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sabato 13 febbraio 2021

SIDDAHARTA DI HERMANN HESSE

TITOLO: Siddharta
AUTORE: Hermann Hesse traduzione di Massimo Mila
EDITORE: Adelphi - collana Piccola Biblioteca Adelphi
PAGINE: 197
PREZZO: € 12,00
GENERE: letteratura tedesca, romanzo di formazione, romanzo filosofico
LUOGHI VISITATI:India VI secolo a.C.

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Un testo davvero particolare, difficile da inquadrare è romanzo di formazione, saggio, testo filosofico e divulgativo, mistico e religioso.

La storia narrata è quella di Siddharta un giovane della casta dei bramini (e destinato teoricamente ad essere tale a sua volta) estremamente saggio e devoto, bravissimo in tutte le attività che compie, ottimo studente e ben voluto da tutti. Ma è portare di una sete particolare, una sete di conoscenza che lo condurrà a vivere molte e diverse esperienze nel tentativo di soddisfarla.

“A chi altri si doveva sacrificare, a chi altri si doveva rendere onore, se non a Lui, all’Unico, all’Atman? E dove si poteva trovare l’Atman, dove abitava Lui, dove batteva il Suo eterno cuore, dove altro mai se non nel più profondo Io, in quel che di indistruttibile ognuno porta in sé? Ma dove, dov’era, questo Io, questa interiorità, questo assoluto? Non era carne e ossa, non era pensiero né coscienza: così insegnavano i più saggi. Dove, dove dunque era? Penetrare laggiù, fino all’Io, a me, all’Atman: c’era forse un’altra via che mettesse conto di esplorare? Ahimè! questa via nessuno la insegnava, nessuno la conosceva, non il padre, non i maestri e i saggi.”

Così lascia la famiglia e la comunità in cui vive per unirsi a un gruppo di Samana, degli asceti vagabondi che trascorrono il tempo in meditazione lontano dalla civiltà; con loro Siddharta impara molto, impara il digiuno, la resistenza, impara ad uscire dal proprio Io, ma non riesce a soddisfare la sua ricerca della vera saggezza. Dopo l’esperienza con gli asceti si butta a capofitto in una nuova esperienza di vita assolutamente diversa dalle precedenti fatta di vizio, lussuria e denaro.

“… così la nuova vita di Siddharta, ch’egli aveva cominciato dopo la separazione da Govinda, invecchiava e perdeva col passare degli anni la tinta e lo splendore, la coprivano macchie e pieghe, e nascosti in fondo, qua e là facendo odiosamente capolino, aspettavano la delusione e il disgusto. Siddharta non se n’accorgeva. S’accorgeva soltanto che quella voce limpida e sicura dell’animo suo, che un tempo era desta in lui e nei suoi tempi d’oro l’aveva sempre guidato, era ammutolita.
Il mondo l’aveva assorbito, il piacere, l’avidità, la pigrizia, e infine anche quel peccato ch’egli aveva sempre disprezzato e deriso come il più stolto di tutti: l’avarizia."

Ma anche questa nuova vita non l’ha aiutato a trovare ciò che desidera e l’abbandona per trovare infine, dopo lo sconforto, la sua dimensione in riva al fiume dove imparerà molto e passerà così il resto dei suoi giorni.

In realtà tutte le esperienze sono state importanti per Siddharta e tutte lo hanno aiutato a risalire la strada della ricerca della chiave della felicità e della saggezza. Almeno questo è quello che penso io anche confrontato con il pensiero finale di Siddharta.

L’opera è ambientata nell’India del VI secolo avanti Cristo, a parte questo però non conosciamo praticamente nulla né dell’India (usi, costumi e tradizioni) né dello stesso Siddharta.

La scrittura è aulica, poetica, quasi un opera epica però a tema filosofico; a mio parere la lettura richiede molta attenzione e concentrazione, non è sicuramente un romanzo di trama; però il tempo scorre velocissimo tant’è che ripercorriamo tutta la lunga vita di Siddharta e la sua attività di ricerca in meno di 200 pagine.

Il romanzo è ricchissimo di concetti filosofici/religiosi. Sono concetti che non so spiegare, penso di aver vagamente capito ma non ho la certezza, in fondo cosa cerca Siddharta? una via per trovare la pace interiore, la felicità. Quando mi imbatto in termini e genericamente concetti che non conosco ricorro a google (mio inseparabile amico e compagno di vita) ma con questo libro il problema è che i concetti presenti sono molto complessi, inoltre fanno parte e sono stati sviluppati da diverse correnti di pensiero sia orientali che europee, sono concetti che richiedono studi approfonditi per essere anche solo vagamente compresi, io in materia di filosofia sono assolutamente ignorante e non ho mai studiato materie afferenti a questa sfera (filosofia del diritto studiata all’università al primo anno di giurisprudenza secondo me non vale). Senz’altro la mia mancanza assoluta di preparazione in campo filosofico non è stata d’aiuto.

Il personaggio di Siddharta è intriso di filosofia, la sua stessa vita è votata alla ricerca dell’Io, della strada per la felicità, tutte le volte che parla Siddharta si esprime filosofeggiando. Il mio passaggio preferito è quello in cui spiega l’utilità delle sue scarse doti: pensare, aspettare e digiunare (che sinceramente sono capacità notevoli e non comuni ma che agli occhi di un possibile datore di lavoro sembrano assolutamente inutili)

 “«Tu hai voluto. Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell’acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell’anima propria, che potrebbe contrastare questa meta. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compiere opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare».” 

Siddharta è un personaggio di fantasia, vagamente ispirato alla figura del Buddha, un personaggio che sviluppa una propria corrente filosofica, o meglio un proprio pensiero che però non va insegnandolo agli altri ma lo tiene e lo usa per se. Viene esposto dallo stesso Siddharta alla fine del romanzo quando incontra il suo vecchio amico Govinda e risponde alle sue domande.

“No, nel peccatore è, già ora, oggi stesso, il futuro Buddha, il suo avvenire è già tutto presente, tu devi venerare in lui, in te, in ognuno il Buddha potenziale, il Buddha in divenire, il Buddha nascosto. Il mondo, caro Govinda, non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in sé la grazia, tutti i bambini portano già in sé la vecchiaia, tutti i lattanti la morte, tutti i morenti la vita eterna. Non è concesso all’uomo di scorgere a che punto sia il suo simile della propria strada: in briganti e in giocatori d’azzardo si cela il Buddha, nel Brahmino può celarsi il brigante. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, e allora tutto è bene, tutto è perfetto, tutto è Brahma. Per questo a me par buono tutto ciò che esiste, la vita come la morte, il peccato come la santità, l’intelligenza come la stoltezza, tutto dev’essere così, tutto richiede solamente il mio accordo, la mia buona volontà, la mia amorosa comprensione, e così per me tutto è bene, nulla mi può far male. Ho appreso, nell’anima e nel corpo, che avevo molto bisogno del peccato, avevo bisogno della voluttà, dell’ambizione, della vanità, e avevo bisogno della più ignominiosa disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia”

Penso di non sbagliare nell’affermare che le teorie sviluppate da Siddharta siano una summa di vari pensieri e filosofie (in particolare ho letto che il pensiero finale è molto simile a quello della dottrina buddhista insegnata di Nāgārjuna), realizzata dallo stesso Hesse in relazione anche alle proprie convinzioni personali e influenzate non solo dalle filosofie orientali ma anche da quelle di pensatori europei.

Il libro offre tantissimi spunti di riflessione, è perfetto per chi è interessato alla filosofia soprattutto di matrice orientale. Non è un brutto libro ma non mi ha soddisfatto, bisogna probabilmente leggerlo con la giusta predisposizione d’animo e la voglia di compiere approfondimenti filosofici e possibilmente con una base pregressa in materia, senz’altro gli insegnamenti che fornisce sono interessanti e forniscono una possibile chiave di lettura della vita.

Ho letto anche che questo romanzo ha riscosso moltissimo “successo” ed è uno tra i più noti dello scrittore tedesco, inizialmente non riuscivo a capirne la ragione ma penso di averla individuata nel fatto che il libro - che rispecchia pienamente le tematiche care allo scrittore come esistenzialismo, spiritualismo e filosofia orientale, assieme  alla figura dello stesso Hesse (che era anche poeta e filosofo)  e le sue esperienze di vita – è stato oggetto di una sorta di riscoperta a partire dagli anni ’60 negli Stati Uniti tra i giovani in protesta contro la guerra e nella comunità hippie, quindi il romanzo si è poi legato a questo tipo di pensiero di insofferenza verso lo stato e la società diventando un ottimo testo dove trovare spunti di riflessione per la ricerca di se stessi e di nuovi valori. 

Lo conoscete? Vi aspetto nei commenti.

venerdì 18 dicembre 2020

IL ROGO DI BERLINO - HELGA SCHNEIDER

TITOLO: Il rogo di Berlino
AUTORE: Helga Schneider
EDITORE: Adelphi - collana Gli Adelphi
PAGINE: 229
PREZZO: € 11
GENERE: letteratura tedesca, memoir
LUOGHI VISITATI: Berlino durante anni '40-'46 

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Un libro triste e doloroso.

Berlino, la capitale del Terzo Reich, sotto i bombardamenti! Un volto, un aspetto nuovo (almeno per me) dei drammi e delle tragedie che sono state la seconda guerra mondiale. Il tutto raccontato da una bambina di quattro, cinque anni quando la madre biologica l’abbandona per unirsi alle SS. Siamo nel 1941 e Berlino già si trova a combattere con la fame e la miseria, le cose non possono che peggiorare arrivando a bombardamenti continui, assenza di acqua, elettricità e cibo, dove le persone sono costrette a vivere rintanate nelle cantine dei palazzi, chi ce l’ha, sperando che il proprio palazzo non venga distrutto; rischiando quotidianamente la vita per procurarsi acqua e cibo.

“Il bus imbocca la Lothar-Bucher-Strasse in senso vietato, ma nessuno ci fa caso. I pochi automezzi che si aggirano per le vie deserte non si preoccupano certo di osservare le regole del traffico, e comunque mancano del tutto i vigili, un genere completamente estinto, così come sono scomparsi i pompieri che dovrebbero spegnere gli incendi provocati dalle bombe al fosforo. Non funziona più nulla: non ci sono più postini né fattorini che portino il latte, non si trova più un solo medico, e le squadre di Pronto Intervento, che fino a qualche tempo fa sgomberavano le strade dai cadaveri, ora non rispondono più al telefono. Una città un tempo funzionale e organizzata ha abbandonato la popolazione a sé stessa: niente più diritti, niente più doveri.”

È un romanzo autobiografico. La cosa che forse mi ha maggiormente fatto male, non è tanto e solo gli orrori della guerra, ma la solitudine e l’abbandono affettivo in cui la piccola Helga deve vivere. Abbandonati dalla madre, il padre si risposa praticamente subito e lei e il fratellino devono crescere con la matrigna Ursula. Purtroppo tra le due non scatta la scintilla, non scatta l’amore, Helga è una bambina ribelle, testarda (e come darle torto), tra lei e la matrigna è sempre guerra. Anche col fratellino le cose non vanno bene, lui è legatissimo alla matrigna, è viziato e pretenzioso e anche cattivo, tra i due (almeno per gli anni narrati in questo libro) manca quel legame fraterno di solidarietà e amore reciproco che dovrebbe contraddistinguere ogni rapporto tra fratelli. Helga vive anche delle esperienze in istituti correttivi, ma verrà riportata a casa e passa l’ultimo anno e mezzo del conflitto con la famiglia rintanati in cantina.

“La maggior parte del tempo stavamo sdraiati sui nostri giacigli per risparmiare le forze. Da un lato desideravamo che la guerra finisse, dall’altro temevamo l’arrivo dei russi. Intanto continuavano a bombardarci, ma nessuno capiva quali obiettivi potessero essere ancora in piedi e fare gola al nemico. Berlino era un rogo, cosa volevano ancora?”

Grazia alla zia Hilde che lavora al ministero della propaganda Helga e il fratellino Peter avranno la fortuna di fare un soggiorno nel bunker della Cancelleria del Reich e anche di incontrare Hitler di persona. Ho detto fortuna perché nel bunker è possibile lavarsi e soprattutto mangiare a sazietà.

Il tutto viene narrato secondo le percezioni di una bambina: la stessa autrice una volta adulta che rivive quei terribili anni. Il libro è molto scorrevole ma non è una lettura facile per la drammaticità di quanto narrato, tanto più che si tratta di una storia vera, e non una semplice finzione letteraria.

La Schneider ha scritto altri libri autobiografici, come questo, in particolare penso a “Lasciami andare, madre” libro dove affronta la figura materna, quella madre che, come detto all’inizio, abbandona i suoi figli per arruolarsi nelle SS e servire alla causa del nazismo – e “I miei vent’anni (oltre il rogo di Berlino)” dove racconta la sua vita da adulta dopo aver lasciato la casa del padre. Ma è autrice anche di svariati altri romanzi non autobiografici dove però il tema centrale rimane sempre quello della Seconda Guerra Mondiale e della vita nella Germania Nazista. Penso di poter affermare che si tratta di libri non facili da leggere per il contenuto e la carica emotiva che sprigionano, ma necessari.

“Tutto era sereno. C’era il sole e i tigli era spumeggianti di verde. Com’era tutto diverso!
A un tratto vedemmo spuntare la portinaia che cominciò a spazzare il vialetto. Guardavo ogni cosa con altri occhi. Come ci aveva deformato lo sguardo quella maledetta cantina! In un attimo mi passò davanti agli occhi tutto l’orrore vissuto: era successo davvero? E come eravamo sopravvissuti? Senza acqua né luce né cibo né igiene. Al buio. Al freddo. In quella promiscuità infernale!
Mi concentrai di nuovo sul cortile. Alcuni bambini giocavano a palla, ma non li conoscevo: non c’erano né Egon né Rudolf. Allora sollevai gli occhi verso le rovine che circondavano lo spiazzo e mi fecero uno strano effetto. Avevano perduto il loro senso di monito, e si erano inserite serenamente nell’ambiente come scenari un po’ bizzarri di un cortile ormai perfettamente riassettato: le crepe dei vialetti erano state riempite di cemento, le macerie sgomberate; i cespugli erano stati potati, l’erba tagliata. Ogni traccia di cadavere eliminata. La rimessa riparata. C’era un’aria di ordinata normalità. […] Quei monconi macabri e quei muri dilaniati o in equilibrio precario, quei vuoti delle finestre sui cui davanzali si erano annidati impudenti ciuffi d’erba e quei mucchi di calcinacci polverosi sembravano essersi ormai riconciliati col passato, concedendogli un troppo facile perdono. Dissi qualcosa in proposito a Peter, ma lui si toccò la fronte e sentenziò: «Sei stupida».
Forse aveva ragione: forse era davvero assurdo come sentivo le cose.”