“Aveva davvero pensato che non lo avrei riconosciuto? Lo riconoscerei anche solo dal tocco, dal profumo; lo riconoscerei anche se fossi cieco, dal modo in cui respira, da come i suoi piedi sferzano la terra. Lo riconoscerei anche nella morte, anche alla fine del mondo.”
Questo libro non è la storia di Achille, non è la storia di un eroe e nemmeno della Guerra di Troia (di cui Achille è forse il protagonista più conosciuto). È la storia di un legame, forte, indistruttibile tra due persone Patroclo e Achille, un legame di amicizia, rispetto, devozione e profondo amore.
La voce narrante è quella di Patroclo, un ragazzino esule che viene accolto allo corte di re Peleo, qui incontra Achille e ne diventerà il compagno
“Therapon fu il termine che usò. Un compagno d’armi legato a un principe da un giuramento di sangue e amore. In guerra, questi uomini erano le guardie d’onore; in pace, i consiglieri più vicini. Era una figura tenuta in altissima considerazione, un altro dei motivi per cui i ragazzi cercavano sempre di mettersi in mostra davanti al figlio di Peleo: speravano di essere scelti.”
Assieme ricevono l’istruzione del centauro Chirone sul monte Pelio, in particolare Patroclo si appassiona alla medicina. Ma sono richiamati a Ftia, il regno di Peleo e Achille, quando iniziano i preparativi per muovere guerra contro Troia. Entrambi sono costretti ad andarci ma per ragioni diverse: Achille perché è il più grande guerriero della sua generazione, è l’aristos achaion e non può non partecipare; Patroclo in virtù di un giuramento fatto a soli nove anni, quando suo padre lo aveva portato a presentarsi come pretendente della mano di Elena e in quell’occasione tutti i pretendenti avevano giurato che avrebbero difeso il prescelto e il matrimonio.
“«Ci saranno altre guerre.»
«Non come questa» disse Diomede. «Questa sarà la più grande combattuta dal nostro popolo, che verrà ricordata nei canti e nei poemi per generazioni. Sei uno sciocco se non te ne rendi conto.»
«Mi rendo conto che si tratta delle corna di un marito e dell’avidità di Agamennone.»
«Allora sei cieco. Cosa c’è di più eroico del combattere per l’onore della donna più bella del mondo, contro la più potente città d’Oriente? Nemmeno Perseo potrebbe dire di aver fatto altrettanto; nemmeno Giasone. Eracle, sarebbe disposto a uccidere di nuovo sua moglie per un’opportunità come questa. Governeremo l’Anatolia, fino all’Arabia. I nostri nomi saranno scolpiti nelle leggende per i secoli a venire.»”
La guerra sarà molto lunga e Patroclo ci racconta la vita al campo, la guerra ma soprattutto il timore, l’angoscia crescente per l’avvicinarsi della morte di Achille, perché è “scritto” che morirà e ciò accadrà dopo aver ucciso il principe Ettore, il più valoroso dei troiani. Ma per ben dieci lunghi anni questo scontro fondamentale non avrà luogo, e non è chiaro se ne è mancata l’occasione oppure sia stata deliberatamente evitata…
Non voglio aggiungere altro sulla guerra di Troia perché chi ha una solida formazione classica o comunque conosce approfonditamente l’argomento sa già cosa aspettarsi, ma chi come me invece è digiuno della materia - (la mia formazione in epica e letteratura classica è stata superficiale e in prima superiore in un istituto commerciale) certo avevo idea di cosa fosse la guerra di Troia, del motivo scatenante, dell’epicità dello scontro tra Achille ed Ettore, della vittoria dei greci grazie alla furbizia di Odisseo (cioè Ulisse) ma davvero poco altro – incontrerà delle sorprese davvero interessanti nonostante si sappia fin dall’inizio che Achille muore, perché questo lo sappiamo tutti.
Seppur in secondo piano emergono alcuni aspetti della vita nella Grecia antica, il narratore da spesso conto delle tradizioni in uso e della situazione geopolitica, anche se si tratta di una ricostruzione legata alla mitologia penso possano comunque considerarsi plausibili anche perché non contraddette dalla realtà storica ricostruita (così ad esempio la presenza di una pluralità di regni, spesso in lotta tra loro); la stessa mitologia altro non è che l’insieme delle credenze religiose dell’antica Grecia ed è utilizzata o meglio studiata dagli storici anche per ricostruirne la vita, la cultura e le tradizioni. Un aspetto particolare e importante è il ruolo fondamentale giocato nella vita dei greci dagli dei e dalle profezie, con gli Dei si immischiano continuamente con la vita dei mortali, spesso e volentieri anche concependo figli assieme, di cui Achille è un esempio.
Questo romanzo è una commistione tra mitologia e storia e fantasia.
La principale fonte è l’Iliade di Omero (come detto alla fine del romanzo), dove però si conosce il fortissimo legame tra Achille e Patroclo ma non viene specificato, definito. L’opera della Miller è un’interpretazione possibile del loro legame, a dire il vero nemmeno nuova od originale (nel senso che già in antichità questo rapporto è stato definito in termini amorosi) ma estremamente apprezzabile e godibile per il lettore. Inoltre è un’interpretazione corretta, plausibile dal punto di vista mitologico perché in linea con quanto narrato dalla mitologia greca.
Da un punto di vista storico oggi si ritiene accertata una guerra tra greci e troiani con la sconfitta dei troiani e la conseguente distruzione della loro città intorno al 1200 a.C., però questa guerra fu combattuta per ragioni politiche ed economico-commerciali e non perché i troiani avevano rapito la donna più bella del mondo.
Come dicevo a parlare è Patroclo, è lui a raccontare la sua vita al fianco di Achille e a raccontare com’era questo semidio. L’Achille uomo è un ragazzo dolce, sensibile, gentile, modesto, inconsapevole della sua bellezza e della sua potenza nonché del suo potere, appassionato di musica e canto, in una parola lo definirei quasi ingenuo, in senso positivo; ciò non toglie abilissimo nel combattimento.
“Erano le uniche occasioni in cui vedevo Achille. Viveva le sue giornate lontano da noi, da vero principe, impegnato in attività che non ci riguardavano in alcun modo. Tuttavia mangiava sempre con noi e si spostava tra i vari tavoli. Nella grande sala, la sua bellezza splendeva come una fiamma, vitale e luminosa e attraeva il mio sguardo anche contro la mio volontà. La sua bocca era un arco carnoso, il suo naso una freccia aristocratica. Quando si sedeva, le sue membra non sembravano scomposte come le mie ma trovavano sempre una perfetta grazia, come se fossero opera di uno scultore. Forse la sua caratteristica più straordinaria era la sua inconsapevolezza. Non si pavoneggiava e non si metteva in mostra come facevano di solito i ragazzi belli. Anzi, sembrava del tutto ignaro dell’effetto che aveva sugli altri. Come fosse possibile non riuscivo neanche a immaginarlo: i ragazzi gli stavano addosso come cani bramosi con la lingua che penzola fuori dalle fauci.”
“Chiunque altro avrebbe capito che Teti agiva soltanto per i suoi scopi. Come aveva potuto essere così sciocco? Quelle parole rabbiose mi pungevano la bocca. Ma quando cercai di pronunciarle, mi accorsi che non potevo. Le guance di Achille erano arrossate dalla vergogna e la pelle sotto i suoi occhi era segnata. L’essere fiducioso faceva parte di lui, come le sue mani o i suoi piedi prodigiosi. E anche se ero ferito, non volevo che perdesse la fiducia, non volevo vederlo diventare inquieto e pieno di paure come tutti noi, non lo avrei mai voluto nemmeno per tutto l’oro del mondo.”
Ovviamente il personaggio di Achille matura, anche molto, soprattutto dopo la partenza della guerra di Troia è chiamato ad andare in guerra, ad uccidere e a rendere onore al suo nome, a crearsi, a forgiare quella gloria per cui è nato e per cui deve morire:
“Achille prosperava. Andava in battaglia in preda a una vertiginosa euforia, le labbra stirate in un sogghigno mentre combatteva. Non era l’atto di uccidere che lo appagava – aveva imparato in fretta che non c’era uomo capace di tenergli testa. E nemmeno due, e nemmeno tre. Non traeva gioia da una così facile macelleria, e per mano sua morirono meno della metà degli uomini che avrebbe potuto uccidere. La cosa per cui viveva erano le cariche, la schiera di uomini che si lanciava verso i lui come una tempesta. Lì, in mezzo a venti spade che tentavano di trapassarlo, poteva finalmente, veramente combattere. Si inebriava della sua stessa forza, era come un cavallo da corsa costretto nella stalla troppo a lungo e ora libero di correre. Con febbrile e impossibile grazia, ricacciava indietro dieci, quindici, venticinque uomini. Questo è ciò che so davvero fare.”
Con il passare del tempo aumenta la tensione emotiva, aumenta la paura per la morte di Achille, per la sorte che toccherà a Patroclo. Il finale è doloroso ma anche dolcissimo e pieno di speranza.
La scrittura è scorrevole ed evocativa, si respira aria di mitologia fin dalla prima pagina. Del resto Madeline Miller ha studiato lettere classiche e ha insegnato nei licei ed ha riversato nel romanzo la sua conoscenza e la sua passione. Questo è stato il suo libro d’esordio pubblicato nel 2011, l’anno seguente vince l’Orange Prize for Fiction (oggi chiamato Women’s Prize for Fiction, premio letterario britannico che si propone di premiare la scrittura femminile, possono essere premiate solo scrittici); nel 2018 è uscito il suo secondo romanzo intitolato “Circe” che ho già messo in wish list e non vedo l’ora di leggere.
Quella della cultura greca è un mondo che mi affascina molto con questa commistione di storia e mitologia, con questa lettura partecipo al progetto #iltesorogreco. Questo romanzo mi ha ricordato un altro libro che ho letto e apprezzato molto sempre ambientato nell’antica Grecia “L’assassinio di Socrate” di Marcos Chicot, non so perché (probabilmente è solo l’ambientazione) ma fin dall’inizio della lettura qualcosa mi ha fatto accostare i due libri e i due autori.
Avete letto questo libro?