venerdì 11 ottobre 2024

SE SCAPPI TI SPOSO - FILM

TITOLO: Se scappi ti sposo
REGISTA: Garry Marshall
ATTORI PRINCIPALI: Richard Gere nel ruolo di Ike Graham e Julia Roberts nel ruolo di Maggie Carpenter
DURATA: 116 minuti
GENERE: commedia romantica 
AMBIENTAZIONE: Hale cittadina immaginaria del Maryland USA fine anni '90


Se scappi ti sposo è una commedia romantica con Richard Gere e Julia Roberts uscita nel 1999 e diretta da Garry Marshall: stessi protagonisti e regista di Pretty Woman e come quello è un grande successo.

Non so bene perché ma questo film mi ricorda l’autunno io sono stra convinta che ci siano delle scene con gli alberi tutti colorati d’ arancione, il simbolo della cittadina di Hale sono le zucche. Non lo so ma questo film mi trasmette vibes autunnali.

Iniziamo dalla trama: Ike giornalista newyorkese, misogeno e maschilista è alla ricerca di un pezzo per la sua rubrica e un ubriaco in un bar gli racconta la storia di una ragazza nella sua città: abbandona lo sposo all’altare e Ike ci scrive un pezzo al vetriolo. Maggie, la giovane in questione, che sta per sposarsi di nuovo, non ci sta risponde al giornale che licenzia Ike. Quindi lui si reca a Hale nel Maryland per scoprire la verità e scoprendo che Maggie sta per sposarsi decide di rimanere per vedere che fugge un’altra volta.  Maggie e Ike iniziano male non si sopportano, lui raccoglie materiale per il suo articolo verità, è un giornalista ci sa fare e diventa presto amico di tutti compresa la famiglia e il fidanzato di Maggie. Dopo un po’ Maggie decide che se deve rimanere e deve scrivere la sua storia che almeno sia vera e inizia a raccontargli la sua versione, col tempo tra i due si instaura una sorta di amicizia o forse qualcosa di più?

Non voglio andare oltre anche se penso sappiamo tutti come va avanti la storia.

A me è piaciuto molto ed è tra i miei film preferiti. L’ho visto e rivisto molte volte, le commedie romantiche servono a farci sognare, anche se distorcono un po’ la vita reale dove difficilmente ci sono i lieti fine. Ma va bene così.

I due protagonisti Ike e Maggie molto distanti e diversi, ma che conoscendosi e scontrandosi hanno modo di riflettere, di crescere e di acquisire una maggior consapevolezza di se stessi e delle loro necessità.

C’è un momento in cui parlando Ike dice come dovrebbe essere secondo lui una proposta di matrimonio e la trovo molto bella ma anche molto veritiera e insegna a cogliere l’attimo, a non lasciarci sfuggire delle possibilità o delle occasioni solo perché sappiamo già che sarà faticoso e magari non funzionerà.

“Io credo che il massimo che uno possa dire in tutta onesta è "senti...garantisco che ci saranno tempi duri...garantisco che ad un certo punto uno di noi o tutti e due vorremmo farla finita! ma garantisco anche che se non ti chiedo di essere mia ora lo rimpiangerò per tutta la vita! perchè sento nel mio cuore che sei l'unica per me!”

Fatemi sapere se lo avete visto. Vi aspetto nei commenti

venerdì 4 ottobre 2024

NIENTE MIRACOLI A OTTOBRE di OSWALDO REYNOSO

TITOLO: Niente miracoli a ottobre
AUTORE: Oswaldo Reynoso         traduzione di: Federica Niola
EDITORE: SUR
PAGINE: 280
PREZZO: € 16,00
GENERE: letteratura peruviana
LUOGHI VISITATI: Lima
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Affresco di Lima anni ’60 con le vicende che si svolgono in un'unica giornata quella della processione del Signore dei Miracoli, quando tutto il Perù si veste di viola. Seguiamo le vicende di vari personaggi, e nel corso della narrazione ci sono molti flash back che permettono di ricostruire vita e pensieri dei protagonisti.

“si mise a camminare davanti all’ampia vetrata azzurro chiaro. Dal ventesimo piano del palazzo del suo Banco contemplò Lima: Babilonia della porcheria: ai suoi piedi, case basse e sporche e, ogni tanto, un grattacielo di cemento, vetro e acciaio; pochi parchi; per le strade, strette e lunghe, auto e tram sgangherati, ammucchiati agli angoli; e il cielo grigio, triste, zozzo; discariche pensili, aeree, color terra marcita. Ed eccola, la sua città: enorme, senza confini precisi, cresceva cresceva: i serranos affamati, cenciosi, sporchi, scendevano dalla Ande e la accerchiavano disperati, le case con i tetti di spazzatura si stendevano a perdita d’occhio, interminabili, fino alla lattigninosa striscia blu del mare; le baracche di abode e lamiera ammucchiate, si arrampicavano, come gramigna, sulle colline, allargandosi, senza fine, sulle terre sabbiose, sulle discariche. Qui, al centro della capitale, ammassati, come mosche sulla merda, vivono zambos e criollos in callejones e quintas vecchi, distrutti: è sufficiente dar loro il calcio, i tori, la televisione e le bettole con birra e cacho. Fuori, sulle colline, nelle pampas, i serranos con la loro porcheria. Meno male che a sud abbiamo quartieri belli per la gente come si deve, civilizzata. In centro bisogna costruire grandi palazzi di appartamenti per la classe media: bisogna farla contenta: sta dalla mia parte, mi serve. I serranos bisogna restituirli alle campagne e se sono senza terra bisogna mandarli nella selva”.

Protagonisti principali, le cui storie si intrecciano sono: Don Manuel un ricco e potente banchiere, molto influente nella politica del paese, alle prese con i capricci del suo ultimo giovane amante ma che farà di tutto per assistere alla processione del Signore dal balcone della sua villa. Poi c’è Don Lucho, impiegato di banca che passa l’intera giornata alla ricerca di un abitazione: sono sotto sfratto e ormai non c’è più tempo, deve trovare un alloggio che possano permettersi economicamente e che sia anche dignitoso e in un quartiere per bene, deve pensare anche al futuro dei figli soprattutto di Bety. Bety che attende la processione e soprattutto la sera per incontrarsi con il fidanzato che dovrebbe farle una proposta di fidanzamento ed elevarla dal suo status, il piccolo Carlos che va ancora a scuola e che sta prendendo delle brutte strade e infine il fratello maggiore Miguel impegnato nella lotta politica (è anche il primo personaggio che incontriamo).

“Il portiere del Banco aveva ragione da vendere: la casetta è grande e ha perfino un cortiletto, si potrebbero allevare galline, conigli, non so, il brutto è il quartiere, gli abitanti: sono tutti operai: ci vivono quasi tutti i manovali del Banco e non sta bene per me, impiegato di vecchia data, averli come vicini: è gente brava, servizievole, certo ma si perde un sacco di libertà e se non fai attenzione quando gli dai un dito vogliono il braccio. Certo, l’affitto è basso: è regalata, ma Bety sarebbe la prima ad opporsi. E avrebbe ragione da vendere: neanche a Maria piacerebbe vedere la sua unica figlia che frequenta operaie, bifolche: Bety è diventata una signorina e deve vivere in un altro ambiente”.

Lettura interessante ma sicuramente non semplice, sia per la scrittura che definirei sperimentale che per lo stile narrattivo particolare, ci sono poche spiegazioni e poco contesto il lettore viene catapultato direttamente nella storia. La narrazione è piuttosto frammentaria e frastagliata. Ogni capitolo inizia con l’ora in cui si svolgono le vicende narrate, tendenzialmente ogni capitolo è dedicato ad un personaggio ma non ci viene detto chi e ci sono anche capitoli dove ne compaiono più d’uno anche qui senza troppe specificazioni. Diciamo che Reynoso rende difficile il compito del lettore, gli richiede tanta attenzione e anche partecipazione per capire di chi si sta parlando e non sempre lo capiamo (almeno io).

“Grigioverde, brillante: gli alberi. Cristalino. Splendore bagnato, nero: l’asfalto; a colori: macchine e cartelloni pubbliciatari, Plaza San Martìn: plumbea, luminosa, come una bolla di sapone. Aria che puzza di pesce marcio.”

Viene narrata una storia in qualche modo sospesa, si chiude la giornata e forse non è cambiato nulla o forse si, rimane molto aperto molte cose non vengono dette.

È il mio primo approccio a Oswaldo Reynoso, che così di primo acchito, a pelle mi è venuto da paragonare/accostare a Pedro Lemebel. Reynoso è uno scrittore sperimentale, criptico, perennemente “giovane” e controcorrente, poco conosciuto - soprattutto fuori dal Perù - fornisce una visione particolare, diversa, non canonica, ma assolutamente realistica e veritiera. È una lettura potente e importante che ben sintetizza ipocrisie e ingiustizie, mi viene da dire che sia anche un libro di denuncia sociale (pubblicato nel 1965 è ambientato circa negli stessi anni) i ricchi vogliono solo arricchirsi di più e chi si lamenta viene represso. Utilizza un linguaggio diretto e senza censure ed è stato anche molto criticato dalla “critica” che lo considerava osceno e offensivo è stato invece apprezzato da altri scrittori come Vargas Llosa.

Sicuramente uno stile letterario lontano “dall’ordinario” e dai miei gusti ma ho comunque apprezzato il libro che mi è piaciuto nononstante sia diverso, sia molto particolare e sia molto evanescente per i miei gusti.

Fatemi sapere se avete letto questo o altri libri di Reynoso.


venerdì 26 luglio 2024

LE OSSA DI SAN LORENZO di VICENTE ALFONSO

TITOLO: Le ossa di San Lorenzo
AUTORE: Vicente Alfonso traduzione di: Fabio Cremonesi
EDITORE: NN Editore
PAGINE: 201
PREZZO: € 17,00
GENERE: letterature messicana, giallo/poliziesco, psicologico
LUOGHI VISITATI: Messico
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venerdì 19 luglio 2024

L'UOMO DI CALCUTTA di ABIR MUKHERJEE

TITOLO: L'uomo di Calcutta
AUTORE: Abir Mukherjee   traduzione di: Alfredo Colitto
EDITORE: Sem 
PAGINE: 348
PREZZO: € 17
GENERE: letteratura indiana, giallo storico
LUOGHI VISITATI: Calcutta aprile 1919
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Un giallo storico ambientato nell’India Coloniale siamo a Calcutta nell’aprile del 1919, protagonista il Capitano ispettore Samuel Wyndham un uomo che decide di ricominciare dall’altra parte del mondo nel tentativo di dimenticare la vita passata buttandosi nel lavoro (ha combattuto nella prima guerra mondiale ed è rimasto solo al mondo). Quando lo incontriamo è appena arrivato in India, per lui è tutto nuovo e da scoprire e deve subito dedicarsi a un indagine che è una sorta di battesimo di fuoco.

Infatti il caso da risolvere è piuttosto spinoso: nella città nera, cioè nella parte di Calcutta abitata prevalentemente dai nativi, in un vicolo viene ritrovato cadavere MacAuley un uomo che faceva parte dell’amministrazione coloniale britannica, a capo di un ufficio importante ed era anche il faccendiere del governatore e di alcuni ricchi imprenditori. A complicare ulteriormente il caso la circostanza che, assieme al corpo, viene trovato un biglietto anonimo che intima agli inglesi di andarsene, ci sono i presupposti per un “attacco terroristico” degli indipendentisti e intervengono anche i servizi segreti.

Iniziamo a conoscere il nostro protagonista e il caso che deve risolvere permette di mettere in luce doti e capacità, Sam Wyndham è tutto fuorché perfetto, in particolare ha una dipendenza da oppio, ma è molto bravo nel suo lavoro investigativo e ha un ottimo intuito oltre ad essere una persona che usa molto la testa e il cuore, per questo viene scelto dal capo della polizia che ha bisogno del suo aiuto perché essendo di fuori non deve favori a nessuno.

Altra grande protagonista è Calcutta, una città costruita praticamente da zero dagli inglesi, ci viene raccontato molto della città, della sua costruzione, delle tradizioni e dei nativi.

“Se Calcutta aveva un cuore, si trattava di Dalhousie. Come Trafalgar a Londra, era una piazza troppo grande per essere elegante. Nessuno spazio pubblico ha bisogno di essere enorme. Al centro c’erano una grande piscina rettangolare con acqua del colore delle foglie del banano. Digby mi aveva detto che in passato i nativi la usavano per lavarsi, per nuotare e per riti religiosi. Ma dopo l’ammutinamento del ’57 cose del genere non erano più tollerate. Ora la piscina era deserta e l’acqua verde bottiglia scintillava nel sole pomeridiano. I nativi, almeno quelli approvati da noi, camminavano a testa bassa verso riunioni e appuntamenti, in redingote, camicie abbottonate e colletti inamidati. Intorno alla piscina c’era una ringhiera di ferro e cartelli in inglese e in bengalese li avvertivano delle multe in cui sarebbero incorsi se avessero deciso di cedere ai loro bassi istinti e farsi un tuffo.
Ai lati della piazza sorgevano i palazzi chiave dell’amministrazione britannica: l’ufficio postale, quello del telefono e il massiccio Writers’ Building. Le vite di oltre cento milioni di indiani, dal Bihar fino al confine birmano, erano amministrate da lì, quindi mi sembrava logico che si trattasse dell’edificio più grande forse di tutto l’impero. Ma la parola grande non gli rendeva giustizia. Forse era anche meglio dire grandioso. Il suo scopo era impressionare chiunque lo vedesse, ma soprattutto i nativi. Ed era formidabile. Altro quasi quattro piani, era lungo circa duecento metri, con plinti massicci ed enormi colonne sormontate da statue di dei. Non dei indiani, ovviamente, ma greci o forse romani, non ho mai capito la differenza.
era una caratteristica di Calcutta: tutto ciò che avevamo costruito lì erano in stile classico e più grande del necessario. Era come se i nostri uffici, le nostre ville e monumenti, gridassero: ‘Guardate cosa siamo capaci di fare! Siamo i veri eredi di Roma!’
Era l’architettura dei dominatori, e sembrava un po’ assurda. I palazzi palladiani, con colonne e frontoni, le statue di uomini in toga morti da secoli, le iscrizioni latine ovunque, persino nei bagni pubblici… uno straniero avrebbe pensato che Calcutta fosse stata colonizzata dagli italiani, non dagli inglesi.
La piazza vibrava di attività. Tram e autobus vomitavano un flusso continuo di impiegati bianchi e nativi, in giacca e cravatta malgrado il caldo, che si univano alla folla di gente che entrava e usciva da sotto l’ampio portico del Writers’”

“La città un po’ alla volta cedette il passo alla giungla e il viaggio prese l’aria di una spedizione. Quella era l’India che avevo sognato. La terra selvaggia e misteriosa descritta da Kipling e da Sir Henry Cunningham. La foschia del mattino copriva le rive come un lenzuolo di mussolina, da cui ogni tanto spuntava un banyan o una capanna di nativi. Piccole barche di legno, alcune con una vela, altre poco più che canoe, ci passavano accanto, pilotate da uomini con lunghi pali.
Sulla riva orientale del fiume, dalla nebbia emerse un grande tempio, alto almeno trenta metri e dall’aspetto aliena. Era una costruzione bianca a due livelli, sormontata da una strana struttura a cupola che a sua volta era circondata da almeno una dozzina di guglie. Di fronte al tempio principale c’erano una serie di sacrari, dodici in tutto, come discepoli nell’atto di rendere omaggio. I muri bianchissimi e i tetti rosso sangue risplendevano nella luce del mattino presto.
«Un tempio di Kali» disse l’ufficiale indicandolo. «Ce ne sono parecchi intorno a Calcutta, ma questo è il mio preferito».
Le offerte alla dea si allontanavano galleggiando dalla riva, una miriade di calendule, petali di rosa e lampade votive che trasportavano le preghiere dei devoti. Remnant indicò i gradini che scendevano fino all’acqua. «Quelli sono i ghat per le abluzioni» disse. «Gli indù credono che un bagne in quelle acque possa levare tutti i peccati.»”

E il discorso poi in generale può estendersi anche al resto dell’India sono anni in cui si inizia a parlare di indipendenza. E anche il caso che Sam deve risolvere è legato a questo tema. Molto interessante ad esempio anche il fatto che uno dei sottoposti/collaboratori di Sam, Surrender-not soprannome per il sergente Banerjee un nativo che spiega la sua scelta di entrare a servizio della polizia imperiale che trovo di un pragmatismo degno di nota.

“Banerjee riflettè prima di parlare. «Io ritengo, signore, che un giorno potremmo davvero avere un governo autonomo all’interno dell’impero britannico, o addiruttura la totale indipendenza. Ma a differenza del signor Gandhi, non credo che questo porterà pace universale e collaborazione tra i miei connazionali. Ci saranno ancora degli omicidi in India. E se un giorno voi ve ne andrete davvero, noi indiani dovremmo essere in grado di gestire i posti che abbandonerete. Questo vale per la polizia come per tutto il resto.»”

 

La particolarità è che è narrato in prima persona, voce narrante è lo stesso Sam. La narrazione è piuttosto lineare e semplice anche se è farcita/ricca di espressioni indiane o di inglese coloniale con tantissimi termini specifici per ruoli e cose, che permettono di entrare ancor meglio nell’ambientazione. È sicuramente un libro più di trama che di forma, ma è molto interessante, intrattiene, l’ho trovato un buon giallo dove non mancano i colpi di scena, con il plus dell’ambientazione che permette di volgere lo sguardo su un momento storico preciso (e se vogliamo distante da noi) ma anche molto affasciante seppur con tutte le problematiche conseguenti. È il primo volume di una serie che sicuramente continuerò.

Fatemi sapere se lo conoscete.


venerdì 12 luglio 2024

THE BIG BANG THEORY - SERIE TV

TITOLO: The big bang theory
AUTORE: Chuck Lorre e Bill Prady
GENERE: sitcom
LUOGHI VISITATI: Pasadena California (USA) primi anni 2000







The Big Bang Theory è la classica sit com americana, perfetta per staccare la spina e divertirsi, i nostri protagonisti (Sheldon, Leonard, Howard e Raj) sono quattro ricercatori alla California Institute of Tecnology e vivono a Pasadena (California), in particolare Sheldon e Leonard sono coinquilini e vivono nell’appartamento 4A al 2311 North Los Robles Avenue, che è anche il loro principale punto di ritrovo. Sono dei nerd, hanno un intelligenza molto sviluppata e nel loro campo sono quasi delle istituzioni ma sono piuttosto imbranati e impacciati nella vita quotidiana, assistiamo ad una sorta di scontro tra la vita nerd e la vita normale; quando non lavorano passano il loro tempo leggendo fumetti e giocando a videogame e giochi di ruolo. Tutto procede al meglio fino a che arriva una nuova vicina Penny e in qualche modo gli equilibri cambiano, se non altro perché Leonard se ne innamora e farà di tutto per cercare di conquistarla. Non dico altro sulla trama perché in realtà non c’è molto da dire se non voglio fare spoiler, seguiamo la vita quotidiana dei nostri protagonisti che sono alle prese con il mondo che li circonda e tutto è piuttosto ironico.

Veniamo ai protagonisti:

Sheldon Cooper - probabilmente il protagonista, almeno per me è lui il principale – interpretato da Jim Parson, condivide un appartamento con l’amico Leonard. È un fisico teorico, che si occupa della teoria delle stringhe e sogna di vincere il Nobel. Ha un passato da bambino prodigio, arrivando al primo dottorato di ricerca da adolescente, ha un quoziente intellettivo fuori dal comune, una personalità da maniaco compulsivo (esempio ha un proprio posto sul divano, e non si può cambiare) è estremamente abitudinario ed è anche un bel po’ spocchioso e arrogante, è ben conscio della sua superiore intelligenza e se ne fa un vanto, si reputa proprio superiore agli altri e fa di tutto per dimostrarlo, è completamente avulso dalla normali regole di convivenza sociale che spesso non comprende oltre a non condividere.

“L’intera istituzione dello scambio di regali non ha alcun senso. Mettiamo che io esca e spenda 50 dollari per un tuo regalo. Sarebbe un’attività laboriosa, perché dovrei immaginare cosa ti serve, mentre tu sai già cosa ti serve. Potrei semplificare la cosa dandoti 50 dollari direttamente, e tu potresti darmene 50 al mio compleanno e così via, finché uno di noi morirà lasciando l’altro più ricco di 50 dollari. Quindi ti domando: ne vale la pena?”

Leonard Hofstadter, interpretato da Johnny Galecki, è il miglior amico e coinquilino di Sheldon, è anche lui un fisico quantistico e ha un quoziente intellettivo elevato (meno però di Sheldon che infatti lo sminuisce) è piuttosto goffo e simpatico, si innamora praticamente subito di Penny.

Penny, interpretata da Kaley Cuoco, è la nuova vicina di Leonard e Sheldon, è una ragazza esuberante, allegra e con una vita sociale molto impegnata, praticamente l’opposto dei suoi vicini nerd con cui però stringe amicizia.

Howard Wolowitz, interpretato da Simon Helberg, è un ingegnere aerospaziale ed è amico di Shaldon e Leonard e frequenta spesso il loro appartamento; vive con la madre ed ha un grandissimo interesse per le ragazze.

Raj Koothrappali, interpretato da Kunal Nayyar, è un astrofisico indiano, è il miglior amico di Howard e amico di Shaldon e Leonard. È un personaggio ambiguo e strano (per certi versi più di Shaldon) almeno agli inizi è affetto da una sorta di mutismo selettivo che gli impedisce di parlare con le ragazze e devono aiutarlo gli amici, soprattutto Howard.

È una serie che ha avuto un grandissimo successo sia di pubblico che di critica vincendo molti premi di settore. Ha un prequel “Il giovane Sheldon” che racconta l’infanzia del bambino prodigio Sheldon.

Serie tv perfetta per staccare la spina, presenta episodi brevi di circa venti minuti di puro intrattenimento, per ora ho visto le prime tre stagioni ma sicuramente continuerò tutta la serie.

Fatemi sapere se vi piace, perché penso che la conoscano tutti.


venerdì 5 luglio 2024

CONFUSIONE di ELIZABETH JANE HOWARD

TITOLO: Confusione (volume 3 saga Cazalet)
AUTORE: Elizabeth Jane Howard         traduzione di: Manuela Francescon
EDITORE: Fazi
PAGINE: 526
PREZZO: € 18,50
GENERE: letteratura inglese, saga famigliare, saga dei Cazalet 
LUOGHI VISITATI: Inghilterra e Londra primi anni '40
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Confusione è il 3° volume della saga famigliare dei Cazalet, attenzione possibili spoiler sui volumi precedenti!

Continuiamo a leggere delle vicende dei Cazalet questo volume è ambientato tra il marzo del 1942 e il 1945. Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale ed Elizabeth Jane Howard, attraverso le vicende dei Cazalet, ci racconta la vita in Inghilterra e a Londra durante quegli anni. Anche se non si è mai combattutto sul suolo inglese la guerra c’è e si fa sentire con tutta la sua devastante presenza: i bombardamenti su Londra, il richiamo alla armi, i bombardamenti su Londra, la tessera annonaria, il razionamento e le difficoltà a reperire oggetti e materiali ma anche il cibo, gli impieghi nel sistema guerra e le attività di volontariato. Ma ci racconta anche della vita normale che continua, dei locali aperti, dell’andare al cinema e a ballare e al ristorante; e poi ci si sposa, si muore, si conoscono nuove persone, nascono amicizie e amori...

La narrazione è concentrata sulle cugine Louise, Polly e Clary ma senza dimenticarsi degli altri, in particolare si alternano capitoli dedicati ad una delle cugine con capitoli dedicati all’intera famiglia.

In questo terzo volume succedono tante cose, senza svelare troppo, anche Polly e Clary lasciano Home Place per trasferirsi a Londra dove seguono un corso di dattilografia e iniziano a fare dei lavoretti; Louise ottiene il matrimonio che vuole ma la vita quotidiana sarà molto diversa da quello che si aspettava. In generale la vita continua, con i limiti del periodo, continua per tutti con i soliti problemi, preoccupazioni e tradimenti, la guerra non cambia il modo d’essere dei nostri personaggi. Tutti sperano e attendono la fine della guerra e il ritorno alla normalità.

“Dopo la guerra. Quante volte si sentiva pronunciare quella frase! Erano anni che tutti vagheggiavano quel momento: il momento in cui sarebbe iniziata una vita nuova, le famiglie si sarebbero ricongiunte, la democrazia avrebbe prevalso e le ingiustizie sociali sarebbero state sanate in blocco.

Come negli altri romanzi c’è una magnifica interpolazione tra la Storia e le vicende personali dei Cazalet, offrendo un interessante spaccato storico e culturale; inoltre la Howard per scrivere la storia delal famiglia Cazelet si è ispirata a fatti ed esperienze che ha vissuto realmente. Mi dispiace sempre salutare i Cazalet mi sento una di famiglia, gioisco e soffro con loro, ma al contempo non vedo l’ora di vedere come va avanti.

Consiglio assolutamente di leggere la saga nella sua interezza.

Vi aspetto nei commenti per sapere se lo avete letto.


venerdì 28 giugno 2024

IL PIÙ GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE di ROY LEWIS

TITOLO: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
AUTORE: Roy Lewis     traduzione di: Carlo Brera
EDITORE: Adelphi
PAGINE: 178
PREZZO: € 12,00
GENERE: letteratura inglese, letteratura umoristica
LUOGHI VISITATI: Pleistocene
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“Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquemila anni.
Detto così alla buona, è il racconto comico della scoperta e dell’uso, da parte di una famiglia di uomini estremamente primitivi, di alcune delle cose più potenti e spaventose su cui la razza umana abbia mai messo le mani: il fuoco, la lancia, il matrimonio e così via. È anche un modo di ricordarci che i problemi del progresso non sono cominciati con l’era atomica, ma con l’esigenza di cucinare senza essere cucinati e di mangiare senza essere mangiati. E ci ricorda pure che la prima arma a uccidere la gente lasciando in piedi gli edifici fu la clava.”

Un libro breve denso e divertente che catapulta il lettore nella Preistoria al seguito di un clan familiare di ominidi/uomini scimmia capeggiati da Edward: instancabile (e incontentabile) inventore, così per fare un esempio Edward è colui che porta il fuoco andando a prenderlo al vulcano e trasportandolo poi fino alla caverna.

“«Abbiamo vinto!» gridammo, sopraffatti dalla gioia e ancora increduli. «Abbiamo vintooo!».
«Ma naturale che abbiamo vinto» disse papà. «E ricordatevelo bene: la natura non sta necessariamente dalla parte del più forte. La natura sta dalla parte della specie che sa far valere un vantaggio tecnologico sull’altra. Ossia noi… per il momento». Ci rivolse uno sguardo ammonitore. «Per il momento, ho detto. Non lasciatevi inebriare da un successo sporadico. Abbiamo ancora tanta strada da fare… tantissima strada. Ma adesso prendiamo possesso di questa invidiabile residenza».”
 

Edward è un grandissimo sostenitore e fautore dell’evoluzione, non si accontenta, vuole sempre migliorare la propria vita e quella degli altri, per questo motivo litiga spesso con suo fratello Vania che invece vive ancora sugli alberi ma però con la scusa di andare a “sgridare” Edward approfitta sempre per scaldarsi al fuoco e mangiare la carne che cacciano e cucinano.

Le vicende sono narrate in prima persona da uno dei figli di Edward, Ernest che racconta a suo figlio le mirabolanti scoperte e capacità del padre.

La cifra stilistica del libro è l’ironia, è un libro molto divertente e spassoso ma è pieno di riflessioni e spunti per riflettere sulla condizione umana ancora oggi. Altra caratteristica è il punto di vista della narrazione o meglio il linguaggio e le conoscenze utilizzate: le vicende sono ambientate nel Pleistocene ma sono raccontate con gli occhi di oggi. Questi ominidi ragionano in termini di teoria dell’evoluzione, sicuramente alcune conoscenze potevano essere frutto di osservazione e logica (ad esempio vedendo una tigre dai denti a sciabola “predicono” la sua estinzione perché ora i denti enormi le sono d’impaccio) però Ernest conosce il nome dell’era geologica in cui vive, conoscono nomi di animali, cose, alberi e luoghi (viene citata l’America!). Ma il tutto è ben congegnato, al servizio dell’ironia e di noi lettori che possiamo capire e apprezzare.

Come detto è anche ricco di spunti di riflessione e assistiamo ad una sorta di doppio scontro ideologico:

Edward vs Vania: il progresso, la ricerca tecnologica, la voglia di migliorarsi e di avere sempre di più, non accontentarsi di stare bene contro il conservatorismo, il va bene così, è contro natura evolversi ulteriormente, la paura delle novità e dei progressi (di cui però si giova).

“«Sono tornato ieri» riprese zio Vania «e naturalmente avevo già intenzione di venirvi a trovare. La sera stessa ho capito che c’era qualcosa che non andava. Mi risulta che da queste parti ci sono undici vulcani, Edward… non dodici! Guai in arrivo, quindi, e ho subodorato che c’entravi tu. Sperando ancora, assurdamente, ma col cuore stretto, son corso qui. Avevo ragione. Vulcani privati, nientemeno! Stavolta l’hai fatta grossa, Edward!».
Papà ebbe un ghigno sornione. «Lo credi davvero, Vania?» gli domandò. «Insomma, secondo te ci siamo, è il punto di svolta? L’avevo pensato anch’io, ma come si fa a esserne sicuri? Indubbiamente è una svolta, nell’ascesa dell’uomo, ma sarà proprio la svolta?» e papà strizzò gli occhi, in una sua tipica smorfia di comica disperazione.
«Che ne so se è una svolta o la svolta» ribatté zio Vania. «Io non presumo affatto di sapere quello che tu credi di fare, Edward. Ti monti la testa, questi sì! E ti dico che questa è la cosa più perversa e contro natura che uno…».
«È contro natura, eh?» disse papà, interrompendolo con impazienza. «Ma allora, Vania, l’artificiale è entrato nella vita subumana già con gli utensili di pietra. Sai, forse è stato proprio quello il passo decisivo, e questa è solo un’elaborazione; e però la selce la usi anche tu, e quindi…».
«Ne abbiamo già discusso mille volte» rispose zio Vania. «Entro limiti ragionevoli, gli utensili e i manufatti non infrangono l’ordine naturale. I ragni usano la rete per catturare le prede; gli uccelli costruiscono nidi che noi manco ci sogniamo; e chissà quante volte le scimmie avranno scagliato una noce di cocco per spaccarla su quella tua testa dura – cosa che spiega i tuoi deliri. Non più tardi di qualche settimana fa, ho visto un branco di gorilla attaccare una coppia di elefanti – elefanti, nota bene! – con dei bastoni. Sono disposto ad accettare come naturali le semplici selci sbozzate, a patto di non giungere a dipenderne, e di non raffinarle indebitamente. Non sono un reazionario, Edward, tanto è vero che fin lì ci arrivo. Ma questo!... È tutta un’altra cosa. Non si sa dove può portare. Coinvolge tutti. Anche me. Potresti bruciarci la foresta. Che fine farei io, allora?».”

Ernst vs Edward: la praticità e la possibilità di trarre vantaggi notevoli dalle scoperte e tenerli solo per se contro l’idealismo e progetti (romantici) di evoluzione della specie, un condividere gratuitamente con tutti le scoperte affinché tutti ne possano beneficiare; egoismo verso concetto di comunità.

Bello, bello bello. Un finale un po’ forte ma capisco necessario, inoltre siamo nel Pleistocene!

Consiglio assolutamente la lettura a chi cerca un libro di intrattenimento, un libro che parli della preistoria, divertente ma al tempo stesso dietro le battute e l’ironia si nascondono riflessioni interessanti e attuali.

Fatemi sepere se lo avete letto.