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mercoledì 30 settembre 2020

MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO - JONATHAN SAFRAN FOER

TITOLO: Molto forte, incredibilmente vicino
AUTORE: Jonathan Safran Foer traduzione di Massimo Bocchiola
EDITORE: Guanda
PAGINE: 351
PREZZO: € 13,00
GENERE: letteratura contemporanea, letteratura americana
LUOGHI VISITATI: New York

acquistabile su amazon: qui (link affiliato)



È il primo libro a tema “11 settembre” che leggo.

Mi è piaciuto moltissimo, mi sono innamorata della scrittura e soprattutto del personaggio di Oskar.

Oskar è legatissimo al padre e lo perde nel crollo delle Torri gemelle.

E’ un ragazzino molto particolare, si vesto solo di bianco, è vegano, appassionato di scienza in tutte le sue branche, è un collezionista, è molto curioso e perspicace, ha addirittura un proprio biglietto da visita


Dopo la tragedia soffre d’insonnia così per tenere la mente occupata e far passare il tempo si dedica a studiare delle possibili invenzioni, alcune spiritose altre malinconiche

“Comunque, la cosa affascinante è che su ‘National Geographic’ ho letto che ci sono più persone vive oggi di quante ne sono morte in tutta la storia dell’uomo. Per dire, se tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente, non ci sarebbero abbastanza teschi.

E inventare dei grattacieli per i morti, costruiti verso il basso? Potrebbero star sotto i grattacieli dei vivi, che sono costruiti verso l’alto. Si potrebbe seppellire la gente cento piani nella terra, e ci sarebbe tutto un mondo morto sotto quello vivo. A volte penso che sarebbe pazzesco se ci fosse un grattacielo che va su e giù mentre il suo ascensore resta fermo. Per esempio, se vuoi andare al novantacinquesimo piano, basta che schiacci il tasto 95 e il novantacinquesimo viene da te. Sarebbe anche utile al massimo, perché se sei al novantacinquesimo piano e un aereo si schianta sotto di te, il palazzo ti può portare a terra, e tutti si salverebbero anche se quel giorno avessero lasciato a casa la camicia di becchime.”

Tra le cose del padre trova un vaso contente una bustina con la scritta “Black” e dentro alla busta c’è una chiave. Oskar è deciso a risolvere l’enigma: trovare cosa apre quella chiave e chi è Black, supponendo che sia una persona inizia a girare la città di New York per parlare con ogni persona che porta il nome Black, riuscirà a scoprire qualcosa?

Alla storia di Oskar si intramezza la storia dei nonni paterni, entrambi originari di Dresda - in Germania – che dopo aver perso tutto con il bombardamento della città durante la Seconda Guerra mondiale si ritrovano per caso a New York anni dopo.

La struttura del romanzo è particolare: i capitoli con Oskar protagonista si alternano a quelli che vedono protagonisti i nonni. Nei capitoli dei nonni si alternano, poi, i ricordi della loro gioventù in Germania, i tempi del loro amore in America e il tempo presente. 

La narrazione è in generale scorrevole e avvincente, sempre in prima persona però con la particolarità che la voce narrante cambia a seconda del protagonista di quel singolo capitolo, così a parlare è alternativamente Oskar, il nonno oppure la nonna. Nella storia dei nonni è possibile “ascoltare” la versione di entrambi, uno stesso accadimento è ricostruito (e con sfumature e interpretazioni diverse) da un punto di vista diverso. Inoltre tutti e tre avranno modo di raccontare come hanno vissuto il tragico giorno dell’11 settembre. I capitoli che vedono Oskar come narratore e protagonista sono i miei preferiti, in questi la narrazione è scorrevole, non manca anche un pizzico di ironia. Mentre i capitoli dei nonni sono un pochino più lenti, soprattutto i primi perché hanno bisogno di essere inquadrati e capiti dal lettore, inoltre sono scritti sotto forma di lettera.

Non mancano i colpi di scena! Io verso metà del romanzo mi ero fatta un’idea sul possibile significato (o meglio senso ed utilità ai fini della narrazione) dei capitoli con la storia dei nonni, che si è rivelata sbagliata! il mistero della chiave viene svelato ma non voglio dire altro. Ho trovato il finale un pochino evanescente, assolutamente non aperto, tanto che vengono chiusi tutti i cerchi aperti durante la narrazione e il mistero della chiave viene svelato, ma non voglio dire altro.

La particolarità dell’edizione che ho letto io è la presenza di immagini, pagine con sottolineature di penna rossa come se fossero delle correzioni, pagine con scritta solo una frase nel mezzo, tante particolarità tipografiche che rendono la lettura un’esperienza diversa dal solito.

 

Da tempo volevo provare ad approcciarmi a Foer e ho colto l’occasione della tappa di settembre del progetto #scrittoinamerica per farlo, essendo un libro che tratta degli attentati alle Torri Gemelle e avendo per protagonista un ragazzino ero un pochino impaurita, invece l’ho trovata una lettura meravigliosa. In realtà le tematiche affrontate nel libro non solo e tanto l’attentato, quanto in generale i rapporti famigliari e la necessità di affrontare e superare un lutto, Oskar trova un modo tutto suo per farlo.

Voglio approfondire la conoscenza di Foer - in particolare ho adocchiato già da un po’ di tempo “Ogni cosa è illuminata” fatemi sapere cosa ne pensate se lo avete letto – e anche il tema dell’11 settembre, avete consigli in proposito?

Avete letto questo romanzo?


mercoledì 16 ottobre 2019

CANTO DELLA PIANURA - KENT HARUF

TITOLO: Canto della pianura
AUTORE: Kent Haruf - traduzione di Fabio Cremonesi
EDITORE: NN Editore
PAGINE: 301
PREZZO: €18,00
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: Holt, Colorado USA
acquistabile su amazon: qui (link affiliato)



Oggi vi parlo di "Canto della pianura" secondo volume della trilogia della pianura dello scrittore statunitense Kent Haruf, edito in Italia da NN Editore. (Io ho sempre interpretato l'ordine come Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo, che mi pare corrisponda anche all'ordine in cui sono stati pubblicati in Italia; forse è sbagliato ma ormai ho deciso di leggerli in questo modo).

"....... Lei disse, Non credo di aver capito, non ancora. Avete accennato al bestiame. Mi dite qualcosa di più? 

Oh, be’, disse Harold. Okay. Parliamo del bestiame.

E così i fratelli McPheron proseguirono discutendo di bestiame da macello, di manzi di prima scelta, di giovenche e di vitelli da ingrasso, spiegarono anche questo, e i tre discussero a fondo fino a tarda sera. Parlando. Conversando. Spaziando un po’ anche in altri campi. Due uomini anziani e una ragazza di diciassette anni seduti al tavolo sparecchiato di una sala da pranzo di campagna, dopo cena, mentre fuori, oltre le pareti di casa e le finestre senza tende, un gelido vento del nord scatenava l’ennesima tempesta invernale sugli altopiani…..”
 
È un romanzo corale dove la narrazione delle vicende dei vari protagonisti si alterna ripetutamente; ogni capitolo riporta il nome del personaggio (o dei personaggi) che seguiamo in quel capitolo, è una peculiarità di questo romanzo (non è presente negli altri due romanzi della trilogia) che ho trovato molto interessante. Lo sfondo è la cittadina immaginaria di Holt situata vicino a Denver in Colorado.

I personaggi non ci vengono introdotti e presentati ma li conosciamo direttamente nella loro vita quotidiana, Haruf narra ciò che fanno e ciò che accade loro in quel momento e solo nel corso della narrazione, piano piano si scopre qualcosa in più su di loro, ma non troppo.
I protagonisti sono persone comuni, semplici e normali, ognuno con i propri problemi, accomunate dal vivere a Holt e della loro conoscenza reciproca. Vediamo chi sono:
- Guthrie: insegnate di scuola superiore che si trova ad affrontare l'essere padre, l'essere uomo e l'essere insegnate; su tutti e tre i fronti incontra delle difficoltà
- Ike e Bobby: figli di Guthrie 
- Victoria Roubideaux: sedicenne testarda che si trova ad affrontare "sola" una gravidanza
- Maggie Jones: collega e amica di Guthrie, amica di Victoria e dei fratelli McPheron
- Iva Stearns: vecchietta sola e confidente di Ike e Bobby
- fratelli McPheron: Harold e Raymond, due vecchi allevatori, semplici, buoni, di gran cuore impacciati e ignoranti sui rapporti interpersonali, genuini e molto simpatici; sono i miei personaggi preferiti.
“ Sissignora, proprio così. Victoria, vogliamo portarti a Philips a fare acquisti. Se sei d’accordo. Se per oggi non hai in programma nient’altro.

L’annuncio la sorprese. Come mai? Domandò.

Per divertimento, disse Raymond. Per distrarci un po’.

Non ti va? Pensavamo che ti avrebbe fatto piacere uscire.

No. Voglio dire, per quale motivo fare compere?

Per il bambino. Non pensi che il bambino che stai aspettando un giorno vorrà posare la testa da qualche parte?

Sì. Penso di sì.

Allora sarà meglio procurarci qualcosa per farlo.

Lei lo guardò e sorrise. E se invece fosse una bambina?

Be’, suppongo che dovremmo tenercela comunque e far buon viso a cattiva sorte, disse Raymond. Fece una faccia esageratamente seria. Ma anche una bambina avrà bisogno in un lettino, no? Alle bambine non viene sonno?”

La scrittura è lineare, diretta, senza troppi fronzoli, a volte cruda; particolare il modo in cui vengono esposti i dialoghi, non sono presenti segni di punteggiatura che ne definiscano inizio e fine. C'è, come dicevo prima, un'introduzione diretta quasi brutale dei personaggi, il lettore viene catapultato nelle loro vite. La narrazione di Haruf lascia dei vuoti, ci sono molti non detti; seppur in maniera minore rispetto a Benedizione è comunque un narratore conciso. È questo uno di quei casi in cui vorrei che l'autore fosse mio amico per dirgli "Kent, che problemi ha o ha avuto la mamma di Victoria? Adesso ci prendiamo una cioccolata e mi racconti tutto per filo e per segno".

Tema centrale del romanzo è la vita, nella sua fase iniziale e in qualche modo anche la maternità. Ma io ci trovo anche tanto disagio, è questo il termine che secondo me meglio descrive le situazioni; ed è quel "disagio" che io, nella mia ignoranza farcita di preconcetti, riconduco proprio agli Stati Uniti: madri che se ne vanno, ragazzine incinta, famiglie volgari, strafottenti e prepotenti che si azzuffano con gli insegnanti. Quelli di Haruf sono personaggi devono affrontare problemi in qualche modo legati ai fallimenti della vita; ho trovato degrado e squallore di tipo sociale inteso come interno ai rapporti interpersonali ed estraneo ai luoghi. Infine ho trovato anche tanta "americanità" non solo nelle situazioni di disagio ma anche in aspetti più "positivi" come ragazzini che consegnano i giornali in bici prima di andare a scuola, i cavalli, i balli della scuola, i furgoni. 

" ... Si divisero e ciascuno partì per il proprio giro. Tra uno e l'altro coprivano tutta la cittadina. Bobby si occupava della parte più vecchia e benestante di Holt, la zona sud, dove le ampie vie in piano erano fiancheggiate da olmi e robinie e bagolari e sempreverdi, dove ogni confortevole casa a due piani aveva di fronte il suo prato e sul retro un garage che affacciava su un vialetto di ghiaia; Ike invece girava per i tre isolati a destra e a sinistra di Main Street, i negozi e gli appartamenti bui sopra i negozi, e anche per la zona nord della città, al di là della ferrovia, dove le case erano più piccole e tra una e l'altra spesso c'erano dei terreni liberi, dove le case erano verniciate di blu o giallo o verde pallido e nei cortili posteriori potevano esserci pollai e qui e là cani alla catena e anche carcasse di automobili che arrugginivano tre le erbacce, sotto i rami pendenti dei gelsi......."

Tornare ad Holt è come tornare a casa. 
Voi siete mai stati a Holt? Raccontatemi le vostre esperienze.