giovedì 16 aprile 2020

IN NOME DEI MEDICI - IL ROMANZO DI LORENZO IL MAGNIFICO di BARBARA FRALE

TITOLO: In nome dei Medici. Il romanzo di Lorenzo il Magnifico
AUTORE: Barbara Frale
EDITORE: Newton Compton Editori
PAGINE: 381
PREZZO: € 12,00
GENERE:letteratura italiana - romanzo storico
LUOGHI VISITATI: Italia Rinascimentale
acquistabile su amazon: qui (link in bio)




È un romanzo storico che narra di un particolare aspetto della vita di Lorenzo de Medici detto il Magnifico, che identifico nella storia d’amore con Clarice Orsini: o meglio l’incontro con questa particolare ragazza di una delle più importanti famiglie della nobiltà romana che Lorenzo incontra durante un viaggio d’affari a Roma.
La narrazione si svolge lungo tre filoni: il motivo del viaggio a Roma di Lorenzo, riuscire ad ottenere dal Papa l’appalto delle miniere di allume sul Monte Tolfa; le minacce di morte e gli attentati di cui è vittima Lorenzo; e infine l’amore “impossibile” tra Lorenzo e Clarice Orsini.
Praticamente tutti i personaggi che compaiono sono personaggi storici realmente esistiti a partire appunto da Lorenzo de Medici, il suo amico Roberto Malatesta, la famiglia Orsini di Roma, Papa Paolo II, il cardiale Rodrigo Borgia e il cardinale Francesco della Rovere, per citarne alcuni.
Si legge della vita nella Roma papalina della seconda metà del ‘400 lo sfarzo (eccessivo) del Papa e della Curia romana, i rioni popolari, l’abbandono e il degrado in cui versano i resti storici della Roma classica. Emerge il ruolo di pedine nelle alleanze politiche dei figli delle famiglie che contano e le regole non scritte che soggiacciono a questi matrimoni di alleanza; una minima parte della storia di Firenze e in particolare della famiglia Medici. E infine un quadro politico dell’Italia di quegli anni circa anni 1466 e 1468.
La parte che ho apprezzato di più è l’accurata ricostruzione storica che emerge dalle pagine attraverso la narrazione delle vicende di Lorenzo.
Non capisco il motivo ma ho fatto fatica a leggere questo libro, nonostante il mio grande interesse per la Storia, sono curiosa di provare a leggere qualcos’altro di Barbara Frale anche perché sulla quarta di copertina ho letto commenti molti interessanti (e direi carichi di aspettativa) sui suoi libri.
Voi avete letto qualcosa? Fatemi sapere cosa ne pensate.

venerdì 10 aprile 2020

FURORE - JOHN STEINBECK

TITOLO: Furore
AUTORE: John Steinbeck - traduzione di Sergio Claudio Perroni
EDITORE: Bompiani
PAGINE: 633
PREZZO: € 14
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI:Stati Uniti

acquistabile su amazon: qui (link in bio)




Viaggio epico, milioni di persone che si spostano verso ovest, una nuova corsa verso il west questa volta alla ricerca di un lavoro. Cosa vogliono questi emigranti? Un lavoro onesto, come raccoglitori di frutta e altre colture, metter da parte qualche soldo e poi, magari, comprarsi un piccolo appezzamento proprio, dove spaccarsi la schiena tutto l’anno per coltivare ciò che serve per vivere e far mangiare la famiglia.
Queste persone scappano da molti stati centrali, dove a causa della depressione e di alcune pessime annate si trovano ad essere prima mezzadri e poi buttati fuori dalle loro terre ormai in mano a banche e altre società interessate al profitto e che fanno agricoltura coi trattori e le macchine perché costano meno e rendono molto di più.

“…Gli uomini accoccolati alzavano gli occhi, allarmati. Ma cosa sarà di noi? Come faremo a mangiare? Dovrete lasciare la terra. Gli aratri verranno a spianare la vostra aia.
A quel punto gli uomini accoccolati si alzavano in piedi, furibondi. Mio nonno ha preso questa terra e ha dovuto uccidere gli indiani e cacciarli via. E mio padre è nato qui, e ha liberato questa terra dalla gramigna e dai serpenti. Poi c’è stata una brutta annata e ha dovuto farsi prestare un po’ di soldi. E noi siamo nati qui. Lì, sulla soglia: quelli sono i nostri figli, nati qui. E mio padre ha dovuto farsi prestare altri soldi. Già allora la terra era della banca, ma ci hanno permesso di restare qui e di tenere un po’ di quello che coltivavamo.
Lo sappiamo… sappiamo tutto. Non siamo noi, è la banca. Una banca non è come un uomo. E manco uno che possiede cinquantamila acri è come un uomo. È questo il mostro.
Già gridavano i mezzadri, ma questa terra è nostra. L’abbiamo misurata e l’abbiamo dissodata. Su questa terra siamo nati, su questa terra ci siamo fatti uccidere, su questa terra siamo morti. Anche se non serve più a niente è ancora nostra. Ecco cosa la rende nostra: esserci nati, lavorarci, morirci. È questo a darcene il possesso non un pezzo di carta con sopra dei numeri.
Ci dispiace. Non siamo noi. È il mostro. Una banca non è come un uomo.
Sì, ma la banca è fatta di uomini.
No, qui vi sbagliate… vi sbagliate di grosso. La banca è qualcosa di diverso dagli uomini. Tant’è vero che ogni uomo che lavora per una banca odia profondamente quello che la banca fa, e tuttavia la banca lo fa ugualmente. Credetemi, la banca è più degli uomini. È il mostro. Gli uomini la creano, ma non possono controllarla.
I mezzadri urlavano: mio nonno ha ucciso gli indiani, mio padre ha ucciso i serpenti per questa terra. Forse potremmo uccidere le banche: sono peggio degli indiani e dei serpenti. Forse dobbiamo combattere per tenerci la terra, come hanno fatto mio padre e mio nonno.
E a quel punto erano i delegati a infuriarsi. Dovete andarvene.
Ma è nostra, urlavano i mezzadri. Abbiamo…
No. La terra è della banca, del mostro. Dovete andarvene.
Piglieremo i fucili, come Nonno quando arrivarono gli indiani. E allora?
Allora… prima lo sceriffo, poi l’esercito. Sarete ladri se tenterete di restare, e sarete assassini se ucciderete per restare. Il mostro non è fatto di uomini ma fa fare gli uomini quello che vuole.”


Vanno tutti a ovest in California perché consigliato loro da chi li butta fuori, e perché girano dei volantini in cui si dice che si cercano lavoratori e le paghe sono ottime. Allora si vende a prezzo stracciati quel poco che si ha, si carica l’indispensabile e la famiglia su mezzi di fortuna (auto e camion) e si parte sulla Route 66 alla volta della California.
Il sistema agricolo californiano è molto avanzato, chimici e studiosi e macchine hanno reso ancor più feconda la terra, ma è anche monopolizzato da pochi grandi, interessati esclusivamente ai profitti, sono senza scrupoli e disposti a giocare sporco falsando il mercato e lasciando marcire la frutta.
E poi c’è il problema dei “rossi”, dei “semina zizzania”, ma chi sono i rossi? Be’ chi vuole per sé (e magari anche per gli altri, perché se sei da solo non vali niente ma se si è in tanti a chiedere la stessa cosa e a coalizzarti magari qualcosina si ottiene) una paga equa, sufficiente a sfamare la propria famiglia, che sta morendo di fame. Non ci sono diritti per i lavoratori. Ma quel che è peggio è che la gente del luogo ha paura e si arma - fomentata dai grandi proprietari terrieri e industriali – e se la prende con i nuovi venuti i cosiddetti “Okie” brucia gli accampamenti e non esita ad uccidere, e la polizia fa lo stesso. Emerge tutta l’incapacità statale di fronteggiare la crisi economica ed emerge lo spettro della paura che il comunismo pota diffondersi anche in America (comunismo identificato nella richiesta di tutela per i lavoratori come una paga minima sufficiente a vivere).

La struttura della narrazione è particolare si alternano dei brevi capitoli che spiegano la situazione generale con i capitoli di narrazione della storia della famiglia Joad.
I capitoli generali sono senza un protagonista particolare o ricorrente: in questi Steinbeck descrive e racconta i vari aspetti della vicenda ad esempio c’è quello sull’area di servizio sulla statale 66, c’è quello sul venditore d’auto usate (con tutti i trucchi e gli stratagemmi per fregare i disperati alla ricerca di un mezzo per andare a ovest) quello sugli acquirenti dei disperati, sulla coltivazione in California, su come gli americani si sono impossessati di questo stato.
Poi ci sono i capitoli di narrazione: in cui seguiamo le vicende della famiglia Joad, che è il prototipo, qui viene ricostruita la realtà del tempo e di questa classe sociale scoprendone vita e pensieri, ricostruiti soprattutto attraverso i dialoghi dove il linguaggio è sgrammaticato anche per renderlo realistico. Devo ammettere che inizialmente ho avuto difficoltà ad entrare in empatia coi Joad (Pa’, Ma’, i figli Noah, Tom, Rose of Sharon e suo marito Connie, Al, Ruthie e Windfield e poi ci sono Nonno e Nonna e zio John), ma poi mi ha conquistato e ho apprezzato la saggezza e la risolutezza di Ma’.

“«Macché finita,» disse Ma’ con un sorriso. «Non è finita per niente, Pa’. E c’è un’altra cosa che sanno le donne. Me ne sono accorta. Per l’uomo la vita è fatta di salti: se nasce tuo figlio e muore tuo padre, per l’uomo è un salto; se ti compri la terra e ti perdi la terra, per l’uomo è un salto. Per la donna invece è tutto come un fiume, che ogni tanto c’è un mulinello, ogni tanto c’è una secca, ma l’acqua continua a scorrere, va sempre dritta per la sua strada. Per la donna è così ch’è fatta la vita. La gente non muore mai fino in fondo. La gente continua come il fiume: magari cambia un po’, ma non finisce mai»”.

Amo Steinbeck e il suo coraggio, un libro che vuole dare voce a chi non ce l’ha, narra fatti nel momento stesso in cui stavano accadendo, ha avuto grande coraggio. Il libro è stato un grandissimo successo, che ha portato molti apprezzamenti e anche molte critiche, anche se Steinbeck non ha mai voluto esprimere un pensiero politico. Furore è considerato il capolavoro dello scrittore americano - che ha vinto il Nobel nel ’62 - e questo romanzo è stato vincitore di numerosi premi. Penso di avvicinarmi al vero se dico che l’elemento centrale della narrazione di Steinbeck è l’uomo con particolare attenzione alle classi più “disagiate” e sfortunate, una narrativa diretta a dare voce ai più deboli, almeno per quanto ho letto finora: Uomini e topi, Furore e La Perla; proprio quest’ultimo voglio rileggerlo perché forse finalmente riuscirò ad apprezzarlo (lo lessi la prima volta alle medie e l’ho odiato; l’ho riletto dopo aver aperto di il blog quando scoprii che era di Steinbeck lo stesso scrittore di cui volevo ardentemente leggere “Uomini e topi”, ma penso sia giunto il momento di darli una chance ulteriore, non perché debba piacermi a tutti i costi ma semplicemente perché ora ho capito cosa vuole raccontare).
Il titolo originale in lingua originale è “The Grapes of Wrath” letteralmente i grappoli d’ira, tratto da un passo dell’apocalisse. Titolo che in italiano è stato “tradotto” in Furore concetto espresso anche all’interno della narrazione dallo scrittore stesso:

“Un delitto così abietto che trascende la comprensione. Una piaga che nessun pianto potrebbe descrivere. Un fallimento che annienta ogni nostro successo. La terra è feconda, i filari sono ordinati, i tronchi sono robusti, la frutta è matura. E i bambini affetti da pellagra devono morire di fame perché da un’arancia non si riesce a cavare profitto. E i coroner devono scrivere sui certificati “morto per denutrizione” perché il cibo deve marcire, va costretto a marcire.
Gli affamati arrivano con le reticelle per ripescare le patate buttate nel fiume, ma le guardie li ricacciano indietro; arrivano con i catorci sferraglianti per raccattare le arance al macero, ma le trovano zuppe di kerosene. Allora restano immobili a guardare le patate trascinate dalla corrente, ad ascoltare gli strilli dei maiali sgozzati nei fossi e ricoperti di calce viva, a guardare le montagne di arance che si sciolgono in una poltiglia putrida; e nei loro occhi cresce il furore. Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.”


Mi sono finalmente decisa a leggere questo libro grazie al progetto #scrittoinamerica che per il mese di aprile prevede il tema del viaggio.

Aspetto vostri pareri su Steinbeck.
 

lunedì 6 aprile 2020

MEMORIE DI UN SOLDATO BAMBINO - ISHMAEL BEAH

TITOLO: Memorie di un soldato bambino
AUTORE: Ishmael Beah - traduzione di Luca Fusari
EDITORE: Beat
PAGINE: 256
PREZZO: € 9,00
GENERE: letteratura della Sierra Leone - letteratura di guerra
LUOGHI VISITATI:Sierra Leone duranta la guerra civile anni 90
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)



“I villaggi conquistati e trasformati in basi e le foreste in cui dormivamo diventarono la mia casa. La squadra era una famiglia, il fucile il mio custode e protettore, l’unica regola era uccidere o essere uccisi. I miei pensieri non andavano oltre. Combattevamo da più di due anni, ammazzare era ormai diventato un gesto quotidiano. Non provavo pietà per nessuno. La mia infanzia se n’era andata senza che me ne accorgessi, il mio cuore ormai assomigliava a un pezzo di ghiaccio. Mi accorgevo del passare dei giorni perché vedevo il sole e la luna, ma non sapevo mai se fosse domenica o venerdì.”

Fin dall’inizio il lettore sa che Ishmael è stato un soldato – lo dice il titolo e la trama in quarta di copertina -  un soldato bambino, ha visto e fatto cose che nemmeno nei peggiori incubi un bambino dovrebbe sopportare. E fin dall’inizio sappiamo che Ishmael ce la farà in qualche modo a sopravvivere, perché ha scritto il libro che stiamo leggendo. Nel libro Ishmael racconta e ricostruisce la sua vita dal 1993 quando incontra per la guerra civile, iniziando una fuga nella foresta solitaria o con altri ragazzi, assistendo a scene strazianti, fino ad essere arruolato nell’esercito e iniziare a combattere “per la patria” fino al “congedo” e alla riabilitazione, ma la guerra lo segue e dovrà fuggire nuovamente.

“… attraversata la palude iniziarono i guai veri, perché i ribelli si misero a sparare contro la gente anziché in aria. Non volevano lascarci abbandonare la città, gli abitanti gli servivano come scudo per proteggersi dall’esercito. Una delle priorità dei ribelli, quando conquistavano un villaggio, era infatti costringere i civili, soprattutto le donne e i bambini, a rimanere con loro. Così riuscivano a prolungare la permanenza, impedendo l’intervento militare. […] Quando si accorsero che i civili stavano per farcela, i ribelli fecero fuoco con i lanciarazzi RPG2, i mitra, gli AK-47 e i G3, tutte le armi che avevano, contro la radura. Ma sapevamo di non avere scelta, dovevamo attraversarla a ogni costo, perché eravamo giovani e maschi e avremmo corso un rischio molto più grave se, anziché tentare la fuga, fossimo rimasti in città i ragazzi venivano arruolati immediatamente e i ribelli gli tatuavano addosso, dove preferivano, le iniziali del RUF con una baionetta rovente. Quell’incisione indelebile rappresentava la condanna a rimanere con loro oppure a morire, perché i soldati dell’esercito regolare, come pure i civili armati, uccidevano senza problemi chiunque portasse sul corpo le iniziali dei ribelli.”




“«La nostra missione è molto importante, e disponiamo dei soldati più esperti, che faranno del loro meglio per difendere questo paese. Non siamo come i ribelli, quei farabutti che ammazzano la gente senza motivo. Noi li uccidiamo per il bene e il progresso della nazione. Perciò, rispettate questi uomini» tornò a indicare noi «per il servizio che prestano». Il tenente proseguì a lungo il suo discorso, che serviva tanto a convincere i civili della bontà delle nostre intenzioni quanto ad alzare il morale delle truppe, compresi noi ragazzi. Restavo lì impalato con il fucile in mano e mi sentivo speciale, perché facevo parte di qualcosa che mi prendeva sul serio e non ero più costretto a scappare. Ora avevo il mio fucile e, come diceva sempre il caporale: «Il fucile, in quest’epoca, è la vostra unica fonte di potere. Vi proteggerà e vi fornirà tutto ciò che vi serve, se saprete usarlo bene».
Non ricordo perché il tenente avesse iniziato quel discorso. Troppe cose accadevano senza ragione né spiegazione. A volte ci ordinavano di andare a combattere a metà di un film. Molte ore più tardi, dopo aver ucciso chissà quante persone, riprendevamo la visione come se si fosse trattato di un semplice intervallo. Non facevamo altro che combattere al fronte, guardare film o prendere dorghe. Non c’era tempo per restare soli o per pensare. I nostri discorsi riguardavano soltanto i film di guerra o il modo in cui il tenente, il caporale oppure uno di noi aveva ucciso un ribelle. Come se al di fuori della nostra realtà non esistesse altro.”


Le vicende sono narrata in prima persona dall’autore protagonista.
Sapevo fin dall’inizio che il libro sarebbe stato un pugno allo stomaco. Mi sono trovata spesso durante la lettura a doverla interrompere e dedicarmi un attimo a qualcosa di stupido e divertente per non pensare. Una lettura dolorosa ma necessaria perché le persone riflettano e inizino a comportarsi diversamente, e fare qualcosa: stiamo parlando di fatti realmente accaduti e che purtroppo accadono ancora oggi, se non in Sierra Leone in tanti altri paesi.
Non mancano però anche i riferimenti alla cultura e alla tradizione, in particolare ho trovato molto bella e dolce la “favola” della luna, poi si aggiunge la tradizione di narrare delle storie la sera prima di addormentarsi, cosa che fanno anche i ragazzi in fuga.

“«Dobbiamo sforzarci di essere come la luna». Un vecchio di Kabati ripeteva spesso questa frase a chi passava davanti a casa sua per andare a prendere l’acqua al fiume, a cacciare, a spillare vino di palma o diretto alle fattorie. Ricordo di aver chiesto a mia nonna cosa significasse quella frase. Lei mi aveva spiegato che era un’esortazione a comportarsi bene e a essere buoni con il prossimo. La gente si lamenta quando c’è troppo sole e il caldo è insopportabile, ma anche quando piove tanto o fa freddo. Invece nessuno protesta quando la luna splende. Tutti sono felici e ne apprezzano la presenza, ognuno a modo suo. I bambini guardano le proprie ombre e giocano sotto la sua luce, gli adulti si ritrovano nelle piazze a raccontare storie e ballare per tutta la notte. Succedono tante cose belle, quando splende la luna. Ecco perché tutti dovrebbero sforzarci di essere come lei.”

Infine emergono alcuni dettagli della vita in Sierra Leone negli anni ’90: vita che nei villaggi più remoti e distanti dalla capitale è rimasta “indietro” e legata alle tradizioni e alle usanze, è un paese che abbraccia l’Islam - almeno nel villaggio di origine di Ishmael – ci sono capanne di fango, altre costruzioni con i tetti in lamiera o di paglia, ci sono le piantagioni di caffè e di banane. La suddivisione tribale della popolazione, ogni tribù ha segni distintivi diversi e parla anche lingue o meglio dialetti diversi; emerge fortissimo il senso di comunità e di unità tipica, forse delle società più ancestrali. Ma il punto focale della narrazione è la condizione dei bambini, di cosa sono costretti a fare e subire e l’esperienza in prima persona dell’autore, racconta la sua esperienza senza mezzi termini e senza lasciare spazio all’immaginazione, è molto forte e diretto anche nella narrazione delle battaglie e degli effetti sul corpo umano.

Questo libro l’ho letto per il progetto che per la tappa di aprile prevede di viaggiare nell’Africa subsaharina, quando ho letto i consigli di lettura ho rivisto questo libro dopo tanti anni e ho deciso che volevo leggerlo, pur immaginando che non sarebbe stato facile.
Ishmael Beah è oggi ambasciatore Unicef, intellettuale e scrittore. Ha scritto anche un altro romanzo, pubblicato in Italia sempre da Neri Pozzi e da Beat, “Domani sorgerà il sole” che tratta sempre il tema della guerra in Sierra Leone da un punto di vista diverso nel senso che si occupa principalmente del ritorno alla vita dopo il conflitto, non è autobiografico ma un romanzo di “fantasia”.

La guerra civile, come ogni dnnata guerra ha alla base solo la sete di potere, e in Africa anche la spartizione di ricchezze oltre ad antiche rivalità tribali.

“…Chissà cosa pensava della guerra da cui stavo fuggendo. Avevo sentito degli adulti dire che era una guerra rivoluzionaria per liberare la gente da un governo corrotto. Ma che razza di movimento di liberazione è quello che spara sui civili innocenti, sui ragazzini, su una bambina? Nessuno sapeva rispondere a questa domanda…”

È stato il mio primo approccio alla letteratura di guerra, un genere letterario di denuncia, non facile ma necessario e che assolve ad uno degli scopi che secondo me la lettura deve avere: leggere per scoprire e imparare il mondo che ci circonda, ci sono anche molti aspetti orribili che non possiamo ignorare e leggerne serve ad acquisire consapevolezza, a riflettere e fare qualcosa per migliorare il mondo in cui viviamo.