TITOLO: Diary
AUTORE: Chuck Palahniuk traduzione di Matteo Colombo
EDITORE: Mondadori collana contemporanea
PAGINE: 244
PREZZO: € 10,00
GENERE: letteratura statutitense - letteratura distopica, disturbante
LUOGHI VISITATI: Waytansea Island (luogo immaginario degli Stati Uniti d'America)
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In questo romanzo Palahniuk racconta la vicenda di
una donna, Misty Marie Kleinman in Wilmot che sogna, fin da bambina, di
diventare un artista famosa, per questo si iscrive all’accademia di belle arti
ma ritiene le sue opere troppo banali, ordinarie. All’accademia incontra un
ragazzo, Peter Wilmot che potremmo definire eccentrico e un po’ strampalato, si
innamorano, si sposano, hanno una figlia e si trasferiscono a vivere sull’isola
Waytansea. Waytansea è praticamente un paradiso terreste o almeno lo
era, infatti al momento in cui si svolge la vicenda è invasa da turisti, spazzatura e cartelloni pubblicitari.
“Il sole è caldo. Il prato è piuttosto in alto, e quando guardi giù vedi le onde che sibilano e scoppiano contro gli scogli. Lungo la costa si vede il paese. Il Waytansea Hotel è uno sbaffo di legno bianco. Quasi si riescono a vedere le finestrelle degli abbaini lungo la soffitta. Da qui l’isola appare amena e perfetta, non affollata e pullulante di turisti. Imbruttita dai cartelloni pubblicitari. Ha l’aspetto che doveva avere prima che arrivasse il ricco popolo dell’estate. Prima che arrivasse Misty. Capisci come mai la gente nata qui non se ne va. Come mai Peter fosse così disposto a proteggerla.”
Ma tutto questo è il contorno della vicenda che si basa sul tentato suicidio di Peter che ora è in coma in ospedale, sulla sparizione di alcune stanze nelle case da lui ristrutturate, stanze che risultano essere state murate e dentro alle quali sono state scritte, sui muri con la vernice spray, frasi deliranti, minacciose, terrificanti e premonitrici, cariche di odio verso il popolo dell’estate. Mentre Misty per mantenere la
famiglia fa la cameriera al Waytansea Hotel e per tirare avanti ricorre ad un amico speciale: il bicchiere.
“E Misty, quella poveretta di tua moglie, l’unica persona sana i mente nei paraggi, vorrebbe soltanto…be’, vorrebbe soltanto bere qualcosa. […] Quando ormai hai raggiunto la mezz’età e hai capito che non sarai mai stata l’artista grande e famosa che hai sognato di diventare, e che non dipingerai mai qualcosa che sappia toccare e ispirare le persone, che tocchi e commuova sul serio, che cambi loro la vita. Quando hai capito che ti manca il talento. Che ti manca il cervello, o l’ispirazione. Che ti manca tutto ciò che occorre per creare un capolavoro. Se ti rendi conto che nel tuo portfolio ci sono soltanto grandi case di pietra e morbide aiuole fiorite – i sogni nudi e crudi di un ragazzina di Tecumseh Lake, Georgia – se ti rendi conto che qualsiasi cosa tu possa dipingere non farebbe altro che aggiungere merda senza qualità a un mondo che di merda senza qualità già trabocca. Se ti accorgi che hai quarantun anni e che hai già dato fondo al potenziale che buon il Dio di ha donato, be’, salute.”
Tutti gli abitanti dell’isola, a partire dalla suocera Grace e dalla figlia Tabbi, spronano Misty a dipingere, pretendono che dipinga, perché è una grande artista e vedono in lei una salvatrice. Misty è
inconsapevolmente parte di un progetto, di una favola macabra.
Premessa fondamentale: questo libro l’ho letto nell’ambito del progetto #scrittoinamerica che per il mese di agosto prevede il tema
#disturbia quindi autori e di conseguenza romanzi “disturbanti”. Una
tematica per me nuova e che mi preoccupava parecchio.
Questo libro racconta una realtà disturbata, malata, però l’elemento disturbante, ansiogeno è, sì,
presente ma non è evidente come temevo.
La componente disturbante emerge piano piano nel
corso della lettura e solo fermandosi a ragionare, a riordinare le idee su
quello che si sta leggendo e mettendo assieme vari tasselli, come in un puzzle,
emerge un quadro tutt’altro che normale. Non mancano gli elementi paranormali:
su tutti le doti artistiche “sovrannaturali” di Misty nel senso della sua
capacità tecnica di fare disegni perfetti senza alcun strumento ma soprattutto
il fatto che i disegni che sembrano frutto della sua fantasia (di bambina e poi
di donna) corrispondono (sono la copia esatta) a luoghi reali che non ha mai
visto; il testo è ricco di
indizi su una predestinazione di Misty.
Come non mancano gli elementi inquietanti, tra cui i messaggi scritti a matita che mettono in guardia Misty, messaggi che le sono
stati lasciati da due pittrici famose dell’isola la cui vita è circondata da
mistero e lutti; i deliri di Peter dove Misty viene definita è la distruttrice del popolo dell’estate.
Probabilmente ho apprezzato molto questo libro perché l’elemento disturbante è “nascosto”, mischiato al resto della
narrazione. “Resto” che si sostanzia, da un lato nella vita quotidiana di Misty
fatta di lavoro, di preoccupazioni per la sorte del marito in coma e di visite
al suo capezzale, preoccupazioni economiche e sulla vita che potrà dare a sua
figlia e dall’altro dalla necessità di risolvere il “mistero” d
elle stanze scomparse di cui si occupa assieme ad altre due figure: Angel Delaporte il proprietario di una casa in cui è scomparsa la cucina e il detective Stilton.
“Misty fa per accarezzarlo e il cane si divincola, dopodiché piscia proprio lì, sul ponte. Si avvicina un uomo con un guinzaglio avvolto intorno a una mano, e le chiede: «Si sente bene?».
Quella povera cicciona di Misty nel suo coma da birra.
Che domande. Figuriamoci se adesso lei, in mezzo a una pozza di piscio di cane, si mette a raccontare a un tipo strano la storia della sua vita di merda, con una birra in mano e tirando sul col naso per ricacciare indietro le lacrime. Come se Misty potesse semplicemente dire – be’, visto che me lo chiede – che ha appena passato l’ennesima giornata nella lavanderia sigillata di un perfetto sconosciuto a leggere frasi senza senso scritte sui muri, intanto che Angel Delporte scattava foto col flash e le diceva che quel coglione di suo marito è un persona davvero affettuosa e protettiva perché scrive le ‘u’ con il tratto a destra arricciato in cima, anche quando definisce sua moglie ‘…una punizione malvagia, una maledizione mortale…’”.
Infine le vicende dell’oggi narrativo si alternano con capitoli in cui si ripercorre (a grandissime linee) la vita di Misty, la sua infanzia di ‘bambina bianca con le pezze al culo’ che sogna di diventare un’artista famosa, il periodo all’Accademia e soprattutto l’incontro con Peter e le loro uscite. Perché alla fin fine
la protagonista è Misty, è lei il fulcro di tutta la storia.
Lo stile è asciutto e conciso, ma al tempo stesso anche ripetitivo, ci sono alcune frasi che vengono ripetute molte volte nel corso del romanzo, questa è la mia preferita:
“A quello che non capisci puoi dare qualunque significato.”
La narrazione è veloce, i capitoli sono brevi così
come anche la maggior parte delle frasi, talvolta poche parole; di contro le
poche frasi lunghe sono molto lunghe e ricche di subordinate. Altro elemento
particolare è l’alternanza di dialogo diretto e indiretto all’interno della stessa conversazione.
Il lessico è prevalentemente semplice, colloquiale e abbondano parolacce ed epiteti. Tutta questa semplicità narrativa, lessicale
trova un contraltare in alcune peculiarità della narrazione: è ricca di
riferimenti scientifici, riferimenti anatomici ai muscoli facciali coinvolti
nelle azioni delle persone e riferimenti di grafologia e psicanalisi. Questi
accenni di grafologia e di psicoanalisi sono spiegati in modo conciso ma
efficace soprattutto ai fini della narrazione e li ho trovati geniali. Infine
non mancano elementi “curiosi” che scadono nel raccapricciante sulla vita di
artisti passati come malattie e manie che li contraddistinguevano che forse
(almeno secondo Peter) hanno contribuito alla loro qualità e bravura.
La costruzione le romanzo è originale e bizzarra: si tratta di un diario, ogni capitolo rappresenta un giorno - o una parte di un giorno – e viene indicata la data. Ciò che non ho capito è chi scrive questo diario, il narratore sembra esterno e onnisciente, parla di Misty – di quello che fa, dice, gli accade - in terza persona, poi si rivolge direttamente a Peter dandogli del tu. Quindi non riesco a capire chi scriva il diario, ho delle ipotesi ma vaghe, è un piccolo mistero che forse rende il romanzo ancora più interessante.
Quindi sono molto entusiasta di questa lettura, sono uscita dalla mia confort zone e ho trovato un romanzo bello, avvincente, non troppo pauroso, che mi ha tenuta incollata alle pagine.
Vorrò leggere altro in futuro nell’ambito della letteratura disturbante che travisa, modifica ed altera la realtà. E voglio leggere altro di Palahniuk a partire da “Fight Club” che lo ha consacrato, proprio per questo - e per il film (che non ho visto) con Brad Bitt - ho deciso di leggere altro e scorrendo la sua bibliografia sono stata attratta da questo romanzo.
Conoscete Chuck Palahniuk?
A voi piace la letteratura disturbante?