TITOLO: Ho paura torero
AUTORE:
Pedro Lemebel - traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
EDITORE:
Marcos y Marcos
PAGINE:
202
PREZZO:
€ 16,00
GENERE:
letteratura cilena
LUOGHI VISITATI: Santiago del Cile anno 1986
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Irriverente, politicamente
scorretto, sarcastico e divertente.
La narrazione alterna le vicende
dalle Fata e Carlos con quelle del dittatore Augusto Pinochet.
Da un lato abbiamo la storia
d’amore tra la Fata dell’Angolo e Carlos, lei una “checca” che passa la vita
sognando, un animo nobile e dolce che si guadagna da vivere ricamando per le
ricche signore, lui un giovane del Fronte Patriottico Manuel Rodrìguez,
giovane, bellissimo e politicamente impegnato nella lotta contro il dittatore
Pinochet.
“… e tornava a pensare che lui
era così giovane, e lei così vecchia, lui così bello e le così spelacchiata
dagli anni. Lui un ragazzino così sottilmente virile, e lei frocia persa, tanto
checca che perfino l’aria intorno a lei sapeva di finocchio fermentato. E che
poteva farci se lui la riduceva in fin di vita, come carta velina impregnata
dell’umidità del suo alito? E che poteva farci, se nella sua vita aveva sempre
brillato il proibito, nella passione imbavagliata dell’impossibile?”
Dall’altro scorci di vita privata
del dittatore Augusto Pinochet con ricostruzioni della sua infanzia e
dell’incontro con la moglie. Non so dire quanto la ricostruzione della vita
privata del dittatore sia veritiera e plausibile ma è molto divertente:
troviamo un Pinochet intransigente e amante delle marcie musicali alle prese
con la moglie Lady Lucy assolutamente logorroica, che passa il tempo a
parlare e parlare di moda, stile e dei preziosi consigli del suo consulente
d’immagine Gonzalo, e con tutto questo stressa ed esaspera il marito.
Lemebel unisce sapientemente la
tenerezza e la dolcezza infinita della storia d’amore con erotismo e ‘volgarità’
da un lato e la crudezza ed efferatezza del regime con la logorroica First Lady
che rende tutto più frivolo.
Lo sfondo è la città di Santiago,
deturpata e imbruttita dagli scontri continui.
“La primavera era arrivata a
Santiago come tutti gli anni, però questa si portava dietro i colori vibranti
che imbrattavano i muri con graffiti brutali, slogan di libertà, mobilitazioni
sindacali e marce studentesche disperse con i cannoni ad acqua. I ragazzi dell’università
resistevano a pietrate agli schizzi fangosi degli sbirri. E caricavano senza
sosta conquistando la strada con le fiamme rabbiose delle molotov. Con
un’improvvisa esplosione tagliavano la luce e tutti correvano a comprar
candele, a raccogliere candele e ancora candele per incendiare le strade e i
marciapiedi, per disseminare di braci la memoria, per frantumare l’oblio con le
scintille. Come se la coda di una cometa si abbassasse fino a sfiorare la terra
in omaggio a tanti desaparecidos.”
“Di nuovo nell’Alameda con i suoi
edifici grigi affumicati dallo smog, di nuovo in centro con il suo brulichio di
gente, e di nuovo il Mapocho, con l’odore di pesce fritto e i fruttivendoli in
maniche di camicia, che se ne stavano in panciolle, assaporando quella vivace
solarità. Nonostante tutto era la sua Santiago, la sua città, la sua gente, che
si dibatteva tra gli abusi di una dittatura dura a morire e gli striscioni
tricolori che fluttuavano nell’aria settembrina.”
Due le tematiche principali il
mondo omosessuale della capitale cilena e il regime dittatoriale con la lotta
armata e le manifestazioni dei familiari dei desaparecidos.
“Gli sbirri di qui e i terroristi
di là, quel Fronte patriottico non so cosa, e tutte le pene di quella povera gente
a cui avevano ammazzato un familiare. Immancabilmente, quell’argomento riusciva
a commuoverla, quando ascoltava le testimonianze radiofoniche ricamando
lenzuola per la gente ricca, con rose senza spine.
Le spezzavano il cuore i singhiozzi di quelle signore che frugavano tra le
pietre, bagnate fradice sotto i getti del cannone ad acqua, che chiedevano dei
loro cari, che bussavano a porte di metallo che non si aprivano, respinte da un
fiotto d’acqua davanti al Ministero della giustizia, aggrappate ai pali, con le
calze rotte, tutte spettinate, con le mani strette al petto per non farsi
strappare da quell’acqua scura la foto attaccata vicino al cuore.”
Tutta la vicenda si svolge a tra
la primavera e l’autunno del 1986 devo ammettere la mia ignoranza, pensavo che
il regime di Pinochet fosse finito prima invece ho appreso che da fine anni ’80
il Cile ha iniziato un lento processo di democratizzazione ma il dittatore è
rimasto senatore a vita fino alla sua morte avvenuta nel 2006 e rimanendo
praticamente imputino per i crimini commessi. Quella dei regimi dittatoriali
del sud America è una pagina di Storia molto interessante che però ignoro.
La narrazione è scorrevole e
avvincente, con un ritmo incalzante e serrato che tiene il lettore incollato
alle pagine creando una sorta di suspance; la particolarità è che i dialoghi
non sono segnalati da segni di punteggiatura.
Il linguaggio è lirico, a tratti
poetico, caratteristica questa resa anche grazie alla Fata che spesso si
esprime quasi in rima, la narrazione è molto descrittiva.
La Fata è un personaggio davvero
fantastico, dolce, innamorata, cita vecchie canzoni d’amore e le canticchia in
continuazione, disposta a tutto (a rischiare tutto, anche la vita) per amore,
fingendo di essere ‘stupida’ di non capire, facendo anche la civetta dove
possibile per uscire da situazioni di pericolo.
“Sono una vecchia pazza, si
disse, sentendosi effimera come una goccia d’acqua nel palmo della sua mano. E
Carlos lo sa, anzi, gli piace che sia così. In questa casa si sente cullato, si
lascia amare. Niente di più, non c’è altro. Il resto erano solo film inventati
da lei, follie da frocio innamorato. E cosa ci poteva fare, se quel ragazzo la
tirava scema, con i suoi modi gentili e la sua cultura universitaria. Così
ripaga il favore che gli faccio con quelle casse. Con il suo tono affettuoso mi
paga l’affitto della mansarda dove si riuniscono i suoi compari. E come se
avesse bisogno di conferme, quando gli aprì la porta, Carlos entrò troppo
entusiasta, lodando la sua camicia, dicendo come ti trovo bene oggi. Cosa hai
fatto? il complimento lo accolse come un mazzo di orchidee, che si seccò tra le
mani quando Carlos aggiunse: Sai, questa notte vogliamo riunirci in soffitta.
Se per te non è un problema. Perché era così compìto con lei se sapeva che
avrebbe detto di sì? Perché insisteva con quella cortesia da gentiluomo
all’antica? Come se la considerasse tanto anziana, da trattare con rispetto e
rispetto e ancora rispetto. Quando l’unica cosa che lei voleva era che lui le
mancasse di quel famoso rispetto. Che le saltasse addosso soffocandola con il
suo tanfo da maschio in calore. Che le strappasse i vestiti, spogliandola,
lasciandola nuda come una vergine abusata.”
Pedro Lemebel è un riferimento
per la letteratura omosessuale e trae ispirazione per le sue opere anche dalla
sua vita privata. Oltre che scrittore è stato anche performer e attivista, a
partire dagli anni ’80 fa parte di un laboratorio letterario e scrive molte
‘cronache’, tutta la sua opera è incentrata su temi fondamentali come
desaparecidos, diritti umani, libertà sessuale e opposizione alla dittatura.
Tutti temi che si trovano anche in questo romanzo, penso l’unico che abbia
scritto; le altre opere che troviamo come “Parlami d’amore” “Baciami ancora,
forestiero” (editi Marcos y Marcos) e “Di perle e cicatrici” (edito Edicola
Ediciones) sono raccolte delle sue ‘cronache’ dei suoi racconti e aneddoti
scritti per progetti radiofonici o artistici e per le sue performance.
Emerge tutto il suo amore per il
Cile, per Santiago e per la vita. Leggendo le quarte di copertina degli altri
suoi volumi pubblicati mi sono convinta che nella Fata ci sia molto di Pedro
Lemebel, che la Fata sia un riflesso dello scrittore e di tante sue esperienze
di vita ma magari è solo una mia sensazione.
Conoscete Lemebel?
Io lo consiglio assolutamente.