venerdì 26 settembre 2025

TORTA AL CARAMELLO IN PARADISO di FANNIE FLAGG

TITOLO: Torta al caramello in paradiso
AUTORE: Fannie Flagg     traduzione di: O.Crosio
EDITORE: Rizzoli
PAGINE: 372
PREZZO: € 13
GENERE: letteratura americana, confort book
LUOGHI VISITATI: Elmwood Spring cittadina immaginaria del Missouri primi anni 2000

 


 

“Ci sono due modi per vivere la vita. Uno è come se niente fosse un miracolo. Uno è come se tutto fosse un miracolo”

Un libro coccola, perfetto per questo periodo autunnale, me lo immagino da leggere con una tazza di tè e una bella fetta di torta fatta in casa (come la mia crostata nella foto, anche se non è al caramello).

Un libro malinconico, dolce amaro, divertente e triste allo stesso tempo.

Protagonista Elner S una vecchietta molto simpatica, che vive a Elmwood Springs una piccola comunità della provincia americana dove tutti si conoscono. Un giorno Elner cade dalla scala mentre cerca di raggiungere dei fichi e arriva in ospedale in fin di vita. La narrazione si divide in due macro tematiche, che si intrecciano continuamente: Elner in ospedale che si sveglia e prende un ascensore arrivando fino in paradiso e vivendo delle assurde avventure; e Elmwood Springs amici e famigliari che cercano di prendersi cura delle cose di Elner e prepararsi per il funerale, il tutto ricordando tanti aneddoti e avventure di Elner così da conoscerla meglio.  Ma forse non è ancora giunto il momento.

Tutti vorremmo una vicina come Elner, presente, simpatica, solare, infaticabile, sempre pronta alla battuta e soprattutto ad aiutare il prossimo.

Mi è piaciuto moltissimo, avevo un po’ di timore perché di Fannie Flagg ho letto Pomodori verdi fritti che è considerato il suo capolavoro, ma devo dire che anche questo romanzo è molto bello, forse un pochino meno “impegnato” ma comunque godibile e con tanti spunti per riflettere. Non vedo l’ora di leggere anche gli altri romanzi.

Fatemi sapere se lo avete letto e cos’altro di mi consigliate.

venerdì 12 settembre 2025

IO NON MI CHIAMO MIRIAM di MAJGULL AXELSSON

TITOLO: Io non mi chiamo Miriam
AUTORE: Majgull Axelsson   traduzione di: Laura Cangemi
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 562
PREZZO: € 19,50
GENERE: letteratura svedese
LUOGHI VISITATI: Nässjö - Svezia anni '50 e Germania anni '40





“Lanciò un’occhiata alla propria immagine riflessa sulla finestra buia. Aveva esattamente l’aspetto che voleva avere: come in un’inserzione pubblicitaria Vecko-Journalen. Capelli ben pettinati. Vestito impeccabile con la vita sottile e la gonna ampia. Un grembiulino ricamato utile più come decorazione che per proteggere. E poi la collana di perle, il regalo più bello dell’ultimo Natale, quel gioiello che la intimoriva ancora ogni volta che se lo metteva. Come aveva fatto proprio lei, Miriam o Malika, la zingara, la prigioniera di due campi di concentramento, la bugiarda, a diventare una signora sorridente con tanto di collana di perle? Com’era successo?”

 

Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson è un libro estremamente doloroso e interessante sotto molti punti di vista. Protagonista e voce narrante è Miriam una vecchietta che vive in Svezia e che il giorno del suo 85°compleanno, per ragioni a lei inspiegabili, l’io, la coscienza le riportano alla mente il suo triste passato. Tutti conoscono il suo passato, Miriam è una sopravvissuta all’olocausto, è uscita viva da ben due campi di concentramento nazisti, quello che praticamente nessuno sa però è che lei non è ebrea come tutti credono ma una rom e per una serie di ragioni fortuite e casuali si ritrova ebrea (!!! Possibile spoiler!!!! Durante un trasferimento cambia la sua divisa e alcune altre prigioniere la chiamano Miriam -il nome della ragazza ebrea a cui quella divisa apparteneva prima – il numero di matricola è praticamente identico e così dal caso nascono una serie di altre coincidenze e lei diventa Miriam per tutti). Così anche dopo la liberazione continuerà a fingersi ebrea come tutti la credono, del resto finita la seconda guerra mondiale nessuno vuol parlare di Olocausto e i pochissimi sopravvissuti certo non si mettono ad indagare sugli altri.

La narrazione è in prima persona e alterna vari momenti: la vita di oggi e i ricordi del passato, quindi la gioventù in famiglia, la deportazione e le tantissime esperienze nei campi di concentramento, i primi tempi a Jomjpuko e la vita che riprende la normalità. Il passato è in parte raccontato alla nipote Camilla mentre fanno una lunga passeggiata in torno al lago e in parte è rivissuto nel senso che sono narrati direttamente, in presa diretta.

Il libro mostra una dicotomia rom/ebreo, perché se è vero che gli ebrei erano odiati dai nazisti, i rom erano e sono odiati da tutti anche dopo la seconda guerra mondiale, la stessa Miriam una volta salva in Svezia assisterà a ben due esperienze di odio verso i rom. Ma anche nel campo di concentramento, lei è considerata un’ebrea e sente gli altri parlar male dei rom.

“Else era la persona migliore di tutta Ravensbrück. La più buona. La più saggia. La più forte. Ma l’aveva detto. Con un’alzata di spalle. «Zingari. Si sa come sono fatti, quelli…» Else l’aveva salvata. Le aveva dato da mangiare. Le aveva procurato un buon lavoro. L’aveva fatta parlare. Inoltre aveva usato quella parola che Miriam non aveva mai osato pronunciare ma che si teneva dentro, in silenzio. Libertà. Libertà. Però Else era anche quella che aveva detto quella frase sugli zingari. E le aveva fatto paura. Molta più paura del solito. Sentiva che la terra le si poteva spalancare sotto i piedi da un momento all’altro, che rischiava di inciampare e cadere o essere ingoiata da un buco nero e muto. Che nessuno, non un solo essere umano al mondo, avrebbe voluto aiutarla, salvarla, darle il minimo soccorso. E perché questo era quello che era: una rom. Una zingara.
[…] Si vergognava? Era per questo che se ne stava rannicchiata in fondo alla parete di assi, era per questo che voleva mantenere almeno mezzo centimetro di distanza da Else? Sì, forse era così, anche se non sapeva perché. Forse perché aveva mentito? Perché girava per il campo con una cicatrice sul braccio, un triangolo giallo e un numero falso sulla fascia? Ma c’era una vera ragione per vergognarsene? In fondo si trattava di qualcosa che era successo senza alcuna colpa da parte sua, una coincidenza sommatasi a un’altra coincidenza, niente di calcolato e pianificato. Oltretutto non le dava neanche un vantaggio in rapporto alle SS e alle Aufseherinnen, anzi. La ragazza smunta che aveva conosciuto all’arrivo aveva ragioni: i nazisti odiano gli ebrei più di quanto odiassero gli zingari. E però gli altri prigionieri disprezzavano gli zingari più degli ebrei. Il fatto era che nessuno, a parte le puttane e i ladri, sembrava disprezzare gli ebrei, mentre tutti si permettevano di disprezzare gli zingari.”

Questo libro non è testimonianza diretta (come la maggior parte dei libri sull’Olocausto) ma è un ricostruzione inventata e apre uno squarcio su un aspetto dei campi di concentramento di cui si parla poco: ad essere deportati e sterminati non sono stati solo gli ebrei (senza naturalmente nulla togliere alla gravità del fatto) ma anche altre “categorie” tra cui parlando di etnie i rom, per i quali c’era una specifica sezione nel campo di Auschwitz-Birkenau e sono stati utilizzati per esperimenti scientifici (sorte toccata al fratellino di Miriam). Alla fine del libro ci sono le note dell’autrice dove racconta la presenza di alcuni personaggi realmente esistiti e la cosiddetta “rivolta degli zingari” e un dettagliato corredo bibliografico.  

“… dopo qualche settimana ad Auschwitz, si era resa conto che i rom erano gli unici a essere stati assegnati a un settore organizzato per famiglie. Tutti gli altri prigionieri scelti per ammazzarsi di lavoro al servizio del Reich erano stati messi in settori maschili e femminili separati. I rom no. Nel loro campo gli uomini si mescolavano alle donne e ai bambini. All’inizio Malika non capiva perché, ma poi ci era arrivata. Paura. Gli uomini delle SS, quei signori incredibilmente forti, eleganti e impettiti, erano in realtà intimoriti dagli zingari e dalla loro presunta ferocia. Avevano capito che, se si fossero separati i mariti dalle mogli e i genitori dai figli, avrebbero opposto resistenza e non volevano che succedesse. Di conseguenza avevano stipato nel settore degli zingari intere famiglie lasciando che fossero gli adulti a decidere dove dormire. Non che fosse servito a molto. La resistenza avevano dovuto affrontarla lo stesso. […] Sì, era successo. I rom avevano opposto resistenza. E avevano trionfato sulle SS. I rom erano gli unici ad aver mai sconfitto le SS ad Auschwitz. Quel ricordo la indusse a rannicchiarsi il più possibile. Se avesse continuato a chiamarsi Miriam non avrebbe mai potuto raccontare di quella sera. D’altra parte, nessuno avrebbe mai dato ascolto a una Malika eventualmente resuscitata. La gente avrebbe creduto che fosse tutta una menzogna e un’invenzione, stupide fantasie da zingari. Invece non era così. Era vero. Più vero che mai. I rom avevano opposto resistenza. E avevano sconfitto le SS.”

È sicuramente una storia malinconica, triste e dolorosa ma come dico sempre parlando di libri che trattano dell’Olocausto, necessaria. Serve a ricordare e a spronarci a non dimenticare per non ripetere gli stessi errori. E serve anche a insegnarci ad apprezzare quello che abbiamo.

Ho trovato estremamente interessante il punto di vista dell’autrice Majgull Axelsson e voglio approfondire la conoscenza.

Fatemi sapere nei commenti se avete letto questo o altri libri di Majgull Axelsson.


venerdì 5 settembre 2025

LA VERITÀ SUL CASO HARRY QUEBERT DI JOËL DICKER

TITOLO: La verità sul caso Harry Quebert
AUTORE: Joël Dicker     traduzione di: Vincenzo Vega
EDITORE: Bompiani
PAGINE: 779
PREZZO: € 12,90
GENERE: letteratura svizzera, thriller, giallo
LUOGHI VISITATI: Aurora nello New Hampshire (cittadina immaginaria)


La verità sul caso Harry Quebert è un libro famosissimo, da cui hanno tratto anche un film con Patrick Dempsey che prima o poi recupererò. C’è un simpatico fun fact su questo libro: quando uscì si vedeva (ma è così ancora oggi) dappertutto e io mi ero fissata che non l’avrei mai letto perché troppo commerciale, avevo delle idee veramente idiote e malsane. Invece alla fine l’ho comprato e letto e me ne sono innamorata.
È un bel thrillerone che tiene incollati alle pagine e vuoi andare avanti e vedere cos’altro succede, è molto scorrevole e ricco di colpi di scena, talvolta avevo quasi paura a girare pagina perché temevo una nuova sorpresa.

Veniamo però al contenuto: è un romanzo con uno scrittore per protagonista (o meglio due): voce narrante è Marcus Goldman, giovane scrittore talentuoso il cui primo romanzo diventa subito un best seller assoluto e riceve l’incarico di scrivere un altro. Ma ecco il problema gli viene un bel blocco dello scrittore: non riesce a scrivere nulla di proponibile; nel tentativo di superare il blocco si reca ad Aurora nel New Hampshire a casa di Harry Quebert, suo amico e mentore, oltre che professore universitario e a sua volta scrittore famosissimo. Qualche tempo dopo nel giardino di Quebert, durante dei lavori, viene ritrovato il corpo di una ragazza - Nola Kellenger - scomparsa nell’agosto del 1975 all’età di 15 anni, oltre al corpo viene ritrovata una copia del capolavoro di Quebert “L’origine del male” (pubblicato lo stesso anno) ed emerge che il romanzo si ispira alla loro storia d’amore rendendo lo scandalo ancor più grande (all’epoca Quebert aveva passato i trenta). L’unico che crede fermamente all’innocenza di Quebert è Marcus che si mette a fare ricerche e indagini sia per conto proprio che con l’ispettore incaricato del caso.

Il romanzo presenta una struttura narrativa articolata sia a livello strutturale perché ogni capitolo si apre con una conversazione tra Marcus ed Harry inerente la scrittura, sia sul piano temporale dove si alternano il presente narrativo con le indagini per scoprire/capire la colpevolezza o meno di Harry con il passato, passato che è la cruciale estate del 1975, ma anche il passato di Marcus (soprattutto giovinezza e anni universitari) e il passato dei protagonisti. Man mano che si legge conosciamo. Procedendo con la lettura si conoscono i vari personaggi come Nola e la sua storia, la sua relazione con Quebert, i vari abitanti di Aurora, in particolare quelli che girano attorno alla tavola calda di Jenny Quinn, il capitano Pratt e il suo assistente Travis Dawn. E raccogliamo i vari tasselli della storia che pian piano si mettono insieme, naturalmente non a tutti fa piacere avere Goldman tra i piedi a curiosare su una storia passata e riceve anche delle minacce.

Come detto all’inizio è un libro che tiene incollati alle pagine, un giallo deduttivo con tanti momenti di tensione e tu lettore vuoi vedere come va a finire, chi è il colpevole. È un libro che mi è piaciuto moltissimo ma c’è un particolare che mi ha lasciato abbastanza perplessa, che non mi convince del tutto. Me ne sono accorta a fine libro mentre ripensavo alla vicenda, devi avere tutte le carte in mano, devi conoscere tutta la storia per poter dire: ok, ma se le cose andavano così non mi convincono troppo. Non voglio dire molto perché potrei fare degli spoiler e non mi sembra giusto, ma se qualcuno vuole approfondire ne parliamo volentieri in privato.

Un aspetto che viene molto esplorato in questo libro è la scrittura e la mente di uno scrittore, in fondo tutto nasce ed è legato alla scrittura di un libro, e lo stesso Goldman va dal vecchio amico Quebert perché ha un blocco dello scrittore; ogni capitolo si apre con un dialogo in materia di scrittura. Questo per me è un plus, sono sempre molto affascinata e interessata alla vita diciamo privata degli scrittori, anche se in questo caso sono di fantasia.

In ogni caso anche se è il primo libro di Dicker che leggo, ho sentito una sorta di affinità con questo scrittore di cui voglio leggere altro se non tutto, sicuramente gli altri libri che hanno per protagonista Goldman (anche se non si tratta di una serie).

Vi aspetto nei commenti, fatemi sapere se lo conoscete.