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venerdì 19 luglio 2024

L'UOMO DI CALCUTTA di ABIR MUKHERJEE

TITOLO: L'uomo di Calcutta
AUTORE: Abir Mukherjee   traduzione di: Alfredo Colitto
EDITORE: Sem 
PAGINE: 348
PREZZO: € 17
GENERE: letteratura indiana, giallo storico
LUOGHI VISITATI: Calcutta aprile 1919
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Un giallo storico ambientato nell’India Coloniale siamo a Calcutta nell’aprile del 1919, protagonista il Capitano ispettore Samuel Wyndham un uomo che decide di ricominciare dall’altra parte del mondo nel tentativo di dimenticare la vita passata buttandosi nel lavoro (ha combattuto nella prima guerra mondiale ed è rimasto solo al mondo). Quando lo incontriamo è appena arrivato in India, per lui è tutto nuovo e da scoprire e deve subito dedicarsi a un indagine che è una sorta di battesimo di fuoco.

Infatti il caso da risolvere è piuttosto spinoso: nella città nera, cioè nella parte di Calcutta abitata prevalentemente dai nativi, in un vicolo viene ritrovato cadavere MacAuley un uomo che faceva parte dell’amministrazione coloniale britannica, a capo di un ufficio importante ed era anche il faccendiere del governatore e di alcuni ricchi imprenditori. A complicare ulteriormente il caso la circostanza che, assieme al corpo, viene trovato un biglietto anonimo che intima agli inglesi di andarsene, ci sono i presupposti per un “attacco terroristico” degli indipendentisti e intervengono anche i servizi segreti.

Iniziamo a conoscere il nostro protagonista e il caso che deve risolvere permette di mettere in luce doti e capacità, Sam Wyndham è tutto fuorché perfetto, in particolare ha una dipendenza da oppio, ma è molto bravo nel suo lavoro investigativo e ha un ottimo intuito oltre ad essere una persona che usa molto la testa e il cuore, per questo viene scelto dal capo della polizia che ha bisogno del suo aiuto perché essendo di fuori non deve favori a nessuno.

Altra grande protagonista è Calcutta, una città costruita praticamente da zero dagli inglesi, ci viene raccontato molto della città, della sua costruzione, delle tradizioni e dei nativi.

“Se Calcutta aveva un cuore, si trattava di Dalhousie. Come Trafalgar a Londra, era una piazza troppo grande per essere elegante. Nessuno spazio pubblico ha bisogno di essere enorme. Al centro c’erano una grande piscina rettangolare con acqua del colore delle foglie del banano. Digby mi aveva detto che in passato i nativi la usavano per lavarsi, per nuotare e per riti religiosi. Ma dopo l’ammutinamento del ’57 cose del genere non erano più tollerate. Ora la piscina era deserta e l’acqua verde bottiglia scintillava nel sole pomeridiano. I nativi, almeno quelli approvati da noi, camminavano a testa bassa verso riunioni e appuntamenti, in redingote, camicie abbottonate e colletti inamidati. Intorno alla piscina c’era una ringhiera di ferro e cartelli in inglese e in bengalese li avvertivano delle multe in cui sarebbero incorsi se avessero deciso di cedere ai loro bassi istinti e farsi un tuffo.
Ai lati della piazza sorgevano i palazzi chiave dell’amministrazione britannica: l’ufficio postale, quello del telefono e il massiccio Writers’ Building. Le vite di oltre cento milioni di indiani, dal Bihar fino al confine birmano, erano amministrate da lì, quindi mi sembrava logico che si trattasse dell’edificio più grande forse di tutto l’impero. Ma la parola grande non gli rendeva giustizia. Forse era anche meglio dire grandioso. Il suo scopo era impressionare chiunque lo vedesse, ma soprattutto i nativi. Ed era formidabile. Altro quasi quattro piani, era lungo circa duecento metri, con plinti massicci ed enormi colonne sormontate da statue di dei. Non dei indiani, ovviamente, ma greci o forse romani, non ho mai capito la differenza.
era una caratteristica di Calcutta: tutto ciò che avevamo costruito lì erano in stile classico e più grande del necessario. Era come se i nostri uffici, le nostre ville e monumenti, gridassero: ‘Guardate cosa siamo capaci di fare! Siamo i veri eredi di Roma!’
Era l’architettura dei dominatori, e sembrava un po’ assurda. I palazzi palladiani, con colonne e frontoni, le statue di uomini in toga morti da secoli, le iscrizioni latine ovunque, persino nei bagni pubblici… uno straniero avrebbe pensato che Calcutta fosse stata colonizzata dagli italiani, non dagli inglesi.
La piazza vibrava di attività. Tram e autobus vomitavano un flusso continuo di impiegati bianchi e nativi, in giacca e cravatta malgrado il caldo, che si univano alla folla di gente che entrava e usciva da sotto l’ampio portico del Writers’”

“La città un po’ alla volta cedette il passo alla giungla e il viaggio prese l’aria di una spedizione. Quella era l’India che avevo sognato. La terra selvaggia e misteriosa descritta da Kipling e da Sir Henry Cunningham. La foschia del mattino copriva le rive come un lenzuolo di mussolina, da cui ogni tanto spuntava un banyan o una capanna di nativi. Piccole barche di legno, alcune con una vela, altre poco più che canoe, ci passavano accanto, pilotate da uomini con lunghi pali.
Sulla riva orientale del fiume, dalla nebbia emerse un grande tempio, alto almeno trenta metri e dall’aspetto aliena. Era una costruzione bianca a due livelli, sormontata da una strana struttura a cupola che a sua volta era circondata da almeno una dozzina di guglie. Di fronte al tempio principale c’erano una serie di sacrari, dodici in tutto, come discepoli nell’atto di rendere omaggio. I muri bianchissimi e i tetti rosso sangue risplendevano nella luce del mattino presto.
«Un tempio di Kali» disse l’ufficiale indicandolo. «Ce ne sono parecchi intorno a Calcutta, ma questo è il mio preferito».
Le offerte alla dea si allontanavano galleggiando dalla riva, una miriade di calendule, petali di rosa e lampade votive che trasportavano le preghiere dei devoti. Remnant indicò i gradini che scendevano fino all’acqua. «Quelli sono i ghat per le abluzioni» disse. «Gli indù credono che un bagne in quelle acque possa levare tutti i peccati.»”

E il discorso poi in generale può estendersi anche al resto dell’India sono anni in cui si inizia a parlare di indipendenza. E anche il caso che Sam deve risolvere è legato a questo tema. Molto interessante ad esempio anche il fatto che uno dei sottoposti/collaboratori di Sam, Surrender-not soprannome per il sergente Banerjee un nativo che spiega la sua scelta di entrare a servizio della polizia imperiale che trovo di un pragmatismo degno di nota.

“Banerjee riflettè prima di parlare. «Io ritengo, signore, che un giorno potremmo davvero avere un governo autonomo all’interno dell’impero britannico, o addiruttura la totale indipendenza. Ma a differenza del signor Gandhi, non credo che questo porterà pace universale e collaborazione tra i miei connazionali. Ci saranno ancora degli omicidi in India. E se un giorno voi ve ne andrete davvero, noi indiani dovremmo essere in grado di gestire i posti che abbandonerete. Questo vale per la polizia come per tutto il resto.»”

 

La particolarità è che è narrato in prima persona, voce narrante è lo stesso Sam. La narrazione è piuttosto lineare e semplice anche se è farcita/ricca di espressioni indiane o di inglese coloniale con tantissimi termini specifici per ruoli e cose, che permettono di entrare ancor meglio nell’ambientazione. È sicuramente un libro più di trama che di forma, ma è molto interessante, intrattiene, l’ho trovato un buon giallo dove non mancano i colpi di scena, con il plus dell’ambientazione che permette di volgere lo sguardo su un momento storico preciso (e se vogliamo distante da noi) ma anche molto affasciante seppur con tutte le problematiche conseguenti. È il primo volume di una serie che sicuramente continuerò.

Fatemi sapere se lo conoscete.


domenica 31 gennaio 2021

IL MISTERO DI RUE DES SAINTS-PÈRES DI CLAUDE IZNER

TITOLO: Il mistero di Rue des Saint-Pères
AUTORE: Claude Izner - traduzione di Chiara Salina
EDITORE: Tea Libri
PAGINE: 309
PREZZO: € 9,00
GENERE: romanzo giallo, letteratura francese
LUOGHI VISITATI: Parigi anno 1889

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)

 



Victor Legris è proprietario della libreria Elzévir in Rue de Saint-Pères. È quel genere di investigatore non professionista che suo malgrado si ritrova coinvolto in misteri e delitti da risolvere. Giovane, appassionato di fotografia, dotato di un acume e testardaggine e tanta curiosità si butta a capofitto nella risoluzione di un caso particolare: quello delle api assassine.

Il caso è stato definito delle api assassine perché alcune persone muoiono improvvisamente dopo essere state punte da un insetto, o almeno questo è quello che credono e raccontano agli astanti negli ultimi momenti di vita. Le morti avvengono alla luce del sole, in pieno giorno e in mezzo alla folla dell’Esposizione Universale!

Il nostro Victor si trova coinvolto anzitutto perché si trovava sulla torre quando muore la prima vittima la signora Patinon e questo scatena la sua curiosità personale. Si accorge che l’unico elemento di legame tra le vittime è il fatto che hanno firmato l’albo d’oro del giornale Figaro sulla Torre lo stesso giorno, inoltre sembra che il suo socio Kenji Mori possa avere dei legami con alcune vittime.

Inizia così la ricerca della verità, fatta di ricerche forsennate, pedinamenti, bugie, incontri spiacevoli, supposizioni e tutto in gran segreto. Victor vuole raggiungere la verità ma ha anche paura di scoprirla perché il colpevole potrebbe essere una persona a cui vuole bene.

“Non appena cominciò a leggere il Dizionario delle droghe e dei veleni, Victor sentì che si stava avventurando lungo una strada pericolosa. Non riusciva a spiegarsi perché s’intestardisse tanto nel voler ficcare il naso in quella faccenda. Intendeva convincersi che faceva male a essere tanto sospettoso nei confronti di chi gli stava vicino? Tentava di discolpare Kenji? O era, soprattutto, il desiderio di fare colpo sugli altri?”

Un giallo godevolissimo, con un buon livello di tensione e suspence che permette al lettore di viaggiare indietro nel tempo e partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 dedicata al centenario della Rivoluzione Francese e la cui principale attrattiva e protagonista è stata “la” torre di Gustave Eifell.

Ho apprezzato moltissimo l’ambientazione storica e in particolare la descrizione e il racconto dell’Esposizione di cui vengono mostrati anche i retroscena legati all’impiego di artisti e disoccupati della capitale per i figuranti e realizzare i vari allestimenti.

“Sulla riva opposta della Senna, la torre color bronzo di Gustave Eiffel svettava verso il cielo, come un enorme lampadario profilato d’oro. […] L’omnibus si fermò davanti al Palais du Trocadéro, un enorme edificio fiancheggiato da torri simili a minareti. Più in basso, oltre la striscia grigia del fiume, attraversato in lungo e in largo dai battelli, si estendevano i cinque ettari dell’Esposizione Universale.”

Oltre a Victor Legris coprotagonisti nella serie ma che ricoprono un ruolo anche nella risoluzione di questo mistero sono l’aiutante della libreria Joseph detto Jojo divoratore di libri e appassionato di gialli e cronaca nera e l’enigmatico giapponese Kenji Mori, socio e padre adottivo di Victor.

“Kenji si voltò, fissando il quadretto di Laumier posato sul comodino. «L’apparenza sta alla realtà come un tramonto sta a un incendio». Sorrise e vuotò d’un fiato il suo bicchierino di saké”

Rimangono alcuni aspetti oscuri che riguardano la vita privata dei personaggi che però verranno dipanati nel corso degli altri volumi della serie (mi sono spoilerata da sola).

L’autore Claude Izner è in realtà uno pseudonimo, dietro la sua firma si “nascondono” le sorelle Liliane Korb e Laurence Lefèvre entrambe libraie parigine e scrittici sia assieme con lo pseudonimo di Claude Izner sia singolarmente.

Penso proprio che con il tempo leggerò tutta la serie di gialli che hanno per protagonista Victor Legris, come detto mi è piaciuta sia l’ambientazione storica sia la costruzione del giallo che è molto avvincente e originale, non il movente, quello no (è vecchio come il mondo forse il più diffuso) ma come sono stati architettati e realizzati i delitti sì!

Parlarvi dei libri gialli mi mette in difficoltà perché ho sempre paura di dire qualcosa di troppo che possa rovinare la sorpresa.

Conoscete questo investigatore? Vi aspetto nei commenti.