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mercoledì 6 gennaio 2021

L'OPERA STRUGGENTE DI UN FORMIDABILE GENIO - DAVE EGGERS

TITOLO: L'opera struggente di un formidabile genio
AUTORE: Dave Eggers traduzione di Giuseppe Strazzeri
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 485
PREZZO: € 11,00
GENERE: letteratura americana contemporanea
LUOGHI VISITATI: Chigaco, San Francisco e California

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“Sapevo di potercela fare, e adesso so questo, so cosa sto facendo, so che sto facendo qualcosa di bello e allo stesso tempo di orribile, perché sto distruggendo la sua bellezza con la consapevolezza che potrebbe essere una cosa bella, perché so che se so che una cosa è bella, allora non è più bella. Ho paura che se anche è bella in astratto, il fatto che io la faccia sapendo che è una cosa bella e, peggio ancora, sapendo che presto ne darò documentazione, che nella mia tasca c’è un registratore infilato specificatamente all’uopo, tutto questo rende quest’atto di potenziale bellezza in un certo senso orrendo.”

Un libro piuttosto particolare – d’altra parte lo si capisce già dal titolo – che mi è piaciuto moltissimo. Leggendo la trama mi aspettavo un libro molto più deprimente e drammatico, non è una storia semplice quella che viene raccontata ma è condita da tanta ironia e autoironia del protagonista che spesso strappa un sorriso anche nei momenti più difficili.

La prima cosa da dire è che si tratta di un romanzo in parte autobiografico: quanto narrato è ispirato alla vita di Dave Eggers che ha perso entrambi i genitori di cancro nel giro di pochissimo tempo e si è poi occupato del fratellino Cristhoper detto Toph, trasferendosi a San Francisco dove oltre a lavorare come grafico ha anche fondato una rivista, tuttora è editore e si occupa di svariate pubblicazioni tra cui anche una rivista letteraria. Durante la lettura del libro mi ero ripromessa di cercare maggiori informazioni su google in particolare volevo capire cosa fosse vero e cosa frutto della sua fantasia, però non sono riuscita a farmi un quadro chiaro, ma forse è meglio così e (da quel poco che sono riuscita a capire e ricostruire) resto dell’idea che alla esperienze personali abbia ricamato attorno con la sua genialità.

È un autore che voglio conoscere meglio, ho apprezzato la sua scrittura e in generale anche lui protagonista, la sua capacità di raccontare un’esperienza drammatica con tanta autoironia e coinvolgere e appassionare il lettore oltre che strappare qualche sorriso; penso che non solo la sua scrittura ma anche lui come scrittore e uomo debba avere un bel carattere effervescente.

Questo romanzo (che è stato finalista al Premio Pulitzer per la saggistica nel 2001 anche se io continuo a chiamarlo romanzo) è la prima opera di Dave Eggers quindi è il suo romanzo d’esordio! Davvero trovo Eggers un “formidabile genio”.

A questo libro sono arrivata con il progetto #scrittoinamerica che seguo su Instagram e che è finito con il mese di dicembre; l’argomento per questa ultima tappa erano gli scrittori sperimentali cioè quegli scrittori che hanno utilizzato le regole grammaticali e linguistiche, la parola scritta in generale in modo diverso e innovativo, tra i suggerimenti c’era proprio questo romanzo - oltre ad altri tra cui Faulkner (lui sì che ha usato le parole in modo sperimentale, quanta fatica ho fatto l’estate scorsa a leggere L’urlo e il furore) – e l’ho scelto perché leggendo la trama mi aspettavo – come detto prima - qualcosa di diverso per cui temevo di non trovare il coraggio di leggerlo se non “per dovere”.

Cosa ci racconta Dave? Della malattia della madre e dei giorni in cui la accudisce, la perdita del padre, la nuova vita che si crea in California con il fratellino, una vita fatta di giornate in spiaggia, tanti giochi e sport, ma poi ci sono anche il lavoro e la scuola, la quotidianità domestica tra i due e tutte le esperienze legate alla rivista che fonda con alcuni amici. Tutto diventa occasione per riflettere sul senso della vita. Addirittura Dave si propone come un nuovo modello genitoriale, è chiaro che ci mette tutto l’impegno possibile ma non è proprio il modello ideale ad esempio arrivano sempre tardi a scuola, hanno una pessima organizzazione e non sono capaci di cucinare praticamente nulla di diverso dai ‘tacos’ anche se però mangiano molta frutta.

“Toph e io siamo il futuro, un futuro spaventosamente luminoso, un futuro che arriva da Chicago nella forma di due ragazzi terribili che vengono da chissà dove, emarginati e dati per spacciati, naufraghi, dimenticati, eppure, eppure invece eccoli qui, ancora a galla, ancora più coraggiosi e temerari di prima, certo un po’ ammaccati e con la barba lunga e con le gambe dei pantaloni un po’ lise e le pance piene di acqua salata, ma ormai inarrestabili, insormontabili, pronti a prendere a calci i culi cicciosi del grigio, occhialuto, piriforme, deprimente genitorame di Berkeley.”

Elemento caratteristico è lo stile e la scrittura: assolutamente ricca, prolissa, con frasi lunghe, articolate, complesse; è strabordante e descrittiva fino all’eccesso. Il lessico utilizzato è prevalentemente colloquiale, informale e ‘giovane’ (non riesco a trovare altro aggettivo per descriverlo) e tutto ciò coinvolge il lettore.

La narrazione è in prima persona, conosciamo quello che accade attraverso gli occhi del protagonista, ma oltre agli avvenimenti ci vengono raccontate anche le impressioni e le speculazioni che il protagonista fa con se stesso.

 “Mentre volo giù per le scale so che ovviamente qualcuno ne approfitterà per fare del male a Toph. Lo so ogni volta che lascio Tohp da solo, cosa che ormai faccio più spesso e senza baby-sitter, dato che Toph ha tredici anni. Nel momento in cui chiudo a chiave la porta, e anche il portone è chiuso, e la porta sul retro che conduce alla lavanderia nel seminterrato è anch’essa sprangata, va tutto bene, ma poi mi ricordo che la serratura di quest’ultima porta è sgangherata e inutile, ed è sicuramente da lì che farà il suo ingresso l’uomo malvagio. Gli arriverà alle spalle, perché è da un pezzo che sorveglia la casa e aspetta che io me ne vada, e sa che starò via per un po’ perché ha ascoltato la mia telefonata, e da un pezzo mi osserva con un binocolo o un telescopio. E dopo che me ne sono andato arriverà, con le sue funi e la sua cera – è amico di Scott, lo scozzese, ovviamente! – e costringerà Toph a fargli delle cose, perché saprà che io sono fuori”. 

Dave Eggers è un protagonista/narratore fuori dagli schemi, strampalato, megalomane e anche un po’ maniaco, bugiardo per difesa.

“Mi ascolta eccome, per cui vado avanti. Non sono sicuro del perché lo faccio. La gente mi pone domande e io, prima che possa formulare una risposta orientata verso la verità, mento. Mento sul modo in cui i miei genitori sono morti - «Ricordi il bombardamento dell’ambasciata americana in Tunisia?» - sulla mia età – dico sempre di avere quarantuno anni – sull’età di Toph, sulla sua altezza; quando la gente chiede di lui ottiene le menzogne più elaborate – che ha perso un braccio, che ha un cervello da neonato, che è ritardato, uno scocciatore (quest’ultima la dico solo in sua presenza), che è impiegato alla marina mercantile, che è in carcere, in riformatorio, o che ne è appena uscito, che spaccia crack - «Vecchio Toph, gli basta un po’ di crack e dovreste vedere come gli si illumina il faccino!» -, che gioca nella Continental Basketball Association.”

Tutta questa opulenza espositiva (che personalmente adoro) non è una peculiarità solo di Eggers. Penso che la sua bravura sta nel mischiare più elementi contrastanti, questa scrittura dal taglio prevalentemente ironico usata per raccontare esperienze di vita molto drammatiche, questa sua ‘genialità’ anche nella strutturazione del romanzo che presenta alcune peculiarità. La prima è che all’interno della narrazione ci sono riferimenti al libro stesso, ma non solo sotto forma di rimando ad una spiegazione successiva ma addirittura nel libro di dice e alcuni protagonisti/personaggi parlano di cosa deve esserci nel libro, di come debbano svolgersi i fatti in modo da poterli inserire e si dice che alcuni nomi verranno cambiati per ragioni di riservatezza. L’altra particolarità sta nella presenza di una lunga prefazione in cui vengono forniti suggerimenti su come leggere il libro e anche una serie di spiegazioni, di interpretazioni e infine di parti che sono state tagliate dal romanzo. Già la ‘prefazione’ che poi è una sorta di capitolo introduttivo mi ha fatto innamorare.

Consiglio il libro a chi vuole leggere qualcosa di diverso.

Voglio assolutamente leggere altro di Eggers, aspetto vostri consigli nei commenti.



martedì 29 dicembre 2020

MOSCA-PETUŠKĺ. POEMA FERROVIARIO DI VENEDIKT EROFEEV

TITOLO: Mosca - Petuškì. Poema ferroviario
AUTORE: Venedikt Erofeev traduzione di Paolo Nori
EDITORE: Quodlibet Edizioni
PAGINE: 205
PREZZO: € 15,00
GENERE: letteratura russa, letteratura contemporanea, letteratura surreale
LUOGHI VISITATI: Unione Sovietica tra gli anni '60 e '70 circa

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Un romanzo interessante sotto certi versi, ma che ho faticato moltissimo a leggere. Come mi aspettavo è surreale, incomprensibile e indefinito. Alterna momenti di pura fantasia, di visione; a momenti di descrizione della vita in Urss come l’abitudine di bere alcolici (sia bevande alcoliche in senso proprio che sostanze che contengono alcol o derivati come ad esempio i profumi e le acque di colonia). Uno degli aspetti più interessanti è la visione dell’alcol e dello stato perenne di ubriachezza come un mezzo di protesta, di dissenso politico e di opposizione al regime, è senz’altro una forma (e/o una visione) di protesta politica estremamente originale.

La figura di Venedikt Erofeev è quasi leggendaria perché nella Russia comunista è stato disoccupato e addirittura senza fissa dimora, due cose impossibili in Unione Sovietica; ovviamente era uno scrittore non accettato, non riconosciuto ufficialmente.

Questa è la sua opera più famosa, dietro c’è una curiosità tutta russa, è stato un “Samizdat”: si tratta di una specie di auto pubblicazione dell’opera che gira clandestinamente sotto forma di dattiloscritti su carta carbone, spesso lasciavano la Russia e venivano pubblicate in occidente, come è successo a questo libro che è stato pubblicato per la prima volta nel 1973 in Israele mentre in Russia è stato ammesso e pubblicato solo dopo il 1990.

Si tratta del racconto diretto, in prima persona con continui riferimenti e dialoghi con un pubblico di lettori immaginario.

Protagonista è l’alter ego dell’autore che da Mosca prende un treno diretto a Petuškì. Il viaggio è complicato, anzitutto perché Venička deve raggiungere la stazione di Kursk ma gira ubriaco per la capitale; una volta sul treno iniziano una serie di racconti e dialoghi con altri passeggeri (tutti ubriachi) a cui si alternano i monologhi e le visioni personali del protagonista. Interessanti le digressioni su particolari esperienze del protagonista come quelle lavorative, il viaggio in giro per l’Europa e una sorta di rivolta con tanto di dichiarazione di guerra alla Norvegia. Emerge una particolare visione di vita dove tutto è dettato dall’alcol e l’essere ‘inciclonato’ o meno determina anche il modo di comportarsi e le necessità dell’uomo.

“Un bel lampadario. Un po’ troppo pesante. Se si fosse staccato e fosse caduto in testa a qualcuno, gli avrebbe fatto male… Cioè, poi, a dire il vero, neanche male. Intanto che si sgancia e vola, tu sei seduto e, senza sospettare niente, bevi, per esempio, uno xeres. E quando lui ti raggiunge, non sei più tra i vivi. Pesante, questo pensiero: tu sei seduto, e sulla tua testa ti cade un lampadario. Molto pesante, come pensiero…
Ma no, perché pesante!... Se tu, mettiamo, bevi dello xeres, e ti è già passato l’anticiclone, non è un pensiero molto pesante. Ma se sei seduto che ti sei inciclonato e non sei riuscito a farti passare l’anticiclone, e lo xeres non te lo danno, e oltretutto di cade in testa il lampadario, ecco, questo è pesante… molto opprimente, come pensiero. Un pensiero che non tutti riuscirebbero a sopportare. Soprattutto se sei inciclonato…”

Sotto certi versi è un’opera tragicomica, non mancano risvolti quasi divertenti. È assolutamente confuso e incomprensibile. L’aspetto sintattico e lessicale è molto particolare, ricco di ripetizioni, punti di sospensione e punti esclamativi, dialoghi e monologhi. Ma è anche ricco di tantissimi riferimenti e citazioni di autori e opere famose sia russi che europei.

“Lo sa il diavolo, con che genere letterario arriverò a Petuškì. A partire da Mosca ero stato tutto un saggio filosofico e memorie, erano state tutte poesie in prosa, come in Ivan Turgenev… Adesso cominciava il racconto poliziesco… Avevo dato un’occhiata dentro la valigetta, era tutto a posto, lì? Lì era tutto a posto. Ma dov’erano quei cento grammi? E chi pescare?”

 

Nell’opera elemento fondamentale è l’alcol e il bere in tutte le sue possibili forme e alla fine emerge un’interpretazione della vita su questa terra sotto forma di parallelismo con l’ubriachezza.

“E se un giorno morirò (morirò molto presto, lo so), morirò senza aver accettato questo mondo, avendolo compreso da vicino e da lontano, avendolo compreso da fuori e da dentro, ma senza averlo accettato, morirò, e Lui mi chiederà: «Sei stato bene lì? Sei stato male?», e io starò zitto, abbasserò gli occhi e starò zitto, e questo mutismo lo conoscono tutti quelli che cercano una via d’uscita da un lungo e pensante anticiclone. Perché la vita umana, non è forse una breve ciclone dell’anima? E anche un’eclissi dell’anima. È come se tutti noi fossimo ubriachi, solo ognuno per conto suo, uno ha bevuto di più, l’altro di meno. E a ciascuno fa un effetto diverso: uno ride in faccia a questo mondo, l’altro piange tra le braccia di questo mondo. Una ha già vomitato, e adesso sta bene, l’altro comincia solo adesso a avere il vomito. E io, cosa ho fatto io? Io ho assaggiato molta roba, ma non mi ha fatto effetto, e non ho riso neanche una volta come si deve, e non mi è mai venuto il vomito. Io, dopo aver assaggiato questo mondo tante di quelle volte da averne perso il conto e il senso, io sono il più sobrio di tutti, a questo mondo: mi va, semplicemente, stretto. «Perché taci?», mi chiede il Signore, tutto circondato da dei fulmini blu. E cosa gli rispondo? Faccio così: taccio, taccio…”

Erofeev è oggi un autore russo “moderno” piuttosto conosciuto, ho scelto di leggere questo libro per il progetto #ilgirodelmondoin12letture attratta principalmente dalla traduzione di Paolo Nori; come detto all’inizio non è stata una lettura facile, la confusione, l’indeterminatezza, l’assenza di una vera e propria trama sono elementi che mi pesano molto durante la lettura, e devo essere sincera me lo aspettavo perché leggendo le trame di altri romanzi della Russia ‘moderna e contemporanea’ questi elementi uniti al surreale sono molto comuni.

Voi conoscete Erofeev? Avete mai letto qualche sua opera? Fatemi sapere nei commenti.