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venerdì 18 settembre 2020

IL MULINO DEL PO - RICCARDO BACCHELLI

TITOLO: Il mulino del Po

AUTORE: Riccardo Bacchelli

EDITORE: Mondadori collana classici moderni

PAGINE: 1159

PREZZO: € 24,00

 GENERE: sagha familiare, romanzo storico - letteratura italiana

LUOGHI VISITATI: Italia (ferrarese) nel corso dell'800 e Piave durante Prima Guerra Mondiale

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Croce e delizia.

Un libro denso e corposo, un vero mattone! Il mulino del Po racconta le vicende di Lazzaro Scacerni e dei sui discendenti, il figlio Giuseppe detto Coniglio Mannaro, sua moglie, i loro figli e infine il bisnipote che chiude il cerchio e porta il nome del bisnonno.

Romanzo storico scritto tra il 1938 e il 1940 ambientato nel ferrarese, in particolare nella zona di Guarda e Ponticel della Pioppa, Ro e Ferrara; il periodo storico abbracciato è molto lungo si parte dell’epoca napoleonica fino alla Prima Guerra Mondiale.

Lettura meravigliosa per quel che riguarda la trama in se e per se, per le vicissitudini degli Scacerni a partire dal “misterioso” capostipite Lazzaro e anche per la ricostruzione storica.

“- Della vostra vita, padron Lazzaro, ci sarebbe da farne un romanzo.

- Che roba sarebbe? – chiese lo Scacerni, facendolo ridere di cuore.” 

 

L’opera presenta una struttura articolata con un prologo, tre libri e un epilogo finale.

Provo a sintetizzare la trama con gli elementi essenziali; non voglio dire molto perché non voglio rovinare la lettura, può sembrare semplice ma non lo è affatto, tutto è ricco di sfumature e profondità, e tra gli avvenimenti principali ce ne sono tantissimi altri minori.

Nel prologo e nel primo volume “Dio ti salvi” incontriamo il giovane Lazzaro Scacerni in Russia, al seguito della spedizione di Napoleone, riceve da un suo conterraneo del denaro con cui, tornato nel ferrarese, costruisce un mulino, il San Michele e inizia la sua attività di mugnaio di fiume sul Po; si innamora e sposa Dosolina e avranno un solo figlio, Giuseppe. Padron Lazzaro si trova a dover fare i conti e se vogliamo a scendere a patti con la malavita locale comandata da un contrabbandiere di nome Raguseo, va ricordato che ai tempi il Po segnava il confine tra lo Stato Pontificio e i possedimenti austriaci. Ma il mugnaio deve fare i conti con un pericolo terribile: le piene del Po (tante segneranno le vicende dei protagonisti) e durante una di queste padron Lazzaro salva il Paneperso un mulino che andava alla deriva e la ragazza che lo governava, Cecilia poiché la ragazza è rimasta orfana e l’unica cosa che ha è il mulino si appiarda a fianco del San Michele; tra Cecilia e padron Lazzaro si instaura un rapporto di affetto quasi filiale e di stima reciproca.

Giuseppe Scacerni odia i mulini preferisce fare il sensale, è molto bravo nel suo mestiere, è avaro, senza scrupoli, per questo e per la sua bruttezza verrà soprannominato Coniglio Mannaro. Nel secondo volume intitolato “La miseria viene in barca” seguiamo principalmente le sue avventure al servizio d’un tale Viginio Alpi un politicante e truffatore senza scrupoli; e in tutto questo tutto Giuseppe si sposa e avrà dei figli. E proprio Cecilia e i loro figli (Lazzarino, Giovanni, Antonio, Princivalle, Maria, Dosolina e Berta) saranno i protagonisti dell’ultimo libro intitolato “Mondo vecchio sempre nuovo” alle prese con la tassa sul macinato ma anche le prime lotte sindacali e gli scioperi.

Infine il volume si chiude con un epilogo che vede protagonista Lazzaro Scacerni bisnipote di padron Lazzaro che si ritrova a fare il pontiere sul Piave durante la Prima Guerra Mondiale, chiude il cerchio della narrazione con un parallelismo con le avventure giovanili del bisnonno in Russia anche lui pontiere.

Ci sono degli aspetti negativi, alcune caratteristiche della narrazione mi hanno disturbato: la lettura è molto pesante per la scrittura in se e per se e per le digressioni. La scrittura è estremamente articolata, macchinosa e artificiosa sia nella costruzione della frase (con una preponderanza di periodi lunghi(ssimi) pieni di congiunzioni e subordinate) che nella scelta lessicale. Qui è doveroso aprire una parentesi: è ovvio che un romanzo scritto nella prima metà del ‘900 utilizzi uno stile e un lessico diversi da quelli del 2020, e io ho pochissima esperienza di lettura di libri italiani scritti in quel periodo (per gli stranieri il discorso è diverso perché possono essere stati “ammodernati” con una traduzione – relativamente – recente), però secondo me Bacchelli ha uno stile molto arzigogolato che rende difficile la lettura, ho persino riletto alcune pagine a caso de “I Promessi Sposi” di Manzoni e le ho trovate molto più scorrevoli. Però devo dire che si sono anche delle parti.

Altro tasto dolente sono le digressioni: utili, interessanti e di grande interesse per contestualizzare le vicende narrate e conoscere la Storia, però troppe e troppo lunghe.

“Intanto Princivalle Scacerni era arrivato alla Guarda.

Ci sarebbe arrivato dieci volte, dirà qualcuno (mi pare di sentirlo), con tutte queste digressioni.

Non sono digressioni. È cercar le cose per intiero; e se non fosse superbia, direi che non ci si metta chi ha fiato corto e non ha buona memoria. Se non fosse superbia; ma tant’è: l’ho detto, e ormai non lo ritiro. E se non avesse per avventura, del ricercato e del sottile, aggiungerei che vuol essere, nel raccontare lo stile del contrappunto.” 

È stata una lettura difficile e altalenante con momenti in cui non riuscivo a staccarmi dalla pagine -in cui il Bacchelli instilla una curiosità morbosa nel lettore – che si alternano con momenti di lunghissime e tediose digressioni (ho avuto anche la tentazione di saltare delle pagine per la noia). Di contro, però, ci sono passaggi anche molto belli, lirici e potenti.

Ultimo aspetto che non mi è piaciuto è il fatto che non tutti i personaggi sono stati trattati allo stesso modo: alcuni escono di scena e non si sa che fine fanno e di altri si sa poco e niente e quasi per caso. La cosa mi infastidisce perché un romanzo molto lungo e prolisso, questa “noncuranza” verso alcuni mi è dispiaciuta, potevano esserci degli “approfondimenti”.

La costruzione dei personaggi è ben riuscita, definiti e caratterizzati, fedeli a se stessi e anche alla realtà dell’epoca di ambientazione, andando spesso ad incarnare e rappresentare ruolo e modi dei tempi ma anche “la pecora nera”, quello che sa distinguersi e crede nei propri ideali. Mi sono trovata subito in empatia con loro e mi dispiace che Bacchelli sia stato poco tenero. 

Si tratta di un romanzo storico e la Storia in questo libro è una protagonista, dall’epoca napoleonica con le esperienze della Repubblica Cisalpina e i governi giacobini, la campagna di Russia di Napoleone, la Restaurazione e gli ultimi decenni di governo dello Stato Pontificio (di cui il territorio ferrarese faceva parte) con le lotte intestine per il potere e per mantenerlo, la presenza degli Austriaci, il 1848, il Risorgimento, l’Unità d’Italia, i primi decenni dell’Italia unita.

 C’è soprattutto Storia locale del ferrarese, mostra le ripercussioni degli eventi storici su questa parte di mondo e sulle persone che ci vivono; ci sono le più importanti piene del Po e non mancano leggende locali.

Molto interessante è l’analisi delle conseguenze delle scelte politiche sul quotidiano, sulla vita di tutti i giorni in modo particolare l’analisi del periodo post unitario con i problemi del “non expedit”, della tassa sul macinato (i nostri protagonisti sono dei mugnai!), della leva obbligatoria, i registri di stato civile, fino ai primi scioperi e alle lotte sociali -  è la parte secondo me più consistente e quella che ho maggiormente apprezzato. Nell’analisi storica è spesso critico, sarcastico ma giusto, dà voce al popolo, al sentire comune.

“Correvano i primi anni del Regno d’Italia, difficili subito, e lungamente poi, per gli onerosi passivi finanziari delle guerre e d’un rivolgimento economico e sociale, lento gran tempo, e poi subitaneo, che aveva assommate le conseguenze d’un lungo disagio con quelle d’una rivoluzione precipitosa. È noto d’altra parte che all’indipendenza, alla libertà politica, all’unità statale, era preparati i pochi; e che presto i molti ci capiron anche meno di prima, salvo per mormorare che ‘si stava meglio quando si stava peggio’. […] La gente di piccolo affare, il popolo minuto, sentiva il disturbo e il peso e la novità degli obblighi civili e militare d’uno stato moderno, innanzi d’averne, non che vantaggi, non che coscienza, neppure una sufficiente cognizione politica; sentiva le tasse inasprite e l’inasprito rincaro; sentiva il peso nuovo della coscrizione militare, e denigrava, anche prima d’averli esercitati, i diritti del voto e delle altre libertà e garanzie costituzionali. Li denigrava per accidia e stizza, ma è anche vero che era riserbati a pochi, a un patriziato colto ed abbiente, mentre i pesi eran generali, e più sensibili ai poveri. Rimpiangeva, la gente, le tante esenzioni, e gli accomodamenti della vecchia costituzione, mentre i vantaggi della nuova parevano così remoti a venire, che predicarli e prometterli, o solo rivolgervi la mente, riusciva se mai a sfiducia e malcontento, quasi fosse mostrata la luna nel pozzo, per consolazione di fastidi e disagi ben altrimenti reali. Cominciava insomma la storia del Regno d’Italia, senza brillare per altri fatti gloriosi, ma che s’impone al rispetto per un aspro, diuturno, onesto sacrificio, che fu di quelli modesti: e non sono i più facili, né in cui meno s’affermi e fruttifichi la sostanza d’una utile virtù nazionale e popolare. Chè infine, se le plebi parteciparono poco al Risorgimento, ebbero parte assai, e dolente e coraggiosa, nel pagarne i debiti”. 

Il Bacchelli si fa datore di voce del popolo minuto, come lui stesso ribadisce più volte nel corso della narrazione.

“Ed ecco che sulla soglia di questo secondo libro del poema molinaresco, tutto quanto in cui l’autore può essersi ingegnato e travagliato coll’arte e collo studio, per acquisire alla poesia un secolo, un momento della possente umiltà del popolo minuto, civile in Italia d’una sua civiltà a volte evasiva e segreta e sempre inconfondibile e non mai soppressa da tanto e sì illustre e anche greve carico di storia; ecco tutto dilegua lietamente in una certezza radicata, da cui la fantasia attinge, ed io assumo, la certezza umana, e magari anche troppo umana: insomma, in una voce del sangue, in una di quelle cose che propriamente non si sa che si siano, e senza le quali l’uomo non sarebbe poi l’uomo.” 

 

Fin dall’inizio della lettura sono stata portata a paragonare questo romanzo con altri due “I Promessi Sposi” di Manzoni e “I Malavoglia” di Verga. Con “I Promessi Sposi” ci sono elementi in comune come il narratore onnisciente che dialoga/ interagisce con il lettore, le digressioni e contestualizzazioni storiche della vicenda. Mentre con l’opera verghiana è più una sensazione, sarà il periodo storico d’ambientazione che in parte coincide, per l’occuparsi del popolo, per la somiglianza sotto certi aspetti delle famiglie protagoniste: lavoratori instancabili che si trovano a dover fronteggiare la sorte avversa.

 

“La storia dei mugnai è finita, non aspetta che d’esser conclusa. Chi l’ha narrata, sente d’un tratto il vuoto che questa parola gli reca nell’animo, quasi lo aggrevi d’un tratto di tutto il tempo in cui gli fu dato di stare all’opera come se il tempo non passasse, quand’egli di sé e delle sue forze dava tutto, questo almeno sì, come in vista di un Et nunc dimittis.”

Lo avete letto? Cosa ne pensate?