sabato 16 gennaio 2021

IL MAGNIFICO SPILSBURY OVVERO GLI OMICIDI NELLE VASCHE DA BAGNO - JANE ROBINS

TITOLO: Il magnifico Spilsbury ovvero gli omicidi nelle vasche da bagno
AUTORE: Jane Robins traduzione di AdaArduini
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 278
PREZZO: € 19,50
GENERE: letteratura inglese, reportage
LUOGHI VISITATI:Inghilterra del primo Novecento

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)

 



La ricostruzione dettagliata di un famoso caso giudiziario inglese degli anni ’10 del ‘900: gli omicidi nella vasca da bagno.

Jane Robin non solo ricostruisce le vicende processuali, le indagini e gli omicidi ma ricostruisce anche il quadro socio cultuale in cui questi sono avvenuti. Il taglio dell’opera è giornalistico sembra un reportage però del passato; quello che ci viene narrato è stato ricostruito tramite le testimonianze, gli articoli del tempo oppure le biografie. Così tutto quello che riguarda la vita di Bessie, Alice e Margaret il carattere e il temperamento, l’aspetto fisico e la storia familiare è ricostruito tramite le deposizioni, le testimonianze e le lettere, non sappiamo nulla dei pensieri, dei sentimenti e delle ragioni che sono alla base delle loro scelte e azioni, su tutte sposare George Smith. Mentre per la ricostruzione delle vite e dei pensieri di Bernard Spilsbury e di Arthur Neil può avvalersi anche delle loro biografie.

 Come detto non si tratta di un romanzo e tutti i personaggi che incontriamo sono realmente esistiti e nel mezzo del romanzo ci sono anche delle fotografie.

Veniamo alla trama.

Un uomo, al secolo George Smith è un truffatore accanito, la truffa è il suo modo di procurarsi di che vivere.  Le sue vittime sono donne zitelle, che circuisce e ammalia per poi derubarle di tutti i soldi e i gioielli che possiedono. Ma a un certo punto alza il tiro e si trasforma in un assassino, non si limita a derubare le proprie vittime ma le sposa e poi le uccide per incassare eredità e polizza sulla vita.

Il modus operandi è davvero singolare: affoga le mogli nella vasca da bagno, da qui il nome del caso.

“L’annegamento è una forma di omicidio piuttosto inconsueta, nella vita come nella letteratura. Forse perché si dà per scontato che sia difficile annegare qualcuno senza un minimo di lotta, ovvero senza che la vittima si agiti, cerchi di resistere. Una colluttazione richiama l’attenzione e aumenta le possibilità che la vittima sfugga all’assassino. È rischiosa. Ed è opinione diffusa che l’annegamento sia una faccenda complicata. L’assassino che sceglie l’annegamento conta sulla propria forza bruta e sulla debolezza della vittima, a differenza dell’omicida che decide di pugnalare, sparare o avvelenare.”

Come viene scoperto? Per connessione: i familiari di una delle vittime, leggendo la notizia di una neo sposa morta affogata dentro alla vasca da bagno, notano la similitudine della morte con quella della propria congiunta ed espongono i proprio sospetti alla polizia che a sua volta fa la segnalazione a Scotland Yard e grazie allo zelo dell’ispettore Arthur Neil piano piano viene ricostruito il puzzle.

Si va così a processo e Spilsbury, chiamato dall’accusa, avrà modo di presentare tutte le “prove scientifiche a sostegno della colpevolezza di Smith.

“Mentre scendeva dal banco dei testimoni, Spilsbury sembrava un detective scientifico uscito da un libro: aveva fornito pareri da esperto in moltissimi campi – cadute, lividi, piegamenti, contrazioni, svenimenti, problemi cardiaci, epilessia, shock, il modo in cui le donne si lavano i capelli e, ovviamente, l’annegamento.”

Si tratta di un caso clamoroso che all’epoca aveva fatto molto scalpore, ma lo stesso libro ci racconta come questi gialli suscitassero grande interesse nella gente perché erano un’attrattiva del resto non c’era la televisione come oggi. Ovviamente la vicenda va contestualizzata e l’opera di ricostruzione della società dell’epoca compiuta dalla Robin è davvero magistrale e ci permette di capire come mai queste donne siano cadute nelle braccia del loro assassino, ma anche come molte altre si siano lasciate raggirare con (apparentemente) tanta facilità.

“Le riflessioni […] non arrivano a considerare la tristissima piaga – economica, sociale e psicologica – delle ‘donne in esubero’ o il suo sollievo e senso di liberazione quando un uomo, un uomo qualunque, esprimeva il desiderio di sposarla. Le donne sposate erano donne vere, fonte di amore all’interno della famiglia e piene di propositi femminili. La loro giornata era occupata da una serie di mansioni domestiche: gestire la casa, cucinare ecc. Inoltre, sostenute dallo stipendio del marito, potevano sfogliare le riviste ed entrare nei negozi di abbigliamento femminile per fare acquisti: vestiti graziosi e cappelli alla moda. Sembrava che le mogli disponessero di tutto ciò che era buono e piacevole, mentre le nubili erano sole e sconsolate in un mondo ben più duro e freddo.
In tale contesto a George Smith bastava solo accennare a un futuro matrimonio perché il profumo di fiori d’arancio mettesse da parte ogni altra considerazione. I dubbi potevano essere accantonati e il suo comportamento arrogante poteva essere interpretato come virile e autorevole. E forse i suoi progetti per il futuro erano anche interessanti. Diceva di essere ambizioso e di avere intenzione di aprire un negozio di antiquariato. Voleva viaggiare – e continuava a promettere un viaggio in Canada. Per una ragazza comune, con una vita comune, i lati negativi potevano anche scomparire di fronte alla scintilla che scaturiva dalla personalità anticonvenzionale di George.”

Tema centrale dell’opera è il ruolo della scienza all’interno dei processi, quella che noi oggi chiamiamo medicina legale, proprio il caso delle vasche da bagno l’ha definitivamente consacrata al ruolo di primaria importanza che riveste anche oggi nella scoperta dei colpevoli.

In questo passaggio un ruolo molto importante è stato giocato anche dal patologo Spilsbury, perché era un professionista estremamente scrupoloso e attento, capace di dare risposte chiare e concise e con il necessario sangue freddo per affrontare i controinterrogatori della difesa. Si può dire che è colui che - grazie alla sua persona e alla sua professionalità - è riuscito a far acquisire credito (assolutamente meritato) alle prove scientifiche all’interno dei processi.

 Di Spilsbury viene ricostruita la vita e l’attività di patologo, sia prima che dopo il caso delle vasche da bagno; dopo questo caso diventa quasi una leggenda, è il patologo ufficiale dell’accusa e le sue testimonianze vengono prese per fatti certi. Il tempo o meglio gli sviluppi scientifici hanno dimostrato che alcune conclusioni cui è arrivato, in primis quella sugli omicidi di Smith, non sono scientificamente valide. Ovviamente ciò non toglie valore al suo lavoro semplicemente i suoi pareri si basavano sul sapere dell’epoca che è stato poi superato o quantomeno integrato dalle nuove scoperte in campo medico scientifico e dalla nuove strumentazioni.

La medicina legale dei primi decenni del ‘900, quella che pratica Spilsbury era molto diversa da quella che conosciamo oggi e la Robin ce ne fa un quadro preciso.

“Era un lavoro considerato fisicamente faticoso, degradante e sgradevole. I rozzi ferri del mestiere erano coltelli, seghe, scalpelli e martelli, utilizzati per tagliare ossa e aprire aree difficili come il cranio. L’attrezzatura usata poi per ricomporre il corpo alla fine di un’autopsia era altrettanto prosaica: aghi, filo, spugne e segatura. Ma Spilsbury aveva capacità perfettamente adatte a quel compito: era sicuro e attento con il bisturi e aveva un ottimo olfatto (che però poi perse), molto utile a riconoscere la presenza di veleni e altre peculiarità. Senza dubbio il suo lavoro gli piaceva e analizzava tutti i cadaveri a disposizione – con il tempo, arrivò a sezionarne più di 25000. Descrisse molte di quelle autopsie in centinaia di piccole schede bianche che tuttora sopravvivono in alcuni archivi di Londra e Nottingham.
 […] Anno dopo anno Bernard Spilsbury spendeva la sua energia intellettuale lì e nelle celle mortuarie […] a meditare su morti più o meno recenti e formulare un ventaglio di risposte diverse a un’unica domanda: cosa aveva causato la morte della persona che si trovava distesa lì davanti? Le sue schede coperte di annotazioni scritte con una grafia sottile e intricata, danno l’idea della sua tempra e della sua grande determinazione, ma anche dell’amarezza per tante morti premature.”

“Era un lavoro durissimo, ma ai medici pronti a dedicare la propria vita a questo macabro compito venivano riservati riconoscimenti pubblici sempre maggiori. Spesso dovevano affrontare clamorosi processi per omicidio e allora i flash delle macchine fotografiche della stampa e lo spettacolo dell’aula di tribunale li ripagavano immediatamente della quotidiana litania di morte e della prigionia dell’obitorio. Quanto il patologo forense lasciava l’ospedale e saliva sulla scena pubblica nel ruolo di ‘perito giudiziario’ si trasformava in una figura potente e capace, attraverso le prove che esibiva, di restituire la libertà a un uomo oppure spedirlo sul patibolo. Come Bernard Spilsbury sapeva bene, però, questo ruolo comportava un’insidia, ovvero la novità, e quindi la vulnerabilità, della figura del perito medico in quanto persona autorevole.”

La medicina legale è la protagonista principale del libro, perché oltre al caso delle vasche da bagno, che come detto è stato emblematico ed è stato quello in cui definitivamente la scienza si è imposta come mezzo di prova a scapito (per fortuna) delle ardite e appassionate ricostruzioni che facevano alcuni avvocati difensori – nel libro ne vengono trattati anche altri, meno dettagliatamente, che però segnano le varie tappe che ha percorso la medicina legale. 

Come detto sembra di leggere un reportage, la narrazione che - alterna le parti dedicate agli omicidi con quelle dedicate alla medicina legale in generale e alla figura di Spilsbury e poi alle indagini – è piuttosto scorrevole. È un libro che mi è piaciuto molto che consigli a chi ama i crime (come me) e le storie vere sembra quasi una sorta di documentario ma su carta.

Lo avete letto?

giovedì 14 gennaio 2021

L'ANNO DELLA LEPRE - ARTO PAASILINNA

TITOLO: L'anno della lepre
AUTORE: Arto Paasilinna traduzione di Ernesto Boella
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 212
PREZZO: € 14,00
GENERE: letterarura finlandese
LUOGHI VISITATI: Finlandia anni '70

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)


“«E così siamo rimasti qui», disse alla lepre.
Ecco in che situazione si era messo: solo, in mezzo a una foresta, in giacca, una sera d’estate. Abbandonato al suo destino”.

Nonostante avessi letto recensioni e pareri - anche di persone che spesso mi sono d’ispirazione -  non avevo mai avuto voglia di leggere questo libro, non mi chiamava. Mi sembrava insipido, noioso, senza nulla da dirmi, un uomo lascia tutto per girare i boschi con una lepre? Sarà un libro di una noia mortale cosa potrà mai accadere? Di tutto! E quindi come mi succede spesso mi sbagliavo, mai giudicare un libro senza averlo letto.  

Kaarlo Vatanen è un giornalista cinquantenne che vive una vita sull’orlo della depressione a Helsinki. Durante un viaggio di lavoro, il collega alla guida investe accidentalmente una lepre, Vatanen scende a soccorre l’animale e sparisce con lei nella foresta. Abbandona tutto e gira la Finlandia con una lepre.

Vatanen intraprende una nuova vita, è un continuo spostarsi in vari luoghi, fa qualche lavoretto e poi riparte, e durante questi suoi giri incontra una serie di personaggi bislacchi e vive mille avventure, sempre in compagnia della sua inseparabile lepre. Le avventure di Vatanen hanno del surreale, del comico, sono particolari e assurde per quanto possibili, e spesso strappano delle risate.

“Vatanen si gettò il vitello sulle spalle, gli zoccoli gli solleticavano la nuca al ritmo dei suoi passi. La lepre non sapeva bene cosa fare, gli saltellava nervosamente tra i piedi, ma finì per abituarsi all’andatura lenta della marcia. Vatanen camminava in testa, attraverso la foresta, con il vitello sulle spalle, la mucca lo seguiva in silenzio, pensierosa, leccando ogni tanto la testa del vitello, la lepre saltellava in coda al corteo.”

Vatanen cerca di tornare “nella civiltà” a Helsinki ma si deve scontrare con una società che non gli piace, ormai ha trovato la sua strada ed è nella natura incontaminata e selvaggia del nord, della Lapponia dove i rapporti tra persone sono ancora autentici.

“Un uomo ridotto allo stremo delle forze ispirava un certo timore, ma anche fiducia: al nord quest’uomo ha dei diritti che un istinto pieno di tatto gli riconosce. Il padrone di casa gli indicò la sedia accanto alla sua e lo invitò a mangiare.
Vatanen mangiò. Era così sfinito che il cucchiaio gli tremava nelle mani al ritmo dei battiti del cuore. Il berretto se l’era dimenticato in testa. Lo stufato di renna era gustoso e nutriente. Vatanen mangiò tutto.”

È un libro scorrevole con uno stile molto asciutto e conciso, con poche parole mirate Paasilinna descrive persone e luoghi in modo magistrale; è ricco anche di ironia, voglia di libertà e dalla natura selvaggia.  Non manca una velata critica alla moderna società conformista e benpensante.

Anche se sulla carta lo stile di Paasinilnna non è tra i miei preferiti mi ha conquistata.

Il protagonista Vatanen presenta delle somiglianze con l’autore, non solo ne condivide l’anno di nascita e la professione, ma anche la passione e l’amore per la natura e una sorta d’insofferenza verso la società moderna.

“Nel cielo splendeva una pallida falce di luna, le stelle brillavano di una luce opaca nella gelida sera. Questo era il suo mondo, qui poteva vivere in pace. La lepre saltellava silenziosa sulla pista, davanti allo sciatore, come una guida. Vatanen canterellava per lei.”

È una lettura breve, sono duecento pagine, ma bisogna tener conto del particolare formato dei libri Iperborea, se avesse le pagine normali sarebbe più corto, quindi più che un romanzo è un racconto lungo o meglio una novella, come ho letto che Paasilinna amava chiamare le sue opere.

Sempre di Paasilinna avevo letto Piccoli suicidi tra amici e vorrò leggere altre sue opere, mi piace la sua capacità di mescolare tanto humor con una malinconia tipica dei paesi nordici e far vivere ai suoi personaggi delle avventure incredibili ma per quanto particolari e strane non impossibili; inoltre lasciano molto al lettore, tanti episodi divertenti e curiosi su cui ridere, ma anche spunti su cui riflettere, la scrittura ironica diventa anche un mezzo di critica e denuncia sociale.

Avete letto qualcosa di suo? Vi aspetto nei commenti

martedì 12 gennaio 2021

MAUS - ART SPIEGELMAN

TITOLO: Maus
AUTORE: Art Spiegelman - traduzione di Cristina Previtali e lettering di Booh Stoodio Milano
EDITORE: Einaudi - collana Stile Libero Extra
PAGINE: 292
PREZZO: € 20,00
GENERE: grapich novel, memoire
LUOGHI VISITATI: Polonia prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, USA - New York

 acquistabile su amazon: qui (link affiliato)

 


Maus è un romanzo a fumetti molto particolare e almeno in parte autobiografico. L’autore e disegnatore Art Spiegelman racconta la storia di un sopravvissuto alla deportazione nei campi di concentramento, suo padre Vladek.

È un opera particolare, strutturata, dove c’è molto di più oltre alla narrazione del dramma della Shoah.

Nell’opera si intrecciano due linee narrative: il passato e il presente.

Il passato è dato dalla vita di Vladek Spiegelman, un ebreo polacco molto intraprendente e con un acuto senso degli affari, che sposa Anja anch’essa ebrea, nella Polonia invasa dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale viene raccontata la vita nei ghetti e con la stella gialla cucita sul petto fino alle deportazione e l’esperienza nel campo di Auschwitz.

Il presente è la vita del sopravvissuto Vladek, traferitosi negli Stati Uniti, e il suo rapporto con il figlio Art e le loro lunghe chiacchierate in cui Vladek racconta le sue esperienze sulla Shoa e Art le raccoglie per farne un fumetto.

Quindi noi leggiamo anzitutto il presente, con Art che si reca dal padre, che parlano dei problemi della vita quotidiana - Vladek ha un pessimo carattere - e poi si mettono lì a parlare del passato, vediamo Art prendere appunti, registrare le conversazioni, fare domande e chiedere chiarimenti al padre. E i racconti di Vladek vengono portati al lettore attraverso la rappresentazione del passato, con un continuo intreccio.

La differenza tra passato e presente viene marcata anche da una particolare scelta stilistica: cambia il modo di esprimersi di Vladek. Infatti nel parlato di oggi Vladek si esprime in un inglese incerto e pieno di interferenze yiddish (ovviamente per Vladek l’inglese non è la lingua madre ma quella imparata nella nuova vita negli Stati Uniti) mentre nel passato si esprime in modo fluido e senza incertezze. 

Mi ha colpito molto Art personaggio e la scelta di costruire il fumetto in questo modo: disegnando anche la vita quotidiana attuale (con tutti i problemi e le discussioni), con lui che prende appunti e poi la rappresentazione dei racconti, l’ho trovato geniale, coinvolge – secondo me – il lettore in modo molto profondo e si sente ancor più partecipe della vicenda.

Art nello stesso fumetto si mette a nudo, raccontandoci le sue incertezze e inadeguatezze ad esempio come fumettista si è trovato in difficoltà su come rendere Auschwitz col disegno. Si interroga, poi, se sia giusto raccontare (ancora) storie sulla Shoah e di farlo con un mezzo particolare come il fumetto.

Come dicevo è un opera molto particolare, non trovo altro aggettivo, e gli elementi che lo contraddistinguono sono molti.

Inizio da quella più evidente, già dalla copertina, la scelta di rappresentare i personaggi sotto forma di animali, con animali diversi che rappresentano diversi popoli. Così ci sono i topi che rappresentano gli ebrei, i gatti i tedeschi, i maiali i polacchi, i cani gli americani e le rane i francesi. Ho trovato varie possibili interpretazioni per la scelta di rappresentare gli ebrei come topi: gli stessi nazisti li hanno definiti ‘ratti’ oppure (o forse anche in conseguenza di queste affermazioni) per la vita di fuga, di bisogno di nascondersi a cui i nazisti hanno costretto gli ebrei e poi per il modo con cui sono stati rinchiusi e sterminati nemmeno fossero topi per davvero.

Anche il tema trattato rappresenta una particolarità: è stato il primo fumetto che si sia occupato della Shoah ed è anche stato il primo (e forse unico) fumetto a vincere lo Special Awards del Premio Pulitzer.

Siamo di fronte a un fumetto, un romanzo grafico ma con la particolarità di rappresentare la vicenda con degli animali, una scelta molto originale, ogni animale rappresenta un popolo, ci sono gli ebrei che sono rappresentati dai topi, i tedeschi dai gatti, i polacchi dai maiali, gli americani dai cani e i francesi dalle rane.

L’opera è composta da due libri, oggi riuniti in un unico albo - in Italia è pubblicata da Einaudi nella collana Stile Libero Extra – originariamente pubblicati in momenti diversi.

Il primo “Mio padre sanguina storia” è incentrato sullo scoppio della Seconda Guerra Mondiale con l’invasione della Polonia da parte dei nazisti con il progressivo inasprimento delle condizioni di vita degli ebrei e si chiude con la cattura.

 Nel secondo “E qui sono cominciati i miei guai” viene rappresenta l’esperienza di Vladek all’interno del campo di concentramento e poi la liberazione.

È una lettura forte, forse sdrammatizzata dalla scelta di rappresentare le vicende con animali ma ugualmente toccante e dolorosa.

Nel mese di gennaio ricorre la Giornata della Memoria penso che non si parli mai abbastanza della Shoah e di tutti gli altri stermini di massa che l’uomo è stato capace di mettere in atto contro i suoi simili, ma soprattutto penso sia importante ricordare e imparare dal passato. Questo libro in particolare trovo sia un approccio perfetto anche nelle scuole, perché più dinamico e fresco di un romanzo e magari più apprezzato dai ragazzi.

Alla fine della mia “recensione” voglio comunque dire che è stato il mio primo graphic novel o romanzo a fumetti, non sarà certamente l’ultimo, è un modo di leggere e di approcciarsi alla storia diverso rispetto al romanzo ma interessante, perché oltre alla storia ci sono i disegni che non sono certo lì solo per riempire o colorare la pagina, ma giocano un ruolo importante anche proprio nello sviluppo della vicenda al pari dei dialoghi e dei testi.