TITOLO:
La famiglia Karnowski
AUTORE:
Israel Joshua Singer - traduzione di Anna Linda Callow
EDITORE:
Adelphi
PAGINE:
498
PREZZO:
€ 10,00
GENERE: romanzo familiare, letteratura polacca
LUOGHI VISITATI: Berlino, New York
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Un romanzo familiare che vede
protagoniste tre generazioni di Karnowski, tutti maschi, David, Georg e Jegorg,
molto diversi tra loro.
Il capostipite è David, un ebreo
polacco che dopo il matrimonio lascia il piccolo paesino di Melnitz per
trasferirsi a Berlino, patria della conoscenza e dei lumi. David è un erudito,
uno studioso fattosi da se, ottimo commerciante, si fa promotore di una filosofia
di vita diretta all’integrazione senza dimenticare o perdere le proprie
tradizioni religiose, la politica di essere ‘ebreo in casa, berlinese fuori’.
La moglie Lea invece non si trova molto bene nella capitale tedesca, non si
integrerà mai, rimane, come la definisce il marito, “una paesana” legata alle
tradizioni del popolino da cui proviene e piena di superstizioni, ai salotti
della Berlino bene preferisce di gran lunga quello dei coniugi Burak, amici e
suo compaesani, dove si sente a casa.
“Quando ricevette l’ordine di
presentarsi alla polizia, dove gli annunciarono che presto sarebbe stato
internato in un campo con tutti gli altri russi, David Karnowski fu
profondamente amareggiato.
Non riusciva a concepire che potesse accadere una cosa del genere. A lui? Lui
che era fuggito dall’ignoranza e dall’oscurantismo dell’Est per la cultura e i
lumi dell’Ovest? Lui che parlava un tedesco impeccabile ed era membro del
consiglio di amministrazione della più grande sinagoga di Berlino? Un erudito
che sapeva tutto su Moses Mendelssohn, Lessing e Schiller? Un onesto
commerciante proprietario di uno stabile in città, padre di figli nati nel
paese, arrestato insieme alla volgare plebaglia?”
Poi c’è il figlio Georg, ‘ribelle’
curioso e facile ad entusiasmarsi come a stancarsi delle varie cose. Georg si
scontra col padre fin da ragazzo perché vuole fare quello che vuole; è ebreo,
va bene ma che significa? Non gli interessano le regole e le morali che gli
derivano dalla religione, penso di non sbagliare a definirlo ateo. Dopo vari
tentativi trova finalmente la sua strada, quella del medico e si sposerà con un
tedesca, seguendo il suo cuore e non le tradizioni.
Infine Jegorg (figlio di Georg) che odia
il padre perché è ebreo e gli ha passato alcuni tratti caratteristici della razza
ebraica come i folti capelli neri e la pelle olivastra in vistoso contrasto con
gli occhi azzurro ghiaccio ereditati dalla madre. Jegorg è un ragazzino
difficile, cagionevole di salute, vive l’avvento del nazismo e in quanto ebreo dovrà
subire delle umiliazioni molto pesanti e reagisce semplicemente odiando il
padre e tutti gli ebrei.
“Lo specchio gli rimandò un’immagine
che gli ricordava le caricature dei giornali.
«Mio Dio, quanto sono brutto, e che faccia da ebreo!» esclamò gettandolo via.”
C’è un continuo scontro generazionale
tra padri e figli; il figlio abbraccia ideali e stili di vita diversi da quelli
del padre e per questo incomprensibili. David estremamente interessato alla
cultura e all’integrazione senza dimenticare la propria religione e le sue
tradizioni. Georg è invece assolutamente indifferente alla religione e alla
passioni da studioso del padre, arriverà a seguire l’amore a discapito delle
tradizioni. Infine Jegorg un mezzo ebreo che odia gli ebrei, nonostante subisca
umiliazioni pesanti per le sue origini raziali, è filo nazista, patteggia per
gli uomini con gli stivali, si sente tedesco o meglio ariano e odia il padre,
non capisce e non apprezza l’amore della famiglia. Odioso ma forse si
riscatterà.
I Karnowski non sono però gli unici
personaggi del romanzo, accanto a loro Singer ci racconta anche le vicende di
alcuni loro amici in particolare i Burak e il dottor Landau. I coniugi Burak -
amici di Lea Karnowski -sono proprietari di un grande negozio su una delle vie
più importanti di Berlino, una specie di bazar che vende di tutto a prezzi
stracciati e che ha moltissimi clienti tedeschi. Spicca la personalità
frizzante e amichevole del capofamiglia Salomon, un eterno giocherellone con la
battuta sempre pronta; si differenzia da molti altri ebrei perché non nasconde,
anzi ostenta la sua religione e le sue origini polacche.
Poi c’è il dottor Landau, un anziano
medico ebreo, che vive e lavora in un quartiere popolare e di operai; è un tipo
particolare, vegetariano, grande camminatore, senza peli sulla lingua aiuta il
prossimo esercitando la professione praticamente gratuitamente. È colui che
guida Georg nelle proprie scelte professionali.
E infine una menzione spetta al
vecchio Reb Efraim, uomo che ha dedicato la vita all’analisi e allo studio dei
testi sacri, un pozzo di sapienza che viene consultato da rabbini, professori e
studiosi di ogni confessione religiosa. Colpisce per il pragmatismo e la saggezza
e la calma, invita anche chi gli sta intorno a fare altrettanto, in particolare
a non disperarsi per “gli uomini con gli stivali” perché gli ebrei hanno sempre
avuto nemici e sempre ne avranno, ma i figli di Israele non soccomberanno mai.
“Reb Efraim si interessa solo dei suoi
libri sacri, pezzi da collezione, manoscritti rari, stipati su scaffali di
legno grezzo dal pavimento tarlato fino al soffitto a volta della stanza.
Alto, sottile, con il viso allungato, un’imponente barba grigia e lunghi
capelli dello stesso colore, uno zucchetto di cotone liso sulla testa e una
grande pipa in bocca, siede immerso nei testi esoterici, in mezzo a polverosi
manoscritti e pergamene che sfoglia ed esamina con l’aiuto di una lente di
ingrandimento. Sul tavolone di legno ingombro di carte, sono posati un vaso di
terracotta pieno di penne d’oca appuntite e un piattino contenente colla e
pennelli induriti. La colla serve a Reb Efraim per restaurare le pagine lacere,
riparare i bordi, rimettere insieme i fascicoli staccati; le penne d’oca ad
annotare correzioni a margine e integrare le parti mancanti, strappate o
bruciate, in caratteri ebraici minuscoli e ornati. Non utilizza mai pennini
d’acciaio, soltanto penne d’oca che si procura dal venditore di pollame della
casa accanto e a cui fa accuratamente la punta con un apposito coltellino. La
sua scrittura somiglia più all’arabo che all’ebraico. Ogni lettera è adorna di
corone e svolazzi, come quelli che usano gli scribi nel ricopiare i rotoli
della Torah.
Il professor Breslauer del seminario rabbinico è un visitatore assiduo. Benché
non ami troppo addentrarsi nel ghetto, non ha molta scelta, perché, nonostante
i tanti rabbini e studiosi, in tutta la città non si trova un solo erudito
paragonabile a reb Efraim Walder. Come il professor Breslauer, anche altri
dotti frequentano la sua stanzetta, insigni rabbini, storici, studiosi del
giudaismo. La Dragonerstrasse guarda ogni volta con stupore quei personaggi
importanti del ricco quartiere occidentale arrivare in visita. E figurarsi quando
vedono comparire non soltanto gli ebrei di Berlino Ovest, ma professori
cristiani e preti in cerca di chiarimenti di teologia ebraica. Per questo
motiva perfino il gendarme mostra un grande rispetto nei confronti del vecchio
signore e gli indirizza un saluto militare ogni volta che lo incontra per
strada.”
Nel romanzo Singer compie un’analisi
della comunità ebraica berlinese, da un lato c’è il ghetto della Dragonstrasse
che si contrappone agli ebrei tedeschi della Berlino Ovest, tra cui il nostro
David Karnowski, parla delle distinzioni e delle discriminazioni che ci sono al
suo interno. Quindi da un lato, appunto, c’è il quartiere ebraico chiassoso e
povero dall’altro gli ebrei che si sono integrati alla perfezione, tedeschi a
tutti gli effetti (chiamati yeke) e che con gli altri condividono ben poco e
che per questo guardano con spregio, ma anche all’interno della comunità della
Berlino ovest esiste una scala sociale ben precisa e nel momento del bisogno
gli yeke non si fanno scrupolo a ignorare gli amici anche se ben integrati
perché non tedeschi.
La narrazione è scorrevole e gli anni
passano velocemente, Singer si sofferma su alcuni momenti ed episodi
particolari e poi veniamo proiettati avanti nel tempo, dove ci racconta un
altro momento significativo, il tempo trascorso nel mezzo è liquidato in poche
parole, riassunto in una frase.
La collocazione temporale della
vicenda è indefinita, non ci sono riferimenti diretti al periodo storico di
ambientazione ma è ricostruibile a posteriori dal lettore e si va dagli inizi
del ‘900 fino all’avvento del periodo nazista.
“Quando i giovani in stivali cantavano
per le strade che il sangue ebraico avrebbe zampillato sotto i colpi del
coltello, lo pensavano davvero. Non erano parole al vento, come avevano creduto
gli abitanti dei quartieri ovest di Berlino.”
Il periodo nazista che vivono i
protagonisti è quello delle prime avversità, le scritte sulle vetrine,
l’impossibilità di esercitare determinate professioni, limitazioni alla libertà
personale, discriminazioni e umiliazioni molto marcate ma non la deportazione;
e poi c’è la migrazione e la nuova vita negli Stati Uniti.
“Georg sapeva che cosa impediva al
ragazzo di uscire. Neppure lui era mai tranquillo quando era per strada, mai
sicuro di non essere insultato. Ma proprio per questo si costringeva a vincere
l’inquietudine. Giusto perché quelle canaglie non desideravano altro, si
rifiutava di procurare loro quella soddisfazione. Dopo i primi mesi trascorsi
chiuso in casa, lontano dalla strada, dalle parate e dai teppisti, aveva
ripreso ad uscire anche senza alcuna necessità, solo per sfida. Con un passo
ostentatamente sicuro camminava per miglia ogni mattina per scacciare la
pigrizia, lo scoraggiamento e i pensieri cupi. Alcuni vicini si voltavano
dall’altra parte quando lo incontravano per non essere costretti a salutarlo,
altri correvano il rischio e gli facevano un cenno col capo. Alcune donne
intrepide gli sorridevano e lo salutavano addirittura per prime. Georg teneva
la testa ancora più alta per mostrare che non si lasciava impressionare da
nessuno, che neanche per idea si sentiva avvilito, non lui, il dottor Georg
Karnowski!”
Il finale è travolgente, assolutamente
wow, anche se è dannatamente aperto, lascia la possibilità a tante strade e
interpretazioni e io voglio interpretarlo positivamente.
Il personaggio di Jegorg è odioso e
antipatico ma forse si riscatta.
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