giovedì 30 gennaio 2025

LA SIGNORA DELLO ZOO DI VARSAVIA

TITOLO: La signora dello zoo di Varsavia
REGISTA: Niki Caro
ATTORI PRINCIPALI: Jessica Chastain nel ruolo di Antonina ŻabińskaJohan Heldenbergh nel ruolo di Jan Żabiński e Daniel Brühl nel ruolo di Lutz Heck
DURATA: 126 minuti
GENERE: drammatico, biografico
AMBIENTAZIONE: Varsavia fine anni '30 primi anni '40




Un film drammatico che racconta la storia di una famiglia e di una donna, Antonina che ha messo a repentaglio la propria esistenza per salvare delle persone innocenti.

 Protagonista è Antonina Żabińska (interpretata da Jessica Chastain), una donna che ama fortemente gli animali a cui dedica tutta se stessa. Lei e il marito Jan Żabiński (interpretato da Johan Heldenbergh) gestiscono lo zoo di Varsavia allo scoppio della seconda guerra mondiale. Iniziata la guerra lo zoo viene requisito e occupato dai nazisti come base e mezzo di approvvigionamento ma gli Żabiński ottengono di poter continuare a viverci offrendosi di allevare maiali per il Reich andando a recuperare il nutrimento per gli animali al ghetto ebraico. Altro personaggio chiave è Lutz Heck (interpretato da Daniel Brühl) direttore dello zoo di Berlino e per questo conoscente degli Żabiński che allo scoppio della guerra si presenta come ufficiale SS nonché capo zoologo di Hitler. Heck ha mostrato già da tempo un ammirazione per Antonina che sicuramente gli Żabiński sfruttano per mantenere aperto lo zoo come allevamento di suini, ma Heck porta avanti anche un suo esperimento scientifico con dei bisonti dove (volente o nolente) Antonina partecipa.

Gli Żabiński fanno parte di un organizzazione che salverà molti ebrei facendoli fuggire dal ghetto (anzitutto con la scusa dei rifiuti come cibo per maiali escono nascoste delle persone, ma non è l’unico modo), ospitandoli nello zoo e a casa loro, aiutandoli nel camuffarsi da “ariani”. La particolarità che rende la storia degli Żabiński ancor più eroica è che loro avevano i nazisti fuori dalla porta!

Il film è diretto da Niki Caro e si basa sul libro Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman a sua volta tratto da una storia vera di Antonina Żabińska (ricostruita grazie ai suoi diari).

Fatemi sapere se lo conoscete. Un film perfetto da recuperare in occasione della giornata della memoria.


venerdì 24 gennaio 2025

IL SERGENTE DELLA NEVE di MARIO RIGONI STERN

TITOLO: Il sergente della neve
AUTORE: Mario Rigoni Stern
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 144
PREZZO: € 11,50
GENERE: letteratura italiana, memoir, campagna di Russia seconda guerra mondiale
LUOGHI VISITATI: Russia, seconda guerra mondiale


Il sergente della neve è il memoir di Mario Rigoni Stern sulla ritirata dalla campagna di Russia, una testimonianza generica al tempo stesso precisa, racconta solo i fatti, l’esperienza vissuta senza spiegazioni, come dice lo stesso Rigoni Stern ci sono solo nomi di Alpini e non di luoghi perché quelli lui non li conosceva. Si tratta a tutti gli effetti di un memoriale, non è e non vuole essere un romanzo quindi non ci sono particolari spiegazioni e soprattutto c’è tanto non detto semplicemente perché non conosciuto dall’autore stesso.

Il libro racconta un’esperienza di guerra, è una lettura meno “pesante” di quello che mi aspettavo ma comunque molto intensa e dolorosa si occupa della ritirata dalla Russia, sappiamo già come è andata la campagna di Russia e cosa possiamo aspettarci dai ricordi di scuola. La narrazione si divide in due parti la prima (la più breve) che racconta della vita in trincea e poi la seconda parte che è quella più cospicua narra della ritirata. La ritirata dal fronte russo è una marcia lunghissima nel freddo e nella neve, praticamente senza cibo e riposo dove devono comunque combattere contro i russi che contrattaccano (mica li lasciano andare via come nulla fosse) quindi è pieno di imboscate e battaglie, tra cui la tristemente famosa battaglia di Nikolaevka.

“Viene il 26 gennaio 1943, questo giorno di cui si è già tanto parlato. È l’aurora. Il sole sta sorgento dal basso orizzonte ci manda i suoi primi raggi. Il biancore della neve e il sole abbagliano gli occhi. […] Affacciandoci ad una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con un treno pronto per noi. Saremo fuori dalla sacca se raggiungiamo la ferrovia.” Pag 103


Rigoni è in un battaglione di Alpini e racconta la sua esperienza che è personale ma al tempo stesso comune a molti altri, trattandosi di un memoir noi lettori sappiamo che Rigoni Stern ce l’ha fatta è tornato a casa grazie al suo coraggio (tantissimo), agli sforzi e alla sofferenza ma anche a tanta, tantissima fortuna. Ha avuto la capacità di mantenere un grande sangue freddo e grandi capacità organizzative e di comando, ma anche una grande umanità (che dimostra non solo verso i compagni ma anche verso la popolazione russa che lo ripaga con del cibo). Durante la narrazione Rigoni trova spesso delle assonanze tra ciò che vede in Russia (persone e luoghi) con il suo paese e i suoi paesani e in generale con l’Italia e gli italiani a sottolineare ulteriormente che non ha perso l’umanità anzi è un occhio lucido, attento e realistico.

“È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la neve, le nubi, le montagne e i volti dei bambini che giocano son le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Ma anche laggiù in quell’estremo lembo della steppa c’era un angolo caldo. La neve era intatta, l’orizzonte viola, e gli alberi si alzavano verso il cielo: betulle bianche e tenere e sotto queste un gruppo di isbe. Pareva che non ci fosse la guerra laggiù; erano fuori dal tempo e fuori dal mondo, tutto era come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora. Lì aggiustavano gli aratri e le cinghie dei cavalli; i vecchi fumavano, le donne filavano la canapa. Non ci poteva essere la guerra sotto quel cielo viola e quelle betulle bianche, in quelle isbe lontane nelle steppa. Pensavo: «Voglio anch’io andare in quel caldo, e poi si scioglierà la neve, le betulle si faranno verdi e ascolterò la terra germogliare. Andrò nella steppa con le vacche, e alla sera, fumando macorka, ascolterò cantare le quaglie nel campo di grano. D’autunno taglierò a fette le mele e le pere per fare gli sciroppi e aggiusterò le cinghie dei cavalli e gli aratri e diventerò vecchio senza che mai ci sia stata la guerra. Dimenticherò tutto e crederò di essere sempre stato là». Guardavo quel caldo e si faceva sempre più sera.” Pag 67

Una testimonianza importantissima da leggere e una base per approfondire, non è uno storico a parlare ma un ragazzo comune che ha vissuto la campagna di Russia e il rientro “a baita” sulla sua pelle. Non è una lettura facile soprattutto verso la fine ci sono delle pagine per me dolorosissime e difficili (alla fine Rigoni ci dirà chi dei suoi compagni che abbiamo conosciuto all’inizio ce l’ha fatta e chi no, e mi ero affezionata molto ad alcuni). In questo libro si dà voce a tutti quelli che sono tornati ma anche a quelli che non ce l’hanno fatta, si dà voce a chi ha pagato con la vita l’invasione della Russia (inutile come tutte le guerre).

“Ecco, ora è finita la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo ancora camminato. Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qualche volta si facevano lunghe marce anche di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per congelamento perché mi ero aggrappato a un camion senza guanti. Vi furono ancora tormente di neve e di freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo nelle isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero ancora da dire, ma queste è un’altra storia.” pag 126



Non posso che consigliarvelo, è un libro meraviglioso, sicuramente straziante ma anche necessario.

Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cos’altro mi consigliate di Rigoni Stern.


venerdì 17 gennaio 2025

IL COMMESSO di BERNARD MALAMUD

TITOLO: Il commesso 
AUTORE: Bernard Malamud         traduzione di: Giancarlo Buzzi
EDITORE: Minimum Fax
PAGINE: 327
PREZZO: € 12
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York fine anni '50




Un libro che mi è piaciuto molto e di cui mi risulta molto difficile parlare, mi capita con i libri che mi piacciono tanto talmente tanto da non trovare le parole.

Pubblicato nel 1957 ha un ambientazione coeva che oggi direi vintage: una New York d’altri tempi dove un panino costa 3 centesimi.

La storia è quella di un negoziante ebreo, Morris Bober e del suo negozio di alimentari a Brooklyn. Il negozio è l’unica ragione di vita di Morris ma anche ciò che gli ha rubato la giovinezza, che gli sta succhiando tutte le energie e in definitiva la vita (praticamente Morris è “sepolto” dentro al suo negozio da quarant’anni, esce raramente e mai dal quartiere) e nonostante il grandissimo impegno, tiene aperto dalle sei del mattino alle dieci di sera, il negozio non dà ai Bober abbastanza per tirare avanti e devono integrare con il magro stipendio della figlia Helen. Ci sarebbero tante cose da fare, da migliorare per stare al passo con i tempi e la concorrenza ma non ci sono i soldi, il negozio è lo stesso da decenni, ormai è fatiscente e i clienti sempre più scarsi, anche i più fedeli si rivolgono alla concorrenza. Uno dei problemi è proprio la presenza di nuovi supermercati nel quartiere, supermercati moderni e attrezzati che inoltre sono gestiti da “gentili”. I Bober sono ebrei ma vivono in un quartiere “normale” (cioè non ebraico o a maggioranza ebraica) e la loro appartenenza razziale è motivo di discrimine.

Abbiamo una narrazione lenta, tutto è incentrato sul negozio che è praticamente anche, salvo pochissime eccezioni, l’unico luogo dove vediamo i personaggi, dove si svolge “l’azione”. È un libro molto statico e molto introspettivo: Malamud scandaglia approfonditamente l’animo dei personaggi, ci racconta quello che dicono e quello che fanno ma anche e soprattutto i loro pensieri, sentimenti, paure, timori e le loro aspirazioni. Malamud appartiene al filone della narrativa ebraico-americana come Philip Roth e come Saul Bellow (per citare i più famosi), ho letto che è considerato il padre letterario di Roth (anche se quest’ultimo si discosta per essere molto più diretto e pungente). 

Voglio spendere due parole sui personaggi che sono il fulcro principale della narrazione che come detto sopra non è di azioni ma di introspezioni.

C’è la famiglia Bober composta da Morris, la moglie Ida e la figlia Helen, sono ebrei osservanti e per loro l’appartenenza religiosa è molto importante, non accetterebbero mai un matrimonio misto per la figlia.

Helen ha le idee chiare, è pratica e pragmatica, forse un po’ troppo idealista e per questo si è fatta terra bruciata intorno, è terribilmente sola l’unica compagnia le viene dai libri e dalla lettura. Non che sia priva di ammiratori, è anche una bella ragazza e nello stesso quartiere vivono altre due famiglie ebree in entrambe ci sarebbe un possibile pretendente, una ragazzo interessato ma lei vuole qualcosa di diverso, sogna e vuole una vita con determinate caratteristiche e non accetta compressi.

Il personaggio di Morris è pazzesco, è l’onesta fatta persona, non ruberebbe un grammo mentre gli altri non si fanno scrupoli a derubarlo e ingannarlo. È un sessantacinquenne ebreo emigrato dalla Russia zarista che cerca di realizzare il sogno americano con il suo negozio di alimentari a Brooklyn. È un uomo buono e onesto, che però si scontra con la dura realtà della vita, le perdite, la vecchiaia, la malattia e soprattutto il progresso.

“«Perché ho sgobbato tanto? Dov’è, dov’è finita la mia giovinezza?»
Gli anni erano passati spietatamente, senza profitto. Ma di chi era la colpa? Quello che non gli aveva fatto il destino se l’era fatto da sé. Bastava soltanto scegliere la strada giusta e lui invece aveva scelto quella sbagliata. Anche quando era giusta, si rivelava sbagliata. Per capirne il motivo bisognava possedere un’istruzione che lui non aveva. Tutto ciò che sapeva era che voleva qualcosa di meglio, ma in tutti questi anni non era mai riuscito a trovare il sistema per ottenerlo. La fortuna era un dono. Karp ce l’aveva, e anche qualche suo vecchio amico, individui ricchi che ormai erano nonni, mentre la sua povera figliuola, fatta sua immagine, rischiava – se pure non se lo poneva come obiettivo -  di restare zitella. La vita era ben povera cosa e il mondo cambiava in peggio. L’America era diventata troppo complicata e un uomo non contava più nulla. Troppi negozi, troppe depressioni, troppe ansie. Cosa aveva voluto fuggire, venendo qui?” pag 276 e 277

Infine il “commesso” del titolo Frank Alpine: un giovane di origini italiane, senza fissa dimora, un piccolo delinquente con un burrascoso passato alle spalle con la spola tra orfanatrofi e famiglie affidatarie poco amorevoli. Un ragazzo cresciuto da solo e per strada che ha sempre potuto contare solo su stesso. A un certo punto (anche per delle ragioni che si scoprono nel libro) decide di redimersi, di impegnarsi a diventare una persona migliore e come fa? Facendo il garzone per i Bober, in realtà praticamente imponendosi come garzone, il suo aiuto è molto prezioso i Bober ormai sono vecchi. Alla ragione iniziale se ne aggiungerà un’altra, io direi piuttosto scontata, un infatuazione, un interesse per Helen. (Dico scontata perché abbiamo vicino due ragazzi dannatamente soli e bisognosi di comprensione).

Voglio leggere altro di Malamud a me è piaciuto molto. Fatemi sapere nei commenti se lo conoscete e cosa mi consigliate.