venerdì 18 dicembre 2020

IL ROGO DI BERLINO - HELGA SCHNEIDER

TITOLO: Il rogo di Berlino
AUTORE: Helga Schneider
EDITORE: Adelphi - collana Gli Adelphi
PAGINE: 229
PREZZO: € 11
GENERE: letteratura tedesca, memoir
LUOGHI VISITATI: Berlino durante anni '40-'46 

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Un libro triste e doloroso.

Berlino, la capitale del Terzo Reich, sotto i bombardamenti! Un volto, un aspetto nuovo (almeno per me) dei drammi e delle tragedie che sono state la seconda guerra mondiale. Il tutto raccontato da una bambina di quattro, cinque anni quando la madre biologica l’abbandona per unirsi alle SS. Siamo nel 1941 e Berlino già si trova a combattere con la fame e la miseria, le cose non possono che peggiorare arrivando a bombardamenti continui, assenza di acqua, elettricità e cibo, dove le persone sono costrette a vivere rintanate nelle cantine dei palazzi, chi ce l’ha, sperando che il proprio palazzo non venga distrutto; rischiando quotidianamente la vita per procurarsi acqua e cibo.

“Il bus imbocca la Lothar-Bucher-Strasse in senso vietato, ma nessuno ci fa caso. I pochi automezzi che si aggirano per le vie deserte non si preoccupano certo di osservare le regole del traffico, e comunque mancano del tutto i vigili, un genere completamente estinto, così come sono scomparsi i pompieri che dovrebbero spegnere gli incendi provocati dalle bombe al fosforo. Non funziona più nulla: non ci sono più postini né fattorini che portino il latte, non si trova più un solo medico, e le squadre di Pronto Intervento, che fino a qualche tempo fa sgomberavano le strade dai cadaveri, ora non rispondono più al telefono. Una città un tempo funzionale e organizzata ha abbandonato la popolazione a sé stessa: niente più diritti, niente più doveri.”

È un romanzo autobiografico. La cosa che forse mi ha maggiormente fatto male, non è tanto e solo gli orrori della guerra, ma la solitudine e l’abbandono affettivo in cui la piccola Helga deve vivere. Abbandonati dalla madre, il padre si risposa praticamente subito e lei e il fratellino devono crescere con la matrigna Ursula. Purtroppo tra le due non scatta la scintilla, non scatta l’amore, Helga è una bambina ribelle, testarda (e come darle torto), tra lei e la matrigna è sempre guerra. Anche col fratellino le cose non vanno bene, lui è legatissimo alla matrigna, è viziato e pretenzioso e anche cattivo, tra i due (almeno per gli anni narrati in questo libro) manca quel legame fraterno di solidarietà e amore reciproco che dovrebbe contraddistinguere ogni rapporto tra fratelli. Helga vive anche delle esperienze in istituti correttivi, ma verrà riportata a casa e passa l’ultimo anno e mezzo del conflitto con la famiglia rintanati in cantina.

“La maggior parte del tempo stavamo sdraiati sui nostri giacigli per risparmiare le forze. Da un lato desideravamo che la guerra finisse, dall’altro temevamo l’arrivo dei russi. Intanto continuavano a bombardarci, ma nessuno capiva quali obiettivi potessero essere ancora in piedi e fare gola al nemico. Berlino era un rogo, cosa volevano ancora?”

Grazia alla zia Hilde che lavora al ministero della propaganda Helga e il fratellino Peter avranno la fortuna di fare un soggiorno nel bunker della Cancelleria del Reich e anche di incontrare Hitler di persona. Ho detto fortuna perché nel bunker è possibile lavarsi e soprattutto mangiare a sazietà.

Il tutto viene narrato secondo le percezioni di una bambina: la stessa autrice una volta adulta che rivive quei terribili anni. Il libro è molto scorrevole ma non è una lettura facile per la drammaticità di quanto narrato, tanto più che si tratta di una storia vera, e non una semplice finzione letteraria.

La Schneider ha scritto altri libri autobiografici, come questo, in particolare penso a “Lasciami andare, madre” libro dove affronta la figura materna, quella madre che, come detto all’inizio, abbandona i suoi figli per arruolarsi nelle SS e servire alla causa del nazismo – e “I miei vent’anni (oltre il rogo di Berlino)” dove racconta la sua vita da adulta dopo aver lasciato la casa del padre. Ma è autrice anche di svariati altri romanzi non autobiografici dove però il tema centrale rimane sempre quello della Seconda Guerra Mondiale e della vita nella Germania Nazista. Penso di poter affermare che si tratta di libri non facili da leggere per il contenuto e la carica emotiva che sprigionano, ma necessari.

“Tutto era sereno. C’era il sole e i tigli era spumeggianti di verde. Com’era tutto diverso!
A un tratto vedemmo spuntare la portinaia che cominciò a spazzare il vialetto. Guardavo ogni cosa con altri occhi. Come ci aveva deformato lo sguardo quella maledetta cantina! In un attimo mi passò davanti agli occhi tutto l’orrore vissuto: era successo davvero? E come eravamo sopravvissuti? Senza acqua né luce né cibo né igiene. Al buio. Al freddo. In quella promiscuità infernale!
Mi concentrai di nuovo sul cortile. Alcuni bambini giocavano a palla, ma non li conoscevo: non c’erano né Egon né Rudolf. Allora sollevai gli occhi verso le rovine che circondavano lo spiazzo e mi fecero uno strano effetto. Avevano perduto il loro senso di monito, e si erano inserite serenamente nell’ambiente come scenari un po’ bizzarri di un cortile ormai perfettamente riassettato: le crepe dei vialetti erano state riempite di cemento, le macerie sgomberate; i cespugli erano stati potati, l’erba tagliata. Ogni traccia di cadavere eliminata. La rimessa riparata. C’era un’aria di ordinata normalità. […] Quei monconi macabri e quei muri dilaniati o in equilibrio precario, quei vuoti delle finestre sui cui davanzali si erano annidati impudenti ciuffi d’erba e quei mucchi di calcinacci polverosi sembravano essersi ormai riconciliati col passato, concedendogli un troppo facile perdono. Dissi qualcosa in proposito a Peter, ma lui si toccò la fronte e sentenziò: «Sei stupida».
Forse aveva ragione: forse era davvero assurdo come sentivo le cose.”

martedì 15 dicembre 2020

L'ORATORIO DI NATALE - GÖRAN TUNSTRÖM

TITOLO: L'oratorio di Natale
AUTORE: Göran Tunström traduzione di Fulvio Ferrari
EDITORE: Iperborea
PAGINE: 362
PREZZO: € 18,50
GENERE: letteratura svedese
LUOGHI VISITATI: Svezia e Nuova Zelanda

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Un libro particolare, visionario, introspettivo.

“Fino a che punto si può penetrare nella musica? È possibile rimanervi dentro e sfuggire al tempo? Oggi ho suonato l’organo per due ore, in chiesa, insieme al cantore Jancke. Il cantore m’ha domandato se non volevo che si riprendesse l’Oratorio di Natale anche se ‘non è la stessa cosa di quando Solveig era viva’. Ha detto anche: ‘Hai del talento. Dovresti andare a Stoccolma e dedicarti alla musica.’ Ma io devo rimanere qui finché papà non torna. Devo rimanere qui perché ho te, Victor. E tuttavia la musica è così importante: è solo in essa che sono presente, lì tutti gli assenti sono presenti in me. Quando si è all’interno della musica il tempo sembra uno scherzo, una truffa a vantaggio di non so chi. Seguire una cadenza scendendo attraverso i suoi strati, i suoi tempi, i suoi stati d’animo… ed essere poi costretto a uscire…”

Mi aspettavo un libro pieno di Natale, invece tutto lo spirito natalizio si conclude nel titolo. Questa volta avevo letto la quarta di copertina ma solo la prima frase! Tanto interesse per lo spirito natalizio perché con questo libro partecipo alla challange #viaggiatoritralerighe che per il mese di dicembre prevede di esplorare il Natale nel nord Europa.

La storia alla base della trama è molto interessante: una donna splendente, che porta gioia ovunque posi lo sguardo, con un sogno – riproporre il l’Oratorio di Natale di Bach – che improvvisamente muore in un incidente condizionando profondamente la vita del marito (Aron) e del figlio (Sidner) e per riflesso anche del nipote. A questo si aggiunge la storia personale del fratello Torin e una serie di altri personaggi interessanti e singolari come Fanny e Splendid.

È un dovere, un obbligo morale quello che spinge Victor - musicista di fama internazionale - a ritornare al paesino natale di Sunne e dirigere un coro di dilettanti che mettono in scena “L’oratorio di Natale” di Johan Sebastian Bach. A Sunne Victor cerca anche le sue radici e la rappresentazione de “L’oratorio di Natale” è strettamente legata alla storia della sua famiglia. Nel libro ci sono tre generazioni a confronto, tre uomini che devono affrontare delle avversità, delle turbe psicologiche, dei traumi tutti derivanti in qualche modo da un unico evento scatenante: la morte di Solveig.

È una storia di musica, di visioni, di passioni, di traumi che devono trovare una valvola di sfogo. È letteralmente pieno di visioni, di avvenimenti, di sproloqui – principalmente – interiori in cui i vari protagonisti si interrogano sul senso della vita e in particolare della propria.

“Ma è lo stesso tipo di vertigini che mi coglie ogni notte stellata, quando esco nel buio e guardo in alto e sento che la terra si muove nel suo immenso universo e so che devo aggrapparmi al suolo ancora per un po’. E lasciar suonare la musica che ci dà speranza.”

Curioso e sapiente l’uso del linguaggio, la scelta lessicale compiuta per i vari personaggi, perché in base al personaggio, al suo carattere e al suo ruolo sociale è diverso il modo di esprimersi e il lessico che utilizza. È ricco di frasi in inglese (basilare che possono comprendere praticamente tutti) ed è Torin ad esprimersi spesso in inglese che è la lingua della sua infanzia.

Siamo di fronte ad un romanzo con una struttura articolata e complessa dove più voci si mischiano a raccontare quanto è accaduto: un narratore generale a cui si affianca e si sostituisce nel racconto di alcuni passaggi la voce di un particolare attore della vicenda; e qui cambia registro, cambia come dicevo prima l’uso del linguaggio, e possiamo sentire la versione di quel protagonista, la sua parte di storia raccontata direttamente dello stesso (o forse magistralmente ricostruita e immaginata dal narratore generale che fa parlare un singolo?).

È un libro particolare, pieno di personaggi, in qualche modo legati al protagonista.

Non mancano i personaggi illustri, famosi che compaiono nel romanzo come l’esploratore Sven Hedin, una comparsa la fa anche Marc Chagall ma soprattutto Selma Lagerlöf che è un personaggio attivo del romanzo. E poi è ricco di citazioni e rimandi ad opere e personaggi letterari su tutti abbiamo Dante e la Divina Commedia, Petrarca, l’Ulisse di Omero.

È stata una lettura difficoltosa, perché è difficile capire ciò che è realtà e ciò che è fantasia, visione, ci sono alcuni avvenimenti che vengono descritti ma non è chiaro se sono realmente accaduti oppure sono un sogno. Poi perché per buona parte del testo leggiamo di questi flussi di coscienza, leggiamo pagine di diario, leggiamo quella che è una ricostruzione probabilmente fatta dallo stesso Victor, ma ci sono anche tante parti in prima persona dove la voce narrante cambia, è di volta in volta uno dei protagonisti che racconta la sua esperienza; parti che si mischiano tra loro e ad una ricostruzione oggettiva di un narratore esterno che potrebbe in realtà essere, come dicevo sopra, Victor.

Se dovessi descrivere il libro con un solo aggettivo userei confusione.

Lo conoscete? Avete letto qualcosa di questo autore?