venerdì 25 settembre 2020

SCENE DALLA VITA DI UN VILLAGGIO - AMOS OZ

TITOLO: Scene dalla vita di un villaggio

AUTORE: Amos Oz traduzione di Elena Loewenthal

EDITORE: Feltrinelli

PAGINE: 184

PREZZO: € 9,00

 GENERE: raccolta di racconti, letteratura isreliana

LUOGHI VISITATI: Israele

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“Scene dalla vita di un villaggio” dello scrittore israeliano Amos Oz è una raccolta di racconti accomunati dall’essere ambientati nel villaggio di Tel Ilan -  un luogo inventato dallo scrittore e geograficamente vicino a Tel Aviv -  ed avere per protagonista un abitante del villaggio.

Ogni racconto è caratterizzato da un alone di mistero, un qualcosa di inquietante che però non viene risolto; tutti i finali sono aperti e lasciano aperte, o addirittura pongono, delle domande che restano senza risposta.

La scrittura è magnetica, descrittiva ma al tempo stesso scarna, non dice nulla di più dell’essenziale pur descrivendo minuziosamente ogni cosa, ogni aspetto dei protagonisti e delle sensazioni che provano, la loro vita passata essenziale a inquadrare il presente, e il paesaggio.

L’inquietudine, il senso di abbandono, di vecchio e di inutile, l’insofferenza verso il prossimo, magari verso un genitore anziano, sono i sentimenti che prevalgono assieme alla voglia di cambiare vita. Il quadro che emerge è tutt’altro che bucolico, nonostante l’apparente bellezza e semplicità della vita tipica di un piccolo villaggio dove tutti si conoscono.

“Con ormai più di cent’anni di storia, Tel Ilan era circondato di piantagioni e frutteti, mentre i declivi delle colline a Oriente erano coperti da vigneti. Oltre la strada d’accesso in paese, c’erano filari e filari di mandorli. I tetti di tegole erano immersi nel verde intenso delle fronde di alberi secolari. Molti qui lavoravano ancora i campi e impiegavano manodopera straniera che abitava in casotti situati nei giardini sul retro. Ma alcuni abitanti avevano ormai dato in affitto i terreni e si mantenevano con il Bed and Breakfast, le gallerie d’arte, le boutique alla moda e altri lavori ancora. In centro avevano aperto due ristoranti tipici e una vineria a conduzione familiare, oltre a un negozio di acquari. Uno del posto aveva fondato una piccola ditta di mobili in stile. Il sabato il paese si riempiva di visitatori, chi veniva per mangiare e chi per comparare cianfrusaglie. Durante la settimana, invece, a mezzogiorno il paese sembrava deserto perché la gente si chiudeva in casa a riposare, con le persiane chiuse.”

Parlare della trama senza fare spoiler è molto difficile, perché i racconti sono brevi e come dicevo lasciano aperto il finale; in tutto sono otto e, come detto prima, sono tutti ambientati nel villaggio tranne l’ultimo che non c’entra nulla con gli altri (infatti mi sono anche domandata perché sia stata inserito).

Incontriamo il medico condotto del paese la dottoressa Ghili Steiner che aspetta alla fermata dell’autobus il nipote in licenza; l’immobiliarista Yossi Sasson che vorrebbe mettere le mani sul “Rudere” che è l’ultimo esemplare rimasto di abitazione costruita ai tempi della fondazione del villaggio; Benni Avni il sindaco così disponibile e ben voluto dai suoi concittadini; i Levin (Dahlia e Abrham) che periodicamente organizzano a casa loro delle serate di musica cui partecipa tutto il villaggio; e il vecchio Pesach Keden, ex parlamentare in pensione.   

Mi sono approcciata al libro pensando fosse un romanzo, invece ho scoperto essere una raccolta di racconti, anche a voi capita? E questa volta avevo anche letto la quarta di copertina prima di acquistarlo… In ogni caso è stata una lettura piacevole e una bella scoperta, Oz è un autore piuttosto prolifico e visto che la sua scrittura mi è piaciuta in futuro voglio provare a leggere altro di suo.

Conoscete Oz? Aspetto vostri consigli.




venerdì 18 settembre 2020

IL MULINO DEL PO - RICCARDO BACCHELLI

TITOLO: Il mulino del Po

AUTORE: Riccardo Bacchelli

EDITORE: Mondadori collana classici moderni

PAGINE: 1159

PREZZO: € 24,00

 GENERE: sagha familiare, romanzo storico - letteratura italiana

LUOGHI VISITATI: Italia (ferrarese) nel corso dell'800 e Piave durante Prima Guerra Mondiale

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Croce e delizia.

Un libro denso e corposo, un vero mattone! Il mulino del Po racconta le vicende di Lazzaro Scacerni e dei sui discendenti, il figlio Giuseppe detto Coniglio Mannaro, sua moglie, i loro figli e infine il bisnipote che chiude il cerchio e porta il nome del bisnonno.

Romanzo storico scritto tra il 1938 e il 1940 ambientato nel ferrarese, in particolare nella zona di Guarda e Ponticel della Pioppa, Ro e Ferrara; il periodo storico abbracciato è molto lungo si parte dell’epoca napoleonica fino alla Prima Guerra Mondiale.

Lettura meravigliosa per quel che riguarda la trama in se e per se, per le vicissitudini degli Scacerni a partire dal “misterioso” capostipite Lazzaro e anche per la ricostruzione storica.

“- Della vostra vita, padron Lazzaro, ci sarebbe da farne un romanzo.

- Che roba sarebbe? – chiese lo Scacerni, facendolo ridere di cuore.” 

 

L’opera presenta una struttura articolata con un prologo, tre libri e un epilogo finale.

Provo a sintetizzare la trama con gli elementi essenziali; non voglio dire molto perché non voglio rovinare la lettura, può sembrare semplice ma non lo è affatto, tutto è ricco di sfumature e profondità, e tra gli avvenimenti principali ce ne sono tantissimi altri minori.

Nel prologo e nel primo volume “Dio ti salvi” incontriamo il giovane Lazzaro Scacerni in Russia, al seguito della spedizione di Napoleone, riceve da un suo conterraneo del denaro con cui, tornato nel ferrarese, costruisce un mulino, il San Michele e inizia la sua attività di mugnaio di fiume sul Po; si innamora e sposa Dosolina e avranno un solo figlio, Giuseppe. Padron Lazzaro si trova a dover fare i conti e se vogliamo a scendere a patti con la malavita locale comandata da un contrabbandiere di nome Raguseo, va ricordato che ai tempi il Po segnava il confine tra lo Stato Pontificio e i possedimenti austriaci. Ma il mugnaio deve fare i conti con un pericolo terribile: le piene del Po (tante segneranno le vicende dei protagonisti) e durante una di queste padron Lazzaro salva il Paneperso un mulino che andava alla deriva e la ragazza che lo governava, Cecilia poiché la ragazza è rimasta orfana e l’unica cosa che ha è il mulino si appiarda a fianco del San Michele; tra Cecilia e padron Lazzaro si instaura un rapporto di affetto quasi filiale e di stima reciproca.

Giuseppe Scacerni odia i mulini preferisce fare il sensale, è molto bravo nel suo mestiere, è avaro, senza scrupoli, per questo e per la sua bruttezza verrà soprannominato Coniglio Mannaro. Nel secondo volume intitolato “La miseria viene in barca” seguiamo principalmente le sue avventure al servizio d’un tale Viginio Alpi un politicante e truffatore senza scrupoli; e in tutto questo tutto Giuseppe si sposa e avrà dei figli. E proprio Cecilia e i loro figli (Lazzarino, Giovanni, Antonio, Princivalle, Maria, Dosolina e Berta) saranno i protagonisti dell’ultimo libro intitolato “Mondo vecchio sempre nuovo” alle prese con la tassa sul macinato ma anche le prime lotte sindacali e gli scioperi.

Infine il volume si chiude con un epilogo che vede protagonista Lazzaro Scacerni bisnipote di padron Lazzaro che si ritrova a fare il pontiere sul Piave durante la Prima Guerra Mondiale, chiude il cerchio della narrazione con un parallelismo con le avventure giovanili del bisnonno in Russia anche lui pontiere.

Ci sono degli aspetti negativi, alcune caratteristiche della narrazione mi hanno disturbato: la lettura è molto pesante per la scrittura in se e per se e per le digressioni. La scrittura è estremamente articolata, macchinosa e artificiosa sia nella costruzione della frase (con una preponderanza di periodi lunghi(ssimi) pieni di congiunzioni e subordinate) che nella scelta lessicale. Qui è doveroso aprire una parentesi: è ovvio che un romanzo scritto nella prima metà del ‘900 utilizzi uno stile e un lessico diversi da quelli del 2020, e io ho pochissima esperienza di lettura di libri italiani scritti in quel periodo (per gli stranieri il discorso è diverso perché possono essere stati “ammodernati” con una traduzione – relativamente – recente), però secondo me Bacchelli ha uno stile molto arzigogolato che rende difficile la lettura, ho persino riletto alcune pagine a caso de “I Promessi Sposi” di Manzoni e le ho trovate molto più scorrevoli. Però devo dire che si sono anche delle parti.

Altro tasto dolente sono le digressioni: utili, interessanti e di grande interesse per contestualizzare le vicende narrate e conoscere la Storia, però troppe e troppo lunghe.

“Intanto Princivalle Scacerni era arrivato alla Guarda.

Ci sarebbe arrivato dieci volte, dirà qualcuno (mi pare di sentirlo), con tutte queste digressioni.

Non sono digressioni. È cercar le cose per intiero; e se non fosse superbia, direi che non ci si metta chi ha fiato corto e non ha buona memoria. Se non fosse superbia; ma tant’è: l’ho detto, e ormai non lo ritiro. E se non avesse per avventura, del ricercato e del sottile, aggiungerei che vuol essere, nel raccontare lo stile del contrappunto.” 

È stata una lettura difficile e altalenante con momenti in cui non riuscivo a staccarmi dalla pagine -in cui il Bacchelli instilla una curiosità morbosa nel lettore – che si alternano con momenti di lunghissime e tediose digressioni (ho avuto anche la tentazione di saltare delle pagine per la noia). Di contro, però, ci sono passaggi anche molto belli, lirici e potenti.

Ultimo aspetto che non mi è piaciuto è il fatto che non tutti i personaggi sono stati trattati allo stesso modo: alcuni escono di scena e non si sa che fine fanno e di altri si sa poco e niente e quasi per caso. La cosa mi infastidisce perché un romanzo molto lungo e prolisso, questa “noncuranza” verso alcuni mi è dispiaciuta, potevano esserci degli “approfondimenti”.

La costruzione dei personaggi è ben riuscita, definiti e caratterizzati, fedeli a se stessi e anche alla realtà dell’epoca di ambientazione, andando spesso ad incarnare e rappresentare ruolo e modi dei tempi ma anche “la pecora nera”, quello che sa distinguersi e crede nei propri ideali. Mi sono trovata subito in empatia con loro e mi dispiace che Bacchelli sia stato poco tenero. 

Si tratta di un romanzo storico e la Storia in questo libro è una protagonista, dall’epoca napoleonica con le esperienze della Repubblica Cisalpina e i governi giacobini, la campagna di Russia di Napoleone, la Restaurazione e gli ultimi decenni di governo dello Stato Pontificio (di cui il territorio ferrarese faceva parte) con le lotte intestine per il potere e per mantenerlo, la presenza degli Austriaci, il 1848, il Risorgimento, l’Unità d’Italia, i primi decenni dell’Italia unita.

 C’è soprattutto Storia locale del ferrarese, mostra le ripercussioni degli eventi storici su questa parte di mondo e sulle persone che ci vivono; ci sono le più importanti piene del Po e non mancano leggende locali.

Molto interessante è l’analisi delle conseguenze delle scelte politiche sul quotidiano, sulla vita di tutti i giorni in modo particolare l’analisi del periodo post unitario con i problemi del “non expedit”, della tassa sul macinato (i nostri protagonisti sono dei mugnai!), della leva obbligatoria, i registri di stato civile, fino ai primi scioperi e alle lotte sociali -  è la parte secondo me più consistente e quella che ho maggiormente apprezzato. Nell’analisi storica è spesso critico, sarcastico ma giusto, dà voce al popolo, al sentire comune.

“Correvano i primi anni del Regno d’Italia, difficili subito, e lungamente poi, per gli onerosi passivi finanziari delle guerre e d’un rivolgimento economico e sociale, lento gran tempo, e poi subitaneo, che aveva assommate le conseguenze d’un lungo disagio con quelle d’una rivoluzione precipitosa. È noto d’altra parte che all’indipendenza, alla libertà politica, all’unità statale, era preparati i pochi; e che presto i molti ci capiron anche meno di prima, salvo per mormorare che ‘si stava meglio quando si stava peggio’. […] La gente di piccolo affare, il popolo minuto, sentiva il disturbo e il peso e la novità degli obblighi civili e militare d’uno stato moderno, innanzi d’averne, non che vantaggi, non che coscienza, neppure una sufficiente cognizione politica; sentiva le tasse inasprite e l’inasprito rincaro; sentiva il peso nuovo della coscrizione militare, e denigrava, anche prima d’averli esercitati, i diritti del voto e delle altre libertà e garanzie costituzionali. Li denigrava per accidia e stizza, ma è anche vero che era riserbati a pochi, a un patriziato colto ed abbiente, mentre i pesi eran generali, e più sensibili ai poveri. Rimpiangeva, la gente, le tante esenzioni, e gli accomodamenti della vecchia costituzione, mentre i vantaggi della nuova parevano così remoti a venire, che predicarli e prometterli, o solo rivolgervi la mente, riusciva se mai a sfiducia e malcontento, quasi fosse mostrata la luna nel pozzo, per consolazione di fastidi e disagi ben altrimenti reali. Cominciava insomma la storia del Regno d’Italia, senza brillare per altri fatti gloriosi, ma che s’impone al rispetto per un aspro, diuturno, onesto sacrificio, che fu di quelli modesti: e non sono i più facili, né in cui meno s’affermi e fruttifichi la sostanza d’una utile virtù nazionale e popolare. Chè infine, se le plebi parteciparono poco al Risorgimento, ebbero parte assai, e dolente e coraggiosa, nel pagarne i debiti”. 

Il Bacchelli si fa datore di voce del popolo minuto, come lui stesso ribadisce più volte nel corso della narrazione.

“Ed ecco che sulla soglia di questo secondo libro del poema molinaresco, tutto quanto in cui l’autore può essersi ingegnato e travagliato coll’arte e collo studio, per acquisire alla poesia un secolo, un momento della possente umiltà del popolo minuto, civile in Italia d’una sua civiltà a volte evasiva e segreta e sempre inconfondibile e non mai soppressa da tanto e sì illustre e anche greve carico di storia; ecco tutto dilegua lietamente in una certezza radicata, da cui la fantasia attinge, ed io assumo, la certezza umana, e magari anche troppo umana: insomma, in una voce del sangue, in una di quelle cose che propriamente non si sa che si siano, e senza le quali l’uomo non sarebbe poi l’uomo.” 

 

Fin dall’inizio della lettura sono stata portata a paragonare questo romanzo con altri due “I Promessi Sposi” di Manzoni e “I Malavoglia” di Verga. Con “I Promessi Sposi” ci sono elementi in comune come il narratore onnisciente che dialoga/ interagisce con il lettore, le digressioni e contestualizzazioni storiche della vicenda. Mentre con l’opera verghiana è più una sensazione, sarà il periodo storico d’ambientazione che in parte coincide, per l’occuparsi del popolo, per la somiglianza sotto certi aspetti delle famiglie protagoniste: lavoratori instancabili che si trovano a dover fronteggiare la sorte avversa.

 

“La storia dei mugnai è finita, non aspetta che d’esser conclusa. Chi l’ha narrata, sente d’un tratto il vuoto che questa parola gli reca nell’animo, quasi lo aggrevi d’un tratto di tutto il tempo in cui gli fu dato di stare all’opera come se il tempo non passasse, quand’egli di sé e delle sue forze dava tutto, questo almeno sì, come in vista di un Et nunc dimittis.”

Lo avete letto? Cosa ne pensate?

mercoledì 26 agosto 2020

IL MATRIMONIO DELLE SORELLE WEBER - STEPHANIE COWELL

TITOLO: Il matrimonio delle sorelle Weber

AUTORE: Stephanie Cowell - traduzione di Serena Prina

EDITORE: Beat

PAGINE: 344

PREZZO: € 9,00

GENERE: romanzo storico - letteratura statunitense

 LUOGHI VISITATI: Europa di fine '700

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“Il matrimonio delle sorelle Weber” di Stephanie Cowell è un romanzo storico incentrato sul rapporto tra le sorelle Weber (Jofesa, Aloysia, Costanze e Sophie) e il compositore Wolfgang Amadeus Mozart.

I Weber sono una famiglia di musicisti, a partire dal padre, Fridolin che è tenore e insegnante di musica, un uomo per cui la musica è vita ma che non gli restituisce quanto basta per vivere. Quella dei musicisti è una realtà precaria, fatta di alti e bassi, con una costante: la mancanza di soldi. La madre, Maria Cecilia è una donna forte, tenace, ma anche molto egoista e prepotente, quasi pazza, sempre intenta a macchinare, a progettare e sperare in un matrimonio conveniente per le figlie, un matrimonio che le elevi socialmente ed economicamente.

Josefa è la figlia maggiore, è una ragazza pratica, genuina e sincera, appassionata di filosofia oltre che di musica. Poi viene Aloysia, bellissima, civetta, amante dello sfarzo e del lusso, assieme alla madre sogna di poter avere tutto quello che desidera grazie ad un matrimonio vantaggioso, ma è anche arrogante, superficiale, presuntuosa ed egoista. Costanze è la figlia quasi dimenticata, non bella, non canta, è colei che cercherà di tenere unita la famiglia, dovrà imparare a conoscere il mondo ma soprattutto sé stessa; sarà colei che sposerà Mozart. Infine, la più piccola, Sophie che fin da bambina è giudiziosa, compassionevole, ha sempre pronta una buona parola per tutti, appiana le liti e i contrasti in famiglia.

Josefa ed Aloysia sono le figlie più grandi, sono dotate di stupende voci e infatti diventeranno due soprani affermati e talentuosi.

“Mi alzo lentamente. Per un attimo chiudo gli occhi e la piccola stanza polverosa e buia svanisce, come pure il mio corpo appesantito, e io sono di nuovo con le mie sorelle, a ruzzolare insieme a mamma e papà, nell’appartemento al quinto piano che avevamo preso in affitto in una via laterale, a Mannheim. Posso sentire la musica, le risate, il gorgogliare del vino versato nei bicchieri. È giovedì sera, i musicisti stanno arrivando per suonare, ed ecco il nostro Mozart mentre sale a balzi le scale, per la prima volta. Era un giovedì sera, deve essere stato un giovedì sera. Io avevo undici anni, indossavo un grembiule bianco sull’abito scuro, la più piccola della famiglia…” 

Il Mozart che incontriamo in questo romanzo è giovane e alla ricerca di commissioni, sta girando varie città con la madre proprio alla ricerca di opportunità, e nella cittadina di Mannheim consocerà le sorelle Weber nel 1777. Di lui sappiamo molto poco se non che è stato un bambino prodigio, componeva e ha tenuto concerti in giro per l’Europa verso i cinque, sei anni. Presta servizio presso l’Arcivescovo di Salisburgo come organista, ma non è la vita che fa per lui, vuole comporre per l’opera e così lascerà l’incarico per dedicarsi unicamente alla composizione di ciò che ama. Seguiamo a grandi linee le vicende della sua vita da quando conosce i Weber fino a quando sposa Costanze nel 1782.  Il romanzo fondamentalmente si chiude con il loro matrimonio.

La narrazione si struttura in due parti che si intrecciano: un presente narrativo che è il 1842 dove a parlare è Sophie (la più piccola delle sorelle Weber), che racconta la storia della propria famiglia e della profonda amicizia con il compositore Mozart a Vincet Novello, un biografo inglese che si è recato in Austria proprio per scrivere sulla vita del compositore, con particolare riguardo alle donne che hanno influenzato le sue opere.

“Dissi: «Monsieur Novello, quando venne da me la prima volta mi parlò di come aveva sempre trovato reali le donne delle opere di Mozart e mi chiese se io e le mie sorelle avessimo in qualche modo influito sulla loro creazione. In tutta modestia credo di poterle rispondere che abbiamo esercitato una notevole influenza su di lui. Lo abbiamo fatto davvero, Monsieur».

L’amabile biografo avvicinò la lampada e continuò a voltare le pagine delle partiture. «Sì, siamo tute lì dentro», dissi. «Tutte noi, vede… Aloysia, Costanze, Josefa e io…Tutti i nostri umori, la nostra sensualità, la nostra giovinezza. Qualsiasi spartito lei prenda in mano…Don Giovanni, Così fan tutte… ci troverà qualcosa di noi. Siamo le fanciulle giocose, le contesse solitarie, le donne abbandonate. Io mi vedo nei panni della cameriera travestita da notaio, anche se – ahimè – non ho mai cantato, non ho mai saputo cantare!»”

 E poi ci sono le parti di ricostruzione della vicenda, in terza persona e con un narratore onnisciente.

Il punto focale della narrazione sono le sorelle Weber, attraverso le loro vicende e la loro storia è possibile anche ricostruire un quadro della situazione dell’epoca, e attraverso il rapporto di amicizia con Mozart è possibile ricostruire una parte della vita del compositore.

La narrazione è scorrevole, coinvolgente, e immersiva nella realtà storica, con particolare riguardo al mondo della musica.

Il periodo storico considerato è molto affascinante siamo nella Mitteleuropa di fine ‘700, in particolare le vicende ruotano attorno ad alcune corti di principi elettori del Sacro Romano Impero e dell’Impero Austroungarico degli Asburgo, in un mondo pre rivoluzione francese. Si tratta di un mondo fatto di sfarzo, di lusso, di teatro, di compositori e musicisti e cantanti, e opere e grandi feste (dove, appunto hanno modo di esibirsi gli artisti, e i nostri protagonisti), parrucche di seta incipriate, un mondo dove la musica è importante dove i figli delle persone che contano prendono lezioni di musica e/o di canto. Ma anche un mondo quotidiano fatto di rituali con di inchini e riverenze e non mancano i riferimenti e le ricostruzioni storiche dell’ambiente in cui le vicende si svolgono:

“Qualche metro sotto il livello delle case si trovava una delle numerose cantine in cui, annaffiate da birra locale in abbondanza, si potevano gustare braciole grasse così spesse che uno riusciva a malapena ad addentarle, una specie di pappa d’avena, grassi formaggi stagionati, grossi pezzi di prosciutto con coltelli affondati dentro per stimolare l’appetito, piatti di mostarda e cavolo e così via. Lì ci si dimenticava il giorno e l’ora: la luce non riusciva a penetrare nelle stanze sotterranee dal soffitto a volta, debolmente illuminato da poche candele che tuttavia bastavano a tramutare l’ostessa in un’ombra ben fatta e prosperosa e l’oste in un’ombra a forma di lungo coltello. Le due ombre, insieme a quella del garzone ingrugnito della birreria, fluttuavano e danzavano con i loro vassoi sulle pareti in pietra. L’odore di birra era fortissimo. […] Per accedere al locale i frequentatori dovevano aprire una pesante porta in un vicolo dietro a un gruppo di stalle e farsi strada a proprio rischio e pericolo scendendo i ripidi scalini consunti, vecchi di secoli. Le donne, laggiù, urlavano e ridevano sguaiatamente, e ogni tanto sollevavano di colpo le sottane fino alle ginocchia facendo baluginare per un attimo le calze bianche nella luce fioca. Lì andavano studenti di legge, attori e poveri musicisti.”

“Nel giro di poche settimane tutte e quattro le sorelle si considerarono viennesi. Nessuno che abitasse laggiù avrebbe potuto desiderare di abitare da qualche altra parte. Era un modo di essere: con una semplice passeggiata attraverso la città uno poteva passare accanto a tutto quello che, nel mondo, valeva la pena di essere posseduto e anche incontrare l’Imperatore che girava in carrozza. Si poteva parlare con disprezzo di tutto quello che capitava in campagna, nelle fattorie, nelle città di provincia, come se tutti quelli che vivevano laggiù fossero semplicemente troppo stupidi o troppo privi di valore per vivere qui. Si poteva dire una qualsiasi frasetta in francese o in italiano ed essere capiti al volo da chiunque.”

“Il caffè-pasticceria sul Graben era il più bello di tutta Vienna: file di ripiani di marmo reggevano i dolci su piatti d’argento; un lampadario a più braccia si rifletteva innumerevoli volte negli specchi dorati; e un trio di clavicembalo, violino e violoncello, in un angolo, suonava dei motivi popolari. L’aroma intenso del caffè e della cannella accoglieva gli avventori fin dall’ingresso.”

Questo è il secondo romanzo della Cowell che leggo, questa primavera avevo letto “La donna col vestito verde”, sono gli unici due tradotti in Italia, ho riscontrato alcune somiglianze: anzitutto in entrambi c’è una ricostruzione plausibile di una storia d’amore che coinvolge un importante personaggio del panorama artistico e culturale, in questo Mozart e le sorelle Weber mentre nel primo il pittore Monet; in entrambi ad essere analizzato è il mondo degli artisti un mondo segnato da grandi passioni, grandi idee a cui, purtroppo, non corrispondono guadagni e sicurezza di vita in termini economici. La somiglianza più evidente io l’ho riscontrata nella struttura narrativa, nell’alternanza tra le parti ambientate in un “oggi” letterario e quelle invece di narrazione, ricostruzione delle vicende passate. Spero che vengano portate in Italia anche altre sue opere, che mi è parso di capire siano sempre romanzi storici.

Ho trovato i romanzi un ottimo modo per iniziare a conoscere alcuni aspetti della vita di importanti artisti, le cui vicende sono rese fruibili e godibili grazie anche alla scorrevolezza di un romanzo.

 Voi conoscete la Cowell? Vi piace questo periodo storico? 

Aspetto i vostri suggerimenti