AUTORE: Fannie Flagg - traduzione di Olivia Crosio
EDITORE: BUR Biblioteca Universale Rizzoli
PAGINE: 368
PREZZO: € 10
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: Alabana primo Novecento
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La signora Virginia è una simpatica e direi un po’
logorroica vecchietta, è momentaneamente alla casa di riposo Rose Terrace e ha
passato tutta la sua vita nella cittadina di Whistle Stop in Alabama. È una
donna solare a cui piace chiacchierare con chiunque le capiti a tiro, così
inizia a raccontare la storia della sua vita alla signora Evelyn - che si rifugia a mangiare nella sala
conversazione dopo aver salutato la suocera - Virginia racconta della propria
infanzia, le vicende del Caffè di Whistle Stop -cuore pulsante e di
aggregazione della piccola cittadina che è un importante scalo ferroviario
- e della sua padrona Idgie Threadgoode,
una donna forte, indipendente e senza peli sulla lingua che ha sfidato la
società dell’epoca e anche il Ku Klux Klan. Col passare del tempo tra le due
donne nasce un’amicizia sincera che cambierà la vita di Evelyn.
“Ricordo ancora il giorno in cui aprirono il Caffè. Julian e Cleo avevano costruito quattro separé di legno e le stanze sul retro, perché Idgie e Ruth avessero un posto dove vivere. La zona riservata ai clienti aveva le pareti di pino nodoso della Georgia e il pavimento di legno vecchio. Ruth fece del suo meglio per abbellire il posto. Ci mise un quadro con una nave che veleggiava al chiaro di luna, ma Idgie lo staccò e lo sostituì con un altro che mostrava quattro cani seduti attorno a un tavolo da gioco con il sigaro in bocca e le carte da poker in mano. E sotto scrisse: Il Club dei cetrioli sottaceto. Era il nome di quell’assurdo club fondato da lei e dal suo amico Grady Kilgore. Poi c’erano gli addobbi natalizi che avevano messo il primo anno e che Idgie non tolse più e un vecchio calendario delle ferrovie. Nient’altro. I tavoli erano solo quattro e le sedie erano tutte sgangherate. Non sapevi mai, quando ti sedevi, se ti avrebbero retto o no. E non ci fu mai un registratore di cassa. Tenevano i soldi in una scatola di sigari. Al banco avevano una rastrelliera con patatine fritte, ciccioli, pettini, tabacco da masticare, esce per pescare e pop corn. Idgie apriva il Caffè all’alba e non lo chiudeva fino a quando, parole sue, “anche l’ultimo cane avesse sloggiato”. Le rotaie di smistamento della L&N erano a due isolati e tutti quelli che lavoravano alle ferrovie, negri e bianchi, mangiavano al Caffè. I negri Idgie li serviva dalla porta sul retro. Naturalmente a molti non piaceva l’idea che Idgie desse da mangiare ai negri, e le passò anche qualche guaio, ma diceva che nessuno aveva il diritto di decidere che cosa poteva o non poteva fare.”
Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop è un libro
dolcissimo e melanconico. Attraverso i ricordi di una vita di una simpatica
vecchietta di 86 anni Virginia Threadgoode detta “Ninny” - con tutta la
leggerezza che si trova nelle persone anziane piene di allegria, di voglia di
vivere e di gioia per le piccole cose ma al tempo stesso pronte a lasciare
questo mondo per ritrovare in paradiso i propri cari - si affrontano tematiche
spinose come il razzismo e l’omosessualità nell’Alabama dai primi anni del
novecento fino alla fine degli anni ’80.
E attraverso la vita della sua nuova amica Evelyn Couch si
affrontano alcuni dei mali della società odierna: il fallimento (vero o
presunto) di sé stessi, gli interrogativi sul senso e la piega che ha preso la propria
vita, la depressione e la solitudine, che non colpisce solo le persone anziane
e non manca di parlare anche dei problemi legati alla vecchiaia e la vita
all’interno di una casa di riposo.
La lettura richiede un po' di attenzione perché nei capitoli
si alternano molti salti temporali e non cronologici: si passa dal racconto di
Virginia ambientato alla casa di riposo Rose Terrace a Birmingham nel 1986, al
bollettino settimanale di Whistle Stop della signora Weems, alle città di
Birmingham e Whistle Stop con l’indicazione di mese e anno dei fatti narrati
che però, come dicevo, non seguono l’ordine cronologico.
Attraverso il libro si percorre a grandissime linee la
storia degli Stati Uniti attraverso la vita dei membri di una famiglia di un
piccolo centro dell’Alabama e della famiglia della loro fedele governante di colore
Sipsey di cui seguiamo la vita dei nipoti, permette di farsi una vaga idea
della società afroamericana e dei suoi sviluppi nel corso dei decenni scoprendo,
ancora una volta come persone cresciute nello stesso luogo e con la stessa
educazione possano intraprendere strade molto diverse.
Amo alla follia i libri che non lasciano nulla all’immaginazione
del lettore ma danno conto di tutto ciò che è successo ai personaggi e svelano
tutti i misteri che ci sono, diciamo che chiudono il cerchio della storia. E
questo lo fa!
“…la signora Threadgoode guardò Evelyn. «A volte non vedo l’ora di andare in paradiso. Ne ho proprio voglia! La prima cosa che farò sarà cercare il vecchio Bill Ferrovia. Non riuscirono mai a scoprire chi fosse. Naturalmente era un uomo di colore, ma sono sicura che è in paradiso insieme con tutti gli altri. Non lo crede anche lei, Evelyn?»«Ne sono certissima».«Se c’è qualcuno che merita di essere in paradiso, è lui. Spero solo di riconoscerlo quando lo vedrò.»”
La narrazione è scorrevole e non manca l’ironia, nonostante
l’importanza dei temi trattati.
Voglio leggere tutto di Fannie Flagg, mi è piaciuto molto lo
stile, il modo con cui a ricostruito la vicenda unendo i vari tasselli e i vari
salti temporali. Non vedo l’ora di scoprire se anche gli altri suoi romanzi
sono strutturati così.
Conoscete Fannie Flagg? Cosa avete letto di suo?