mercoledì 23 dicembre 2020

POIROT A STYLES COURT - AGATHA CHRISTIE

TITOLO: Poirot a Styles Court
AUTORE: Agatha Christie traduzione di Diana Fonticoli
EDITORE: Mondadori - collana Oscar moderni Cult
PAGINE: 226
PREZZO: € 13
GENERE: giallo
LUOGHI VISITATI: Essex - Inghilterra anno 1917

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Questo è il primo romanzo scritto da Agatha Christie ed è anche il primo romanzo in cui compare l’iconico investigatore Hercule Poirot. Piccoletto, iper preciso e puntiglioso, maniaco dell’ordine, intelligente, astuto e assolutamente molto preparato. In una parola geniale. Io avevo in mente solo l’interpretazione televisiva di David Suchet e così me lo sono immaginato anche durante la lettura del libro.

“Poirot mi sorrideva comprensivo.
«Ha un po’ le idee confuse, vero? Calma, mon ami. È abbastanza naturale essere eccitati. Fra poco sistemeremo con ordine i fatti, ognuno al proprio posto. Passeremo in esame i vari elementi, e scarteremo quelli che non c’entrano. Terremo da parte quelli importanti. Quelli inutili, invece, puf!,» sbuffò in modo decisamente comico «li soffieremo via.»
«In teoria va benissimo,» gli dissi «ma come si fa a distinguere i fattori importanti dagli altri? Non mi sembra per niente facile.»
Poirot scosse energicamente la testa. Si stava aggiustando i baffi con molto cura.
«Ma no. Voyons! Un fatto ne prova un altro, e via di seguito. Il secondo collima col primo? A meraveille! Bene. Si può procedere. E quest’altro particolare? Ah, guarda che strano! Manca un anello della catena. Passiamo in rassegna i fatti, e aggiungiamo quel piccolo particolare, l’anello mancante della catena.» Fece un gesto vago. «Quel particolare era importante, forse vitale.»
«Sì» balbettai.
«Ah!» Mi agitò l’indice sotto il naso con tanta veemenza, che quasi mi intimorì. «Attenzione! Rischia grosso l’investigatore che dice ‘È un particolare tanto piccolo che non serve a niente. Dimentichiamolo!’ In questo modo si genera confusione. Ogni dettaglio ha la sua importanza.»
«Lo so. Me l’ha ripetuto cento volte. È per questo che non ho tralasciato nessun particolare, che mi sembrasse importante o no.»”

Siamo nel 1917 e in Europa imperversa la prima guerra mondiale. Arthur Hastings è un ufficiale inglese in concedo che passa la sua convalescenza nell’Essex, a Styles Court presso la residenza dei Cavendish invitato dal suo vecchio amico John. Si tratta di una famiglia importante e molto ricca, tutto il patrimonio è gestito dalla matrigna la sig.ra Emily Inglethorp che si prodiga in opere di beneficenza e di sostegno dei militari al fronte. Ma la signora Emily si è recentemente sposata con Alfred Inglethorp il suo segretario, molto più giovane di lei, e apparentemente interessato al patrimonio più che alla vecchia signora, o almeno questo è quello che sospettano i figliastri John e Lawrence Cavendish e in generale tutte le persone che conoscono la famiglia.

La signora Emily viene avvelenata e i sospetti ricadono subito (e ovviamente) sul giovane marito anche perché sembrano esserci delle prove schiaccianti della sua colpevolezza. Per fortuna Hercule Poirot - ex investigatore della polizia belga, conosciuto anche a Scotland Yard con cui ha risolto importanti casi in passato – si trova in paese assieme ad altri profughi belgi ed è amico del signor Hastings il quale gli chiederà di indagare sul caso e risolvere il mistero.

Chi sarà il colpevole? Quale il movente? Nei giorni antecedenti la morte non sono mancati litigi furibondi e anche la redazione di nuovi testamenti; gli interessi economici in gioco sono molto forti, tutti o quasi gli abitanti della casa possono essere dei sospetti, abbiamo il marito, ma anche i figliastri John e Lawrence, la moglie di John Mary per fare degli esempi.

La voce narrante è quella di Arthur Hastings che all’epoca del delitto era ospite nella residenza di Styles Court ed ha assistito al processo. Dato il grande clamore del caso ha deciso di raccontare una volta per tutte come sono andate le cose realmente.

La narrazione è scorrevole, intrigante, tiene incollato il lettore alle pagine attraverso la ricostruzione dei fatti e delle indagini fornendo tutti gli elementi perché possa partecipare attivamente alla scoperta del colpevole; non mancano intrighi, spionaggio e tresche amorose clandestine.

Questo romanzo presenta una curiosità: troviamo la classica forma di svelamento del colpevole dove tutti gli interessati e/o i sospetti riuniti in un salotto dove Poirot spiega la risoluzione del caso. Questa modalità di svelamento è stata la seconda scelta della Christie, originariamente Poirot svelava il colpevole in tribunale al banco dei testimoni, ma l’editore ha ritenuto poco plausibile la scena e ha chiesto alla scrittrice di modificarla; dando probabilmente il là per una delle scene classiche e ricorrenti nei suoi gialli (anche se forse è solo quella che ricordiamo o che colpisce maggiormente perché in realtà in molti gialli della zia Agatha il colpevole viene svelato altrove senza la riunione in salotto). Nella nuova edizione Mondadori del 2020 (quella che vedete in foto) a fine libro è riportato anche il capitolo originario ritrovato negli archivi dell’autrice.

Parlare dei gialli per me è sempre molto complicato perché non voglio assolutamente rovinare la sorpresa.

Quelli di Agatha Christie sono i gialli per eccellenza, nella loro concezione più classica e tradizionale di delitto e investigatore che ricostruisce la vicenda e il movente e alla fine svela il colpevole, permettendo la partecipazione del lettore nella ricerca della verità fornendo tutti gli elementi per tentare di risolvere il caso anche in autonomia.

Il giallo/investigativo è un genere che mi piace molto, un genere di intrattenimento che però a me richiede particolare attenzione e coinvolgimento nella lettura perché voglio farmi un quadro chiaro e tentare di scoprire il colpevole, quindi leggo con la massima concentrazione, e torno indietro a rileggere alcuni passaggi e mi ripeto ad alta voce oppure faccio uno schemino riepilogativo con possibili moventi ed alibi e indizi e prove. Lo fate anche voi o sono l’unica pazza?

venerdì 18 dicembre 2020

IL ROGO DI BERLINO - HELGA SCHNEIDER

TITOLO: Il rogo di Berlino
AUTORE: Helga Schneider
EDITORE: Adelphi - collana Gli Adelphi
PAGINE: 229
PREZZO: € 11
GENERE: letteratura tedesca, memoir
LUOGHI VISITATI: Berlino durante anni '40-'46 

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Un libro triste e doloroso.

Berlino, la capitale del Terzo Reich, sotto i bombardamenti! Un volto, un aspetto nuovo (almeno per me) dei drammi e delle tragedie che sono state la seconda guerra mondiale. Il tutto raccontato da una bambina di quattro, cinque anni quando la madre biologica l’abbandona per unirsi alle SS. Siamo nel 1941 e Berlino già si trova a combattere con la fame e la miseria, le cose non possono che peggiorare arrivando a bombardamenti continui, assenza di acqua, elettricità e cibo, dove le persone sono costrette a vivere rintanate nelle cantine dei palazzi, chi ce l’ha, sperando che il proprio palazzo non venga distrutto; rischiando quotidianamente la vita per procurarsi acqua e cibo.

“Il bus imbocca la Lothar-Bucher-Strasse in senso vietato, ma nessuno ci fa caso. I pochi automezzi che si aggirano per le vie deserte non si preoccupano certo di osservare le regole del traffico, e comunque mancano del tutto i vigili, un genere completamente estinto, così come sono scomparsi i pompieri che dovrebbero spegnere gli incendi provocati dalle bombe al fosforo. Non funziona più nulla: non ci sono più postini né fattorini che portino il latte, non si trova più un solo medico, e le squadre di Pronto Intervento, che fino a qualche tempo fa sgomberavano le strade dai cadaveri, ora non rispondono più al telefono. Una città un tempo funzionale e organizzata ha abbandonato la popolazione a sé stessa: niente più diritti, niente più doveri.”

È un romanzo autobiografico. La cosa che forse mi ha maggiormente fatto male, non è tanto e solo gli orrori della guerra, ma la solitudine e l’abbandono affettivo in cui la piccola Helga deve vivere. Abbandonati dalla madre, il padre si risposa praticamente subito e lei e il fratellino devono crescere con la matrigna Ursula. Purtroppo tra le due non scatta la scintilla, non scatta l’amore, Helga è una bambina ribelle, testarda (e come darle torto), tra lei e la matrigna è sempre guerra. Anche col fratellino le cose non vanno bene, lui è legatissimo alla matrigna, è viziato e pretenzioso e anche cattivo, tra i due (almeno per gli anni narrati in questo libro) manca quel legame fraterno di solidarietà e amore reciproco che dovrebbe contraddistinguere ogni rapporto tra fratelli. Helga vive anche delle esperienze in istituti correttivi, ma verrà riportata a casa e passa l’ultimo anno e mezzo del conflitto con la famiglia rintanati in cantina.

“La maggior parte del tempo stavamo sdraiati sui nostri giacigli per risparmiare le forze. Da un lato desideravamo che la guerra finisse, dall’altro temevamo l’arrivo dei russi. Intanto continuavano a bombardarci, ma nessuno capiva quali obiettivi potessero essere ancora in piedi e fare gola al nemico. Berlino era un rogo, cosa volevano ancora?”

Grazia alla zia Hilde che lavora al ministero della propaganda Helga e il fratellino Peter avranno la fortuna di fare un soggiorno nel bunker della Cancelleria del Reich e anche di incontrare Hitler di persona. Ho detto fortuna perché nel bunker è possibile lavarsi e soprattutto mangiare a sazietà.

Il tutto viene narrato secondo le percezioni di una bambina: la stessa autrice una volta adulta che rivive quei terribili anni. Il libro è molto scorrevole ma non è una lettura facile per la drammaticità di quanto narrato, tanto più che si tratta di una storia vera, e non una semplice finzione letteraria.

La Schneider ha scritto altri libri autobiografici, come questo, in particolare penso a “Lasciami andare, madre” libro dove affronta la figura materna, quella madre che, come detto all’inizio, abbandona i suoi figli per arruolarsi nelle SS e servire alla causa del nazismo – e “I miei vent’anni (oltre il rogo di Berlino)” dove racconta la sua vita da adulta dopo aver lasciato la casa del padre. Ma è autrice anche di svariati altri romanzi non autobiografici dove però il tema centrale rimane sempre quello della Seconda Guerra Mondiale e della vita nella Germania Nazista. Penso di poter affermare che si tratta di libri non facili da leggere per il contenuto e la carica emotiva che sprigionano, ma necessari.

“Tutto era sereno. C’era il sole e i tigli era spumeggianti di verde. Com’era tutto diverso!
A un tratto vedemmo spuntare la portinaia che cominciò a spazzare il vialetto. Guardavo ogni cosa con altri occhi. Come ci aveva deformato lo sguardo quella maledetta cantina! In un attimo mi passò davanti agli occhi tutto l’orrore vissuto: era successo davvero? E come eravamo sopravvissuti? Senza acqua né luce né cibo né igiene. Al buio. Al freddo. In quella promiscuità infernale!
Mi concentrai di nuovo sul cortile. Alcuni bambini giocavano a palla, ma non li conoscevo: non c’erano né Egon né Rudolf. Allora sollevai gli occhi verso le rovine che circondavano lo spiazzo e mi fecero uno strano effetto. Avevano perduto il loro senso di monito, e si erano inserite serenamente nell’ambiente come scenari un po’ bizzarri di un cortile ormai perfettamente riassettato: le crepe dei vialetti erano state riempite di cemento, le macerie sgomberate; i cespugli erano stati potati, l’erba tagliata. Ogni traccia di cadavere eliminata. La rimessa riparata. C’era un’aria di ordinata normalità. […] Quei monconi macabri e quei muri dilaniati o in equilibrio precario, quei vuoti delle finestre sui cui davanzali si erano annidati impudenti ciuffi d’erba e quei mucchi di calcinacci polverosi sembravano essersi ormai riconciliati col passato, concedendogli un troppo facile perdono. Dissi qualcosa in proposito a Peter, ma lui si toccò la fronte e sentenziò: «Sei stupida».
Forse aveva ragione: forse era davvero assurdo come sentivo le cose.”