venerdì 21 febbraio 2020

UOMINI E TOPI - JOHN STEINBECK

TITOLO: Uomini e topi
AUTORE: John Steinbeck -  traduzione di Michele Mari
EDITORE: Bombiani - collana classici contemporanei
PAGINE: 139
PREZZO: 12 €
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI:California anni '30
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)



Uno spaccato della vita americana degli anni 30 del ‘900. Siamo in California, nell’ovest più puro, fatto di terre da coltivare e uomini che cercano fortuna. Protagonisti due braccianti che girano i ranch, uniti da un fortissimo legame di fratellanza (direi, perché non è semplice amicizia).
I protagonisti sono George Milton e Lennie Small, due uomini molto diversi tra loro, anzitutto nell’aspetto fisico (che è la prima cosa che si vede) e poi anche nella personalità: sono praticamente uno l’opposto dell’altro e questo fa sembrare il loro legame ancor più particolare. Quello che unisce George e Lennie è un legame molto raro da incontrare, tanto più nei braccianti stagionali dei ranch, dove spesso non nascono nemmeno delle amicizie.
«Be’, non so. Quasi nessuno dei ragazzi si muove in coppia. Quasi mai ne ho visti due lavorare insieme. Lo sai come sono gli uomini, arrivano, si fanno la cuccetta, lavorano una mesata, e poi se ne ripartono da soli. Non ce n’è uno a cui importi degli altri. È strano che uno suonato come lui e un tipetto sveglio come te lavorino insieme.»”

George è piuttosto mingherlino ma molto intelligente e astuto. Lennie, invece, si distingue per essere un uomo gigantesco e dotato di una forza inaudita; ma soffre di qualche ritardo mentale molto grave, è un bambino racchiuso nel corpo di un gigante, e non ha coscienza né della forza fisica che possiede e del male che può provocare né dei comportamenti da tenere in società, non capisce che le persone possono fraintendere certe sue azioni o comportamenti, che lui compie con pura innocenza.  Sono i comportamenti “inopportuni” di Lennie a costringere la coppia a cambiare spesso luogo di lavoro.
La loro è una vita di fatiche, di sacrifici, forse inutili, ma dirette alla realizzazione di un progetto, che è la perfetta incarnazione del sogno americano: comprare un appezzamento di terra con una piccola casetta tutta per loro, per poter essere finalmente liberi, indipendenti, senza padrone e vivere dignitosamente del proprio lavoro. Le descrizioni che fanno del loro progetto-  che avviene sottoforma di dialogo tra i due, un ripercorrere continuo del sogno per affrontare le pesanti giornate - sono dolci, commoventi e convincono anche il lettore.
Non voglio dire molto di più sulla trama, anche se penso sia conosciuta da tutti, voglio lasciare lo stupore a chi ancora deve leggere il libro.

La prima cosa che salta all’occhio, quella che mi è rimasta dentro e mi porterò sempre con me come ricordo dolce e meraviglioso di questo libro, breve ma dannatamente inteso è il legame tra George e Lennie. Quel particolare legame di affetto, di amicizia e fratellanza che può unire due uomini che si completano a vicenda, si amano, vivono e rappresentano il mondo l’uno per l’altro.
Ma emerge anche una società fatta di sofferenze, fatiche, soprusi, dove a vincere è sempre il più forte fisicamente oppure socialmente, dove non si tiene minimamente conto del valore della persona umana in quanto tale, non c’è spazio per l’empatia, ma al contrario trova tanto spazio la violenza, il razzismo l’individualismo e l’egoismo. E su questo sfondo sociale George Milton si erge come l’eroe che incarna le qualità positive che distinguono, è meglio dire dovrebbero distinguere l’uomo come essere umano: l’amore incondizionato verso un altro essere bisognoso di aiuto anche se questo significa sacrificare la propria vita e fare molte rinunce. Infatti ciò che mi ha colpito di più del loro legame è proprio la parte di George che avrebbe tutte le capacità per farsi una vita propria ma invece resta fedele al povero Lennie la cui malattia mentale lo fa “restare” un ingenuo bambino.

La scrittura è scorrevole, ricca di dialoghi e con descrizioni dettagliate sia dei personaggi che del paesaggio naturale.

Sapete da dove arriva questo titolo così particolare? Ho cercato online e Steinbeck ha tratto “ispirazione” da una poesia dello scozzese Burns “i migliori progetti di uomini e topi” interpretata nel senso spesso i progetti degli uomini come quelli dei topi alla fine danno un esito negativo.

Desideravo leggere questo libro da molto e sono rimasta estremamente soddisfatta, ben oltre le aspettative. Consiglio il libro a chi non ha paura delle emozioni.

Cosa ne pensate? Avete letto altro di Steinbeck? Aspetto suggerimenti

lunedì 17 febbraio 2020

I ROMANOV. STORIA DI UNA DINASTIA TRA LUCI E OMBRE - RAFFAELLA RANISE

TITOLO: I Romanov. Storia di una dinastia tra luci e ombre
AUTORE: Raffaella Ranise
EDITORE: Marsilio
PAGINE: 133
PREZZO: € 15,00
GENERE: saggio
LUOGHI VISITATI: Russia dal 1613 al 1918
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)







Ho scelto di leggere questo libro per il progetto #unannoconlastoria, la tappa del mese di febbraio è la Russia dei Romanov 1613-1917. Tra le tantissime possibilità ho visto questo libro, consigliato o per lo meno scelto da altri partecipanti. Mi ha subito attirato perché narra tutta la storia la sua forma di saggio sulla storia di questa dinastia e l’ho scelto perché mi dava la possibilità di farmi un’idea complessiva di questa famiglia e del periodo storico toccato dal loro lungo regno, senza focalizzarsi su una singola figura.
In meno di 150 pagine vengono concentrati trecento anni di Storia raccontata attraverso le vicende dei membri della famiglia Romanov. È una storia fatta di misteri, assassini, complotti di corte, di grandi uomini e di grandi donne che hanno saputo elevare la Russia al ruolo di protagonista della Storia e delle vicende politiche europee, che hanno introdotto (o perlomeno cercato) delle migliorie significative e hanno costruito un patrimonio artistico architettonico davvero notevole.
Da questa analisi sintetica è possibile tracciare alcuni filoni/denominatori comuni:

  •        fino alla fine del 1700 fino a Paolo I, c’è stata una successione in linea femminile, talvolta è stata la regina consorte a prendere in mano le redini del paese e diventare zarina nonostante appartenesse alla famiglia reale solo per acquisizione tramite il matrimonio, è il caso su tutti di Caterina la Grande; fu lo zar Paolo I ha introdurre la regola secondo cui il diritto al trono spettasse solo al primogenito maschio

  •   la necessità di avere un erede (problematica comune a tutte le famiglie regnanti) cui si fa fronte, non tanto procreando direttamente, ma combinando matrimoni per i figli, i cosiddetti “zarevich” (termine che indica il principe ereditario)
  •   il fenomeno delle “ricomparse” principi, principesse o zar che dopo essere stati creduti morti ricompaiono a rivendicare il trono, si tratta di impostori, ma ciò che colpisce è la frequenza del fenomeno
Il libro è interessante ma non è ciò che mi aspettavo. E’ un po’ all’acqua di rose, mi spiego meglio, dietro c’è tanta passione e tanta ricerca, ma ho trovato che molti aspetti avrebbero potuto essere approfonditi maggiormente. La scrittura è semplice e un po’ ripetitiva, spesso uno stesso concetto viene ripetuto più volte – seppur in modo diverso – nel giro di poche pagine o paragrafi. Per quanto ci siano anche riferimenti a lettere scritte dagli stessi protagonisti, trovo che manchi un po’ di approccio storico alla narrazione, non so bene come definirlo ma sento che manca qualcosa. Mi permetto di paragonare questo volume ad un rotocalco (da dizionario: rivista stampata a rotocalco, per estensione, periodico illustrato che si occupa soprattutto di argomenti di attualità): il rotocalco sulla famiglia Romanov e i suoi trecento anni di regno. Però tutto questo può tramutarsi in pregio: la scrittura semplice e il tono spigliato e attuale con cui viene narrata la storia lo rendono adatto a tutti.

Senz’altro permette di farsi un idea, molto generale, sulle vicende dei Romanov: per ciascun zar o zarina regnante viene dato conto per sommi capi degli aspetti più salienti della vita personale e politica (forse con una prevalenza di quella personale/amorosa, che è comunque interessante); alcuni zar si esauriscono in poche pagine o righe addirittura altri sono stati approfonditi maggiormente; in particolare le vicende  dell’ultimo zar Nicola II e di sua moglie Alessandra vengono approfondite molto di più rispetto a tutti gli altri creando una disparità.
E non mancano le curiosità, ad esempio alla realizzazione di molte delle costruzioni più famose e belle di Russia, per esempio il Cremlino e le residenze reali a San Pietroburgo – per citare l’ovvio - hanno partecipato anche artisti e architetti italiani; oppure le famose uova Fabergé che hanno contribuito alla diffusione della tradizione pasquale delle uova decorate.

Nel complesso è un libro piacevole anche se diverso da ciò che mi aspettavo, avrei dovuto controllare il numero di pagine invece di farmi ammaliare dalla copertina favolosa.
A proposito sulla copertina è riportata la “rosa Romanov” - creata da Antonio Marchesi e riprende i colori araldici dei Romanov tra cui il giallo oro, il bianco e il rosso - fatta creare dalla maison ligure Daphné in omaggio alla famiglia imperiale russa e in particolare alla zarina Marija Aleksandrovna che, come molti altri esponenti della nobiltà russa, ha trascorso molto tempo in Liguria. Con il disegno di questa rosa la maison ha realizzato anche degli splendidi foulard, che sono ciò che ha colpito e stimolato la curiosità della Ramise dopo una visita al museo Daphné a San Remo e l’ha spinta ad approfondire la storia dei Romanov. Il museo Daphné è dedicato alla moda e si possono osservare degli splendidi abiti d’epoca, vi lascio qui il link
È un libro che consiglio a chi vuole farsi un’idea sui Romanov, un’idea storicamente corretta ma assolutamente non approfondita; non lo consiglia a chi è un amante della storia (come me e quindi cerca volumi fin troppo dettagliati) e a chi già conosce la storia di questa famiglia, alcune delle curiosità raccontate, per esempio quelle su Pietro il Grande, già le conoscevo.

Voto 3 stelline su 5.
 


lunedì 10 febbraio 2020

L'UOMO CHE ALLEVAVA I GATTI - MO YAN

TITOLO: L'uomo che allevava i gatti e altri racconti
AUTORE: Mo Yan - traduzioni di Daniele Turc-Crisà, Lara Marconi, Giorgio Trentin
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 260
PREZZO: € 10,80
GENERE: letteratura cinese
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)




Ho scelto questo libro per partecipare alla challenge #viaggiatoritralerighe organizzata da @giridiparole_2.0 e da @a.ma.books, la prima tappa prevede di esplorare la Cina, ho deciso di affrontare il viaggio con questa raccolta di racconti dello scrittore cinese Mo Yan.

La raccolta si compone di nove racconti con una lunghezza, seppur variabile, in media dalle venti alle trenta pagine ciascuno. Emergono le tematiche del figlio unico, del rapporto e rispetto che si deve ai genitori, le ambientazioni sono sempre rurali, povertà (più o meno acuta marcata) e disagio; soprusi e prepotenze aleggiano in generale in ogni racconto anche dove non vengono narrate direttamente, rapporti uomo-donna e marito-moglie improntanti prevalentemente alla violenza sia verbale che fisica (la violenza come normale mezzo di comunicazione) e in generale i rapporti umani sono sempre improntati alla violenza e alla prevaricazione del più forte verso il più debole. Tendenzialmente non c’è una definizione temporale precisa e spesso nemmeno geografica; i racconti sono narrati prevalentemente in prima persona e sono tutti ricchi di descrizioni soprattutto del contesto naturale/ ambientale che fa da sfondo alle vicende. 

1° racconto – Il vecchio fucile: un fucile maledetto, un personaggio poco intelligente e disperato dalla fame.
2° racconto – Il fiume inaridito: un pugno allo stomaco; quello dove maggiormente emergono le pecche del sistema comunista. Il più forte se la prende col più debole, ma quello che è più forte e ha sua volta più debole rispetto a qualcun altro. I rapporti umani definitivi unicamente in base alla gerarchia politica, alla classe di appartenenza e al ruolo che si va a ricoprire. La narrazione è costruita sulla sovrapposizione di diversi flash back, si parte con un bambino che esce di casa e il mattino seguente viene trovato morto nel letto del fiume arido, e attraverso plurimi e continui flashback si ricostruisce come il bambino sia finito lì, però le varie fasi temporali evocate si sovrappongono continuamente. c'è molta crudezza e violenza, violenza che viene usata anche a livello comunicativo, trasmessa sulla carta con un linguaggio pieno di parolacce. Questo è il racconto in cui ho trovato maggiori somiglianze con “Brothers”, dove la violenza, le parolacce, l’assenza di empatia, specie verso i bambini, la forza dirompente della gerarchia” sociale e politica in cui la popolazione è divisa, devo ecco vorrei capire se è una particolare corrente narrativa, (non so magari paragonabile al Verismo di fine Ottocento di Verga) oppure è proprio la rappresentazione della società cinese, in entrambi i casi prevalentemente rurale.
3° racconto – Il cane e l’altalena: particolare, qui incontriamo una donna con tanta forza di volontà e coraggio, davvero caparbia che oppone resistenza ad una vita che è stata disonesta e capricciosa con lei.
4° racconto – Esplosioni: è il racconto più lungo, il tema che emerge con maggior forza è l'aborto, la necessità di abortire quale conseguenza della politica del figlio unico ed emerge anche l'avanguardia e la disponibilità nelle strutture pubbliche di metodi contraccettivi femminili quali pillola e spirale a disposizione di tutti. Il tema dell’aborto è anche affrontato nel romanzo “Le rane” che non vedo l’ora di leggere. Ma accanto emergono anche molti elementi della tradizione popolare: il ruolo della volpe, ritenuto un animale dotato di poteri magici e alcune usanze della campagna e la descrizione dei lavori degli agricoltori.
5° racconto – Il neonato abbandonato: in questo racconto si tratta sempre il tema della politica del figlio unico, politica che possiamo immaginare quasi come una medaglia a due facce: da un lato c'è la "campagna"/ pratica degli aborti e degli anticoncezionali; dall'altro lato ci sono gli abbandoni e/o infanticidi oppure nelle ipotesi migliori le multe per le famiglie che non rispettano la regola. È un racconto per certi aspetti crudo perché mette in dubbio ciò che la coscienza/l'umanità insita nella persona umana ti spinge a fare: c'è un neonato abbandonato che fai? la tua indole di essere umano, ti impone di salvarlo, ma poi chi salverà te?  - non ci saranno delle risposte concrete.
6° racconto - Il tornado: dolce nella sua tristezza, una meravigliosa rievocazione di ricordi d’infanzia.
7° racconto - La colpa: indescrivibile e particolare; questo racconto può essere scisso in due parte che si compenetrano. Da un lato c'è uno spaccato interessante delle credenze popolari e tradizionali sulle tartarughe; dall’altro narra una storia drammatica (fin dall'inizio della lettura sono stata accompagnata da un senso di inquietudine), c’è la narrazione del protagonista, che probabilmente da adulto, narra un particolare evento della sua infanzia: il giorno della "gita" al fiume col fratellino Fuzi.
8° racconto - Musica popolare: racconto con narratore esterno dove si narrano le vicende della piccola cittadina di Masang e dei suoi quattro principali commercianti, di come la vita della comunità venga cambiata e travolta dall’arrivo di un giovane musicista cieco.
9° racconto – L’uomo che allevava i gatti: ultimo racconto quello che dà titolo alla raccolta – lo sviluppo della narrazione utilizza “idee” senz’altro non originali - narra le vicende di un giovane un po' strambo di nome Daxiang che, per l’appunto come dice il titolo mette in piedi un allevamento di gatti e con questi gira i villaggi per dare la caccia ai topi.

Gli ultimi due racconti sono un po’ più leggeri, sono quelli meno drammatici e assieme a Il Tornado, i miei preferiti; anche se in tutti in sottofondo emergono comunque le problematiche di fame e povertà soprattutto dei villaggi più remoti.

È la seconda volta che mi approccio alla letteratura cinese e mi piace moltissimo, è una cultura che voglio approfondire, una realtà molto lontana e diversa dalla nostra, ma ricchissima di tradizioni.
Mo Yan (che è il nome d'arte/pseudonimo di Guan Moye) ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 2012 e la motivazione la trovo calzante "che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità"; l’ho ritrovata nei racconti che ho letto e li descrivono alla perfezione. 
Conoscete Mo Yan? E la letteratatura cinese?