martedì 27 ottobre 2020

UN POSTO PICCOLO di JAMAICA KINCAID

TITOLO: Un posto piccolo
AUTORE: Jamaica Kincaid traduzione di Franca Cavagnoli
EDITORE: Adelphi (collna Piccola Biblioteca)
PAGINE: 83
PREZZO: € 9,00
GENERE: saggio, letteratura caraibica
LUOGHI VISITATI:Antigua

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“Se vai ad Antigua da turista, ecco ciò che vedrai. Se arrivi in aereo, atterri all’aeroporto internazionale V.C. Bird. Vere Cornwall (V.C.) Bird è il Primo Ministro di Antigua. Magari sei il tipo di turista che si chiede come mai un Primo Ministro ha voluto che un aeroporto portasse il suo nome: perché non una scuola, perché non un ospedale, perché non un grande monumento pubblico? Sei un turista e dunque non hai ancora una scuola di Antigua, non hai ancora visto l’ospedale di Antigua, non hai ancora visto un monumento pubblico di Antigua. Mentre l’areo atterra, magari ti dici, Che bella isola, Antigua – più bella delle altre isole, e dire che erano belle, a modo loro, ma fin troppo verdi, avevano una vegetazione fin troppo rigogliosa, il che per un turista significa che deve piovere molto, e la pioggia è proprio la cosa che tu, in questo momento, non vuoi, perché pensi alle giornate faticose, fredde, lunghe e buie che hai trascorso lavorando sodo nel Nord America (o, peggio ancora, in Europa), per guadagnare il denaro che ti ha permesso di venire in questo posto (Antigua), dove splende sempre il sole e dove il clima sarà deliziosamente caldo e secco per il periodo dai quattro ai dieci giorni che trascorrerai qui; e siccome sei in vacanza, siccome sei un turista, non ti chiedi nemmeno cosa possa significare essere costretti a vivere dal mattino alla sera in un posto che soffre costantemente di siccità, e quindi stare attendi a ogni goccia d’acqua che si usa (pur essendo al tempo stesso circondati da un mare e da un oceano: il Mar dei Caraibi da una parte, e l’Oceano Atlantico dall’altra).”

Pungente!

Un lungo monologo dove Jamaica Kincaid si rivolge al turista (e lettore) e gli mostra la vera Antigua, gli racconta la sua Antigua, quella delle persone reali che ci vivono ogni giorno.

Non è il paradiso che può sembrare.

Se la prende con i turisti, con i colonizzatori inglesi, con il governo e con gli antiguani; le sue critiche non risparmiano nessuno.

Pur nella sua brevità tocca molti aspetti dal turismo, alla corruzione imperante, dalle condizioni sociosanitarie agli spechi al periodo coloniale e i suoi effetti. Inoltre non manca di approfondire alcuni aspetti sotto un punto di vista filosofico e sociologico (non riesco a definire diversamente queste parti) ad esempio:

“Non c’è da stupirsi se l’indigeno non ami il turista. Giacché ogni indigeno, ovunque viva, è un potenziale turista, e ogni turista è un indigeno di qualche luogo del mondo. Ogni indigeno, ovunque viva, conduce una vita di sconvolgente e schiacciante banalità, noia, disperazione e depressione, e ogni azione, buona o cattiva che sia, è un tentativo di dimenticarla. Ogni indigeno vorrebbe trovare una scappatoia, ogni indigeno vorrebbe un periodo di riposo, ogni indigeno vorrebbe potersi concedere un viaggio. Ma alcuni indigeni – la maggior parte degli indigeni – non possono andare da nessuna parte. Sono troppo poveri. Sono troppo poveri per poter andare da qualche parte. Sono troppo poveri per sfuggire alla realtà della loro vita; e sono troppo poveri per vivere come si deve nel posto in cui vivono, che è lo stesso posto in cui tu, il turista, vuoi andare; sicché quando gli indigeni vedono te, il turista, ti invidiano, ti invidiano la possibilità di lasciare la tua banalità e la tua noia, ti invidiano il fatto di trasformare la loro banalità e la loro noia in una fonte di piacere per te.”

Un libro per chi vuole sentire una voce diversa, una voce forte, senza peli sulla lingua che non ha paura di ricordare colpe e misfatti.

Un libro per riflettere. Riflettere e porsi domande soprattutto sugli effetti e le conseguenze della colonizzazione europea in giro per il mondo: il distruggere/annientare le altre società e tradizioni per imporre la propria cultura, la propria religione e le proprie leggi; il tentativo fallito e disastroso di omologare popoli tanto diversi e lontani al proprio modello perché reputato migliore.

La scrittura è coinvolgente, molto ripetitiva e semplice, sembra di assistere a un discorso, a una conferenza; l’autrice si rivolge direttamente al turista/lettore. I toni sono molto forti, è pieno di rabbia e risentimento, è pungente e sarcastico e come ho detto prima non risparmia nessuno. La particolarità è che non fa nomi ma ci sono solo riferimenti, anche se le persone cui si riferisce sono senz’altro facilmente riconoscibili (almeno per chi è avvezzo ai luoghi e alla geopolitica antiguana).

È un libro particolare classificabile come saggio e si può inserire nel genere della letteratura postcoloniale (io non sapevo nemmeno della sua esistenza).
È stato pubblicato per la prima volta nel 1988 quindi può essere che le cose da allora siano cambiate (e lo spero) ma non perde la sua capacità di far riflettere. Doveva essere un articolo, un reportage da pubblicare sulla rivista “The New Yorker” ma è stato rifiutato in quanto troppo “rabbioso”.
Informandomi un pochino sulla Kincaid ho scoperto che molti dei suoi testi sono (in tutto o in parte) autobiografici e che tendono a denunciare gli effetti del colonialismo che è quindi uno dei suoi temi principali. Per quel poco che ho letto Jamaica Kincaid mi sembra una donna forte, senza peli sulla lingua, mi viene da dire ‘una donna con le palle’ che dice quello che pensa e che reputo giusto, una donna che non si fa mettere i piedi in testa. Una curiosità: Jamaica Kincaid è un nome d’arte o meglio il nome di battaglia che ha assunto nel 1973 perché la sua famiglia disapprovava il suo mestiere di scrittrice.

Mi piacerebbe approfondire la sua conoscenza.

“Guardo questo posto (Antigua), guardo questa gente (gli antiguani), e non so se sono stata allevata, e pertanto provengo, da bambini, eterni innocenti, oppure da artisti che non hanno ancora trovato il modo di affermarsi in un mondo troppo stupido per comprenderli, o da pazzi furiosi che hanno creato il proprio manicomio, o da una squisita combinazione di queste tre cose.”

Voi conoscete Jamaica Kincaid? Avete letto qualche sua opera? Cosa mi consigliate?

 

domenica 25 ottobre 2020

HO PAURA TORERO DI PEDRO LEMEBEL

TITOLO: Ho paura torero
AUTORE: Pedro Lemebel - traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
EDITORE: Marcos y Marcos
PAGINE: 202
PREZZO: € 16,00
GENERE: letteratura cilena
LUOGHI VISITATI: Santiago del Cile anno 1986 

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Irriverente, politicamente scorretto, sarcastico e divertente.

La narrazione alterna le vicende dalle Fata e Carlos con quelle del dittatore Augusto Pinochet.

Da un lato abbiamo la storia d’amore tra la Fata dell’Angolo e Carlos, lei una “checca” che passa la vita sognando, un animo nobile e dolce che si guadagna da vivere ricamando per le ricche signore, lui un giovane del Fronte Patriottico Manuel Rodrìguez, giovane, bellissimo e politicamente impegnato nella lotta contro il dittatore Pinochet.

“… e tornava a pensare che lui era così giovane, e lei così vecchia, lui così bello e le così spelacchiata dagli anni. Lui un ragazzino così sottilmente virile, e lei frocia persa, tanto checca che perfino l’aria intorno a lei sapeva di finocchio fermentato. E che poteva farci se lui la riduceva in fin di vita, come carta velina impregnata dell’umidità del suo alito? E che poteva farci, se nella sua vita aveva sempre brillato il proibito, nella passione imbavagliata dell’impossibile?”

Dall’altro scorci di vita privata del dittatore Augusto Pinochet con ricostruzioni della sua infanzia e dell’incontro con la moglie. Non so dire quanto la ricostruzione della vita privata del dittatore sia veritiera e plausibile ma è molto divertente: troviamo un Pinochet intransigente e amante delle marcie musicali alle prese con la moglie Lady Lucy assolutamente logorroica, che passa il tempo a parlare e parlare di moda, stile e dei preziosi consigli del suo consulente d’immagine Gonzalo, e con tutto questo stressa ed esaspera il marito. 

Lemebel unisce sapientemente la tenerezza e la dolcezza infinita della storia d’amore con erotismo e ‘volgarità’ da un lato e la crudezza ed efferatezza del regime con la logorroica First Lady che rende tutto più frivolo.

 

Lo sfondo è la città di Santiago, deturpata e imbruttita dagli scontri continui.

“La primavera era arrivata a Santiago come tutti gli anni, però questa si portava dietro i colori vibranti che imbrattavano i muri con graffiti brutali, slogan di libertà, mobilitazioni sindacali e marce studentesche disperse con i cannoni ad acqua. I ragazzi dell’università resistevano a pietrate agli schizzi fangosi degli sbirri. E caricavano senza sosta conquistando la strada con le fiamme rabbiose delle molotov. Con un’improvvisa esplosione tagliavano la luce e tutti correvano a comprar candele, a raccogliere candele e ancora candele per incendiare le strade e i marciapiedi, per disseminare di braci la memoria, per frantumare l’oblio con le scintille. Come se la coda di una cometa si abbassasse fino a sfiorare la terra in omaggio a tanti desaparecidos.” 

“Di nuovo nell’Alameda con i suoi edifici grigi affumicati dallo smog, di nuovo in centro con il suo brulichio di gente, e di nuovo il Mapocho, con l’odore di pesce fritto e i fruttivendoli in maniche di camicia, che se ne stavano in panciolle, assaporando quella vivace solarità. Nonostante tutto era la sua Santiago, la sua città, la sua gente, che si dibatteva tra gli abusi di una dittatura dura a morire e gli striscioni tricolori che fluttuavano nell’aria settembrina.”

Due le tematiche principali il mondo omosessuale della capitale cilena e il regime dittatoriale con la lotta armata e le manifestazioni dei familiari dei desaparecidos.

“Gli sbirri di qui e i terroristi di là, quel Fronte patriottico non so cosa, e tutte le pene di quella povera gente a cui avevano ammazzato un familiare. Immancabilmente, quell’argomento riusciva a commuoverla, quando ascoltava le testimonianze radiofoniche ricamando lenzuola per la gente ricca, con rose senza spine.
Le spezzavano il cuore i singhiozzi di quelle signore che frugavano tra le pietre, bagnate fradice sotto i getti del cannone ad acqua, che chiedevano dei loro cari, che bussavano a porte di metallo che non si aprivano, respinte da un fiotto d’acqua davanti al Ministero della giustizia, aggrappate ai pali, con le calze rotte, tutte spettinate, con le mani strette al petto per non farsi strappare da quell’acqua scura la foto attaccata vicino al cuore.” 

Tutta la vicenda si svolge a tra la primavera e l’autunno del 1986 devo ammettere la mia ignoranza, pensavo che il regime di Pinochet fosse finito prima invece ho appreso che da fine anni ’80 il Cile ha iniziato un lento processo di democratizzazione ma il dittatore è rimasto senatore a vita fino alla sua morte avvenuta nel 2006 e rimanendo praticamente imputino per i crimini commessi. Quella dei regimi dittatoriali del sud America è una pagina di Storia molto interessante che però ignoro.

La narrazione è scorrevole e avvincente, con un ritmo incalzante e serrato che tiene il lettore incollato alle pagine creando una sorta di suspance; la particolarità è che i dialoghi non sono segnalati da segni di punteggiatura.

Il linguaggio è lirico, a tratti poetico, caratteristica questa resa anche grazie alla Fata che spesso si esprime quasi in rima, la narrazione è molto descrittiva.

La Fata è un personaggio davvero fantastico, dolce, innamorata, cita vecchie canzoni d’amore e le canticchia in continuazione, disposta a tutto (a rischiare tutto, anche la vita) per amore, fingendo di essere ‘stupida’ di non capire, facendo anche la civetta dove possibile per uscire da situazioni di pericolo.

“Sono una vecchia pazza, si disse, sentendosi effimera come una goccia d’acqua nel palmo della sua mano. E Carlos lo sa, anzi, gli piace che sia così. In questa casa si sente cullato, si lascia amare. Niente di più, non c’è altro. Il resto erano solo film inventati da lei, follie da frocio innamorato. E cosa ci poteva fare, se quel ragazzo la tirava scema, con i suoi modi gentili e la sua cultura universitaria. Così ripaga il favore che gli faccio con quelle casse. Con il suo tono affettuoso mi paga l’affitto della mansarda dove si riuniscono i suoi compari. E come se avesse bisogno di conferme, quando gli aprì la porta, Carlos entrò troppo entusiasta, lodando la sua camicia, dicendo come ti trovo bene oggi. Cosa hai fatto? il complimento lo accolse come un mazzo di orchidee, che si seccò tra le mani quando Carlos aggiunse: Sai, questa notte vogliamo riunirci in soffitta. Se per te non è un problema. Perché era così compìto con lei se sapeva che avrebbe detto di sì? Perché insisteva con quella cortesia da gentiluomo all’antica? Come se la considerasse tanto anziana, da trattare con rispetto e rispetto e ancora rispetto. Quando l’unica cosa che lei voleva era che lui le mancasse di quel famoso rispetto. Che le saltasse addosso soffocandola con il suo tanfo da maschio in calore. Che le strappasse i vestiti, spogliandola, lasciandola nuda come una vergine abusata.”

Pedro Lemebel è un riferimento per la letteratura omosessuale e trae ispirazione per le sue opere anche dalla sua vita privata. Oltre che scrittore è stato anche performer e attivista, a partire dagli anni ’80 fa parte di un laboratorio letterario e scrive molte ‘cronache’, tutta la sua opera è incentrata su temi fondamentali come desaparecidos, diritti umani, libertà sessuale e opposizione alla dittatura. Tutti temi che si trovano anche in questo romanzo, penso l’unico che abbia scritto; le altre opere che troviamo come “Parlami d’amore” “Baciami ancora, forestiero” (editi Marcos y Marcos) e “Di perle e cicatrici” (edito Edicola Ediciones) sono raccolte delle sue ‘cronache’ dei suoi racconti e aneddoti scritti per progetti radiofonici o artistici e per le sue performance.

Emerge tutto il suo amore per il Cile, per Santiago e per la vita. Leggendo le quarte di copertina degli altri suoi volumi pubblicati mi sono convinta che nella Fata ci sia molto di Pedro Lemebel, che la Fata sia un riflesso dello scrittore e di tante sue esperienze di vita ma magari è solo una mia sensazione.

Conoscete Lemebel?

Io lo consiglio assolutamente.

 

martedì 20 ottobre 2020

LA MEMORIA DI OLD JACK - WENDELL BERRY

TITOLO: La memoria di Old Jack
AUTORE: Wendell Berry traduzione di Vincenzo Perna
EDITORE: Lindau - collana Senza Frontiere
PAGINE: 237
PREZZO: € 19,50
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: Port William - Kentucky

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Un libro meraviglioso, poetico e lirico ma anche molto malinconico.

Protagonista è Jack Beechum un uomo, un contadino forte e fiero di esserlo, capace di superare molte difficoltà grazie alla sua determinazione, alla sua caparbietà, alla forza fisica che unita a quella di volontà gli permette di affrontare giornate massacranti di lavoro nei campi e nella stalla. Tutti sforzi che la terra, tanto amata, riuscirà a ripagare.

Tema centrale del romanzo è il rapporto con la Terra, rapporto che non è uguale per tutti: in Jack e nella sua cerchia di amici è un amore puro, dedizione e sacrificio; ma il altre persone è solo un mezzo per tirare avanti oppure un trampolino di lancio o addirittura una palla al piede.

Tutto il romanzo è intriso di malinconia e tristezza, ma non poteva essere diversamente in fondo stiamo vivendo con Jack la sua ultima giornata e attraverso i ricordi anche tutta la sua vita. Vita che non è stata clemente con Jack: fatta di lavoro duro, difficoltà economiche e una grande sconfitta sul piano sentimentale e Jack meritava qualcosa di diverso. Sono entrata molto in empatia con il personaggio di Jack e se da un lato probabilmente non sarebbe stato il personaggio meraviglioso che è, dall’altro avrei desiderato per lui la vita perfetta di una fiaba.

La vicenda è ambientata nella cittadina (immaginaria) di Port William in Kentucky, un piccolo centro che si basa sull’agricoltura e dove tutti si conoscono e conoscono e rispettano Old Jack per il grand’uomo che è stato. Tutti vogliono bene a Jack ma un menzione d’onore spetta al nipote Mat Feltner (figlio della sorella Nancy e di Ben Feltner, che è stato un sostegno per Jack come lui lo è poi stato per Mat) che condivide l’amore e la dedizione per la terra con Jack.

Buona parte del romanzo è incentrata sull’ultima giornata di Old Jack e dall’alba fino al tramonto partecipiamo ad una tipica giornata di fine settembre nel 1952 ma attraverso “gli smarrimenti” di Jack viviamo anche tutta la sua vita; perché Old Jack si perde, si estrania dalla realtà e rivive episodi del passato, ogni cosa che vede o sente è l’occasione, il pretesto per ritornare con la mente a tanti anni prima.

“Jack li guarda finché scompaiono alla vista. Anche se in questo momento è curvo sul suo bastone sotto il portico dell’hotel di Port William, lo sguardo fisso nella prima mattinata fresca di settembre del 1952, Jack non è lì. È a quattro miglia e sessantaquattro anni di distanza, all’epoca in cui aveva una musica dentro di sé e si sentiva leggero.”

Fin da bambino la vita di Jack è stata difficile, perde i fratelli nella guerra di secessione, poi la madre e il suo rapporto con il padre è fatto di silenzio (di tanto affetto ma senza parole); quando sarà abbastanza grande prende in mano le redini della fattoria di famiglia e l’amata sorella Nancy si sposa con Ben Feltner che sarà per il giovane praticamente un padre. La svolta arriva con l’innamoramento e il matrimonio con Ruth che non è la donna adatta lui o meglio non sono compatibili e hanno basato il loro rapporto su degli errori.

“Hanno continuato a litigare per ragioni futili di cui in un secondo momento, come sempre, si sarebbero vergognati tutti e due. Eppure il litigio ruotava intorno all’unico vero argomento di ogni litigio: l’incapacità di ognuno di loro di essere ciò che l’altro desiderava. Il tema era la solitudine e il dolore. Tra loro, ormai, qualsiasi minimo rancore finiva per toccare direttamente l’angoscia che costava a entrambi la loro speranza.”

Ho odiato Ruth perché non si rendeva conto dell’uomo meraviglioso che aveva sposato e voleva renderlo diverso, lo spinge verso ambizioni che non gli appartengono e sono destinate al fallimento; solo la forza di volontà e l’amore per la terra natale consentiranno a Jack di risollevarsi.

“Ha trascorso gli ultimi cinque anni al limite della propria resistenza fisica, senza mai alzare gli occhi dal terreno, spegnendosi ogni notte in un sonno solitario, come se il letto fosse una tomba, da cui si alzava di nuovo al buio con le ossa rotte per riprendere la fatica di risarcire il passato. E adesso, la carne scossa dal brivido della coscienza, si rende conto di avercela fatta. È rimasto fedele alla terra in tutte le sue trasformazioni annuali da fanciulla a madre, fidanzata, moglie e vedova di uomini come lui fin dall’inizio del mondo.
Aveva sprecato la vita – quindici anni che pensava sarebbero stati, e avrebbero dovuto essere, i migliori e più abbondanti della sua esistenza: svaniti dalla Terra, buttati via in delusioni e dolori, in oscurità e fatiche senza speranza, per ritrovarsi adesso al punto in cui aveva iniziato. Ma per lui è sufficiente, più che sufficiente. Sta tornando a casa – non soltanto come luogo, ma alla possibilità e promessa che un tempo vi scorgeva, e ora, se non prima, alla comprensione che ciò è sufficiente. Dopo quell’atroce fatica, resta abbastanza, più che abbastanza. Più di quanto credeva. Aveva perso la vita e ora l’aveva ritrovata.”

Il racconto è un continuo susseguirsi di presente e passato; presente fatto della voce e dei pensieri delle persone che vogliono bene a Old Jack ma anche di vita quotidiana nella campagna americana, è il periodo della raccolta del tabacco e in generale c’è una meravigliosa ricostruzione della società e dei rapporti sociali. Il passato invece è dato principalmente da Old Jack che rivive i momenti più importanti della sua vita, si interroga sulle scelte fatte. In questo intreccio continuo si alternano le vite di Old Jack (che è protagonista principale) di Mat Feltner, dei Coulter e del pro-nipote Andy Catlett e in ognuno di loro, come in Jack, si mischia presente e passato. 

Old Jack si abbandona a riflessioni filosofiche, tipiche, se vogliamo, di una persona anziana, di un nonno, di un uomo che ha vissuto una vita difficile ma è contento di averlo fatto, che non cambierebbe nulla:

“Old Jack non ha avuto rimpianti né ha desiderato una vita più facile. Una volta imboccato quel solco non è voltato indietro, anche se ha capito che alla fine sarebbe diventato profondo come una tomba.”

“L’ignoranza moderna sta nella convinzione della gente di essere più furba della propria natura. Nell’arroganza di non credere a nulla che non possa provare, di non rispettare nulla che non riesca a comprendere, e di non dar valore a nulla che non si possa vedere. La vista può osservare soltanto in una direzione, e Old Jack crede nell’esistenza di ciò che non guarda e non vede. I prossimi tempi difficili per lui sono reali quando gli ultimi, e lo stesso vale per le fortune future. La nuova ignoranza è uguale alla vecchia, ma meno consapevole. È meno umile, più sciocca e frivola, più pericolosa. Un individuo, pensa Old Jack, non può fare a meno di essere ignorante, ma non per questo deve essere uno stupido. Lui può sapere qual è il posto della sua vita, rimanervi vicino ed essergli fedele.
Che un’intera stanza piena di persone debba restare seduta a bocca aperta come gli uccellini di un nido, gli occhi fissi su una scatola il cui invariabile messaggio è la desiderabilità di Qualcos’Altro o Qualche Altro Posto; che un governo tassi la sua popolazione per costruire una bomba capace di far saltare in aria il mondo; che un intero Paese attenti a una civiltà con l’unico obiettivo di smettere di lavorare, sono tutte cose irreali, totalmente estranee a lui: come se avesse dormito troppo e si fosse risvegliato in un paese di scimmie parlanti. Dentro di sé è preoccupato e infuriato all’idea che le persone possano aspirare a fare il meno possibile, anziché ciò che si chiede loro di fare, per più denaro di quanto valgono, come se il mondo di una volta fosse andato in briciole e quello nuovo fosse stato creato da Gladston Pettit.”

Non voglio dire molto di più perché la vita di Jack Beechum merita di essere letta e scoperta.

C’è una particolarità nei romanzi di Wendell Berry: sono tutti ambientati a Port William e nei vari romanzi compaiono anche i personaggi degli altri, in particolare Hannah Coulter e Andy Catlett. Non vedo l’ora di leggere i romanzi loro dedicati e immergermi nuovamente nel mondo ovattato (anche se molto crudo) di Port William. Berry mi ricorda Kent Haruf anche se hanno una penna diversa entrambi ambientano i propri romanzi in cittadine sperdute dove tutti si conoscono e la vita che raccontano è tutt’altro che semplice e felice. Se li avete letti fatemi sapere se anche voi avete notato delle similitudini.

Conoscete Wendell Berry?