giovedì 30 gennaio 2025

LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA

TITOLO: La signora dello zoo di Varsavia
REGISTA: Niki Caro
ATTORI PRINCIPALI: Jessica Chastain nel ruolo di Antonina ŻabińskaJohan Heldenbergh nel ruolo di Jan Żabiński e Daniel Brühl nel ruolo di Lutz Heck
DURATA: 126 minuti
GENERE: drammatico, biografico
AMBIENTAZIONE: Varsavia fine anni '30 primi anni '40




Un film drammatico che racconta la storia di una famiglia e di una donna, Antonina che ha messo a repentaglio la propria esistenza per salvare delle persone innocenti.

 Protagonista è Antonina Żabińska (interpretata da Jessica Chastain), una donna che ama fortemente gli animali a cui dedica tutta se stessa. Lei e il marito Jan Żabiński (interpretato da Johan Heldenbergh) gestiscono lo zoo di Varsavia allo scoppio della seconda guerra mondiale. Iniziata la guerra lo zoo viene requisito e occupato dai nazisti come base e mezzo di approvvigionamento ma gli Żabiński ottengono di poter continuare a viverci offrendosi di allevare maiali per il Reich andando a recuperare il nutrimento per gli animali al ghetto ebraico. Altro personaggio chiave è Lutz Heck (interpretato da Daniel Brühl) direttore dello zoo di Berlino e per questo conoscente degli Żabiński che allo scoppio della guerra si presenta come ufficiale SS nonché capo zoologo di Hitler. Heck ha mostrato già da tempo un ammirazione per Antonina che sicuramente gli Żabiński sfruttano per mantenere aperto lo zoo come allevamento di suini, ma Heck porta avanti anche un suo esperimento scientifico con dei bisonti dove (volente o nolente) Antonina partecipa.

Gli Żabiński fanno parte di un organizzazione che salverà molti ebrei facendoli fuggire dal ghetto (anzitutto con la scusa dei rifiuti come cibo per maiali escono nascoste delle persone, ma non è l’unico modo), ospitandoli nello zoo e a casa loro, aiutandoli nel camuffarsi da “ariani”. La particolarità che rende la storia degli Żabiński ancor più eroica è che loro avevano i nazisti fuori dalla porta!

Il film è diretto da Niki Caro e si basa sul libro Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman a sua volta tratto da una storia vera di Antonina Żabińska (ricostruita grazie ai suoi diari).

Fatemi sapere se lo conoscete. Un film perfetto da recuperare in occasione della giornata della memoria.


venerdì 24 gennaio 2025

IL SERGENTE DELLA NEVE di MARIO RIGONI STERN

TITOLO: Il sergente della neve
AUTORE: Mario Rigoni Stern
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 144
PREZZO: € 11,50
GENERE: letteratura italiana, memoir, campagna di Russia seconda guerra mondiale
LUOGHI VISITATI: Russia, seconda guerra mondiale


Il sergente della neve è il memoir di Mario Rigoni Stern sulla ritirata dalla campagna di Russia, una testimonianza generica al tempo stesso precisa, racconta solo i fatti, l’esperienza vissuta senza spiegazioni, come dice lo stesso Rigoni Stern ci sono solo nomi di Alpini e non di luoghi perché quelli lui non li conosceva. Si tratta a tutti gli effetti di un memoriale, non è e non vuole essere un romanzo quindi non ci sono particolari spiegazioni e soprattutto c’è tanto non detto semplicemente perché non conosciuto dall’autore stesso.

Il libro racconta un’esperienza di guerra, è una lettura meno “pesante” di quello che mi aspettavo ma comunque molto intensa e dolorosa si occupa della ritirata dalla Russia, sappiamo già come è andata la campagna di Russia e cosa possiamo aspettarci dai ricordi di scuola. La narrazione si divide in due parti la prima (la più breve) che racconta della vita in trincea e poi la seconda parte che è quella più cospicua narra della ritirata. La ritirata dal fronte russo è una marcia lunghissima nel freddo e nella neve, praticamente senza cibo e riposo dove devono comunque combattere contro i russi che contrattaccano (mica li lasciano andare via come nulla fosse) quindi è pieno di imboscate e battaglie, tra cui la tristemente famosa battaglia di Nikolaevka.

“Viene il 26 gennaio 1943, questo giorno di cui si è già tanto parlato. È l’aurora. Il sole sta sorgento dal basso orizzonte ci manda i suoi primi raggi. Il biancore della neve e il sole abbagliano gli occhi. […] Affacciandoci ad una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con un treno pronto per noi. Saremo fuori dalla sacca se raggiungiamo la ferrovia.” Pag 103


Rigoni è in un battaglione di Alpini e racconta la sua esperienza che è personale ma al tempo stesso comune a molti altri, trattandosi di un memoir noi lettori sappiamo che Rigoni Stern ce l’ha fatta è tornato a casa grazie al suo coraggio (tantissimo), agli sforzi e alla sofferenza ma anche a tanta, tantissima fortuna. Ha avuto la capacità di mantenere un grande sangue freddo e grandi capacità organizzative e di comando, ma anche una grande umanità (che dimostra non solo verso i compagni ma anche verso la popolazione russa che lo ripaga con del cibo). Durante la narrazione Rigoni trova spesso delle assonanze tra ciò che vede in Russia (persone e luoghi) con il suo paese e i suoi paesani e in generale con l’Italia e gli italiani a sottolineare ulteriormente che non ha perso l’umanità anzi è un occhio lucido, attento e realistico.

“È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la neve, le nubi, le montagne e i volti dei bambini che giocano son le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Ma anche laggiù in quell’estremo lembo della steppa c’era un angolo caldo. La neve era intatta, l’orizzonte viola, e gli alberi si alzavano verso il cielo: betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppo di isbe. Pareva che non ci fosse la guerra laggiù; erano fuori dal tempo e fuori dal mondo, tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora. Lì aggiustavano gli aratri e le cinghie dei cavalli; i vecchi fumavano, le donne filavano la canapa. Non ci poteva essere la guerra sotto quel cielo viola e quelle betulle bianche, in quelle isbe lontane nelle steppa. Pensavo: «Voglio anch’io andare in quel caldo, e poi si scioglierà la neve, le betulle si faranno verdi e ascolterò la terra germogliare. Andrò nella steppa con le vacche, e alla sera, fumando macorka, ascolterò cantare le quaglie nel campo di grano. D’autunno taglierò a fette le mele e le pere per fare gli sciroppi e aggiusterò le cinghie dei cavalli e gli aratri e diventerò vecchio senza che mai ci sia stata la guerra. Dimenticherò tutto e crederò di essere sempre stato là». Guardavo quel caldo e si faceva sempre più sera.” Pag 67

Una testimonianza importantissima da leggere e una base per approfondire, non è uno storico a parlare ma un ragazzo comune che ha vissuto la campagna di Russia e il rientro “a baita” sulla sua pelle. Non è una lettura facile soprattutto verso la fine ci sono delle pagine per me dolorosissime e difficili (alla fine Rigoni ci dirà chi dei suoi compagni che abbiamo conosciuto all’inizio ce l’ha fatta e chi no, e mi ero affezionata molto ad alcuni). In questo libro si dà voce a tutti quelli che sono tornati ma anche a quelli che non ce l’hanno fatta, si dà voce a chi ha pagato con la vita l’invasione della Russia (inutile come tutte le guerre).

“Ecco, ora è finita la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo ancora camminato. Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero ancora da dire, ma queste è un’altra storia.” pag 126



Non posso che consigliarvelo, è un libro meraviglioso, sicuramente straziante ma anche necessario.

Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cos’altro mi consigliate di Rigoni Stern.


venerdì 17 gennaio 2025

IL COMMESSO di BERNARD MALAMUD

TITOLO: Il commesso 
AUTORE: Bernard Malamud         traduzione di: Giancarlo Buzzi
EDITORE: Minimum Fax
PAGINE: 327
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York fine anni '50




Un libro che mi è piaciuto molto e di cui mi risulta molto difficile parlare, mi capita con i libri che mi piacciono tanto talmente tanto da non trovare le parole.

Pubblicato nel 1957 ha un ambientazione coeva che oggi direi vintage: una New York d’altri tempi dove un panino costa 3 centesimi.

La storia è quella di un negoziante ebreo, Morris Bober e del suo negozio di alimentari a Brooklyn. Il negozio è l’unica ragione di vita di Morris ma anche ciò che gli ha rubato la giovinezza, che gli sta succhiando tutte le energie e in definitiva la vita (praticamente Morris è “sepolto” dentro al suo negozio da quarant’anni, esce raramente e mai dal quartiere) e nonostante il grandissimo impegno, tiene aperto dalle sei del mattino alle dieci di sera, il negozio non dà ai Bober abbastanza per tirare avanti e devono integrare con il magro stipendio della figlia Helen. Ci sarebbero tante cose da fare, da migliorare per stare al passo con i tempi e la concorrenza ma non ci sono i soldi, il negozio è lo stesso da decenni, ormai è fatiscente e i clienti sempre più scarsi, anche i più fedeli si rivolgono alla concorrenza. Uno dei problemi è proprio la presenza di nuovi supermercati nel quartiere, supermercati moderni e attrezzati che inoltre sono gestiti da “gentili”. I Bober sono ebrei ma vivono in un quartiere “normale” (cioè non ebraico o a maggioranza ebraica) e la loro appartenenza razziale è motivo di discrimine.

Abbiamo una narrazione lenta, tutto è incentrato sul negozio che è praticamente anche, salvo pochissime eccezioni, l’unico luogo dove vediamo i personaggi, dove si svolge “l’azione”. È un libro molto statico e molto introspettivo: Malamud scandaglia approfonditamente l’animo dei personaggi, ci racconta quello che dicono e quello che fanno ma anche e soprattutto i loro pensieri, sentimenti, paure, timori e le loro aspirazioni. Malamud appartiene al filone della narrativa ebraico-americana come Philip Roth e come Saul Bellow (per citare i più famosi), ho letto che è considerato il padre letterario di Roth (anche se quest’ultimo si discosta per essere molto più diretto e pungente). 

Voglio spendere due parole sui personaggi che sono il fulcro principale della narrazione che come detto sopra non è di azioni ma di introspezioni.

C’è la famiglia Bober composta da Morris, la moglie Ida e la figlia Helen, sono ebrei osservanti e per loro l’appartenenza religiosa è molto importante, non accetterebbero mai un matrimonio misto per la figlia.

Helen ha le idee chiare, è pratica e pragmatica, forse un po’ troppo idealista e per questo si è fatta terra bruciata intorno, è terribilmente sola l’unica compagnia le viene dai libri e dalla lettura. Non che sia priva di ammiratori, è anche una bella ragazza e nello stesso quartiere vivono altre due famiglie ebree in entrambe ci sarebbe un possibile pretendente, una ragazzo interessato ma lei vuole qualcosa di diverso, sogna e vuole una vita con determinate caratteristiche e non accetta compressi.

Il personaggio di Morris è pazzesco, è l’onesta fatta persona, non ruberebbe un grammo mentre gli altri non si fanno scrupoli a derubarlo e ingannarlo. È un sessantacinquenne ebreo emigrato dalla Russia zarista che cerca di realizzare il sogno americano con il suo negozio di alimentari a Brooklyn. È un uomo buono e onesto, che però si scontra con la dura realtà della vita, le perdite, la vecchiaia, la malattia e soprattutto il progresso.

“«Perché ho sgobbato tanto? Dov’è, dov’è finita la mia giovinezza?»
Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa? Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sé. Bastava soltanto scegliere la strada giusta e lui invece aveva scelto quella sbagliata. Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. Per capirne il motivo bisognava possedere un’istruzione che lui non aveva. Tutto ciò che sapeva era che voleva qualcosa di meglio, ma in tutti questi anni non era mai riuscito a trovare il sistema per ottenerlo. La fortuna era un dono. Karp ce l’aveva, e anche qualche suo vecchio amico, individui ricchi che ormai erano nonni, mentre la sua povera figliuola, fatta sua immagine, rischiava – se pure non se lo poneva come obiettivo -  di restare zitella. La vita era ben povera cosa e il mondo cambiava in peggio. L’America era diventata troppo complicata e un uomo non contava più nulla. Troppi negozi, troppe depressioni, troppe ansie. Cosa aveva voluto fuggire, venendo qui?” pag 276 e 277

Infine il “commesso” del titolo Frank Alpine: un giovane di origini italiane, senza fissa dimora, un piccolo delinquente con un burrascoso passato alle spalle con la spola tra orfanatrofi e famiglie affidatarie poco amorevoli. Un ragazzo cresciuto da solo e per strada che ha sempre potuto contare solo su stesso. A un certo punto (anche per delle ragioni che si scoprono nel libro) decide di redimersi, di impegnarsi a diventare una persona migliore e come fa? Facendo il garzone per i Bober, in realtà praticamente imponendosi come garzone, il suo aiuto è molto prezioso i Bober ormai sono vecchi. Alla ragione iniziale se ne aggiungerà un’altra, io direi piuttosto scontata, un infatuazione, un interesse per Helen. (Dico scontata perché abbiamo vicino due ragazzi dannatamente soli e bisognosi di comprensione).

Voglio leggere altro di Malamud a me è piaciuto molto. Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cosa mi consigliate.


venerdì 27 dicembre 2024

IL QUARTO RE MAGIO - Aa.Vv.

TITOLO: Il quarto re magio
AUTORE: aa.vv.
EDITORE: Marcos y Marcos
PAGINE: 296
PREZZO: € 12
GENERE: raccolta di racconti, racconti natalizi
LUOGHI VISITATI: vari



Una raccolta di racconti natalizi molto diversi tra loro per autore, epoca d’ambientazione e genere, c’è davvero di tutto dal classico al fantascientifico passando anche per il western. Assolutamente da leggere.

Si tratta di una raccolta estremamente “snella” non ci sono introduzioni o spiegazioni ma semplicemente i racconti. A fine libro, troviamo poche pagine in cui vengono fornite informazioni essenziali sulla biografia e produzione di ciascun autore (parlo di un paragrafo a testa) e la fonte del racconto.

Come tutte le raccolte di racconti si presta sia ad essere letta tutta d’un fiato (come ho fatto io) oppure diluita nel corso del tempo o dei Natali; la trovo perfetta sia per approcciarsi ad autori nuovi (io praticamente non ne conoscevo nessuno) sia per approfondire (magari con opere “minori”) autori che già amiamo. Nel complesso il libro mi è piaciuto davvero molto naturalmente non tutti i racconti mi sono piaciuti allo stesso modo e alcuni non mi sono piaciuti affatto, probabilmente non li ho compresi io.

Di seguito vi parlo di ciascun racconto senza spoiler.

1. Tutti i giorni Natale di Henrich Boll: protagonista una famiglia benestante tedesca subito dopo la fine della seconda guerra mondiale; dopo tanti anni la zia Milla può di nuovo fare l’albero di Natale, ma a gennaio 1947 al momento di metter via gli addobbi succede la tragedia: la zia Milla perde la ragione e l’unico modo di placarla è riproporre la festa di Natale tutte le sere, ma con quali difficoltà e per quanto tempo si potrà andare avanti? Un racconto interessante che da un lato fornisce una visione particolare del Natale che diventa oggetto di una paranoia, di una malattia e dall’altro permette uno spaccato sul modo di festeggiare in una famiglia dell’alta borghesia tedesca, dove il pezzo forte è un albero magnifico con decorazioni d’artigianato pazzesche.


“La principale attrazione dell’albero di natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava pace pace.” Pag 13

“Mi ricordo ancora bene del giorno in cui fummo invitati: era il gennaio del 1947, fuori faceva un gran freddo, ma da mio zio era caldo e c’era cibo in abbondanza. Quando si spensero le lampade e si accesero le candele, quando i nanetti cominciarono a battere col martelletto sulle incudini, l’angelo a sussurrare ‘pace, pace’, mi sentii trasportare indietro, in un tempo che avevo creduto ormai passato.” Pag 16

2. Il dono dei magi di Luciano Bianciardi: voce narrante e protagonista è un livornese, il dottor Melchiorri che assieme a un tedesco e a un angloindiano, nel dicembre 1947 battono il deserto libanese alla ricerca di petrolio con una società di fantasia e una licenza fantasma; la notte devono fare la guarda ‘all’albero di Natale’ la macchina trivellatrice perché i beduini cercano sempre di rubare il petrolio. Ma la notte del 24 dicembre arriva una coppia di giovani, lei incinta con le doglie e un bambino che sta per nascere: i tre uomini mettono a disposizione la loro rimessa e cercano di aiutare come possono, mettendo assieme anche dei doni da dare al bambino. Come si vede la trama non è affatto originale o nuova, è una sorta di rivisiatazione o retelling, la storia che tutti conosciamo inserita in un contesto diverso che ci fa riscoprire, ancora un volta, il senso del Natale.

“Ci guardavamo in faccia, come per interrogarci, senza dire una parola: questi sono doni per il padre e per la madre, ma ci vorrebbe qualcosa anche per lui, il piccolo. Qualcosa per dargli il benvenuto in questo mondaccio, per fagli capire (o per capirlo noi, piuttosto?) che in mezzo agli uomini qualche volta capita di incontrare gente buona, che la gente a volte può anche essere buona, che tutti abbiamo bisogno, per lo meno una volta all’anno di un gesto di bontà. Di farlo, quel gesto, più ancora che riceverlo.” Pag 58

3. A casa per Natale di Dambudzo Marechera: è il racconto che mi è piaciuto meno in assoluto avevo letto trattarsi di uno scrittore dello Zimbawe e avevo aspettative altissime anche per scoprire usanze magari diverse dalla nostre. C’è un io narrante che torna a casa per Natale dopo anni di assenza, ad attenderlo c’è sua sorella Ruth e come vuole la tradizione l’uomo di casa deve uccidere una capra che verrà poi cucinata e mangiata. Il nostro io narrante si rifiuta di uccidere l’animale e inizia un monologo (interminabile) sull’ingiustizia del mangiare gli animali, sul fatto che tutto il mondo altro non è che una catena alimentare e che non si può chiamare progresso gli allevamenti intensivi. Ragionamenti e osservazioni non sbagliate anzi condivisibili, ma a me il racconto in sé non è piaciuto, probabilmente nel suo contesto originario aveva maggior significato.

4. Un altro Natale di William Trevor: come il conflitto nordirlandese può influenzare la vita delle persone anche a tantissimi chilometri di distanza, non solo il Natale ma anche la vita quotidiana: una famiglia irlandese vive da tantissimi anni in Inghilterra, è gente brava ed onesta ma ciò forse non basta, soprattutto quando la questione nordirlandese diventa oggetto di discussione.

1.               La stella di Arthur C. Clarke: un racconto di natale fantascientifico davvero pazzesco. L’io narrante è un astrofisico gesuita in missione nello spazio per studiare la nebulosa Phoenix, nebulosa che a un certo punto si trasformò da supernova a nana bianca distruggendo tutti i pianeti del suo sistema, tutti tranne uno dove gli abitanti nascosero in una cripta i ricordi e i segni della loro esistenza. Punto focale è che il narratore è un uomo di Dio e si interroga sul perché Dio abbia permesso la distruzione di quel popolo e quale significato ciò possa avere, anche perché il fenomeno oggetto di studio è stato osservato anche dalla terra, almeno secondo le leggende. Clarke è l’autore del libro e della sceneggiatura di 2001: Odissea nello spazio.

 

2.               Ragazzi a Natale di Pier Vittorio Tondelli: un racconto con tre sere della vigilia di natale: a Berlino Ovest senza amici un ragazzo paragona l’essere soli in un giorno di festa all’essere in guerra; alla caserma di lancieri a Roma un ragazzo arrabbiato perché non gli hanno firmato la licenza e deve passare la festa in caserma; un paesino sugli appennini un quindicenne innamorato da il primo bacio. Tre ragazzi protagonisti o forse lo stesso in momenti diversi della sua vita? Non l’ho capito ma è un racconto molto bello che mi ha fatto venir voglia di conoscere questo autore.

7. Il dono dei magi di O. Henry: una favola natalizia, due ragazzi innamorati – Della e Jim – che sacrificano quanto hanno di più prezioso per poter fare un regalo speciale all’altro. Racchiude e racconta la vera magia o il vero significato del Natale.

8. Il Babbo Natale di Viale Neri arriva prima di Cristiano Cavina: una storia bella tosta, una storia di crescita che scalda il cuore ma che al contempo apre gli occhi, ci ricorda che le cose possono essere anche molto diverse “dalla normalità”. Viale Neri è un quartiere popolare dove troviamo degrado sociale e famigliare, e qui Babbo Natale arriva prima, il 23 dai frati dove i ragazzini prendono i loro doni – possibilmente vestisti per l’inverno – ma l’ultima volta il nostro protagonista disobbedisce e prende un libro, “I ragazzi della Via Pal” che tanto assomigliano a lui e ai suoi coetanei, e proprio quella scelta gli cambierà la vita… Cavina è un autore che voglio approfondire.

9. Natale per forza di O. Henry: il natale nel West, per me è un ambientazione fantastica avete mai pensato al natale nel selvaggio ovest? Io no, e già l’ambientazione mi aveva incuriosito facendomi pensare a come potesse essere il natale (addobbi, festeggiamenti, tradizioni) nel far west. La storia è una favola natalizia, abbiamo un cercatore d’oro di nome Cherokee che fonda la cittadina di Yellowhammer, ma l’oro finisce presto e si trasferisce altrove, fa fortuna e decide di omaggiare la sua cittadina presentandosi vestito da Babbo Natale con tantissimi regali e fare una meravigliosa festa. Le cose vanno diversamente da come aveva immaginato Cherokee, ma direi anche molto meglio. O. Henry è un altro autore che voglio approfondire, è un autore di racconti che ambienta tra la fine dell’800 e i primi del ‘900.

10. Un uovo caldo di Guy de Maupassant: si tratta di una storia natalizia, tratta da una raccolta tematica dell’autore che però ci narra un natale un po’ diverso da quello a cui siamo abiuati oggi, alla nostra (o almeno alla mia idea di natale). Un medico racconta un’episodio a cui ha assististo quando prestava servizio in campagna dove durante la messa di natale assiste ad un “miracolo”: dopo un eccezionale nevicata un uomo trova un uovo caldo e lo dona alla moglie che, dopo averlo mangiato impazzisce, provano di tutto ma nulla funziona, viene poi esorcizzata durante la messa di natale.

11. Cento di questi alberi di Jack Ritchie: racconto breve e divertente con protagonista Rober Cassett un guardiacaccia zelante e pasticcione, ne combina una peggio dell’altra. La vigilia di Natale coglie in flagrante Julia a tagliare un pino in proprietà demaniale, decide di portala a processo e va a casa dal giudice Horley che però è lo zio della ragazza, alla fine lo invitano a passare il natale da loro. È brevissimo, spassoso e c’è naturalmente anche il lieto fine da storia natalizia.

12. Cristallo di rocca di Adalbert Stifter: la vicenda si svolge principalmente tra la vigilia e il giorno di natale, siamo a metà Ottocento in un paesino sperduto tra le alpi austriache; la storia ruota attorno a due fratellini che di ritorno dalla visita alla nonna si perdono per la tormenta di neve. La narrazione è lenta, il racconto è estremamente lungo, e non è tra i miei preferiti come punti di forza ci sono delle bellissime descrizioni paesaggistiche (come inquadrature amplissime che man mano si stringono sui dettagli) e degli accenni alle tradizioni per natale di quei luoghi.

13. Natale a Thompson Hall di Anthony Trollope: rispetto a questo racconto avevo grandi aspettative perché con lo stesso titolo c’è un libro edito Sellerio, non l’ho ancora fatto nonostante nel frattempo abbia anche comperato il libro, ma dovrei controllare se quello che leggiamo qui è l’inizio del romanzo oppure è il racconto finito. Anche se mi aspettavo molto più “Natale” con descrizioni dei festeggiamenti e delle usanze il racconto e il suo autore mi sono piaciuti molto (tra l’altro essendo anch’esso uno scrittore ottocentesco il paragone con Cristallo di rocca è inevitabile) il racconto è quasi comico, scorrevole e brioso. Protagonista la signora Brow che tornando alla casa di famiglia (Thompson Hall appunto) per trascorre il Natale tutti assieme, durante il viaggio soggiornano una notte a Parigi e qui la signora vivrà una serie di disavventure…

14. Da Nazareth a Betlemme di Pier Paolo Pasolini: non è un vero e proprio racconto ma un copione di un opera teatrale o cinematografica, penso del film sulla vita di Gesù “Il vangelo secondo Matteo”. È uno dei racconti che mi è piaciuto meno ma perché non è un vero e proprio racconto di fantasia come gli altri.

Vi aspetto nei commenti per sapere se avete letto questa raccolta e se conoscete qualcuno di questi autori o racconti.


venerdì 6 dicembre 2024

ALLONTANARSI di ELIZABETH JANE HOWARD

TITOLO: Allontanarsi 
AUTORE: Elizabeth Jane Howard     traduzione di: Manuela Francescon
EDITORE: Fazi
PAGINE: 670
PREZZO: € 13
GENERE: letteratura inglese, saga famigliare
LUOGHI VISITATI:  Inghilterra primi anni '40 del '900
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Allontanarsi 4° volume della saga famigliare dei Cazalet di Jane Howard – attenzione possibili spoiler sui volumi precedenti

«Non lo so. È il modo in cui va il mondo, credo. Insomma, non vedevamo l’ora che finisse la guerra, perché allora la vita sarebbe stata meravigliosa e tutta nuova, ma invece non lo è. Volvevamo tanto la pace, ma a quanto pare la pace non ha reso felici nessuno. E non vale sono per noi […] Tutto sembra difficile e scuro, per niente eccitante come pensavamo che sarebbe stato».”

La guerra è finita e finalmente si può tornare alla normalità: viene meno la convivenza forzata a Home Place, ognuno torna alla propria casa e alla propria vita e le riunioni di famiglia si riservano ai giorni speciali.

Ma è un nuovo inizio carico di cambiamenti, su tutto sono cambiati i tempi e diversi nostri protagonisti (Villy ed Edward, ma anche i capifamiglia e Rachel) devono “ridimensionarsi” acquistare case più piccole e soprattutto prive della servitù.

I ragazzi e le ragazze inseguono i loro sogni, possono finalmente vivere una vita libera e piena, tra lavori nuovi, nuovi amori e grandi delusioni. I grandi devono affrontare i problemi delle loro vite, prendere delle decisioni, fare delle scelte.

È una storia famigliare che va avanti, non è facile parlarne perché non voglio fare spoiler, con lutti e storie d’amore, nuove e vecchie, che si consolidano oppure falliscono.

Louise prende nuovamente in mano la propria vita e compie una sceltra drastica ma fondamentale per il suo benessere. Suo fratello Teddy torna dall’america sposato e inizia a lavorare nella ditta di famiglia.

A seguire i propri sogni sono soprattutto Polly, che lavora da un arredatore d’interni (nel primo volume la incontriamo affascinata dalle cose che riguardano il design e la casa e che accumula oggetti per la sua futura casa ideale) e Clary che si dedica alla scrittura, per entrambe ci sarà anche l’amore seppure in modi e forme diverse.

Non dimentichiamo nessuno dei personaggi incontrati nei volumi precedenti da Miss Millment che ormai è di famgilia ai parenti della sorella di Villy. Archie diventa un personaggio sempre più importante, direi pensante in senso positivo, è diventato amico e confidente praticamente di tutti e il suo ruolo è molto prezioso per risolvere alcune situazione delicate.

Come negli altri romanzi c’è una magnifica interpolazione tra la Storia e le vicende personali dei Cazalet, offrendo un interessante spaccato storico e culturale; inoltre la Howard per scrivere la storia dell famiglia Cazelet si è ispirata a fatti ed esperienze che ha vissuto realmente. Mi dispiace sempre salutare i Cazalet mi sento una di famiglia, gioisco e soffro con loro, ma al contempo non vedo l’ora di vedere come va avanti.

Consiglio assolutamente di leggere la saga nella sua interezza.


giovedì 21 novembre 2024

STUPORI E TREMORI - AMÈLIE NOTHOMB

TITOLO: Stupori e tremori
AUTORE: Amélie Nothomb     traduzione di: Biancamaria Bruno
EDITORE: Voland
PAGINE: 105
PREZZO: € 13
GENERE: memoir, letteratura belga
LUOGHI VISITATI: Giappone anno 1990
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Primo approccio ad Amélie Nothomb ed ho deciso di iniziare con il primo libro pubblicato, anche se non è il primo che ha scritto. Nothomb è un autrice belga, molto prolifica (esce circa un libro nuovo all’anno e sono sempre libri “brevi) e con una scrittura molto tagliente, caustica e concisa.

Stupori e tremori racconta la prima esperienza lavorativa di Nothomb alla multinazionale giapponese Yumimoto. Nel libro parla esclusivamente del lavoro, non c’è nulla al di fuori della vita lavorativa, cosa fa, dove vive, chi frequenta, se ha amici, eccetera. Infatti avevo grande curiosità rispetto a questi aspetti, leggendo della sua esperienza mi sono chiesta come fosse la vita fuori e lo possiamo scoprire leggendo un altro suo libro “Né di Eva né di Adamo”.

Abbiamo una narrazione per episodi di un esperienza dell’autrice che ci narra il suo anno di lavoro in sequenza cronologica, ci viene raccontato solo quello che conosce o di cui viene a conoscenza e per questo non ci sono approfondimenti psicologici.

Ciò che emerge praticamente subito è che quel lavoro non è adatto a lei e alle sue caratteristiche e qualità eppure nonostante l’esperienza sia quasi un viaggio infernale che la porta in gironi sempre più bassi, non si licenzia perché per un giapponese è impensabile (e disonorevole) dimettersi quindi porta a termine l’intero anno di contratto.

Offre uno spaccato molto interessante sul Giappone, in particolare sulla vita lavorativa/professionale giapponese: un ambiente estremamente severo, austero e di durissimo lavoro, dove il merito conto davvero tanto, dove è richiesta tanta fatica e sacrificio, con regole gerarchiche rigide e con un rispetto pressoché assoluto verso i superiori e le regole ma dove c’è tanta invidia. Un aspetto che mi ha stupito molto è “il ruffianare”: l’arte delatoria (almeno per come l’ho capito io) non è visto come qualcosa di brutto anzi è qualcosa di utile all’azienda e in generale nella società e si basa sul dovere di rispettare le regole (morali e di condotta) e dove ciò non avviene è giusto informare i superiori (Nothomb ci dice che il fare la spia è qualcosa di tipico anche della cultura cinese oltre che giapponese).

Altra cosa che mi ha stupito e per certi aspetti fatto sorridere ma anche riflettere è il razzismo verso gli occidentali: i giapponesi si reputano superiori agli occidentali (per tante ragioni ad esempio per i rigidi codici di condotta a cui si attengono oppure perché non sudano) e per quanto il razzismo è sempre qualcosa di negativo mi ha permesso di vedere come in fondo un po’ tutti cercano una ragione per sentirsi diversi e migliori degli altri e per un volta è “il bianco” quello diverso e sbagliato. La questione del “sudare” è una curiosità interessante e trovo quasi divertente il fatto che i giapponesi considerino disdicevole, poco onorevole sudare e guardano agli occidentali che sudano molto, puzzano molto e nemmeno si accorgono della gravità della cosa, con sdegno e rimprovero. Su questo argomento Nothomb racconta un episodio piuttosto divertente.

“Quando lo straniero odoroso se ne andò, la mia superiore era esangue. E tuttavia non era finita. Il capo del settore, il signor Saito, fu il primo a mettere becco e a colpire:
- Non avrei potuto resistere un minuto di più!
Autorizzava così ogni maldicenza. Gli altri ne approfittarono subito:
- Si rendono conto, questi bianchi, che appestano l’aria?
- Se solo riuscissimo a fargli capire che puzzano, finalmente avremmo in Occidente un mercato favoloso per deodoranti efficaci!
- Potremmo forse aiutarli a puzzare di meno, ma non potremmo mai evitare che sudino. È la loro razza.
- Da loro perfino le belle donne sudano.
Erano pazzi di gioia. L’idea che le loro parole potessero indispormi non li sfiorò neppure. Dapprima ne fui lusingata: forse non mi consideravano una bianca. La lucidità mi tornò molto presto: se facevano discorsi del genere in mia presenza, era solo perché contavo meno di niente.” Pag 64 e 65

Nothomb ha una scrittura cinica, dura, colpisce dritto al punto in modo diretto, è quasi asettica e priva di empatia. Ha una grande capacità di sintesi ad esempio paragona la ramanzina che il superiore Omochi fa alla signorina Mori ad uno stupro, è una similitudine brutale ma ben congegnata, che ben rappresenta e fa capire ciò che ci sta raccontando.

Con la lettura di questo libro facciamo un viaggio nella cultura giapponese, nel mondo e nella vita reale del Giappone, non solo nello specifico un ambiente lavorativo ma anche più in generale, quella giapponese è una realtà affascinante ma anche o forse proprio per questo molto diversa e lontana dalla nostra occidentale. Il tutto è filtrato dagli occhi di un occidentale, per quanto Nothomb sia profondamente innamorata del Giappone (tanto che il suo primo lavoro lo fa lì) e per quanto sia anche una grande conoscitrice del Giappone, non è una giapponese, e questo secondo me permette di percepire le differenze cosa che non sempre riesce a fare un semplice romanzo (la filtratura di Nothomb si vede quando sottolinea le diversità) per me è un plus molto importante.

Poiché come detto prima è raccontata un esperienza reale, con persone reali mi piacerebbe molto sapere se e come le persone presenti nel libro hanno reagito al libro, penso in particolare alla signorina Mori, che essendo la diretta superiore di Nothomb è molto presente.

Sono molto contenta di aver letto questa autrice che mi ispirava da tanto, mi è piaciuta molto con questa scrittura quasi sarcastica, cinica ma estremamente reale e diretta, sicuramente leggerò molto altro di suo, l’aspetto positivo che sono tutti libri piuttosto brevi ma di contro sono tantissimi. È un memoir che ci racconta molto anche dell’autrice, del suo modo di essere e di vivere il mondo e ci spiega anche la scelta del titolo.

Fatemi sapere se lo avete letto, se vi piace Amélie Nothomb e cosa mi consigliate di suo.


martedì 12 novembre 2024

IL PAESE DELL'ALCOL di MO YAN

TITOLO: Il paese dell'alcol
AUTORE: Mo Yan     traduzione di: Silvia Calamandrei e curatore Mari Rita Masci
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 363
PREZZO: € 21,00
GENERE: letteratura cinese
LUOGHI VISITATI: Jiuguo (cittadina immaginaria) in Cina
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)qui (link affiliato)


Questo è un esempio di quei casi in cui mi fisso di voler comprare qualcosa nello specifico letteratura cinese e avendo visto il libro a metà prezzo su libraccio l’ho preso. Al momento di leggerlo inizio con la quarta di copertina e vengo assalita da dubbi e incertezze invece si è rivelata una lettura interessante.

Il paese dell’alcol di Mo Yan è una lettura surreale, inquietante e anche “malata” perché una delle tematiche principali è legata al cannibalismo (di neonati).

L’aspetto che caratterizza maggiormente il libro è la sua struttura molto particolare e articolata, ogni capitolo prevede quattro parti (ma l’ordine delle parti varia all’interno dei capitoli):
- parte dell’investigatore Ding Gou’er: inviato a Jiuguo per indagare su possibili banchetti con carne di neonato, poiché alla Procura Generale sono arrivate delle lettere anonime di denuncia. Ding si mette all’opera e sulla sua strada incontra una serie di soggetti bizzarri, vive delle avventure particolari oltre alle indagini e si trova in qualche modo costretto a bere parecchio - del resto è nel paese dell’alcol - il problema è che lui non regge per niente l’alcol (che è poi anche il romanzo che mo yan dice di scrivere nelle sue lettere)
- parte di Li Yidou: Li Yidou è un dottorando in miscelazione di liquori all’università di distillazione di Jiuguo, ma è anche uno scrittore in erba e nelle sue parti sono riportate le lettere che scrive a Mo Yan – lettere dal contenuto vario ma principalmente di ammirazione e raccomandazione dei propri racconti
-parte di Mo Yan: risponde alle lettere di Li Yidou con consigli di scrittura e giudizi sui racconti che riceve
- i racconto di Li Yidou (che manda a Mo Yan): i racconti sono diversi (il mio preferito in assoluto è bambini da macello, un racconto bellissimo che meriterebbe una pubblicazione a parte) e raccontano di Jiuguo, dell’università, dei suoi suoceri (Yuan Shuangyu professore di distillazione e della suocera che invece lavora all’accademia di cucina) e di alcune “personalità” della città come il nano della taverna Yichi e il vicedirettore Jim Gangzuam che compaiono anche nella parte investigativa. Alcuni dei racconti servono a raccontarci personaggi che poi incontra l’ispettore Ding e a fornici un quadro complessivo, io però ho impiegato un po’ a capirlo e all’inizio mi annoiavano tantissimo perché li ritenevo inutili.

Tanti personaggi le cui vicende si intrecciano e tra questi c’è lo stesso Mo Yan che a fine libro si recherà a Jiuguo.

Una sorta di giallo, ma anche libro denuncia della corruzione e del degrado morale imperante, considerato una delle massime espressioni dell’autore di “realismo allucinato” la corrente narrativa che è valsa a Mo Yan il nobel per la letteratura. È stata una lettura interessante e molto particolare per la struttura narrativa e per l’espediente (per me assolutamente nuovo) di utilizzare dei racconti per spiegarci dei pesonaggi e dei fatti che poi si incontrano nelle altre parti, in particolare quella investigativa. Le vicende, avventure che vive l’ispettore Ding sono al limite della credibilità, poi non conosco la Cina per potermi esprime ma penso di aver capito cosa di intende per “realismo allucinato” e devo dire che mi piace. Sicuramente leggerò altro di Mo Yan autore cinese molto famoso anche in occidente.

Fatemi sapere se avete letto questo libro o altri di Mo Yan.