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giovedì 3 agosto 2023

IL GRAN SOLE DI HIROSHIMA DI KARL BRUCKNER

TITOLO: Il gran sole di Hiroshima
AUTORE: Karl Bruckner  traduzione di: Maria Minnellono
EDITORE: Giunti Marzocco
PAGINE: 180 circa
PREZZO: € 9 circa
GENERE: letteratura per ragazzi, letteratura austriaca, letteratura di guerra
LUOGHI VISITATI: Giappone 1945 e anni successivi
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Il Gran Sole di Hiroshima è un libro per ragazzi dello scrittore austriaco Karl Bruckner che si occupa di narrare alcune vicende legate alla Seconda guerra mondiale in particolare, come si intuisce dal titolo, si occupa della bomba atomica su Hiroshima.

A mio parare il libro può essere idealmente suddiviso in tre parti strettamente legate al lancio della prima bomba atomica: il prima, il giorno del lancio o meglio il lancio e il dopo.

Il prima della bomba: siamo a luglio 1945 in Giappone precisamente nella città di Hiroshima (che se non ho capito male doveva essere molto importante nell’ambito della produzione bellica giapponese e ospitare anche importanti basi militari) e la narrazione procede parallela su più fronti.  Abbiamo anzitutto la storia dei fratelli Sasaki, Scigheo (dieci anni) e Sadako (due anni), due bambini che devono prendersi cura l’un l’altra, la mamma lavora in una fabbrica mentre il papà è soldato lontano, di giorno girano per la città ingannando il tempo (e la fame). In questa parte emerge la vita nel Giappone in guerra: un vita fatta di privazioni e limitazioni, deduciamo come tutta la società fosse “militarizzata” e impiegata nello sforzo bellico, tutti coloro che sono abili e/o utili vengono impiegati: gli uomini nell’esercito, le donne nelle fabbriche o in altre attività utili, i ragazzi troppo giovani per arruolarsi fanno parte dei servizi ausiliari. Solo i bambini piccoli e i vecchio restano “a casa” e passano il tempo a rammaricarsi di non poter essere a loro volta utili. Schigheo è un bambino a cui piacciono i soldati e il suo passatempo preferito è proprio quello di andare ad ammirarli nei vari centri di formazione, così facciamo la conoscenza di alcuni soldati, dei loro doveri e obblighi anche morali e degli addestramenti. Ma durante le loro esplorazioni della città fanno conoscenza anche con gruppo di ragazzi dei Servizi Ausiliari, impegnati ad abbattere interi quartieri di case di legno per meglio “sopportare” un eventuale attacco.

 “Dopo il colloquio con Schigheo, Kanjiro ritornò di malumore al suo gruppo. A pensarci bene, questo ragazzino di dieci anni aveva dato una stoccata a lui, che aveva cinque anni di più. Per poco non l’aveva denunciato al capo-gruppo, per sospetto di furto! Il suo zelo l’avrebbe tradito; in conseguenza del suo atto avrebbe ricevuto un rimprovero. Voler accusare di furto un ragazzo che non poteva ancora essere arruolato al lavoro, che doveva badare alla sorellina, che aveva i padre soldato e la madre operaia in un’industria bellica! Che stupidaggine! Il ragazzo avrebbe detto: ho chiesto allo studente solo un pezzo di carta dipinta per farne un giocattolo per la mia sorellina. E sarebbe stata la verità. Lui, Kanjiro, avrebbe certo potuto ribattere: questo ragazze mente, l’ho acciuffato mentre stava per portar via l’intelaiatura. Ma un Yonekura non mente; lo deve al proprio onore. Quando incita i suoi compagni a lavorare con maggior diligenza, questo è il suo dovere di sotto-capogruppo. Se denuncia qualcuno che batte la fiacca, anche questo è un suo dovere. Ma accusare falsamente qualcuno per mostrarsi zelante, al proprio superiore, questo non lo farebbe mai. Ha già raggiunto un posto abbastanza importante e può sperare in un’ulteriore promozione… nel caso che la guerra duri ancora abbastanza a lungo. Altrimenti dovrà tornare a studiare e questo non gli piace. Odia lo studio. Non è un bravo scolare. I maestri non l’hanno mai lodato; il babbo l’ha spesso rimproverato, ma ora è orgoglioso di suo figlio Kanjiro e racconta a tutti: «Il mio ragazzo è sotto-capogruppo nel servizio ausiliario; e in seguito vuole diventare ufficiale, vuole arrivare fino a generale… sì, il mio ragazzo è in gamba».”

 

 Ma la panoramica sui ragazzi coinvolge anche altri del gruppo di Kenjiro e non tutti sono zelanti e soprattutto “prestati/votati” alla causa come lui, c’è chi sogna la pace e la normalità…

Poi ci sono gli Americani, un gruppo vario di soldati americani di stanza alla base sull’isola di Tinian: con loro partecipiamo a voli di ricognizione e viviamo la quotidianità all’interno della base militare, dove iniziano i preparativi per qualcosa di grosso e di nuovo che però è tenuto segreto! Gli uomini che conosciamo sono diversi ma fondamentalmente sono persone con le stesse aspirazioni di tutti….

“Il capitano Kennan si concesse un’occhiata in giù. Vide il delta del fiume Otha e le sei isole su cui era costruita Hiroshima. Il panorama della città lo impressionò molto. Doveva fare un viaggio in Giappone, in tempo di pace, sarebbe stata certamente una cosa stupenda. Avrebbe portato con sé Liddy, sua moglie, e i suoi bambini Evelyn e Bud. E avrebbe visitato con loro tutte le città che aveva sorvolato in guerra, quand’era pilota di un ricognitore. Quando sarebbe finita la guerra?”

Nella “parte centrale” il romanzo si occupa della cruciale giornata dello sgancio della bomba: viviamo la giornata al fianco tutti i personaggi che abbiamo incontrato, quindi i fratelli Sasaki e i loro vecchi vicini, ma anche i ragazzi del Servizio Ausiliario, i soldati giapponesi e naturalmente degli uomini a bordo dell’Enola Gay (il bombardiere che sgancia la bomba).

E poi c’è il dopo. Il “dopo” è interamente incentrato sulla famiglia Sasaki e sulla vita di Sadako. Miracolosamente la famiglia si riunisce e il padre rimette in piedi, con tantissimo sforzi, la sua attività di barbiere. Qui conosciamo la vita nella Hiroshima degli anni successivi alla bomba: un paese distrutto dalla guerra e dall’uso di una nuova micidiale arma, un periodo di sacrifici, sofferenza, commemorazioni e piano piano di ritorno alla normalità. Normalità che ad un certo punto verrà spezzata, perché la bomba tornerà a fare visita alla famiglia Sasaki.

Ci sono alcuni elementi che secondo me caratterizzano il libro. Iniziamo con il fatto che la narrazione procede parallela, soprattutto nelle prime parti abbiamo un continuo cambio di soggetto/inquadratura e all’inizio non è facilissimo orientarsi, però se ci si lascia trasportare dalla storia, senza chiedersi troppo (o meglio troppo presto) i protagonisti, poi ci si abitua, si capisce il meccanismo e si procede con la lettura. Per me i protagonisti indiscussi sono i fratelli Sasaki però incontriamo anche altri personaggi e nell’insieme è possibile farsi un quadro complessivo della situazione.  Un aspetto che personalmente ho apprezzato molto è che per tutti i “personaggi” che incontriamo sappiamo cosa succede loro dopo lo scoppio della bomba, se sopravvivono o meno.

Altro aspetto fondamentale è la commistione giapponesi/americani che nella narrazione si sviluppa in entrambe le parti in modo diverso: nella prima attraverso i capitoli dedicati ai soldati americani, nella seconda parlando dei dottori e degli ospedali che gli americani hanno aperto per curare soprattutto le vittime della bomba, perché la bomba ha degli effetti anche a lungo termine

È questo un aspetto su cui forse non si riflette abbastanza e a cui non avevo mai pensato in modo approfondito: la bomba atomica non si è limitata ad uccidere migliaia di migliaia di persone all’istante, nel momento in cui è esplosa (ok, è una bomba esplode e uccide persone) ma i suoi effetti si sono manifestati anche nei decenni successivi! Chi è miracolosamente scampato all’esplosione, pur trovandosi in città o nelle sue vicinanze, non può ritenersi (necessariamente) salvo, oltre all’esplosione ci sono le radiazioni che hanno effetti negativi sul corpo umano e portano all’insorgere di malattie quali leucemie e simili, che si manifestano col tempo. Tutto ciò rende quest’arma ancora più micidiale e devastante di quanto possa apparire.

Infine Bruckner evidenzia il lato umano sia dei giapponesi (che sono visti in maniera negativa nel senso che sono i cattivoni responsabili dell’attacco kamikaze a Pearl Harbour, in questo senso mi sento di avvicinare il libro a Il rogo di Berlino che narra le vicende del popolo tedesco, altri cattivi del secondo conflitto mondiale) che degli americani, in questo caso sono i cattivoni che usano la bomba atomica. Soprattutto nella prima parte viene messo in luce il lato umano dei soldati americani: in fondo sono uomini come tutti gli altri. Ed è questa una cosa ovvia se vogliamo ma molto importante da ricordare (senza assolutamente sminuire la gravità di quanto accaduto e delle scelte fatte, scelte che però non sono state compiute dai singoli uomini, o meglio dai singoli uomini a bordo dei bombardieri che hanno sganciato le bombe) e mostrare il lato umano per me significa mostrare come tutti gli uomini sulla terra siano uguali, abbiano le stesse preoccupazioni e aspirazioni, e come è stupido farsi la guerra (lo è sempre stato, lo era nel ‘45 ma a mio parere lo è forse ancor di più oggi, eppure nel mondo ci sono ancora tante guerre).

Inoltre, anche se è un libro per ragazzi emergono forti alcune caratteristiche tipiche della cultura giapponese, che ho avuto modo di comprendere e conoscere leggendo anche altri libri: come il culto del superiore, della diligenza e della dedizione, del rispetto degli ordini e delle gerarchie e la deferenza verso gli anziani.

Il libro fondamentalmente racconta la storia vera di Sadako Sasaki, non so precisamente quali siano i limiti delle licenze/libertà che si è preso Bruckner ma il nucleo fondamentale del romanzo si basa su una storia vera. La storia di Sadako è stata narrata anche in un altro libro “Sadako and the Thousand Paper Cranes” di Eleanor Coerr che però non è disponibile in italiano.

Ho visto essere il libro più “famoso” e importante di Bruckner: io l’ho letto per caso perché l’ho trovato in casa, era stata una lettura estiva ai tempi delle scuole medie di mia mamma o di mio zio, infatti lo possiedo in un edizione “vintage” che non mi fa impazzire. E l’ho letto due volte, la prima anni fa quando appunto l’ho trovato e poi adesso perché volevo parlarvene e mi è sembrato giusto rileggerlo per poterlo fare con maggior consapevolezza. Avendolo già letto sapevo già cosa sarebbe successo, cosa aspettarmi ma è stata comunque una lettura molto dolorosa che mi ha richiesto del tempo. È un libro per ragazzi che tratta di un argomento che si studia a scuola (alla seconda guerra mondiale ci si arriva, forse non si va oltre ma fin lì si arriva) eppure nella mia esperienza scolastica non l’ho mai incontrato, nel senso che non è mai stato consigliato; inoltre non ne ho mai sentito parlare sui vari social e blog che trattano di libri, è sconosciuto e non ne capisco la ragione.

Chiusa la polemica. Fatemi sapere se avete letto questo libro e cosa mi consigliate che si occupano della bomba atomica su Hiroshima?

martedì 30 giugno 2020

CI RIVEDIAMO LASSÙ - PIERRE LEMAITRE

TITOLO: Ci rivediamo lassù
AUTORE: Pierre Lemaitre - traduzione di Stefania Ricciardi
EDITORE: Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)
PAGINE: 453
PREZZO: € 17,50
GENERE: letteratura francese, letteratura contemporanea
LUOGHI VISITATI: Parigi 1918-1920
Vincitore del Premio Gocourt nel 2013 (il premio letterario più prestigioso di Francia)
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Questo romanzo è il primo di una trilogia che Lamaitre ha dedicato alla storia di Francia, si sviluppa tra gli ultimissimi giorni della prima guerra mondiale - iniziamo a conoscere i nostri protagonisti a pochi giorni dall’armistizio - nel novembre 1918 fino al giugno del 1920.

Protagonisti tre uomini, tre uomini che hanno combattuto per la patria: Albert Maillard, Eduard Perincourt e il tenente Henri d’Aulnay-Pradelle. Tre personaggi che non potrebbero essere più diversi tra loro.

Albert Maillard è un ragazzo d’animo buono, eterno indeciso, timido e riservato, un contabile che vive solo con la madre, dopo la guerra si trova ad accudire il suo compagno Édouard.

Édouard Péricourt proviene da una famiglia molto ricca, è un tipo estroso, ribelle, eccentrico ama disegnare e dipingere - praticamente è un bravissimo artista - orfano di madre non ha un buon rapporto con il padre, il banchiere Marcel Péricourt che non vede in lui in figlio maschio tanto agognato – mentre ha un ottimo rapporto con la sorella Madeleine.

Le vicende della guerra o meglio dell’ultima battaglia li unirà in modo quasi indissolubile.

Infine c’è il tenente Henri d’Aunlay-Pradelle un arrivista senza scrupoli, egoista ed egocentrico, proviene da una famiglia nobile oramai decaduta e in rovina, persegue in desiderio di ridare luce al proprio nome e riportare la dimora di famiglia a nuovo splendore, propositi apprezzabili ma non i mezzi con cui cerca di raggiungere i suoi scopi. Per Pradelle la guerra e poi la sua “smobilitazione” sono l’occasione e il mezzo per farsi una posizione e arricchirsi, ma con metodi tutt’altro che onesti.

Ce la faranno i nostri eroi? È la domanda che mi ha frullato in testa dalle prime pagine; una domanda che si fa incalzante quando anche gli avvenimenti si fanno più serrati e soprattutto si avvicina la fine del libro e quindi l’esito della vicenda. Ho sperato in un lieto fine per Albert ed Édouard; mentre per Pradelle ho sperato che ce la facesse, ad affondare però, dato il suo egocentrismo e il suo essere ignobile. Non voglio anticipare nulla…

Lamaitre è un narratore onnisciente, che conosce e scandaglia l’animo umano dei suoi personaggi, rendendoli unici, veri e coerenti, semplicemente meravigliosi; racconta tutto dei suoi personaggi e non perde occasione esprimere un commento e per rivolgersi al lettore. Questa caratteristica del narratore che si rivolge al lettore (che io adoro, inutile dirlo) si rifà alla tradizione della letteratura francese di fine ‘800 che Lamaitre vuole omaggiare ma c’è anche un’altra ragione, come spiega nelle sue interviste vuole ricordare al lettore che sta leggendo una storia, non si tratta di realtà ma di romanzo.

Non mancano i colpi di scena. La narrazione è scorrevole e le vicende dei personaggi sono narrate a capitoli alterni; con un crescendo continuo che tiene incollato il lettore alle pagine.

Oltre le vicende dei personaggi il libro rappresenta anche un’invettiva contro la guerra, nello specifico la Prima Guerra Mondiale, ma le riflessioni si prestano a qualsiasi conflitto. Pone l’accento, in particolare, sul ritorno alla vita normale finito il conflitto - percorso già di per sé non facile - qui le persone vengono lasciate sole, abbonante a sé stesse in primis da quello Stato per cui hanno combattuto e che ora si dimentica di loro, ricordando solo (forse) i caduti.

“Nello stesso tempo, dalla fine della guerra non si fa altro che aspettare. Qui, dopotutto, è un po’ come in trincea. C’è un nemico che non vedi mai, ma che senti con tutto il suo peso. Dipendi da lui. Il nemico, la guerra, la burocrazia, l’esercito, sono tutte cose un po’ simili, nessuno ci capisce niente e nessuno sa risolverle una volta per tutte. […] Ecco come finisce la guerra, mio povero Eugène, un immenso dormitorio di gente stremata che non si è nemmeno capaci di rispedire a casa come si deve. Nessuno che ti dice una parola o soltanto che ti stringe la mano. I giornali ci avevano promesso archi di trionfo, e invece stiamo ammassati in sale esposte ai quattro venti…”

Come detto il libro fa parte di una trilogia ma è autoconclusivo: non solo le vicende narrate si chiudono ma l’autore fornisce ulteriori dettagli e spiegazioni nell’epilogo dove non viene lasciato spazio all’immaginazione del lettore, è un finale chiuso! (altra cosa che io adoro follemente). Ho letto che i libri sono autonomi e questa conclusione ne è la conferma, non vedo l’ora di andare avanti anche perché nel secondo volume “I colori dell’incendio” protagonista sarà proprio Madeleine Péricourt e nel terzo “Lo specchio delle nostre miserie” ho visto che c’è una Louise, e penso sia proprio la ragazzina, ormai donna, che troviamo nel primo romanzo.

Un libro che mi è piaciuto molto. Ho apprezzato la trama, talvolta succedono cose particolare, dettagli quasi surreali, ma trovano il loro senso all’interno della narrazione; anche la delineazione dei personaggi è davvero magnifica. E infine presenta due caratteristiche tecniche che odoro: il narratore onnisciente (addirittura che strizza l’occhio al lettore) e il finale chiuso, dove Lamaitre da conto anche di cosa succede dopo. Inoltre è anche una saga. Se vi piacciono questi elementi narrativi non posso che consigliarvi questo libro.

Voi avete letto qualcosa di Lamaitre?

lunedì 6 aprile 2020

MEMORIE DI UN SOLDATO BAMBINO - ISHMAEL BEAH

TITOLO: Memorie di un soldato bambino
AUTORE: Ishmael Beah - traduzione di Luca Fusari
EDITORE: Beat
PAGINE: 256
PREZZO: € 9,00
GENERE: letteratura della Sierra Leone - letteratura di guerra
LUOGHI VISITATI:Sierra Leone duranta la guerra civile anni 90
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“I villaggi conquistati e trasformati in basi e le foreste in cui dormivamo diventarono la mia casa. La squadra era una famiglia, il fucile il mio custode e protettore, l’unica regola era uccidere o essere uccisi. I miei pensieri non andavano oltre. Combattevamo da più di due anni, ammazzare era ormai diventato un gesto quotidiano. Non provavo pietà per nessuno. La mia infanzia se n’era andata senza che me ne accorgessi, il mio cuore ormai assomigliava a un pezzo di ghiaccio. Mi accorgevo del passare dei giorni perché vedevo il sole e la luna, ma non sapevo mai se fosse domenica o venerdì.”

Fin dall’inizio il lettore sa che Ishmael è stato un soldato – lo dice il titolo e la trama in quarta di copertina -  un soldato bambino, ha visto e fatto cose che nemmeno nei peggiori incubi un bambino dovrebbe sopportare. E fin dall’inizio sappiamo che Ishmael ce la farà in qualche modo a sopravvivere, perché ha scritto il libro che stiamo leggendo. Nel libro Ishmael racconta e ricostruisce la sua vita dal 1993 quando incontra per la guerra civile, iniziando una fuga nella foresta solitaria o con altri ragazzi, assistendo a scene strazianti, fino ad essere arruolato nell’esercito e iniziare a combattere “per la patria” fino al “congedo” e alla riabilitazione, ma la guerra lo segue e dovrà fuggire nuovamente.

“… attraversata la palude iniziarono i guai veri, perché i ribelli si misero a sparare contro la gente anziché in aria. Non volevano lascarci abbandonare la città, gli abitanti gli servivano come scudo per proteggersi dall’esercito. Una delle priorità dei ribelli, quando conquistavano un villaggio, era infatti costringere i civili, soprattutto le donne e i bambini, a rimanere con loro. Così riuscivano a prolungare la permanenza, impedendo l’intervento militare. […] Quando si accorsero che i civili stavano per farcela, i ribelli fecero fuoco con i lanciarazzi RPG2, i mitra, gli AK-47 e i G3, tutte le armi che avevano, contro la radura. Ma sapevamo di non avere scelta, dovevamo attraversarla a ogni costo, perché eravamo giovani e maschi e avremmo corso un rischio molto più grave se, anziché tentare la fuga, fossimo rimasti in città i ragazzi venivano arruolati immediatamente e i ribelli gli tatuavano addosso, dove preferivano, le iniziali del RUF con una baionetta rovente. Quell’incisione indelebile rappresentava la condanna a rimanere con loro oppure a morire, perché i soldati dell’esercito regolare, come pure i civili armati, uccidevano senza problemi chiunque portasse sul corpo le iniziali dei ribelli.”




“«La nostra missione è molto importante, e disponiamo dei soldati più esperti, che faranno del loro meglio per difendere questo paese. Non siamo come i ribelli, quei farabutti che ammazzano la gente senza motivo. Noi li uccidiamo per il bene e il progresso della nazione. Perciò, rispettate questi uomini» tornò a indicare noi «per il servizio che prestano». Il tenente proseguì a lungo il suo discorso, che serviva tanto a convincere i civili della bontà delle nostre intenzioni quanto ad alzare il morale delle truppe, compresi noi ragazzi. Restavo lì impalato con il fucile in mano e mi sentivo speciale, perché facevo parte di qualcosa che mi prendeva sul serio e non ero più costretto a scappare. Ora avevo il mio fucile e, come diceva sempre il caporale: «Il fucile, in quest’epoca, è la vostra unica fonte di potere. Vi proteggerà e vi fornirà tutto ciò che vi serve, se saprete usarlo bene».
Non ricordo perché il tenente avesse iniziato quel discorso. Troppe cose accadevano senza ragione né spiegazione. A volte ci ordinavano di andare a combattere a metà di un film. Molte ore più tardi, dopo aver ucciso chissà quante persone, riprendevamo la visione come se si fosse trattato di un semplice intervallo. Non facevamo altro che combattere al fronte, guardare film o prendere dorghe. Non c’era tempo per restare soli o per pensare. I nostri discorsi riguardavano soltanto i film di guerra o il modo in cui il tenente, il caporale oppure uno di noi aveva ucciso un ribelle. Come se al di fuori della nostra realtà non esistesse altro.”


Le vicende sono narrata in prima persona dall’autore protagonista.
Sapevo fin dall’inizio che il libro sarebbe stato un pugno allo stomaco. Mi sono trovata spesso durante la lettura a doverla interrompere e dedicarmi un attimo a qualcosa di stupido e divertente per non pensare. Una lettura dolorosa ma necessaria perché le persone riflettano e inizino a comportarsi diversamente, e fare qualcosa: stiamo parlando di fatti realmente accaduti e che purtroppo accadono ancora oggi, se non in Sierra Leone in tanti altri paesi.
Non mancano però anche i riferimenti alla cultura e alla tradizione, in particolare ho trovato molto bella e dolce la “favola” della luna, poi si aggiunge la tradizione di narrare delle storie la sera prima di addormentarsi, cosa che fanno anche i ragazzi in fuga.

“«Dobbiamo sforzarci di essere come la luna». Un vecchio di Kabati ripeteva spesso questa frase a chi passava davanti a casa sua per andare a prendere l’acqua al fiume, a cacciare, a spillare vino di palma o diretto alle fattorie. Ricordo di aver chiesto a mia nonna cosa significasse quella frase. Lei mi aveva spiegato che era un’esortazione a comportarsi bene e a essere buoni con il prossimo. La gente si lamenta quando c’è troppo sole e il caldo è insopportabile, ma anche quando piove tanto o fa freddo. Invece nessuno protesta quando la luna splende. Tutti sono felici e ne apprezzano la presenza, ognuno a modo suo. I bambini guardano le proprie ombre e giocano sotto la sua luce, gli adulti si ritrovano nelle piazze a raccontare storie e ballare per tutta la notte. Succedono tante cose belle, quando splende la luna. Ecco perché tutti dovrebbero sforzarci di essere come lei.”

Infine emergono alcuni dettagli della vita in Sierra Leone negli anni ’90: vita che nei villaggi più remoti e distanti dalla capitale è rimasta “indietro” e legata alle tradizioni e alle usanze, è un paese che abbraccia l’Islam - almeno nel villaggio di origine di Ishmael – ci sono capanne di fango, altre costruzioni con i tetti in lamiera o di paglia, ci sono le piantagioni di caffè e di banane. La suddivisione tribale della popolazione, ogni tribù ha segni distintivi diversi e parla anche lingue o meglio dialetti diversi; emerge fortissimo il senso di comunità e di unità tipica, forse delle società più ancestrali. Ma il punto focale della narrazione è la condizione dei bambini, di cosa sono costretti a fare e subire e l’esperienza in prima persona dell’autore, racconta la sua esperienza senza mezzi termini e senza lasciare spazio all’immaginazione, è molto forte e diretto anche nella narrazione delle battaglie e degli effetti sul corpo umano.

Questo libro l’ho letto per il progetto che per la tappa di aprile prevede di viaggiare nell’Africa subsaharina, quando ho letto i consigli di lettura ho rivisto questo libro dopo tanti anni e ho deciso che volevo leggerlo, pur immaginando che non sarebbe stato facile.
Ishmael Beah è oggi ambasciatore Unicef, intellettuale e scrittore. Ha scritto anche un altro romanzo, pubblicato in Italia sempre da Neri Pozzi e da Beat, “Domani sorgerà il sole” che tratta sempre il tema della guerra in Sierra Leone da un punto di vista diverso nel senso che si occupa principalmente del ritorno alla vita dopo il conflitto, non è autobiografico ma un romanzo di “fantasia”.

La guerra civile, come ogni dnnata guerra ha alla base solo la sete di potere, e in Africa anche la spartizione di ricchezze oltre ad antiche rivalità tribali.

“…Chissà cosa pensava della guerra da cui stavo fuggendo. Avevo sentito degli adulti dire che era una guerra rivoluzionaria per liberare la gente da un governo corrotto. Ma che razza di movimento di liberazione è quello che spara sui civili innocenti, sui ragazzini, su una bambina? Nessuno sapeva rispondere a questa domanda…”

È stato il mio primo approccio alla letteratura di guerra, un genere letterario di denuncia, non facile ma necessario e che assolve ad uno degli scopi che secondo me la lettura deve avere: leggere per scoprire e imparare il mondo che ci circonda, ci sono anche molti aspetti orribili che non possiamo ignorare e leggerne serve ad acquisire consapevolezza, a riflettere e fare qualcosa per migliorare il mondo in cui viviamo.