venerdì 15 maggio 2020

IL CARDELLINO - DONNA TARTT

TITOLO: Il cardellino
AUTORE: Donna Tartt - traduzione di Mirko Zilahi de' Gyurgyokai
EDITORE: Rizzoli
PAGINE: 893
PREZZO: € 17,00
GENERE: letteratura america contemporanea
LUOGHI VISITATI: New York
PREMI: vincitore del Pulitzer nel 2014

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il cardellino di donna tartt

Un libro magnifico.
Protagonista è un ragazzino di tredici anni Theo (Theodore Decker) che improvvisamente si trova orfano a seguito di un’esplosione in un museo della sua città, New York. Solo si troverà ad affrontare i sensi di colpa, le paure e il trauma, ma anche a fare nuove amicizie, una di queste proprio grazie ad un incontro fatto durante quell’esperienza drammatica; ma soprattutto si troverà ad avere un segreto che lo rende speciale.
“Come avevo potuto credermi una persona migliore, una persona più saggia, una persona più nobile e valida e degna di vivere, solo perché avevo quel segreto? Eppure lo avevo fatto. Il quadro mi aveva fatto sentire meno mortale, meno ordinario. Era stato un sostegno, una forma di rivalsa, di nutrimento e di resa dei conti. Era il pilastro che aveva tenuto in piedi la cattedrale. Ed era terribile scoprire […] che dentro di me, per tutta la mia vita adulta, ero stato sorretto da questa colossale, crudele, invisibile gioia: credere che la mia intera esistenza avesse trovato il suo equilibrio grazie a un segreto che poteva disintegrarla da un momento all’altro”.
“Ma se anche potevo guardarlo solo di rado mi piaceva pensare che fosse lì, per via della profondità e concretezza che infondeva alle cose. Era come se rinforzasse le fondamenta della mia vita, e mi rassicurava, così come si rassicurava sapere che, lontano da lì, le balene nuotavano indisturbate nelle acque del Mar Baltico e che, in remoti angoli delle Terra, schiere di monaci cantavano senza sosta per la salvezza del mondo.”
L’altro grande protagonista del libro è “Il cardellino” dipinto di Carel Fabritius (pittore fiammingo nel XVII secolo), opera reale che vive particolari avventure all’interno del romanzo.



Il romanzo è scritto in prima persona e la voce narrante (e quindi anche il punto di vista) è quella del protagonista Theo, un ragazzo dolce, curioso e molto interessato alla vita delle persone, passa il tempo a speculare su chi sono e cosa fanno. È una ricostruzione della sua vita a partire dal tragico giorno in cui tutto cambierà per sempre fino all’età adulta, una vita che non sarà semplice (fatta di solitudine, paure e la sindrome post-traumatica da stress) ma che vedrà alcune persone molto importanti restargli accanto e con amore, così come alcuni oggetti e alcune abitudini. È la trasposizione su carta della sua vita ma anche e soprattutto delle riflessioni e delle sensazioni vissute. Mi sono arrabbiata, con Theo per alcune scelte ma soprattutto con alcuni adulti e con il “sistema”, ci sono degli adulti privi di scrupoli, e davvero odiosi e altri invece davvero generosi e meritevoli. Ci sono alcuni legami di amicizia molto belli, e attraverso di questi il lettore ha modo di conoscere la storia di vita anche di altre persone grazie alle chiacchierate con Theo, che poi lui ci riporta. Ci sarebbero tantissime cose da dire ma ho visto che la quarta di copertina è molto generica (secondo me quasi riduttiva, non rende giustizia al romanzo) e io non voglio svelare nulla di più e togliere al lettore il piacere della scoperta. È un libro che va letto, è un libro parla di emozioni e che trasmette emozioni, tra queste un grande amore per l’arte, per il cinema e per la letteratura, che in fondo sono una forma d’arte; è ricco di citazioni soprattutto cinematografiche ma non mancano riferimenti e contestualizzazioni di opere letterarie e di antiquariato.

“Rise. «I grandi quadri – la gente accorre per vederli, attirano folle, sono riprodotti all’infinito sulle tazze e sui tappetini dei mouse e su qualunque cosa. E, questo riguarda anche me, puoi passare una vita intera a visitare musei con grande piacere, un bel giretto, e poi via, a pranzo da qualche parte. Ma…» tornò a sedersi al tavolo, «se un quadro ti affonda davvero nel cuore e cambia il tuo modo di vedere, e di pensare, e di provare emozioni, non pensi, ‘oh, amo questo quadro perché è universale’, ‘amo questo quadro perché parla a tutto il genere umano’. Non è questa la ragione per cui ci si innamora di un’opera d’arte. È un sospiro segreto in un vicolo. Pss, tu. Ehi ragazzino. Sì, proprio tu.» Le dita scorrevano sulla foto sbiadita – il tocco del conservatore, un tocco senza tocco, lo spazio di un’ostia tra la superficie e l’indice. «Un’intimo colpo al cuore. Il tuo sogno, il sogno di Welty, il sogno di Vermeer. Tu vedi un quadro, io ne vedo un altro, il libro d’arte lo colloca in un altro modo ancora, la signora che compra la cartolina al negozio di souvenir del museo vede qualcosa di completamente diverso, per non parlare della gente d’altri tempi – quattrocento fa, quattrocento nel futuro – non colpirà mai nessuno allo stesso modo, e la maggior parte delle persone non ne verrà affatto toccata in maniera profonda, ma – un quadro veramente grande è abbastanza fluido da farsi strada nella mente e nel cuore da ogni possibile angolazione, in modi unici e molto particolari. Sono tuo, tuo. Sono stato dipinto per te. E – oh, non so, fermami se sto farneticando…»”.

“… e alle moltissime cose a cui ho avuto modo di pensare (tipo per cosa vale la pena vivere? per cosa vale la pena morire? quali cose non sono altro che un’assurda perdita di tempo?), ho pensato molto a quello che mi ha detto Hobie: alle immagini che ti colpiscono al cuore e lo fanno sbocciare come un fiore, immagini che ti aprono a una bellezza talmente grande che puoi passare tutta la vita a cercarla senza più riuscire a trovarla”.

La narrazione è scorrevole, ricca di dialoghi. Non manca l’ironia e non manca la suspence, quasi la paura, l’incertezza per quello che può succedere anche se non si tratta di un thriller, e non mancano i colpi di scena. È ricchissimo di analisi psicologica del protagonista e dei personaggi; Theo si interroga molto, a lungo e in profondità sul senso della vita, sia la sua sia in generale. La scrittura è descrittiva, ricca, barocca ogni aspetto, ogni frase è piena, articolata e direi ridondante di aggettivi e qualificazioni per indicare e raccontare le cose, per trasmettere al lettore tutto il possibile. È questo aspetto della scrittura che mi ha conquistata. Tutta l’esperienza di Theo, come detto, viene narrata dallo stesso una volta adulto, emergono le differenze nel percepire gli avvenimenti tra ora e quand’era ragazzino, ci sono dei rimandi a cose che Theo – e il lettore con lui – scoprirà più avanti, quasi il famoso “senno di poi”.

Le città dove Theo vive e dove sono ambientate le vicende possono considerarsi delle protagoniste New York, Las Vegas e Amsterdam, ricche e dettagliate le loro descrizioni, ma tra loro la vera star è New York nel libro si sentono i rumori e gli odori di questa grande metropoli, e se ne scoprono tante facce, leggere è un po’ come passeggiare tra le sue vie.
“Presto, lo sapevo, il cielo nero della notte avrebbe virato al blu scuro e il primo tenue bagliore della fredda alba d’aprile sarebbe entrato di soppiatto nella stanza. Giù in strada i camion della spazzatura avrebbero cominciato a ruggire, gli uccellini nel parco avrebbero attaccato a cantare; e infine le sveglio nelle camere da letto di tutta New York si sarebbero messe a suonare. Ragazzi abbarbicati sul retro dei furgoni avrebbero lanciato pesanti pacchi di ‘New York Times’ e ‘Daily News’ sui marciapiedi vicino alle edicole. Mamme e papà di tutta la città avrebbero ciabattato per casa in pigiama e accappatoio, i capelli in disordine; messo su il caffè, inserito la spina nel tostapane e poi svegliato i ragazzi, avanti che è ora.”

“Scesi a Washington Square e vagai per trequarti d’ora in cerca dell’edificio. Perdersi nello schema inaffidabile del Village (isolati triangolari, strade senza uscita che svoltavano ad angolazioni assurde) non era difficile, e per tre volte fui costretto a fermarmi per chiedere indicazioni: da un giornalaio che vendeva pipe per l’erba e riviste gay, in una panetteria affollata con della musica lirica sparata a tutto volume, a una ragazza in canottiera e salopette bianche armata di vecchio secchio e lavavetri che si dava da fare sulla vetrina di una libreria”.

E proprio la città di New York è il motivo per cui ho letto ora questo libro: la challenge #scrittoinamerica che per il mese di maggio prevede di leggere un libro ambientato nella “Grande Mela”.
Ho scoperto una scrittrice esplosiva, catalizzante, anche misteriosa, come dico sempre voglio leggere altro di suo e questa volta non sarà difficile (se mi impegno) leggere tutta la sua bibliografia poiché la Tartt è una scrittrice poco prolifica, ad oggi ha pubblicato solo tre romanzi (di cui uno l’ho già letto). 
Questo libro soggiornava da un paio di annetti nella mia libreria, comprato d’impulso senza saperne assolutamente nulla: dovevo concludere un ordine su Libraccio, e su Instagram sentii qualcuno dire che era molto meritevole, l’ho trovato tra i remainders (i libri nuovi scontati a metà prezzo) e l’ho preso, come detto non ne sapevo nulla e pensavo che fosse “vecchio” (dato che era superscontato) invece è stato pubblicato nel 2013 con un’ambientazione recente indicativamente dopo il 2000. Inoltre nel 2014 ha vinto il premio Pulitzer (che mi sta dando grandi soddisfazioni, finora i libri vincitori che ho letto mi sono piaciuti moltissimo).

Non posso far altro che consigliarlo a tutti. 

Lo avete letto? Aspetto di sapere quali personaggi avete preferito e quali odiato? (Almeno uno per categoria) O siete intimoriti dalla mole?















venerdì 8 maggio 2020

LA CONFRATERNITA DEGLI STORICI CURIOSI - JODI TAYLOR

TITOLO: La confraternita degli storici curiosi
AUTORE: Jodi Taylor - traduzione di Elisabetta De Medio
EDITORE: Corbaccio Editore
PAGINE: 384
PREZZO: € 18,60
GENERE: letteratura contemporanea / fantascienza
LUOGHI VISITATI: letteratura inglese
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Un libro totalmente diverso da quello che mi aspettavo. Non posso fare altro che un mea culpa grandissimo, perché come al solito ho acquistato il libro esclusivamente sulla base del titolo senza leggerne la trama, semplicemente l’ho visto, mi ha incuriosito il titolo e l’ho acquistato d’impulso. Ma se è diverso da ciò che mi aspettavo e bastava leggere la quarta di copertina per capirlo, in ogni caso non mi è piaciuto nemmeno per quello che è. 

È un libro che mescola generi diversi: avventura, thriller, romance e fantascienza.
È tutto estremamente superficiale per i miei gusti. Ci sono di fondo delle idee molto interessanti ma non mi convince il modo in cui sono state sviluppate.
Il Saint Mary è un istituto di ricerche storiche molto particolare perché qui gli storici fanno ricerche “sul campo”. Attraverso avanzate strumentazioni tecnologiche riescono a viaggiare nel tempo così da poter studiare un dato evento storico in contemporanea, assistendovi in prima persona, confondendosi con i contemporanei (allo scopo in istituto c’è un settore costumi che fornisce l’abbigliamento adeguato e anche un settore “di falsificazione” per riprodurre anche documenti se servono). Ogni missione di scoperta prevede un’ampia preparazione di studio e di organizzazione della stessa, sul campo bisogna essere “invisibili” nel senso di confondersi perfettamente con i contemporanei, osservare e raccogliere dati, e tornare alla base senza lasciare tracce del proprio passaggio. Elemento fondamentale e diciamo morale insito in questi viaggi è la necessità di non alterare il corso degli eventi storici, quindi non sono permessi interventi in nessun caso, lo scopo è solo quello di osservare. Alla stessa stregua sembra non sia possibile riportare oggetti, ma su questo punto non è chiaro se non sia possibile solo da un punto di vista deontologico oppure proprio non sia possibile fisicamente nel senso che una volta tornati al presente questi si (auto)distruggano, in questo senso ci sono dei riferimenti alla Storia quasi fosse un’identità o un essere che permette alcune cose e altre no. Ma proprio su questa possibilità apparente di spostare nel tempo/spazio gli oggetti o meglio alcune particolari categorie di oggetti storici sembra aprirsi un nuovo tipo di missione per il Saint Mary.
Il tempo di narrazione dedicato alle missioni nel tempo è esiguo e anche quel poco è concentrato prevalentemente sui personaggi, le descrizioni storiche dei luoghi e dei fatti è minimale; non ci sono approfondimenti storici particolari.
Gli storici del Saint Mary viaggiano nel tempo, ma non sono gli unici, nel quadro narrativo si inseriscono anche persone che vengono dal futuro, e soprattutto gli storici si trovano a dover combattere contro “dei cattivi” che vogliono usare la Storia (e i viaggi nel tempo creando una sorta di turismo storico) a scopo di lucro dove non c’è il minimo rispetto per la Storia e per mantenerla inalterata. Queste parti mi hanno ricordato molto Indiana Jones (io ho visto solo i film con Harrison Ford, ma l’atmosfera è un po’ quella).
Come dicevo prima ci sono spunti interessanti che però non vengono sviluppati. Per poter diventare uno storico viaggiatore è necessario frequentare un corso e superare degli esami molto selettivi, questo è praticamente tutto ciò che il lettore sa: il lettore sa di questi corsi, vengono presentanti velocemente e brevemente gli insegnanti (per lo più sotto il loro aspetto fisico e caratteriale) ma non il contenuto dei corsi (cosa si studia, a cosa serve). Lo stesso discorso vale per la tecnologia, onnipresente nella narrazione, un esempio su tutto le capsule con cui si viaggia nel tempo ma non ci sono spiegazioni di sorta sul loro funzionamento o su come sono state create. E non ci sono indicazioni nemmeno sull’istituto di ricerca.
Le vicende sono narrate in prima persona dalla protagonista la dottoressa Maxwell Madeleine. Non c’è analisi introspettiva, e indagine psicologica, se escludiamo frasi del tipo “come al solito parlo troppo”, “come al solito sono inopportuna” o “la mai solita fortuna” questa in sintesi l’analisi psicologica.
Lo stile è colloquiale, utilizza un linguaggio tipico del parlato, ci sono molti dialoghi e la narrazione è veloce.
Un aspetto a mio avviso negativo della narrazione è il fatto che spesso gli stessi personaggi siamo identificati o chiamati in modo diverso, talvolta per nome altre per cognome e altre ancora per soprannome, scelta che nella maggior parte dei casi non mi sembra giustificata dal contesto (più volte si sono chiesta e questo chi è? dovendo tornare indietro per capire chi fosse, all’inizio del romanzo è fornito un elenco dei personaggi principali).
Invece un aspetto della narrazione che ho apprezzato è il “ragionamento storico”. La protagonista e voce narrante è una storica e un’appassionata di Storia, ho apprezzato che nei suoi ragionamenti si rifaccia ad eventi storici oppure alla vita di qualche importante Re anche per analizzare e ragionare sulla situazione in cui si trova; anche se non è un aspetto prevalente della narrazione, compare ogni tanto qua e là ma l’ho comunque apprezzato.
L’insieme l’ho trovato caotico c’è di tutto un po’: avventura, thriller, fantascienza e romance. Troppo romance per i miei gusti, o meglio nulla da dire sulla componente amorosa che ci sta (alla fin fine le storie d’amore si trovano praticamente ovunque, e mi tornano alla mente romanzi dove ho pianto proprio per gli aspetti più sentimentali della vicenda), non mi è piaciuta la componente erotica spinta, alcuni episodi li ho trovati sgradevoli e insignificanti, inutili ai fini della narrazione e si potevano trovare espedienti (motivazioni) non sessuali/erotici per far fare determinate cose ai personaggi.

Ho portato a termine la lettura perché è una mia regola personale, se inizio un libro lo voglio finire, anche perché non posso sapere davvero dove andrà a parare se non lo leggo (ognuno è libero di stabilire le proprie regole) e quindi è un modo per dargli una possibilità. 
Il finale del libro è aperto, mi ha dato la sensazione che possa esserci un seguito, che sicuramente non recupero.
Mi piacerebbe molto confrontarmi con qualcuno di voi che l’ha letto e a cui è piaciuto, per vedere gli aspetti che ha apprezzato e le motivazioni. La diversità di gusti è qualcosa che ci rende unici e mi piacerebbe confrontarmi partendo dal presupposto che nessuno ha ragione e nessuno a torto.
Qualcuno di voi l’ha letto?

martedì 28 aprile 2020

LA VERA STORIA DEL PIRATA LONG JOHN SILVER - BJÖRN LARSSON

TITOLO: La vera storia del pirata Long John Silver
AUTORE: Björn Larsson - traduzione di Katia De Marco
EDITORE: Iperborea (io collana "I Boreali" uscita con il Corriere della Sera)
PAGINE: 455
PREZZO: € 18,50
GENERE: letteratura svedese - romanzo d'avventura
LUOGHI VISITATI: navi pirata tra '600 e '700
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“Sono arrivato qui nel 1737 con Dolores, il mio pappagallo, Jack e gli altri schiavi affrancati dell’indomabile popolo dei sakalava. Qui, nel vecchio rifugio di Plantain, mi sono ritirato dopo il fallimento della disgraziata spedizione alla ricerca del tesoro di Flint. E qui, su quella terra chiamata Isola Grande, un tempo paradiso dei gentiluomini di ventura, sono destinato a soccombere come ultimo della mia specie. Qui vivrò fino a quando non verrà il momento di essere smantellato come una vecchia nave. Ho iniziato a scrivere il mio diario di bordo, e questo è più o meno tutto […] L’avventurosa e veritiera storia di Long John Silver, detto Barbecue dai suoi amici, se mai ne ha avuti, e dai suoi nemici, che invece erano di sicuro tanti. Basta con le buffonate e le invenzioni. Basta con i bluff e le sparate. Scopriamo le carte, per la prima volta. Solo la verità, da cima a fondo, senza trucchi né secondi fini. Quel che è successo e nient’altro. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe andata a finire così! Che doveva finire così, per mantenermi ancora per un po’ sano di mente!”



La vera storia del pirata Long John Silver. Un pirata, una vita avventurosa, senza requie e senza sosta e senza certezze, ma l’unico tipo di vita che vale la pena di essere vissuta.
Long John Silver è un personaggio inventato dalla fantasia di Stevenson e protagonista del romanzo “L’isola del Tesoro”, ma è protagonista anche di due romanzi dello scrittore svedese Björn Larsson tra cui questo che ho letto io.

Nel romanzo “La vera storia del pirata Long John Silver” è lo stesso John a parlare, a rivivere e ricostruire la storia della sua vita decidendo di scrivere la verità sulla sua esistenza, prima per non soccombere e poi per dire la propria dopo che Jim Hawkins ha dato alle stampe un libro in cui racconta le avventure alla ricerca del tesoro del capitano Flint (che è poi l’Isola del Tesoro di Stevenson).
Una sorta di autobiografia scritta da Silver, molto dettagliata nella ricostruzione di alcuni episodi e invece più evanescente quasi superficiale su altre (forse, azzardo, le parti rimaste più in ombra sono quelle narrate in altre opere, ad esempio la ricerca del tesoro di Flint – cioè il contenuto del romanzo di Stevenson- viene citata per contestarne la ricostruzione fatta da Hawkins e per ricordargli la promessa di mantenere il silenzio, che ha palesemente violato, ma nulla di più). Emerge tutta la forza di spirito e la filosofia di vita di un uomo singolare, oramai ultimo della sua specie - i pirati - ma in realtà molto diverso anche da loro. 

La narrazione degli eventi non segue un ordine di rigorosamente cronologico, ma procede a balzi tra le varie esperienze del passato e anche quelle del presente; in particolare ci sono fatti che sappiamo accadono ma la ricostruzione non è lineare ad esempio una cosa che sappiamo fin dalle primissime pagine è che Silver ha perso una gamba e sappiamo anche chi è il responsabile e come si vendica, ma dopo aver narrato questo episodio, passa ad altro, e in altre fasi leggeremo come ha incontrato quella persona, perché, come l’ha persa e ritrovata.  
La narrazione è scorrevole, tiene il lettore incollato alle pagine c’è tantissima azione e avventura; è piena di descrizioni dettagliate e minuziose con un particolare riguardo al comportamento umano ma non solo. Descrizioni e narrazione sono molto ricche, anche di congiunzioni.
“Incassai la mia misura paga, sbarcai e mi lascia inghiottire da quel fermento ribollente e maleodorante che è la vita di Londra. Avevamo ormeggiato a quel che si chiama The Pool e non eravamo ormai che un panciuto brigantino tra migliaia di altre navi che portavano nuovi tesori alle già ricche casse dell’Inghilterra. Non era una visione divina, sempre che dèi abbiano occhi con cui vedere? Migliaia di alberi, un’intera foresta in autunno, si innalzavano dagli scafi. Chiatte e barconi di ogni genere sfrecciavano avanti e indietro. Marinai, scaricatori e portatori d’acqua andavano e venivano, caricavano e scaricavano, gridavano e bestemmiavano, ridevano – non tanto, però, perché dopo tutto non era così divertente - e schiamazzavano come cornacchie, issavano e portavano, cadevano e si rialzavano, o non si rialzavano affatto, armavano e disarmavano navi.”  

Le tematiche affrontate sono quelle della pirateria, della tratta degli schiavi, viene analizzato e rimarcato, se così si può dire, il ruolo che i governi hanno giocato nella tratta degli schiavi, e le dure condizioni di vita dei marinai.
Il mondo dei pirati è molto affascinante sono ben descritte le abitudini e anche i motivi per cui molti uomini si davano alla pirateria, c’è un qualcosa di cavalleresco, oserei dire anche romantico, nelle loro scelte di vita e nelle loro regole. Tra pirati esistono delle regole di convivenza che possiamo definire di “democrazia diretta”, forme di autogoverno e libertà nei limiti e nel rispetto delle regole fissate dal gruppo uguali per tutti e a cui tutti devono rifarsi senza eccezioni.
“Noi gentiluomini di ventura scegliamo liberamente di associarci. Dividiamo bottino e rischi secondo tutte le regole. Abbiamo stabilito nel nostro ordinamento quanto vale la perdita di una gamba o di un braccio o di un pollice in combattimento. Eleggiamo i nostri capitani. Ci mettiamo d’accordo. Se qualcuno la pensa diversamente, può chiedere di riunire il consiglio, secondo l’uso e la consuetudine. Se qualcuno ha motivi personali di rancore, li risolve a terra. Abbiamo i nostri difetti e le nostre mancanze, ma quando siamo a bordo, nella buona e nella cattiva sorte. Non è vero compagni?”
Seppur non approfondito, come è giusto che sia perché non si tratta di un saggio, è affrontato il tema della pirateria e dei legami tra i pirati e i governi, emerge tra le righe che la pirateria nasce come strumento di “guerra” tra Stati europei, un modo per confrontarsi e per contendersi il dominio dei mari e delle colonie.
Interessante anche le parti sulla tratta degli schiavi affrontata sia dal punto di vista delle navi e delle traversate (come vengono controllati, caricati a bordo, “gestiti”) sia dal punto di vista della vendita all’asta una volta giunti nelle Americhe e la vita da schiavi nelle piantagioni.
“Tutti pensammo che fosse un’ingiustizia, perché il Sorgenfri, per quanto Butterworht desiderasse il contrario, non era una nave da guerra. Era una comune nave negriera, né più né meno, a dispetto del suo nome confortante. Ma era sempre così. Le navi che praticavano la tratta degli schiavi avevano i nomi più belli e i padroni più nobili, a partire da conti e cardinali, fino ad arrivare a Maria Vergine in persona. Ed è vero che ricevevano la benedizione di dio e del papa. Ho visto i giornali di bordo delle navi negriere che abbiamo catturato, e ho notato che non si faceva altro che ringraziare dio per questo e per quello: pe il vento a favore, per la traversata tranquilla, per aver domato un ammutinamento, per aver spuntato un buon prezzo all’asta, e così via. In uno lessi addirittura che, sebbene fosse morte uno schiavo al giorno, la misericordia divina era stata così grande da compensare quella perdita assicurando dei prezzi più alti all’asta.”
Björn Larsson è uno scrittore prolifico, che tratta vari generi e tematiche, la sua vera storia di John Silver si basa sugli studi di Daniel Defoe (scrittore inglese, famoso per essere il padre di Robinson Crosoe e che ha dedicato svariate opere alla pirateria). Nella finzione letteraria Defoe compare nel romanzo quasi fosse un amico di Silver ma soprattutto emerge che “l’informatore” di Defoe per le sue opere che trattano di pirateria e pirati è il nostro pirata. Al di là delle avventure c’è dietro un grandissimo lavoro di ricostruzione storica e sono molti i fatti storici reali che hanno trovato collocazione accanto alla fantasia e sono anche un ottimo spunto per ricerche e approfondimenti.

 È senz’altro un romanzo d’avventura e pieno di avventure quelle di John Long Silver, un romanzo dove non ci si annoia mai. Ma le avventure di Silver sono, come ho detto, anche il pretesto per affrontare alcune tematiche importanti come la pirateria, le condizioni dei marinai e la tratta degli schiavi. Sono curiosa di leggere altre opere di Björn Larsson in particolare l’altro romanzo che vede Silver come protagonista è in cima alla lista (L’ultima avventura del pirato Long John Silver).

Sono affascinata dalle storie dei pirati e sono convinta che ciò dipenda da qualche cartone animato che vedevo da piccola - che non è assolutamente “One Piece” con il pirata a cui si allungano le braccia che proprio odiavo - e dopo molto pensare sono giunta alla conclusione che l’unico possibile “responsabile” possa essere stato il cartone di “Sandokan” ispirato ai libri di Emilio Salgari che ha scritto svariate opere con protagonisti dei pirati. 

Anche voi siete affascinati dal mondo dei pirati?
Conoscete Björn Larsson?