso da qualunque altro avessi mai sentito. Le api volavano dentro e fuori dall’arnia, dentro e fuori. Portavano nettare e polline, e nutrimento per la prole. Ma non ognuna per sé, perché ogni singola ape lavorava per l’intera comunità, per l’organismo che insieme costituivano.
Il ronzio andava e veniva, riempiva l’aria facendomi vibrare qualcosa dentro. Una nota che mi dava serenità, mi rendeva più lieve il respirare.
Me ne stavo lì, cercando di seguire con gli occhi ogni singola ape, ogni singolo viaggio di ape dall’arnia ai fiori, di fiore in fiore, e poi di nuovo all’arnia. Ma le perdevo sempre di vista. Erano tropee, gli schemi dei loro spostamenti impossibili da decifrare.
E così preferii abbracciare con lo sguardo il loro insieme, l’alveare con tutta quella vita che lo circondava, tutta quella vita di cui si prendeva cura.”

Tre storie, tre protagonisti, tre epoche diverse ma un fattore in comune le api. Un libro per riflettere, per conoscere le api e il loro mondo (anche si tratta di un infarinatura generale). La storia delle api è il primo volume di una quadrilogia: mi è parso di capire che il meccanismo narrativo sia lo stesso per tutti quindi più storie, epoche diverse accomunate da un animale o da un elemento, al momento sono disponibili Gli ultimi della steppa con protagonisti i cavalli di Przewalski e La storia dell’acqua dove l’elemento accomunante è come dice il titolo stesso l’acqua. Queste opere di Lunde si inseriscono in un filone narrativo di tipo ecologista/ambientalista che ha anche lo scopo di sensibilizzare sul cambiamento climatico e analizzare/approfondire il rapporto uomo-natura.

Si tratta di un libro piuttosto avvincente che alterna le tre storie (narrate in prima persona dai protagonisti) tanto che si ha quasi l’impressione di leggere tre libri diversi, c’è un elemento in comune che è quello delle api protagoniste in tutte e tre le storie, ma non è l’unico le storie sono in qualche modo legate ed è stato molto bello scoprirlo anche perché i legami vengono svelati in un modo particolare e ci permettono di chiudere il cerchio narrativo.

Oltre al tema rapporto uomo-natura il romanzo ci racconta anche delle vicende famigliari inserite in tre contesti storici, geografici e sociali molto diversi ma accomunate dall’analisi del rapporto genitore/figlio, dove molto spesso le esigenze e le aspettative del genitore sono diverse e soprattutto non vengono comprese, apprezzate dal figlio.

Veniamo ora ai protagonisti e alle storie che come detto sono tre, un passato un presente e un futuro.

Per andare con ordine inizio dal passato: Maryville UK dal 1857 protagonista è William. Un uomo che nel momento in cui lo conosciamo sta attraversando un periodo di forte depressione, nella vita è molto insoddisfatto della sua vita non è riuscito a seguire i suoi sogni e si trova con una famiglia numerosa e un’attività di commerciante di sementi, avrebbe voluto fare il naturalista ma poi la vita…

“Il promettente naturalista aveva dovuto cedere il posto a uno stanco commerciante di sementi non più giovane, con i piedi affaticati per le lunghe ore passate dietro al bancone, con le corde vocali arrochite dal perpetuo scambio di convenevoli con i clienti e con le dite sempre intente a contare denaro che non bastava mai. E tutto per il chiasso della bambine.”

 “D’un tratto di accorsi che fremevo di entusiasmo. Ecco quello che volevo, ecco ritrovata la passione. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai miei disegni, dalle api. Era lì che volevo andare. Nell’alveare!”

Recupera passione con lo studio delle api, si concentra soprattutto sullo studio delle api e in particolare di migliorie tecniche alle arnie. È il personaggio che mi è piaciuto meno, più di una volta avrei voluto scuoterlo e dirgli alzati e fai qualcosa, hai una famiglia e delle responsabilità, oggettivamente la situazione non è poi così tragica (siamo in epoca vittoriana e avere una casa e un lavoro non mi sembra male) e tutto sommato non è tardi nemmeno per fare altro, ripone tutte le speranze e la fiducia nel figlio Edmund attribuendogli meriti e doti che gli appartengono e sognando per lui cose diverse ignorando invece chi davvero gli sta vicino e lo aiuta.

C’è poi un presente ad Autumn Hill in Ohio USA dal 2007, protagonista George Sanders un apicoltore appassionato, dedito al lavoro e al sacrificio, molto attento al benessere dei suoi animali, che deve affrontare molte difficoltà in primis economiche, è proprietario di un podere con tante arnie che costruisce personalmente seguendo i disegni che la sua famiglia di tramanda da generazioni.

“[…] aveva capito che le piccole aziende di apicoltura, come la mia, portate avanti più o meno nello stesso modo da generazioni e generazioni, non davano certo grossi guadagni, non li avevano mai dati, e sicuramente non li avrebbero dati adesso. Ogni più piccolo investimento era uno sforzo, vivevamo della carità delle disponibili banche locali, che non erano sempre così fiscali sulle scadenze dei pagamenti dei prestiti. E che avevano fiducia nel fatto che le api avrebbero fatto un buon lavoro anche quell’anno, avevano fiducia in me quando dicevo che quella schifezza adulterata a basso prezzo importata dalla Cina – e che veniva venduta sotto il nome di miele e arrivava in quantità sempre maggiori di anno in anno – non contava nulla, che i prezzi del miele si sarebbero mantenuti esattamente come erano, che le previsioni di guadagni costanti erano buone, che le condizioni metereologiche sempre più imprevedibili su di noi non avrebbero avuto alcun effetto, che eravamo in grado di garantire dei buoni margini di vendita in autunno. Che i soldi sarebbero entrati senza problemi, come sempre.
Bugie. Solo bugie. Tutte quante.”

Le cose non vanno benissimo sia per tutte le problematiche che incontra sia perché i suoi piani sono diversi da quelli della famiglia, il rapporto con il figlio Tom è piuttosto complicato, è andato al college per studiare economia o simili e invece si è appassionato di letteratura e sogna di fare lo scrittore e non seguire le orme del padre… George non è un cattivo uomo però ha le sue idee, è piuttosto tradizionalista e individualista non si ferma mai a cercare di capire gli altri e le loro motivazioni ma pensa solo a (e con) se stesso e soprattutto ragiona pensando che anche gli altri ragionino come lui oppure che quello è l’unico modo corretto. Talvolta l’impressione è che viva in un mondo tutto suo, quasi avulso dalla realtà che lo circonda, un mondo dove le cose vanno come lui desidera…

Infine il futuro Cina 2098 siamo in una sorta di società “post apocalittica” dove le api sono scomparse e spetta agli uomini fare il lavoro di impollinazione, lavoro molto difficile, faticoso e che dà risultati piuttosto modesti. Protagonista è Tao una impollinatrice che vive assieme al marito e al figlioletto in una società molto compartimentata e rigida; la storia si basa su un incidente che un giorno capita alla sua famiglia e che le cambia la vita portandola fino a Pechino. 

“Gli alberi erano vecchi quanto un’intera vita. I rami, fragili come vetro sottile, scricchiolavano sotto il nostro peso. Mi girai con circospezione, non dovevo danneggiare la pianta. Misi la gamba destra su un ramo un po’ più in alto e, con cautela, tirai su anche l’altra. Finalmente trovai una posizione di lavoro sicura, scomoda ma stabile. Da qui sarei riuscita ad arrivare ai fiori più in alto.
Il piccolo contenitore di plastica era pieno di oro vaporoso, scrupolosamente pesato e distribuito a ognuna di noi all’inizio della giornata lavorativa, in dosi esattamente uguali. Con leggerezza cercavo di trasferirne invisibili quantità dal contenitore all’albero. Ogni singolo fiore doveva essere impollinato con un piccolo pennello di piume di gallina, galline selezionate proprio a quello scopo.”

“Inspirai a fondo. Non dovevo pensarci. Non dovevo fare altro che andare avanti. Sollevare la mano, intingere il pennello nel polline, passarlo con cautela sopra ai fiori, sfiorandoli come se fossi stata un’ape.”

Lunde immagina e ci racconta un mondo dove le api non esistono più: tutti - compresi i bambini - devono lavorare per la produzione del cibo ad eccezione di pochissimi prescelti che governano e “privilegiati” sono gli unici ad avere accesso agli studi e vengono scelti in tenerissima età tra i bambini più intelligenti.  Grazie alle esperienze e i viaggi che fa la protagonista Tao possiamo avere un assaggio di come potrà essere il mondo e l’umanità se sparissero le api; queste parti di libro sono in qualche modo paragonabili per certi aspetti a La strada di McCarthy, ovviamente molto più soft.  Tao è il mio personaggio preferito, è quello con cui ho empatizzato di più (sarà che è mamma di un bimbo di tre anni come me, sarà che è il primo personaggio che incontriamo), è forte, caparbia e determinata, è assetata di conoscenza e cerca sempre una spiegazione, non si limita ad obbedire.  

Lettura super consigliata storie interessanti, tanti temi trattati, molto attuale e perfetta base per riflettere. Sicuramente leggerò anche gli altri della quadrilogia.

Fatemi sapere se avete letto questo o altri libri di Maja Lunde. Vi aspetto nei commenti.


venerdì 10 maggio 2024

DOWNTON ABBEY - Serie Tv Stagione 1

TITOLO: Downton Abbey - Serie TV Stagione 1
AUTORE: Julian Fellowes
SCENEGGIATURA: Julian Fellowes - Shelagh Stephenson - Tina Pepler
GENERE: in costume
AMBIENTAZIONE:  Inghilterra tra il 1912 e il 1914



Downtown Abbey Stagione 1

Serie tv in costume ambientata in Inghilterra nello Yorkshire alla tenuta Downton Abbey dei conti di Grantham.

Questa prima stagione affronta gli anni dal 1912 al 1914 inziando e finendo con due eventi storici molto significativi: l’affondo del Titanic e lo scoppio della prima guerra mondiale, eventi che influiscono e cambiano la vita dei nostri personaggi.

Offre uno spaccato storico davvero molto interessante, ormai siamo distantissimi dai tempi dell’aristocrazia i cui membri sostanzialmente non devono fare nulla per mantenersi, non devono lavorare (come lo intendiamo noi oggi) e al contempo hanno al proprio servizio uno stuolo di servitori, di persone che lavorano e servono loro: maggiordomo e governante, valletti e camerieri/e personali che ti preparano i vestiti e ti aiutano ad indossarli, cuoca, autista, camerieri.

Tantissimi personaggi e ben caratterizzati, tutto ruota attorno alle vicende di Downton Abbey e le persone che la abitano a partire dalla famiglia Crawley conti di Grantham - Robert e Cora e le loro tre figlie Mary, Edith e Sibyl (che non potrebbero essere più diverse) e l’onnipresente contessa madre Lady Violet - e tutta la servitù - dal maggiordomo Carson, la governante, i camerieri fino alla sguattera e all’autista - e ai sentimenti che caratterizzano praticamente tutte le vite: amori, invidie, gelosie, vendette, problemi finanziari e lavorativi, segreti…

Iniziamo le presentazioni con i conti di Grantham Robert e Cora Crawley, ad unirli un amore reciproco e sincero (cosa non tanto scontata) insieme hanno tre figlie femmine Mary, Edith e Sibyl molto diverse tra loro e non particolarmente affiatate e infine figura onnipresente è la contessa madre lady Violet. C’è poi tutto il personale di servizio a partire dal maggiordomo Carson un uomo ligio al dovere e alle regole, piuttosto all’antica e in difficoltà rispetto ai cambiamenti che stanno iniziando a immaginarsi, molto legato alla famiglia del conte; la governante Mrs Hughes, Sarah O’Brien la cameriera personale della contessa Cora che fa comunella con il primo cameriere Thomas Baxter (un arrivista senza scrupoli e molto arrogante), le cameriere Anna e Gwen, la cuoca  Beryl fino alla sguattera Daisy (molto ingenua, le sue domande sono una fonte preziosa di informazioni per noi telespettatori) e infine Bates che viene assunto dal conte come suo valletto personale in ragione di una pregressa conoscenza, questo crea scompiglio e malumori all’interno della servitù perché altri ambivano a quel ruolo. Tutto ruota attorno ai sentimenti che caratterizzano praticamente tutte le vite: amori, invidie, gelosie, vendette, problemi finanziari e lavorativi, segreti…

 

Nel corso degli episodi impariamo a conoscere i vari personaggi, ci sono persone per bene, altruiste e generose, altre con sogni e ambizioni e naturalmente non mancano i meschini e malvagi. Tante avventure e tante storie che si intrecciano e anche diverse storie d’amore.

Le vicende si aprono con l’affondo del Titanic che ha delle conseguenze dirette per la famiglia Crawley: a bordo del transatlantico viaggiava il cugino Patrick erede del titolo nobiliare, di tutto il patrimonio e promesso sposo di Mary; è tradizione scritta che tutto il patrimonio vada in eredità unitamente al titolo nobiliare e naturalmente la successione è solo in linea maschile. Ciò apre due problematiche quella di trovare un nuovo pretendente per Mary e quella successoria ed economica, il successore a questo punto è Mattew Crawley un lontano cugino avvocato a Manchester.

Una serie che mi è piaciuta davvero molto e che voglio continuare, l’unico aspetto negativo è la durata degli episodi che superano sempre l’ora.

Fatemi sapere se la conoscete.


venerdì 3 maggio 2024

LE STREGHE DI SMIRNE di MARA MEIMARIDI

TITOLO: Le streghe di Smirne
AUTORE: Mara Meimaridi         
EDITORE: E/O
PAGINE: 621
PREZZO: € 9,50
GENERE: letteratura greca, romanzo storico
LUOGHI VISITATI: Smirne, Turchia a cavallo tra la fine dell'800 e gli inizi del '900
acquistabile su amazon: qui (link affiliato) 


Per me un’opportunità mancata, una storia interessante con una protagonista tosta ma lo sviluppo mi ha lasciato un po’ perplessa.

Protagonista principale è Katina, ma la sua storia ci viene raccontata all’interno di una struttura narrativa particolare nel senso che a parlare è una sua nipote che dopo la morte della zia riceve uno scrigno e dalle carte e istruzioni contenute si realizza una sorta di passaggio o di svelamento di particolari poteri nell’io narrante Maria. Sarà Maria che in stato di trance racconta o meglio scrive sotto dettatura la vita della zia. Si alternano, in modo non regolare, il presente e il passato, passato che è il tempo di Katina e una parte dell’infanzia di Maria in particolare l’estate che trascorse a casa della zia, dove vede e sente cose che lì per lì bambina non capisce.

Le parti su Katina e la sua storia sono bellissime, interessanti, coinvolgenti tiene attaccato alla pagine, Katina è una bambina quando con la madre Eftalia arrivano a Smirne senza un soldo e nel tempo con determinazione metteranno in piedi (ognuna a modo loro) un attività economica e imprenditoriale di successo. Katina è una donna tenace, agguerrita, impavida, una donna lavoratrice e imprenditrice, caparbia che sa imporsi e farsi rispettare, gestirà egregiamente le attività della famiglia del marito pur senza aver ricevuto una particolare formazione né supporto, e ne creerà di proprie, sa trarre il meglio da ogni situazione e non si lascia abbattere. È una donna “self made” che riesce a imporsi in un mondo di e per uomini. Riuscirà a conquistare gli uomini più belli e ricchi di Smirne, ma non siede sugli allori, sì da fare, ci sono i matrimoni, i figli e la vita in una città cosmopolita e in pieno fermento a cavallo tra Otto e Novecento.

È una storia di determinazione e resilienza, coraggio e forza tutta al femminile e con alcuni insegnamenti “femministi” che trovo molto importanti e utili.

“Eftalìa le lanciò un’occhiata e continuò a prestare sul prezzemolo per ridurlo in poltiglia.
Tap…tap…tap...
«Perché ti arrabbi, mamma? Dai, lascia stare i tuoi traffici e la ciccia delle altre. Ti spezzi la schiena per due soldi. Ci manca qualche cosa?».
«Oggi è venuta la sora Pinnéla dal quartiere vecchio» fece Eftalìa. «Ho mandato un po’ di riso a Caterina-la-pazza, quella del quartiere turco. La conosci, no?».
«Sì».
«Tu lo sai che Caterina-la-pazza era la prima signora Tsesmé? Lo sai che Caterina-la-pazza aveva una casa piena di quadri e tappeti, marito, figli, carrozze e ogni altro ben di dio? Lo sai che era generosa e dava a chiunque ne avesse bisogno? Se non lo sai, te lo dico io».
Tap…tap…tap…
«E come ha fatto a ridursi così?» chiese Katina, che si era intanto seduta una sedia.
«È successo perché pensava che tutte quelle cose fossero eterne e che il domani fosse uguale all’oggi e dopodomani ancora meglio. Ma ha perduto il marito e le nuore l’hanno buttata fuori di casa. E lei aveva messo tutto a nome di figli. Così, le ha dato di volta il cervello».
Tap…tap…tap…
«Tuo marito non ha le lire di un pascià, né i tuoi figli di beni di Abramo. Ognuna di noi deve badare a procurarsi il suo personale sostegno, sia di nascosto sia grazie al proprio marito, e a mettersi sempre da parte quanto più denaro può. Altrimenti ci si attacca come le sanguisughe a chiunque, per succhiargli qualche cosa per vivere. E se sei una sanguisuga non sei niente di più di una sanguisuga. E allora dovrai chinare la testa e prenderti le botte e sorbirti le corna e dire pure grazie».
Smise di pestare e la guardò dritto negli occhi.
«Tu lo sai quanti soldi ho io?».
«Ne hai?» chiese stupita Katina.
«Beh, vedi che non lo sai?».
Tap…tap…tap…
«Sai che fa Pinnéla al sor Arghìris, visto che stiamo parlando di lei? ».
«Che fa?».
Katina sorbiva la lezione pervasa da strane sensazioni: capiva che le era sfuggito qualcosa di importante e che doveva anche lei immancabilmente fare qualcosa, al più tardi quella stessa sera.
« ‘Ho preso due ocche di carne, Arghìris’ gli dice ‘e ce la siamo mangiata tutta’. Bugia. Ne ha presa meno di un’occa, l’ha farcita all’inverosimile, l’ha messa al forno con patate e cipolle, per mangiare fino a scoppiare, e il resto dei soldi li ha aggiunti al suo gruzzolo. Quanti ne avrà accumulati Pinnéla fino a oggi, dopo trent’anni della stessa solfa? Forse cento lire d’oro! Te lo saresti aspettato da lei? E una volta che sor Arghìris fu costretto a prendere un prestito per il suo lavoro e stava per impazzire, il pover’uomo, perché gli avrebbero portato via la barca e la pescheria…».
«… gliele diede Pinnèla le lire, naturalmente» concluse Katina come una scolaretta.
«Sei matta? Neanche glielo disse! Lasciò che andasse a cercare un prestito e a lavorare il doppio per tirare avanti alla meglio».
«Che belva!».
«Che volpe!» gridò Eftalìa innervosita. «Chi è Arghìris?».
«È il marito».
«È un estraneo».
«Sì, ma è anche il marito».
«Adesso. Domani potrebbe non esserlo, potrebbe morire, ammalarsi, impelagarsi in un’altra storia».
A questo punto Katina espresse serie obiezioni.
«Ma che dici pure tu, mamma! Sor Arghìris che se la fa con un’altra… Ma l’hai visto com’è Arghìris, che peggio di così non si può? Avrà ottocento anni, tartaglia ed è giallo come un melone. Ha più rughe lui sulla faccia che tutti i cammelli di Smirne messi insieme, anzi è proprio un cammello».
«Ma è un cammello maschio» dichiarò la madre. «Noi finora, mia cara Katina, non abbiamo potuto fare niente di nascosto. Sì e no riuscivamo a mangiare tutti i giorni. Adesso possiamo. Le fortune die non le dispensa ogni giorno».
«Io non ti metterò alla porta, mamma. Non dire sciocchezze».
«Lo so» rispose Efalìa.
E ricominciò a pestare nel mortaio con più rabbia.” 

Però il libro presenta alcuni punti dolenti. Anzitutto (e qui sicuramente è colpa mia) i nomi che sono da un lato distanti da quelli usuali essendo greci/turchi ma soprattutto sono molto simili ad esempio ci sono due personaggi che si chiamano Spiros e Siros, mi domando non ci sono altri nomi?

Poi la mancanza di spiegazioni soprattutto nell’introduzione dei personaggi, si parla di qualcuno come se il lettore già lo conoscesse (o dovesse conoscerlo) ma non è così: avete presente quando sentite due anziani che parlano di persone che conoscono loro e della loro generazione e danno per scontato che tu (come loro) ne conosca vita morte e miracoli? Mi sono sentita un estranea.

Il quadro generale nella narrazione è un po’ confuso e talvolta frettoloso. Mi è dispiaciuto moltissimo che la parte finale dalla vita di Katina non venga sviluppata maggiormente, si chiude praticamente all’improvviso senza spiegazioni, scopriremo qualcosa dopo ma in modo molto sommario. E sul finale del libro ho fatto davvero fatica perché non si capisce più chi è chi e chi fa cosa, è confuso e indefinito e mi ha messo parecchi dubbi.

Il libro tratta molti temi interessanti: la Storia si interpola con le vicende di fantasia, si parla molto di magia e dello stereotipo della donna “strega”; l’emancipazione femminile; c’è un quadro meraviglioso della vita a Smirne tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, una città cosmopolita dove convivono pacificamente e allegramente diverse comunità, scopriamo anche il modo di vivere usi e costumi.

Dicevo che si parla di poteri magici (siamo nell’ambito di un realismo magico) che si distinguono in due categorie: da un lato poteri quasi premonitori che ha Katina che però è usato pochissimo e non viene sviluppato molto (peccato perché poteva essere interessante) e poi l’insieme di pratiche e ricette che fanno una magia pratica, data dall’insieme di intrugli e formule ed è attraverso questa magia che Katina, pur non è bella, riesce ad accalappiare e sposare gli uomini più belli e ricchi di Smirne.

“Finché un giorno, mentre Katina andava a raccogliere i panni, vide nascosto sul legno del recinto un sortilegio. Il segno era stato attentamente sgrossato con la scure e poi la corteccia era stata risistemata. Benedetto il vento, che faceva agitare il bucato e aveva scoperto la spaccatura.
«È l’occhio di Allah» osservò Eftalìa.
Era un pezzo tagliato dalle mutande di Katina, che erano andate perse (ecco dove stavano!), bruciato e rovinato, avvolto in fili incrociati, con le estremità sporcate di nero; il panno era inchiodato con paletti di legno conficcati in tre punti.” 

“…a un certo punto Katina sospettò di sua madre, perché la signora Nina ce l’aveva proprio sullo stomaco e l’aveva colta durante una notte di luna piena a rimescolare della terra di tomba e a leggere il suo taccuino.
«… metti il chiavistello alla porta, mettiti le scarpe e va sul ponte appena tramonta la luna. Due legni seccati sepolti in terra di tomba e raccolti di sera, appena mette fuori il naso la costellazione delle Pleiadi. Occhio non ti veda mentre li prendi. Uniscili nel mezzo con una fune con quaranta nodi e per ogni nodo un pelo di gatta nera e le parole ‘seni baglamak ghighiò ghitzilma…’ Ti lego perché tu la sciolga. Poi fa sulla porta della tua nemica il cerchio funebre. Dì tre volte dentro di te: ‘Ames atethi. Ames seghità. Ames sanklà. Ghighio ghitzilma…’. Seppellisci il sortilegio nella terra, accanto alla casa, in modo che non possa trovarlo e scioglierlo mai. E la disgrazia arriverà. Le anime cattive che chiedono vendetta sono al tuo servizio, seguono l’occhio del morto e si attaccano al cerchio funebre. Non possono fuggire, ma solo entrare nella casa. E chiedono il male. E la disgrazia verrà».” 

 

Personalmente avrei sviluppato solo la storia di Katina, senza gusci narrativi di contorno di cui non trovo il senso.

Nonostante i “difetti” per me vale la pena leggerlo per la figura di Katina e si sua madre Eftalia e le loro storie, c’è una parte sulla vita della madre davvero toccante che mi ricordo perfettamente a distanza di anni.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete letto.