TITOLO: L'urlo e il furore
AUTORE: William Faulkner traduzione di Vincenzo Mantovani
EDITORE: Einaudi
PAGINE: 326
PREZZO: € 13
GENERE: letteratura americana
LUOGHI VISITATI: Stati Uniti - Mississipi contea Yoknapatawpha di anni 20
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Primo approccio ad un autore che è pietra miliare della letteratura
statunitense, vincitore del Nobel nel 1949 per “il suo contributo forte e
artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”.
Primo approccio non facile. La lettura richiede attenzione e
concentrazione – spesso mi sono trovata a dover rileggere alcuni passaggi – e
ci sono frasi davvero prive di senso.
Ho iniziato ad apprezzarlo superato le 200 pagine, quando forse
finalmente si riesce a mettere assieme alcuni piccoli tasselli del puzzle, e
parliamo di un libro che di pagine ne ha 318 (postfazione compresa)!
Le prime duecento pagine sono un’agonia, se da un lato non si capisce
nulla, dall’altro ogni minimo dettaglio - che al momento appare insignificante
o addirittura un qualcosa di buttato lì e non spiegato, - alla fine acquisisce
un significato - e molto raramente spiegato - anche se magari decine e decine
di pagine dopo. Da ciò emerge tutta la
bravura di Faulkner la sua scrittura è articolata, criptica e ricercata; ha un
modo arzigogolato di narrare la storia. Viene fatto un uso particolare di
punteggiatura, parole – adopera parole non comuni, ricercate – e sintassi con
frasi lunghissime che si alternano a molteplici frasi brevissime (magari di
poche parole), ed è pieno di ripetizioni; a ciò si aggiunge l’uso di nomi di
persona simili o uguali per persone diverse, e l’uso di più soprannomi. Il
particolare uso della punteggiatura emerge soprattutto nei dialoghi: spesso
riportati senza indicazione di chi parla e nemmeno di segni di punteggiatura
che ne stabiliscono inizio e fine ma solo come un fiume di parole che si susseguono
interrotte solo da io e lui per indicare che parla, quasi fosse un discorso
indiretto ma costruito come se fosse diretto.
“Solo a immaginarmi qual boschetto mi sembrava di poter udire sussurri slanci nascosti cogliere il palpito del sangue caldo sotto la sfrenata pelle nuda vedendo contro le palpebre rosse i porci scatenanti che a coppie uniti si gettavano in mare e lui dobbiamo solo tenere gli occhi aperti per vedere compiersi il male e per un po’ mica per sempre e per un uomo di coraggio non c’è nemmeno bisogno di aspettare tanto e lui tu lo chiami coraggio? e io sissignore tu no? e lui ogni uomo è arbitro delle proprie virtù il fatto che tu lo creda o non lo creda un atto di coraggio è più importante dell’atto in sé più importante di ogni atto altrimenti non saresti in buona fede e io tu non credi che io parli sul serio e lui io ti credo troppo serio per darmi qualche motivo di allarme altrimenti non ti saresti sentito costretto a ricorrere all’espediente di raccontarmi. […] e lui tu non sopporti il pensiero che un giorno non farà più male questo ti piace ecco il punto si direbbe che tu la veda solo come una di quelle esperienze che per così dire t’imbiancano i capelli nello spazio di una notte senza affatto mutare il tuo aspetto non lo farai in queste condizioni sarà un gioco d’azzardo e lo strano è che l’uomo il quale è concepito per caso e ogni respiro del quale è un altro tiro di dadi già truccati per imbrogliarlo si rifiuta di affrontare quell’ultima forza che sa in anticipo di dover sicuramente affrontare senza ricorrere a espedienti che vanno dalla violenza a ridicoli sofismi che non ingannerebbero un bambino finché un giorno disgustatissimo rischia tutto su una mano di carte al buio nessun uomo fa mai una cosa simile al primo impulso della disperazione o del rimorso o del dolore lo fa solo quando si è reso conto che anche la disperazione o il rimorso o il dolore non ha molta importanza per il tenebroso giocatore di dadi e io passeggero?”
Ci sono passaggi molto belli, profondi che dispensano una filosofia di
vita, un particolare modo di vedere e interpretare la vita. È una scrittura che
definirei sperimentale.
“Non te lo do perché tu possa ricordarti del tempo, ma perché ogni tanto tu possa dimenticarlo per un attimo e non sprecare tutto il tuo fiato nel tentativo di vincerlo. Perché, disse, le battaglie non si vincono mai. Non si combattono nemmeno. L’uomo scopre, sul campo, solo la sua follia e disperazione, e la vittoria è un’illusione dei filosofi e degli stolti. […] Chiedersi senza tregua qual è la posizione di due lancette meccaniche su un quadrante arbitrario, diceva il babbo, è un segno che il cervello continua a funzionare.”
È un romanzo costruito per racconti: quattro racconti con quattro punti
di vista diversi e un protagonista/voce narrante diverso. Ciascun racconto narra
una particolare giornata che dà il titolo al capitolo. Attraverso il romanzo si
narrano le vicende di una decadente famiglia del sud degli Stati Uniti – la
famiglia Compson – rimasta legata a valori ed idee superate e anacronistiche, ormai
in decadenza nonostante vanti illustri antenati.
C’è un crescendo continuo nel romanzo, a mano a mano che si procede
emergono anche le personalità dei vari personaggi. La famiglia Compson è composta
dal signor Jason Compson (marito e padre), dalla signorina Caroline (moglie e
madre), dai loro figli Beniamin detto Benji, Quentin, Jason, Candace detta
Caddy, a loro si aggiunge la servitù di colore: la coppia Dilsey (che si occupa
della casa) e Roskus, i loro figli (Versh, T.P. e Frony) e il nipote Luster.
Nel primo capitolo protagonista e voce narrante è Benji, un ragazzo con
seri problemi di ritardo mentale, Faulkner ha dato voce a una persona con
problemi mentali e ha reso su carta una possibile istantanea della confusione, fragilità
e particolarità della sua psiche, è un bambino di pochi anni nel corpo di un
uomo e senza consapevolezza di quello che è. Rimane praticamente affidato alla
servitù di colore, in particolare è Luster ad occuparsene maggiormente; la
madre lo ritiene un castigo di Dio e tra i fratelli è particolarmente legato a Caddy.
Nel secondo capitolo le vicende sono quelle di Quentin il figlio
maschio mandato a studiare ad Harvard, viene raccontata proprio una giornata ad
Harvard che si mischia con strane avventure e ricordi del passato uniti
all’ossessione per la sorella Caddy e il tormento interiore di questo
personaggio.
Il terzo capitolo ha come protagonista Jason ed emerge tutto il suo carattere,
il suo rancore, il suo essere dispotico, misogino, cinico e falso; è anche il
capitolo in cui si inizia a tirare le file della narrazione e il lettore
finalmente inizia a capire e collegare tasselli.
Infine il quarto capitolo ha un narratore esterno e onnisciente (particolarità
che lo differenzia molto dagli altri, è il mio capitolo preferito) il punto
focale è la servitù di colore e in particolare la domestica Dilsey e suo nipote
Luster che è colui che si occupa di accudire Benji.
Il romanzo si chiude con una postfazione dell’autore in cui narra
brevemente le vicende della famiglia Compson.
Come dicevo non è una lettura facile, sono stata tentata di
abbandonare il libro penso sia stato il libro verso cui ho nutrito più
avversione, però è anche tra quelli che alla fine mi hanno dato grandi
soddisfazioni; in questo caso la mia regola aurea di leggere/finire i libri che
inizio mi ha davvero ripagato.
Ho letto questo libro per la tappa del mese di giugno di #scrittoinamerica
che prevede un tema difficile: la Grande Depressione dopo la crisi del ‘29. Tra
i libri suggeriti ho scelto questo per due motivi, il primo è che era il libro
per che mi è stato più semplice recuperare, il secondo è che volevo approcciarmi
a Faulkner da tempo e non avendo mai letto nulla di suo ho colto l’occasione al
volo. Purtroppo è fuori tema, nel senso che non tratta la crisi del ‘29 è stato
pubblicato nel 29 ma è ambientato prima.
Ho letto che il monologo di Benji (che rappresenta il primo
capitolo di questo romanzo) è forse lo scritto più incomprensibile di Faulkner
e che lui stesso non capiva il significato di alcune sue frasi. Bell’inizio!
Non so dire se sia l’opera
migliore per approcciarsi a Faulkner (probabilmente no) però sono un libro e un
autore che mi sento di consigliare, proprio le difficoltà di lettura sono gli
aspetti che a fine romanzo mi hanno fatto apprezzare la scrittura di questo
autore, in fondo, come mi ripetevo quando in preda alla disperazione (perché non
capivo assolutamente nulla) volevo abbandonare il libro, se ha vinto il Nobel
un motivo ci sarà.
Voi avete mai letto Faulkner? Aspetto vostri suggerimenti.