martedì 24 novembre 2020

SAGA DI RAGNARR

TITOLO: Saga di Ragnarr
TRADUZIONE: Marcello Meli
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 150
PREZZO: € 15
GENERE: letteratura epica, mitologia norrena
LUOGHI VISITATI: Nord Europa nell'Alto Medioevo ai tempi dei Vichinghi 

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Non è facile parlare di questo libricino.

Inizio col dire cos’è: siamo nella letteratura “epica” nello specifico quella nordica. Una volta che si ha ben chiaro quello che andiamo a leggere la lettura è interessante, io dell’epica e della mitologia nordica non conosco nulla, come conosco pochissimo i Vichinghi. Scioccamente mi aspettavo un romanzo storico con dei vichinghi per protagonisti, ovviamente non è così e già mentre cercavo il libro vari elementi dovevano farmi capire che quello che andavo comprando non era un romanzo: non c’è un autore e da molti commenti visti online si evince chiaramente che è usato anche come libro di testo universitario. Chiusa la parantesi sulla mia rincitrullaggine.

Nello specifico si parla di Ragnarr e dei suoi figli Eirikr e Agnarr (nati dal primo matrimonio con Thóra) e poi Ivarr senz’ossa, Björn fianchi-d’acciaio, Hvítserkr, Sigurdr occhi-di-serpe nati dal matrimonio con Áslaug. Vengono raccontate le vicende di Ragnarr a partire dal suo primo matrimonio con Thóra: la leggenda vuole che la ragazza fosse bellissima e un giorno il padre le regala un serpentello, questo però cresce a dismisura diventando oltre che grande anche estremamente pericoloso; così il padre promette Thóra in sposa a chiunque riesca a uccidere il mostro e sarà proprio Ragnarr a riuscire nell’impresa. Dopo questo primo matrimonio ce ne sarà un altro con Áslaug.

Si crea una specie di competizione tra re Ragnarr e i propri figli nell’andare in giro a conquistare e depredare luoghi. Qualunque sia la ragione (poi spiego meglio il perché *) Ragnarr decide di muovere guerra all’Inghilterra (regione che era stata storicamente governata dai suoi antenati) di re Ella e qui trova la morte in una fossa di serpenti. La vendetta dei figli non si fa attendere, o meglio ci saranno ben due diverse vendette e una, quella che si realizzerà, molto astuta e particolare. Ottenuta la vendetta ciascun figlio continua per la propria strada regnando e compiendo scorrerie.

Inizio con la precisazione (*) nel volumetto sono riportate e tradotte le due principali fonti della saga: appunto la “Saga di Ragnarr” e “Episodio dei figli di Ragnarr”. Senza addentrarmi nello specifico dico solo che entrambi raccontano le imprese di Ragnarr e dei suoi figli, cambia anzitutto la lunghezza perché “l’Episodio” è molto più breve e sintetico, cambia il punto focale (Ragnarr il primo, i figli il secondo), ci sono episodi narrati comuni ma la narrazione è leggermente diversa nel senso che la medesima “impresa” viene raccontata con sfumature diverse.

Tutto questo si ricollega anche al nocciolo della questione: il libro è la riproduzione di una saga che è stata scritta agli inizi del Medioevo sulla base delle tradizioni orali e ha subito nel corso del tempo vari rimaneggiamenti, inoltre si inserisce in un contesto molto più ampio che è quello delle saghe nordiche. Quello che noi leggiamo è la traduzione in italiano di testi medievali che ci raccontano la storia di Ragnarr e dei suoi figli, testi che sono conservati nella Biblioteca Reale di Copenaghen e che rappresentano le fonti più importanti ed attendibili di questa saga, sicuramente non le uniche, ma le sole giunte a noi.

Il testo è corredato da note che permettono anche di capire e analizzare il testo, oltre che da un’introduzione ad opera del traduttore Marcello Meli e di una postfazione di Fulvio Ferrari. Anche da tutto questo emerge che il volume è usato come testo di studio perché permette di contestualizzarlo sia storicamente ma anche rispetto alle altre saghe, venendo evidenziate le parti comuni e caratteristiche come possono esserlo certi comportamenti o atteggiamenti dei protagonisti.

 

La Storia dei Vichinghi come anche la storia dell’Alto Medioevo scandinavo mi è sconosciuta, ovviamente quanto narrato nella saga si discosta almeno in parte dalla realtà storica, anche se alcuni personaggi sono realmente esistiti, come è logico dato che stiamo parlando di un’opera di epica. C’è comunque la possibilità di farsi una vaga idea della cultura e della società vichinga in particolare dell’attività piratesca che queste popolazioni hanno intrapreso con incursioni anche nel mediterraneo e in Italia; tanto che il termine ‘vík’ significa baia ma già all’epoca aveva assunto anche il significato negativo di ‘pirata’.

Per quel che riguarda i protagonisti della saga non è da escludere che – almeno alcuni - siano realmente esistiti, è probabile che rappresentino un “idea” quindi riuniscano gesta e caratteristiche di più personaggi storici in un’unica figura. Non mancano gli elementi fiabeschi e magici, che da quello che ho capito, sono abbastanza caratteristici di queste opere.

Inoltre un aspetto interessante è la costruzione anche linguistica del poema col il largo ricorso alla figura del ‘kenning’ una specie di metafora che può essere anche molto articolata e nascosta (sono tutte segnate dalle note, anche perché diversamente io non avrei capito il significato). La narrazione è solo apparentemente semplice, in realtà è complessa e articolata, ogni avvenimento, mossa, comportamento, situazione o parola cela un significato nascosto e profondo ben preciso, ed è fonte di insegnamenti.

 

Dalla saga di Ragnarr è stata tratta la serie tv Vikings ideata e scritta da Michael Hirst; serie tv che non ho visto.

Perché ho letto questo libro? Per partecipare al progetto #unannoconlastoria su instagram. Il mondo dei vichinghi mi affascina molto, e come già detto mi è praticamente sconosciuto, queste saghe probabilmente non sono il modo migliore per un primo approccio o comunque permettono di avvicinarsi ad una tradizione molto distante da noi ma che richiede maggiori approfondimenti. Nel complesso non è una brutta lettura e non è nemmeno troppo complicata (molto utili le note e le relative spiegazioni, ma rendono la lettura molto più lenta), non ha soddisfatto la mia curiosità, è tutto molto vago.

venerdì 20 novembre 2020

MENDEL DEI LIBRI DI STEFAN ZWEIG

TITOLO: Mendel dei libri
AUTORE: Stefan Zweig traduzione di Nicoletta Giacon
EDITORE: Garzanti (collana i piccoli grandi libri)
PAGINE: 61
PREZZO: € 4,90
GENERE: letteratura austriaca
LUOGHI VISITATI:Vienna primi del Novecento

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Un racconto strepitoso.

Siamo nella Vienna della prima metà del ‘900 e il narratore entra nella prima caffetteria che trova per ripararsi da un acquazzone. È una caffetteria come tante, almeno in apparenza, ma dopo qualche momento il narratore si accorge di essere già stato in questo posto e finalmente si ricorda: è entrato al caffè Gluck quello dove lavorava “Mendel dei Libri”, sono passati tanti anni dal loro primo incontro e il narratore riuscirà a ricostruire la sua storia.

“… mio Dio, ma quello era il posto di Mendel, di Jakob Mendel, Mendel dei libri, e io dopo vent’anni ero capitato di nuovo nel suo quartier generale, al caffè Gluck nella Obere Alserstrasse. Jakob Mendel, come avevo potuto dimenticarmi di lui per così tanto tempo, una delle persone più singolari, uomo leggendario, questa isolata meraviglia del mondo, celebre all’università e in una ristretta ossequiosa cerchia? Come mi era potuto uscire dalla memoria, proprio lui, il mago e il sensale dei libri, che se ne stava seduto lì, tutti i giorni, ininterrottamente, dalla mattina alla sera, simbolo del sapere, gloria e onore del caffè Gluck?”

Il protagonista del racconto è Jackob Mendel detto Mendel dei libri, un semplice rivenditore di libri ma dotato di una memoria incredibile, era in grado di elencare tutti i libri disponibili sul mercato per qualsiasi argomento si stesse cercando, una specie di catalogo vivente e una fonte d’informazioni preziosissima per studenti, ricercatori e appassionati. Un uomo semplice che vive nel suo mondo fatto di libri, o meglio di titoli, edizioni, anni di pubblicazione – più che di contenuto - completamente avulso dal mondo esterno, reale, tanto da non accorgersi che è scoppiata la Prima Guerra Mondiale. La sua è una storia dolce amara.  

Emerge chiaramente un tema molto caro a Zweig: il degrado sociale dopo la prima guerra mondiale.

Zweig è stato soprattutto uno scrittore di racconti, anche se questa è la sua prima opera che leggo già ne avevo sentito parlare e voglio approfondire la sua conoscenza e quasi mi dispiace di non possedere già altre sue opere, io ho acquistato questo racconto singolo nella simpatica edizione di garzanti che è veramente minuscola, forse dalla foto non si capisce bene. Ha la capacità di sintetizzare in poche pagine personaggi straordinari, Storia e denuncia sociale; si tratta di un racconto scritto nel 1929 ma è assolutamente godibile e scorrevole.

 Non posso dire altro per non fare spoiler, è – almeno nel mio caso – un libricino che si legge in un soffio, ma è una storia che resterà a lungo, consiglio assolutamente di leggerlo, e pensare che io normalmente ho un rapporto conflittuale con i racconti.

Conoscete Zweig? Cosa mi consigliate di leggere?

martedì 17 novembre 2020

PASTORALE AMERICANA DI PHILIP ROTH

TITOLO: Pastorale Americana
AUTORE: Philip Roth - traduzione di Vincenzo Mantovani
EDITORE: Einaudi (collana Super ET)
PAGINE: 462
PREZZO: € 14,00
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: Stati Uniti d'America principalmente anni '60 e '70

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Un libro magnifico, un vero capolavoro. L’ho amato profondamente nonostante alcune incomprensioni con Roth e nonostante non chiuda completamente il cerchio narrativo o meglio non lo chiude come piace a me.

Ma andiamo con ordine.

Protagonista del romanzo è Seymour Irving Levov, detto lo Svedese, nato e cresciuto a Newark, in New Jersey. Da ragazzo è il campione delle squadre scolastiche di baseball, basket e football, idolo di tutto il quartiere; appena diplomato si arruola nei marines per andare a combattere i giapponesi durante la seconda guerra mondiale, ma il conflitto finisce prima; si sposa ed entra nell’azienda paterna che produce guanti e poi la manderà avanti da solo, una volta che il genitore andrà in pensione.

Una vita da favola, in apparenza. L’idillio è rotto da Merry la figlia dello Svedese che per protestare contro la guerra del Vietnam entra a far parte di gruppi sovversivi e porta la “guerra in casa”, sarà responsabile di un atto terroristico e si dà poi alla macchia.

La penna di Roth è fantastica, pungente, vera, didascalica e descrittiva, talvolta anche ripetitiva, ricca anche di frasi cortissime; coinvolge il lettore e lo trasporta in un altro mondo, lo rende spettatore. È un’opera estremamente introspettiva, con un’analisi psicologica molto approfondita; resa anche grazie a dialoghi interni o meglio monologhi e riflessioni personali dello stesso protagonista.

La struttura narrativa è particolare perché non segue un ordine cronologico ma alterna la narrazione “presente” con il ricordo e la rievocazione di eventi e avvenimenti passati, inframmezzandoli. Così ad esempio il fatto che lo Svedese va in un luogo diventa l’occasione per raccontare delle sue esperienze di bambino; oppure la visita annuale dei vecchi Levov diventa l’occasione per parlare delle discussioni politiche tra nonno Lou Levov e la nipote Merry. È tutto un susseguirsi di avvenimenti passati che il narratore racconta allacciandosi a qualcosa che succede nel presente.

Seymour I. Levov detto lo Svedese è un personaggio che entra nel cuore. È un uomo grande e grosso ma gentile, ha sempre una buona parola, rispettoso, ossequioso e accondiscendente, anche troppo. Avrebbe potuto essere un campione del baseball ma, per accontentare il padre, va a lavorare nell’azienda paterna. Un uomo che mette sempre gli altri al primo posto, che cede alle richieste altrui senza tener conto delle proprie esigenze e dei propri desideri, non cerca o rifugge lo scontro e il disaccordo anche se ciò significa mettere da parte sé stesso. 

Il romanzo ha vinto il premio Pulitzer nel 1998 e ne capisco assolutamente la ragione così come capisco perché ne ho sempre sentito parlare di capolavoro.

Con questo romanzo si toccano vari passaggi della Storia americana, dalle campagne militari d’indipendenza di Washington allo scandalo del Watergate, in minima parte anche le rivendicazioni per i diritti civili delle persone di colore, il diffondersi di movimenti ed ideologie di tipo comunista, ma soprattutto - elemento centrale del romanzo -  è la protesta interna degli americani contro la guerra del Vietnam in modo particolare quella forma di protesta violenta e terroristica che seguiva la logica del “portare la guerra in casa”. Senza dimenticare i forti cambiamenti sociali che si attuano (e non sempre positivi) nelle città industriali come Newark; in sostanza tocca gli aspetti storico sociali degli anni ’60 e ’70.

È un romanzo sull’America, sul profondo amore che si può provare e anche sul profondo odio, due posizioni all’antitesi che vengono interpretate dallo Svedese e da sua figlia Merry.

“Arrivai a essere un marine degli Stati Uniti. Arriva a portare l’emblema con l’ancora e il globo. -Quelli sono senza lanciatore, Iii-oh, sparala lontanto, Iii-oh... – Ero diventato Iii-oh per tutti, ragazzi del Maine, del New Hampshire, della Louisiana, della Virginia, del Mississippi, dell’Ohio: ragazzi senza istruzione che venivano da ogni angolo dell’America e che mi chiamavano Iii-oh e basta. Solo Iii-oh e basta, per loro. Come mi piaceva! Congedato il 2 giugno 1947. Arrivai a sposare una bella ragazza che si chiamava Dwyer. Arrivai a dirigere un’azienda fondata da mio padre, un uomo il cui padre non parlava inglese. Arrivai ad abitare nel posto più bello del mondo. Odiare l’America? Ma se in America ci stava come dentro la propria pelle! Tutte le gioie dei suoi anni più giovani erano gioie americane, tutti quei successi e tutta quella felicità erano americani, e non doveva più tenere la bocca chiusa solo per disinnescare l’odio ignorante di sua figlia. Avrebbe sofferto di solitudine, da uomo, senza i suoi sentimenti americani. Avrebbe sofferto di nostalgia, se avesse dovuto vivere in un altro paese. Sì, tutto ciò che conferiva un significato alle sue imprese era americano. Tutto quello che amava era lì.”

“Tre generazioni. Tutte avevano fatto dei passi avanti. Quella che aveva lavorato. Quella che aveva risparmiato. Quella che aveva sfondato. Tre generazioni innamorate dell’America. Tre generazioni che volevano integrarsi con la gente che vi avevano trovato. E ora, con la quarta, tutto era finito in niente. La completa vandalizzazione del loro mondo.”

Infine il titolo, estremamente evocativo, trova significato nel testo stesso è un passaggio che mi piace molto, viene individuato un momento di serenità per tutti gli americani così diversi tra loro in quanto espressione delle diverse tradizioni che vi sono confluite dalla vecchia Europa:

“Ed era solo una volta all’anno che si trovavano tutti insieme, e per giunta sul terreno neutrale e sconsacrato della festa del Ringraziamento, quando tutti mangiano le stesse cose […] solo un tacchino colossale per ducentocinquanta milioni di persone; un tacchino colossale che le sazia tutte. Una moratoria sui cibi stravaganti e sulle curiose abitudini e sulle esclusività religiose, una moratoria sulla nostalgia trimillenaria degli ebrei, una moratoria su Cristo e la croce e la crocifissione per i cristiani, quando tutti, nel New Jersey come altrove, possono essere, quanto alla propria irrazionalità, più passivi che nel resto dell’anno. Una moratoria su ogni doglianza e su ogni risentimento, e non soltanto per i Dwyer e i Levov, ma per tutti coloro che, in America, diffidano l’uno dell’altro. È la pastorale americana per eccellenza e dura ventiquattr’ore”

Tutta la vicenda è narrata - apparentemente perché qui si pongono i miei problemi di comprensione con Roth - da Nathan Zuckerman che ha conosciuto e ammirato lo Svedese da ragazzo e avrà modo di incontrarlo anche da adulto quasi per caso, inoltre è stato compagno di scuola e amico di Jerry Levov, fratello minore dello Svedese.

Ho accennato più volte a dei problemi di comprensione con Roth: c’è questo narratore Nathan Zuckerman che fa lo scrittore e che ricorda tutta l’ammirazione provata per Levov lo Svedese; ammirazione e ricordi che diventano praticamente un’ossessione dopo aver incontrato Jerry Levov al raduno dei compagni di classe per i quarantacinque anni dal diploma; l’io narrante Zuckerman ci dice di aver scritto un libro e da questo momento Zuckerman sparisce e leggiamo solo dello Svedese, ma quindi quello che leggiamo è una parte del libro scritto da Nathan? E, se sì, lui come fa a sapere alcune cose? Le inventa? Come faceva a conoscere le litigate tra Merry e il padre sulla questione del Vietnam? Oppure ci sono diversi piani narrativi? Anche ora che ho finito il libro i miei dubbi rimangono, sicuramente è un mio difetto e limite ma non riesco a far collimare le due parti, il non riuscire a rispondere alla mia domanda mi disturba.

Un aiuto mi è arrivato dalle spiegazioni che mi ha dato Sam (la trovate su instagram come @samlibrary), infatti Nathan Zuckerman è l’alterego narrativo di Roth e compare anche in altri suoi libri. Anche se continuo a non capire la scelta fatta da Roth proprio scrivendo la recensione mi sono accorta della sua genialità(!) perché l’espediente di Zuckerman permette a noi lettori di conoscere lo Svedese e le sue vicissitudini ben oltre la narrazione degli anni che segnano il punto di svolta.

L’altra perplessità, cui accennavo sempre all’inizio, è il finale che si presenta come indefinito e vago o meglio ancora il romanzo si chiude in un particolare momento della vita dello Svedese antecedente all’incontro con Nathan Zuckerman e proprio grazie alla presenza di Zuckerman e ai salti cronologici noi lettori conosciamo una serie di sviluppi nella vita di Levov lo Svedese anche se ignoriamo i passaggi attraverso cui arriva a quei risultati. (Io avrei letto altre trecento pagine perché sono fissata sul voler sapere vita morte e miracoli dei personaggi e poi la scrittura è magnifica, ma so anche che per molti altri lettori (probabilmente la maggior parte delle persone normali) non è così e i libri a un certo punto devono finire).

Quindi alla fin fine le mie “critiche” in realtà dopo aver letto il libro e soprattutto dopo averci pensato su sono quasi punti di forza, un espediente narrativo che rende il romanzo diverso e bellissimo comunque.

Sono molto contenta di aver letto questo romanzo che aspettava da anni nella mia libreria, avevo alte aspettative che non sono state deluse, ho incontrato un autore che penso possa piacermi molto e quindi voglio assolutamente leggere altro di suo (sia con Zuckerman che senza).

Fatemi sapere se lo avete letto.