AUTORE: Amélie Nothomb traduzione di: Biancamaria Bruno
EDITORE: Voland
PAGINE: 105
PREZZO: € 13
GENERE: memoir, letteratura belga
LUOGHI VISITATI: Giappone anno 1990
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Primo approccio ad Amélie Nothomb ed ho deciso di iniziare
con il primo libro pubblicato, anche se non è il primo che ha scritto. Nothomb
è un autrice belga, molto prolifica (esce circa un libro nuovo all’anno e sono
sempre libri “brevi) e con una scrittura molto tagliente, caustica e concisa.
Stupori e tremori racconta la prima esperienza lavorativa di
Nothomb alla multinazionale giapponese Yumimoto. Nel libro parla esclusivamente
del lavoro, non c’è nulla al di fuori della vita lavorativa, cosa fa, dove
vive, chi frequenta, se ha amici, eccetera. Infatti avevo grande curiosità
rispetto a questi aspetti, leggendo della sua esperienza mi sono chiesta come
fosse la vita fuori e lo possiamo scoprire leggendo un altro suo libro “Né di
Eva né di Adamo”.
Abbiamo una narrazione per episodi di un esperienza
dell’autrice che ci narra il suo anno di lavoro in sequenza cronologica, ci
viene raccontato solo quello che conosce o di cui viene a conoscenza e per
questo non ci sono approfondimenti psicologici.
Ciò che emerge praticamente subito è che quel lavoro non è
adatto a lei e alle sue caratteristiche e qualità eppure nonostante l’esperienza
sia quasi un viaggio infernale che la porta in gironi sempre più bassi, non si
licenzia perché per un giapponese è impensabile (e disonorevole) dimettersi
quindi porta a termine l’intero anno di contratto.
Offre uno spaccato molto interessante sul Giappone, in
particolare sulla vita lavorativa/professionale giapponese: un ambiente
estremamente severo, austero e di durissimo lavoro, dove il merito conto
davvero tanto, dove è richiesta tanta fatica e sacrificio, con regole
gerarchiche rigide e con un rispetto pressoché assoluto verso i superiori e le
regole ma dove c’è tanta invidia. Un aspetto che mi ha stupito molto è “il ruffianare”:
l’arte delatoria (almeno per come l’ho capito io) non è visto come qualcosa di
brutto anzi è qualcosa di utile all’azienda e in generale nella società e si
basa sul dovere di rispettare le regole (morali e di condotta) e dove ciò non
avviene è giusto informare i superiori (Nothomb ci dice che il fare la spia è
qualcosa di tipico anche della cultura cinese oltre che giapponese).
Altra cosa che mi ha stupito e per certi aspetti fatto
sorridere ma anche riflettere è il razzismo verso gli occidentali: i giapponesi
si reputano superiori agli occidentali (per tante ragioni ad esempio per i
rigidi codici di condotta a cui si attengono oppure perché non sudano) e per
quanto il razzismo è sempre qualcosa di negativo mi ha permesso di vedere come
in fondo un po’ tutti cercano una ragione per sentirsi diversi e migliori degli
altri e per un volta è “il bianco” quello diverso e sbagliato. La questione del
“sudare” è una curiosità interessante e trovo quasi divertente il fatto che i
giapponesi considerino disdicevole, poco onorevole sudare e guardano agli
occidentali che sudano molto, puzzano molto e nemmeno si accorgono della
gravità della cosa, con sdegno e rimprovero. Su questo argomento Nothomb racconta
un episodio piuttosto divertente.
“Quando lo straniero odoroso se ne andò, la mia superiore
era esangue. E tuttavia non era finita. Il capo del settore, il signor Saito,
fu il primo a mettere becco e a colpire:
- Non avrei potuto resistere un minuto di più!
Autorizzava così ogni maldicenza. Gli altri ne approfittarono subito:
- Si rendono conto, questi bianchi, che appestano l’aria?
- Se solo riuscissimo a fargli capire che puzzano, finalmente avremmo in
Occidente un mercato favoloso per deodoranti efficaci!
- Potremmo forse aiutarli a puzzare di meno, ma non potremmo mai evitare che
sudino. È la loro razza.
- Da loro perfino le belle donne sudano.
Erano pazzi di gioia. L’idea che le loro parole potessero indispormi non li
sfiorò neppure. Dapprima ne fui lusingata: forse non mi consideravano una
bianca. La lucidità mi tornò molto presto: se facevano discorsi del genere in
mia presenza, era solo perché contavo meno di niente.” Pag 64 e 65
Nothomb ha una scrittura cinica, dura, colpisce dritto al
punto in modo diretto, è quasi asettica e priva di empatia. Ha una grande
capacità di sintesi ad esempio paragona la ramanzina che il superiore Omochi fa
alla signorina Mori ad uno stupro, è una similitudine brutale ma ben congegnata,
che ben rappresenta e fa capire ciò che ci sta raccontando.
Con la lettura di questo libro facciamo un viaggio nella
cultura giapponese, nel mondo e nella vita reale del Giappone, non solo nello
specifico un ambiente lavorativo ma anche più in generale, quella giapponese è una
realtà affascinante ma anche o forse proprio per questo molto diversa e lontana
dalla nostra occidentale. Il tutto è filtrato dagli occhi di un occidentale,
per quanto Nothomb sia profondamente innamorata del Giappone (tanto che il suo
primo lavoro lo fa lì) e per quanto sia anche una grande conoscitrice del Giappone,
non è una giapponese, e questo secondo me permette di percepire le differenze
cosa che non sempre riesce a fare un semplice romanzo (la filtratura di Nothomb
si vede quando sottolinea le diversità) per me è un plus molto importante.
Poiché come detto prima è raccontata un esperienza reale,
con persone reali mi piacerebbe molto sapere se e come le persone presenti nel
libro hanno reagito al libro, penso in particolare alla signorina Mori, che
essendo la diretta superiore di Nothomb è molto presente.
Sono molto contenta di aver letto questa autrice che mi ispirava
da tanto, mi è piaciuta molto con questa scrittura quasi sarcastica, cinica ma
estremamente reale e diretta, sicuramente leggerò molto altro di suo, l’aspetto
positivo che sono tutti libri piuttosto brevi ma di contro sono tantissimi. È
un memoir che ci racconta molto anche dell’autrice, del suo modo di essere e di
vivere il mondo e ci spiega anche la scelta del titolo.
Fatemi sapere se lo avete letto, se vi piace Amélie Nothomb
e cosa mi consigliate di suo.