mercoledì 10 febbraio 2021

L'ISOLA DI ARTURO DI ELSA MORANTE

TITOLO: L'isola di Arturo
AUTORE: Elsa Morante
EDITORE: Einaudi (collana ET Scrittori)
PAGINE: 392
PREZZO: € 13,00
GENERE: romanzo di formazione, letteratura italiana
LUOGHI VISITATI: isola di Procida fine anni '30
Vincitore del Premio Strega nel 1957

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Una storia bella, toccante e tragica.

Protagonista e voce narrante è Arturo Gerace, che adulto ricorda e racconta la sua infanzia e fanciullezza sull’isola di Procida.

Arturo vive e cresce praticamente da solo e abbandonato a sé stesso sull’isola di Procida, è orfano di madre e il padre, va e viene, torna, sta qualche giorno e riparte per il continente, fa quello che vuole e del figlio praticamente non si interessa. Nei primissimi anni di vita Arturo ha un balio, un ragazzo napoletano di nome Silvestro – che è anche praticamente il suo unico amico – che però lascia Procida quanto è chiamato al servizio di leva; da quel momento l’unico aiuto arriva da Costante, il colono che fa da cuoco ai Gerace, andando alla casa una volta al giorno a cucinare i pasti che lascia in cucina.

“La mia casa non dista molto da una piazzetta quasi cittadina (ricca, fra l’altro, di un monumento di marmo), e dalle fitte abitazioni del paese. Ma, nella mia memoria, è divenuta un luogo isolato, intorno a cui la solitudine fa uno spazio enorme. Essa è là, malefica e meravigliosa, come un ragno d’oro che ha tessuto la sua tela iridescente sopra tutta l’isola.”

Arturo vive in una decadente abitazione signorile detta “la casa dei Guaglioni” perché il vecchio proprietario Romeo l’Amalfitano (grande amico del padre di Arturo, Wilhelm a cui rimarrà in eredità) era solito fare molte feste ma invitando esclusivamente uomini e ragazzi perché odiava le donne, tutte le donne nel loro genere.

La vita di Arturo scorre tra giornate in esplorazione dell’isola e in giro per il mare con la sua barca e la lettura dei libri e romanzi che si trova in casa, su cui si forma e che rappresentano anche la sua unica fonte di istruzione e termine di paragone con la vita e il mondo. La vita che conduce Arturo è selvaggia e libera e senza regole, una vita che condivide con la sua fedelissima cagnetta Immacolatella.

“… Mio padre non si curò mai di farmi frequentare le scuole: io vivevo sempre in vacanza, e le mie giornate di vagabondo, soprattutto durante le lunghe assenze di mio padre, ignoravo qualsiasi norma e orario. Soltanto la fame e il sonno segnavano per me l’ora di rientrare a casa.”

“Le serate invernali, e i giorni di pioggia, io li occupavo con la lettura. Dopo il mare, e i vagabondaggi per l’isola, la lettura mi piaceva più di tutto. Per lo più leggevo in camera mia, sdraiato sul letto, o sul canapè, con Immacolatella ai miei piedi”

Arturo è profondamente stregato dal padre, che vede quasi come un dio, e lo imita in tutto e per tutto a partire dal comportamento arrogante verso gli abitanti dell’isola con cui praticamente non stringe amicizia ne intrattiene rapporti.

“La mia infanzia è come un paese felice, del quale lui è l’assoluto regnante! Egli era sempre di passaggio, sempre in partenza; ma nei brevi intervalli che trascorreva a Procida, io lo seguivo come un cane. Dovevamo essere una buffa coppia, per chi ci incontrava! Lui che avanzava risoluto, come una vela nel vento, con la sua bionda testa forestiera, le labbra gonfie e gli occhi duri, senza guardare nessuno in faccia. E io che gli tenevo dietro, girando fieramente a destra e a sinistra i miei occhi mori, come a dire: ‘Procidani, passa mio padre!’ La mia statura, a quell’epoca, non oltrepassava i molto il metro, e i miei capelli neri, ricciuti come quelli di uno zingaro, non avevano mai conosciuto il barbiere (quando si facevano troppo lunghi, io, per non esser creduto una ragazzina, me li accorciavo energicamente con le forbici; soltanto in rare occasioni mi ricordavo di pettinarli; e nella stagione estiva erano sempre incrostati di sale marino).”

Una prima svolta arriva il giorno in cui il padre comunica che si sposa e tornerà sull’isola con la nuova moglie, Nunziata.

“Non tentavo per nulla di raffigurarmi quale aspetto e quale carattere potesse avere la nuova sposa di mio padre. Respingevo ogni curiosità. Che quella donna fosse fatta in un modo, o in un altro, per me, era uguale. Essa, per me, significava soltanto: il Dovere. Mio padre l’aveva scelta, e io non dovevo giudicarla.
Secondo i libri che avevo letto, una matrigna non poteva essere che una creatura perversa, ostile e degna di odio. Ma, come sposa di mio padre, costei, per me, era una persona sacra!”

Il rapporto tra Arturo e la matrigna non è semplice, Arturo è duro, scontroso, odia Nunziata forse perché lei rappresenta un ostacolo, un intruso nel suo rapporto col padre, che fino a quel momento (almeno sull’isola) era esclusivo, ora non può più avere tutte le (già scarsissime) attenzioni del padre per sé, probabilmente Arturo è geloso, geloso di tutto e tutti, del resto il padre è l’unico parente che ha al mondo. In realtà lo stesso Arturo a distanza di tanti anni non sa spiegare il suo sentimento verso la matrigna; è molto crudele con lei, non le parla, la lascia perennemente sola anche durante i pasti e soprattutto fa di tutto per instillare in Nunziata paura e terrore e si rammarica che nonostante il suo comportamento burbero e scontroso non riesce a causarle paura e alla base di questa sua ossessione c’è il desiderio di imitare e assomigliare al padre. Potrebbero invece farsi forza e compagnia a vicenda, in fondo sono entrambi due ragazzini.

“Soprattutto, una cosa mi esasperava sempre più, col passare dei giorni: e cioè che lei, tato timorosa di mio padre, di me, invece, non mostrava, mai, alcun timore! Quand’io la offendevo e la ingiuriavo, sebbene non mi replicasse mai nulla, tuttavia mi stava di fronte impavida come una leonessa. Simile suo contegno era un’altra riprova evidente che costei mi trattava alla stregua di un ragazzino, il quale non può farsi temere da una matrona pari a lei. Eppure, dall’epoca del sua arrivo, già la differenza fra le nostre due stature appariva abbastanza diminuita; e la sua audacia era uno schiaffo per me. Io avrei voluto, per soddisfazione del mio orgoglio, ispirarle paura quanto mio padre, in cospetto del quale essa tremava solo a un’ombra che gli passasse sulla fronte! e spesso, dimenticando tutte le altre mie ambizioni, mi perdevo nel progetto di diventare, da uomo, un brigante, un capobanda terribile, tale ch’essa dovrebbe cadere svenuta solo alla mia vista. Perfino la notte, certe volte, mi svegliavo con questo pensiero: Voglio farle paura, e m’immaginavo di usarle cattiverie inaudite, ogni sorta di barbarie, nella smania di essere odiato da lei com’io la odiavo.
Quando le impartivo ordini, e mi facevo servire da lei, mi atteggiavo alla maniera di un torvo imperatore che si volga a un soldato semplice. E lei era sempre docile e pronta a servirmi, ma questa sua ubbidienza mi non sembrava, per nessun segno, dettata dalla paura. Anzi, nell’affaccendarsi per me, ella si animava e assumeva perfino delle maniere pompose. E la sua faccia, da brutta e smorta, ridiventava fresca come un gelsomino. Forse, elle sperava che da parte mia il comandarlo, e il farmi servire da lei, significasse già un principio di riconciliazione? Non c’era modo di farle capire quanto fosse spietato il mio animo.”

Ma invece nonostante tutto Nunziata tiene un atteggiamento e un comportamento amorevole e pieno di cure e attenzioni verso Arturo, mandandolo ulteriormente in bestia:

“Il fatto era che io non volevo né cure né attenzioni da lei. La comandavo, per avere la soddisfazione di umiliarla, trattandola come un automa, un oggetto; ma le sue attenzioni gentili (quasi che davvero si presumesse una mia parente, mia madre!), mi erano insopportabili. In più di una occasione tornai a ripeterle: -Fra noi non c’è nessuna parentela. Tu non mi sei niente.”

Nunziata proviene da una famiglia molto povera, anche lei è orfana però di padre morto in un incidente sul lavoro, e la sua vita è immensamente triste, anche se forse la sua ignoranza e la sua semplicità non le consentono di comprendere appieno la sua situazione.

“Le sue noti, volgari, stridenti, si trascinavano piene di malinconia, come se tutte le canzoni che lei cantava avessero un argomento triste. Ma essa, credo, non aveva pensieri, e nemmeno era consapevole di non esser felice. Una pianta di garofano o di rosa, anche se, invece che in giardino, le tocca di stare sull’angolo di una finestruola, dentro un coccio, non si mette a pensare: Potrei avere un’altra sorte. E così era fatta lei, altrettanto semplice.”

Non capisco davvero il perché del matrimonio tra Wilhelm e Nunziata, capisco bene la famiglia di lei che la spinge tra le braccia di un uomo più vecchio, palesemente burbero e scontroso ma un “miliardario” o meglio un possidente, quindi un uomo benestante almeno secondo i suoi racconti. Ma non capisco le ragioni che hanno spinto Wilhelm a sposarsi e a insistere per avere Nunziata, pur di averla si converte al cattolicesimo ma l’ha sempre trattata male anche ai tempi del fidanzamento

“Così, divennero fidanzati. Ormai, gli si era promessa, ella non pensava più a sfuggirlo, sebbene, solo al vederlo da lontano, si sentisse gelare di spavento. Ciò che soprattutto la impauriva, era di trovarsi sola con lui; né avrebbe saputo dire la ragione di questo fatto, giacché in realtà, quando non v’erano altre persone, egli la trattava alla maniera solita, senza farle molta attenzione né darle confidenza, al punto che, andando a spasso con lei, non la teneva neppure sottobraccio. In ciò, essi differivano da tutti gli altri innamorati, che si vedevano andare in giro abbracciati e stretti; forse, ella pensava, lui era diverso perché era nato in un paese forestiero, e là al suo paese i fidanzati andavano in questo modo. Se talvolta egli la toccava, era solo per farle del male, come per esempio tirarle i ricci, o scuoterla per un braccio, o altri dispetti simili. Non erano dispetti terribili, ma pure bastavano a farla tremare. Ed egli allora la lasciava stare, e rideva fieramente dicendole: -Se hai tanta paura adesso, che siamo appena fidanzati, che sarà, quando ci sposeremo?

E infatti il trattamento che Wilhelm riserva alla neo sposa è davvero crudele e cattivo, non fa nulla per metterla a proprio agio, la tratta fondamentalmente come un serva e continuerà a fare la sua solita vita di giramondo.

“-Ricordati, - egli riprese, accendendosi di maggior violenza ad ogni parola, - che, sposati o no, io rimango sempre libero di andare e venire quando voglio, e non devo rispondere a nessuno di me stesso! Per me non esiste nessun obbligo né dovere, IO SONO UNO SCANDALO! Eh, non sarò a te, nennella, che dovrò render conto delle mie fantasie! Deve ancora nascere quel grande imperatore che potrà tenere in gabbia Wilhelm Gerace! E se tu, povera bambola pidocchiosa, credi che in conseguenza dello sposalizio, io deva rimanere attaccato ai tuoi stracci, farai meglio a disingannarti subito!”

“Mio padre girò il capo verso di lei: -Taci, tu- le rispose, -che sei appena nata, e, inoltre, sei nata stupida! Se dici ancora un’altra parola, ti ammazzo! Di certi sentimenti, ne faccio a meno io: li lascio ai disgraziati, che sono liberi soltanto la domenica. Non mi vanno, a me, i romanzi d’amore, di nessun genere. Ma l’amore delle femmine, poi, è il CONTRARIO dell'amor’!”

Ad un certo punto la storia prende una piega particolare, non voglio dire scontata ma io un po’ me l’aspettavo, ciò di cui Arturo ha bisogno è amore e amore materno, la sua nuova ossessione diventano i baci che non ricorda di aver mai dato o ricevuto. Inoltre Arturo sta crescendo e scoprirà l’amore e la delusione, inizia a vedere il padre sotto una luce diversa, si sente tradito fino alla rottura finale e l’abbandono dell’isola di Procida, momento che segna la sua definitiva crescita e l’ingresso nel mondo degli adulti. Fino a quel giorno Arturo è vissuto isolato dentro un universo tutto suo, non sapeva nulla della realtà del mondo esterno a Procida.

“In sostanza, io conoscevo la storia fino dai tempi degli antichi egiziani, e le vite degli eccellenti condottieri, e le battaglie di tutti i passati secoli. Ma dell’epoca presente contemporanea, non sapevo nulla. Anche quei pochi segnali dell’epoca presente che arrivavano all’isola, io li avevo appena intravisti senza nessuna attenzione. Non m’aveva incuriosito mai, l’attualità. Come fosse tutto cronaca ordinaria da giornali, fuori dalla Storia fantastica, e delle Certezze Assolute.”

La scrittura è ricca ed immersiva con tante parole del dialetto locale che rendono ancora più vivido e reale il personaggio di Arturo. Come detto la narrazione è in prima persona, è lo stesso Arturo a raccontare e ovviamente l’unico punto di vista e le uniche sensazioni e pensieri che possiamo conoscere sono i suoi; così noi lettori non possiamo entrare nella mente degli altri personaggi che rimangono indefiniti e quasi incompiuti e i loro segreti nascosti.

La storia di Arturo, ma anche quella di Nunziata, mi ha suscitato tanta tenerezza, sono storie tristi e dolorose mentre Wilhelm mi ha riempito di rabbia.

I personaggi sono ben delineati e anche molto realistici, ma come detto conosciamo davvero bene solo Arturo.

Arturo è un ragazzino taciturno, abituato alla libertà e alla solitudine del resto – come detto – ha praticamente sempre vissuto solo, cerca di imitare il padre e di fare colpo su di lui (senza riuscirci), vede nel padre un Dio infallibile e un esempio da seguire, è appassionato di lettura, con una grande sete di avventure in giro per il mondo come quelle che legge nei suoi romanzi e come quelle che crede il padre viva tutte le volte che è lontano dall’isola. Probabilmente Arturo soffre “di gelosia” verso tutto e tutti, in particolare verso ciò che può essere di intralcio tra lui e l’oggetto dei suoi desideri, in primis il padre, e questo sentimento lo spinge a comportamenti odiosi e strafottenti, non è abituato a mostrare e tanto meno a parlare delle proprie emozioni; tutto sommato lo si può anche capire, non è altro che un ragazzino che è dovuto crescere per forza, che non sa cos’è una famiglia e cos’è l’amore.

Nunziata arriva a Procida giovanissima, ha sedici anni (Arturo ne ha quattordici!) fa quel che può per badare alla casa e al figliastro, nonostante tutto cerca di essere amorevole e paziente con Arturo, è molto religiosa e riuscirà a fare amicizia con altre donne.

Wilhelm è prepotente, beffardo, tirannico, violento e feroce, scostante; è una figura sfuggente e misteriosa, ma anche invincibile e un vero eroe questo è quello che pensa Arturo, che come ogni bambino adora il padre. Forse anche perché il narratore è Arturo che Wilhelm rimane sfocato, fino alla fine non si capiscono le ragioni di molte sue scelte, non fa nulla né per il figlio né per Nunziata, non fa nulla nemmeno per facilitare la loro convivenza. Semplicemente vive la sua vita fregandosene degli altri. È un personaggio antipatico che ho odiato profondamente per il suo comportamento arrogante e menefreghista verso il figlio. Perché se ne va in giro e lascio Arturo da solo a Procida? Cosa fa in giro? Che lavoro fa? Certo va contestualizzato al periodo storico in cui è ambientato ma io non posso e non voglio credere che tutti gli uomini e mariti fossero come Wilhelm e nello stesso romanzo viene data prova che questa non è l’unica realtà possibile.  Wilhelm forse solo una volta o massimo due fa il padre, rimane torbido e pieno di misteri che non vengono svelati anche se alla fine del libro il lettore può intuire alcune cose e azzardare ipotesi che però non possono trovare conferma; per me rimane un uomo assolutamente mediocre e insulso e lo trovo uno dei personaggi più antipatici che finora ho trovato nei libri.

Un bellissimo romanzo di formazione con un protagonista indimenticabile, libero, selvaggio con un proprio codice d’onore e una terribile storia di solitudine.

Una lettura magnifica che rimarrà a lungo nei miei pensieri.

Conoscete Elsa Morante? Avete letto L’isola di Arturo? Vi aspetto nei commenti

domenica 7 febbraio 2021

LA MIA FAMIGLIA E ALTRI ANIMALI DI GERALD DURRELL

TITOLO: La mia famiglia e altri animali
AUTORE: Gerald Durrel - traduzione di Adriana Motti
EDITORE: Adelphi
PAGINE: 354
PREZZO: € 12,00
GENERE: letteratura inglese, memoir, letteratura scientifica
LUOGHI VISITATI: Corfù, Grecia metà anni '30

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Un libro divertente.

Gerald Durrell, naturalista e scrittore inglese, in questo libro ci racconta la sua esperienza di vita sull’isola greca di Corfù dove ha passato parte della sua infanzia e adolescenza, assieme alla madre e ai fratelli nel mezzo degli anni ’30 del secolo scorso.

Gerry, come lo chiamavano in famiglia, è un ragazzino appassionato di scienze naturalistiche, passa il tempo immerso nella natura a osservare e studiare piante ed animali, anche per questo la famigli gli riserva un’intera stanza, il suo primo studio:

“Dopo la sfortunata faccenda dello scorpione, la famiglia mi aveva dato una grande stanza al primo piano per alloggiarvi le mie bestiole, nella vaga speranza che così sarebbero rimaste relegate in una determinata parte della casa. Questa stanza – che io chiamavo il mio studio e che il resto della famiglia chiamava il Cimiciaio – aveva un gradevole odoro di etere di alcool denaturato. Là dentro tenevo i miei libri di storia naturale, il mio diario, il microscopio, gli strumenti per sezionare, i retini, i vascoli e altri oggetti importanti. Grandi scatole di cartone contenevano le mie uova di uccello, le mie collezioni di scarabei, farfalle e libellule, mentre sugli scaffali c’era una bella serie di bottiglie piene di alcool denaturato nelle quali erano conversate cose di grande interesse come un pulcino a quattro zampe (regalo del marito di Lugaretzia), lucertole e serpenti vari, uova di rana in diversi stadi di sviluppo, un polipo neonato, tre topi bruni ancora piccolini (omaggio di Roger),  e una minuscola tartaruga, appena uscita dall’uovo, che non aveva resistito all’inverno. Sulle pareti, in modo sparso ma pieno di gusto, facevano bella mostra di sé una lastra di ardesia con i resti fossilizzati di un pesce, una fotografia che mi ritraeva mentre stringevo la mano a uno scimpanzé, e un pipistrello impagliato. L’avevo impagliato io stesso, senza nessun aiuto, ed ero molto orgoglioso del risultato. Visto che le mie nozioni di tassidermia erano estremamente limitate, a me sembrava che somigliasse parecchio a un pipistrello, specie se uno stava dall’altra parte della stanza. Con le ali spalancate, guardava il mondo con aria torva dalla sua tavoletta di sughero attaccata alla parete.”

Nella vita di Durrell però si deve pensare anche alla sua istruzione, non frequenta delle scuole come le conosciamo noi oggi ma va a lezione da diversi precettori che gli insegnano le basi di tutte le materie dalla matematica alle lettere passando per la storia e la geografia e le lingue straniere, in particolare studierà il francese con il console belga a Corfù. La particolarità è che questi insegnanti sono uno più bizzarro dell’altro da chi alleva uccelli in soffitta a chi si fa carico del problema dei gatti randagi.

Protagonisti indiscussi del libro sono le piante e soprattutto gli animali che Gerry ha avuto modo di “conoscere” e studiare sull’isola e le sue avventure di scoperta. Non mancano però le vicende legate alla sua famiglia e agli amici che si è fatto, soprattutto tra i contadini dell’isola e due menzioni d’onore vanno a Spiro Hakiaoupulos il taxista personale dei Durrell e a Theodore Stephanides medico e scienziato amico di tutta la famiglia ma che strinse con Gerry un legame particolarmente forte data la comune passione per le scienze naturalistiche tanto che organizzavano assieme spedizioni esplorative settimanali.

Le vicende non sono raccontate in modo scrupolosamente cronologico ma piuttosto in relazione ai vari eventi cui sono legate. La narrazione è piana, piuttosto lenta, è una lettura molto interessante anche dal punto di vista scientifico, in alcune parti si avvicina molto al saggio ma è divertente e alternata le nozioni scientifiche con le avventure della famiglia Durrell, senz’altro Gerry ci mette del suo nel creare queste “avventure” con tutti gli animali che si porta a casa, ma anche gli altri membri della famiglia sono interessanti ed eccentrici. Vengono narrate molte avventure ma non è un libro pieno d’azione. La godibilità del testo sta secondo me anche e soprattutto nel taglio ironico e divertente che Durrell è riuscito a dare alla ricostruzione di questi anni di vita. È un opera che viene presentata come autobiografica, ed è vero ma nella ricostruzione Durrell si è preso diverse licenze poetiche.  Emerge tutta la passione per il mondo naturale circostante, che Durrell aveva già da piccolissimo e che poi è diventato non solo il suo lavoro ma la sua ragione di vita.

Dalla lettura è possibile anche farsi un quadro generale della vita a Corfù - che sembra piuttosto oziosa almeno nella campagna - e dei suoi abitanti “umani” oltre che del meraviglioso paesaggio e degli aspetti naturalistici. Inoltre in quegli anni l’isola era meta di artisti alla ricerca di tranquillità e ispirazione ed è proprio questo il motivo del trasferimento a Corfù della famiglia Durrell, il fratello maggiore Lawrence (Larry) infatti è uno scrittore.

“«Sei straniero?» domandò, aspirando profondamente e con immensa soddisfazione.
Dissi che ero inglese, e che vivevo con la mia famiglia in una villa sulle colline. Poi aspettai le inevitabili domande sul sesso, il numero e l’età dei miei parenti, il loro lavoro e le loro aspirazioni, seguite da un abile interrogatorio per appurare il perché vivevamo a Corfù. Questa era la solita prassi dei contadini; lo facevano in modo non antipatico, ed erano spinti soltanto da un amichevole interesse. Loro ti raccontavano tutte le loro faccende personali con la massima semplicità e franchezza, e si sarebbero offesi se tu non avessi fatto altrettanto.”

 “L’isola sonnecchiava sotto di noi, scintillante come un acquarello appena dipinto, nella foschia dell’afa: ulivi grigioverdi, cipressi neri, rocce multicolori lungo la costa, e il mare levigato e opalescente d’un azzurro martin pescatore, verde giada, con qualche lieve increspatura sulla sua superficie liscia dove si incurvava intorno a un promontorio roccioso e fitto di ulivi. Proprio sotto di noi c’era una piccola baia lunata col suo bordo di sabbia bianca, una baia così bassa e con un fondo di sabbia così abbagliante che l’acqua era di un azzurro pallido, quasi bianco.”

“Sotto la villa, tra una fila di colline su cui essa si ergeva e il mare, si stendevano i Campi a Scacchiera. Il mare si insinuava nella costa formando una grande baia quasi del tutto chiusa, poco profonda e vivida, e sul terreno piatto lungo i suoi bordi si stendeva l’intricato disegno dei canali che una volta, ai tempi di Venezia, erano state delle saline. Ognuno di quei simmetrici pezzetti di terra incorniciati dai canali era intensamente coltivato e tutto rigoglioso di vegetazione, dalle messi del granoturco alle patate, ai fichi, alle vigne. Questi campi, minuscoli e vividi riquadri contornati dalle acque scintillanti, si stendevano come una vasta scacchiera multicolore sulla quale si muovevano da un punto all’altro le colorate figure dei contadini.
Era una delle aree che preferivo per le mie esplorazioni, perché i piccoli canali e il sottobosco lussureggiante albergavano di una moltitudine di creature.”

Questo libro mi ricorda molto “Il libro del mare” di Morten A. Stroksnes e forse anche “L’arte di collezionare mosche” di Fredrik Sjöberg entrambi libri che possiedo e aspettano di essere letti, vi farò sapere se ho visto giusto.

Voglio terminare la mai recensione riportando – un po’ come fa il libro che si chiude con un messaggio del Durrell Wildlife Conservation Trust, un ente caritatevole che si occupa della salvaguardia dalla natura fondato dallo stesso Gerald assieme ad uno zoo sull’isola di Jersey – una frase scritta da Gerald Durrell che trovo bella ma soprattutto importantissima: “Gli animali sono la grande maggioranza senza voto e senza voce che può sopravvivere solo col nostro aiuto”.

È un libro molto divertente che consiglio di leggere soprattutto a chi è appassionato della natura che ci circonda, permette di scoprire molte curiosità sul mondo animale senza essere pesante o noioso, non conoscevo molti nomi (soprattutto di piante e di animali e li ho cercarmi sono cercata su google moltissimi nomi (soprattutto) di piante e di animali che non conoscevo, è quasi un documentario su carta che intrattiene e diverte e intermezza le spiegazioni con le vicende personali. E infine, ma non per importanza, permette di scoprire un’importante figura del panorama scientifico (che sembra piuttosto simpatico).

Conoscete questo libro? Avete letto qualcosa di Gerald Durrell? Fatemi sapere nei commenti.

 

domenica 31 gennaio 2021

IL MISTERO DI RUE DES SAINTS-PÈRES DI CLAUDE IZNER

TITOLO: Il mistero di Rue des Saint-Pères
AUTORE: Claude Izner - traduzione di Chiara Salina
EDITORE: Tea Libri
PAGINE: 309
PREZZO: € 9,00
GENERE: romanzo giallo, letteratura francese
LUOGHI VISITATI: Parigi anno 1889

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Victor Legris è proprietario della libreria Elzévir in Rue de Saint-Pères. È quel genere di investigatore non professionista che suo malgrado si ritrova coinvolto in misteri e delitti da risolvere. Giovane, appassionato di fotografia, dotato di un acume e testardaggine e tanta curiosità si butta a capofitto nella risoluzione di un caso particolare: quello delle api assassine.

Il caso è stato definito delle api assassine perché alcune persone muoiono improvvisamente dopo essere state punte da un insetto, o almeno questo è quello che credono e raccontano agli astanti negli ultimi momenti di vita. Le morti avvengono alla luce del sole, in pieno giorno e in mezzo alla folla dell’Esposizione Universale!

Il nostro Victor si trova coinvolto anzitutto perché si trovava sulla torre quando muore la prima vittima la signora Patinon e questo scatena la sua curiosità personale. Si accorge che l’unico elemento di legame tra le vittime è il fatto che hanno firmato l’albo d’oro del giornale Figaro sulla Torre lo stesso giorno, inoltre sembra che il suo socio Kenji Mori possa avere dei legami con alcune vittime.

Inizia così la ricerca della verità, fatta di ricerche forsennate, pedinamenti, bugie, incontri spiacevoli, supposizioni e tutto in gran segreto. Victor vuole raggiungere la verità ma ha anche paura di scoprirla perché il colpevole potrebbe essere una persona a cui vuole bene.

“Non appena cominciò a leggere il Dizionario delle droghe e dei veleni, Victor sentì che si stava avventurando lungo una strada pericolosa. Non riusciva a spiegarsi perché s’intestardisse tanto nel voler ficcare il naso in quella faccenda. Intendeva convincersi che faceva male a essere tanto sospettoso nei confronti di chi gli stava vicino? Tentava di discolpare Kenji? O era, soprattutto, il desiderio di fare colpo sugli altri?”

Un giallo godevolissimo, con un buon livello di tensione e suspence che permette al lettore di viaggiare indietro nel tempo e partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 dedicata al centenario della Rivoluzione Francese e la cui principale attrattiva e protagonista è stata “la” torre di Gustave Eifell.

Ho apprezzato moltissimo l’ambientazione storica e in particolare la descrizione e il racconto dell’Esposizione di cui vengono mostrati anche i retroscena legati all’impiego di artisti e disoccupati della capitale per i figuranti e realizzare i vari allestimenti.

“Sulla riva opposta della Senna, la torre color bronzo di Gustave Eiffel svettava verso il cielo, come un enorme lampadario profilato d’oro. […] L’omnibus si fermò davanti al Palais du Trocadéro, un enorme edificio fiancheggiato da torri simili a minareti. Più in basso, oltre la striscia grigia del fiume, attraversato in lungo e in largo dai battelli, si estendevano i cinque ettari dell’Esposizione Universale.”

Oltre a Victor Legris coprotagonisti nella serie ma che ricoprono un ruolo anche nella risoluzione di questo mistero sono l’aiutante della libreria Joseph detto Jojo divoratore di libri e appassionato di gialli e cronaca nera e l’enigmatico giapponese Kenji Mori, socio e padre adottivo di Victor.

“Kenji si voltò, fissando il quadretto di Laumier posato sul comodino. «L’apparenza sta alla realtà come un tramonto sta a un incendio». Sorrise e vuotò d’un fiato il suo bicchierino di saké”

Rimangono alcuni aspetti oscuri che riguardano la vita privata dei personaggi che però verranno dipanati nel corso degli altri volumi della serie (mi sono spoilerata da sola).

L’autore Claude Izner è in realtà uno pseudonimo, dietro la sua firma si “nascondono” le sorelle Liliane Korb e Laurence Lefèvre entrambe libraie parigine e scrittici sia assieme con lo pseudonimo di Claude Izner sia singolarmente.

Penso proprio che con il tempo leggerò tutta la serie di gialli che hanno per protagonista Victor Legris, come detto mi è piaciuta sia l’ambientazione storica sia la costruzione del giallo che è molto avvincente e originale, non il movente, quello no (è vecchio come il mondo forse il più diffuso) ma come sono stati architettati e realizzati i delitti sì!

Parlarvi dei libri gialli mi mette in difficoltà perché ho sempre paura di dire qualcosa di troppo che possa rovinare la sorpresa.

Conoscete questo investigatore? Vi aspetto nei commenti.