TITOLO: Dio di illusioni
AUTORE: Donna Tartt traduzione di:
Iodolina Landolfi
EDITORE:
BUR
PAGINE:
622
PREZZO:
€ 15
GENERE: letteratura america, romanzo di formazione
LUOGHI VISITATI:
Vermont (USA)
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“Immagino che vi sia un periodo cruciale, nella vita di ognuno, allorchè il carattere si consolida definitivamente; per me, è stato quel primo semestre autunnale che trascorsi ad Hampden. Tante cose mi porto dietro, da quel periodo, persino oggi: i gusti in fatto di vestiti, libri, cibo – acquisiti allora e in larga parte, lo devo ammettere, a emulazione dei miei compagni di greco – mi sono rimasti attraverso gli anni. È facile per me ricordare tuttora le loro abitudini quotidiane, che poi di conseguenza divennero le mie. Indipendentemente dalle circostanze, vivevano in maniera regolamentata, concedendo ben poco a quella confusione che avevo sempre ritenuto intrinseca alla vita del college – pasti irregolari, e così le ore dedicate allo studio, lavaggio della biancheria all’una di notte ecc.”. Pag 103
Protagonista e voce narrante è Richard, un giovane californiano di Plano che si iscrive all’Hampden College nel Vermont grazie a una borsa di studio. Arrivato al college Richard scopre l’esistenza di un corso di greco antico e ne è immediatamente e irrefrenabilmente attratto e farà di tutto per farne parte. Non è tanto la materia in sé ad attrarlo ma l’esclusività, la particolarità degli studenti, la fama del professore e l’alone di mistero che aleggia sul quel piccolo gruppo. Infatti si tratta di un corso di studi molto particolare, chiamato “Lyceum” tenuto dal “leggendario” professor Julian Morrow: è un corso elitario ed esclusivo per soli cinque studenti a cui si aggiungerà Richard. Entrà così a far parte di un gruppo molto particolare, strampalato, avulso dal resto del college (Morrow vieta ai propri studenti di partecipare/seguire altri corsi o lezioni a parte le sue), queste nuove amicizie cambieranno profondamente la sua vita.
“Era un oratore meraviglioso, un parlatore magico, e vorrei essere in grado di fornire un’idea migliore di ciò che diceva; ma è impossibile, per un intelletto mediocre, rendere il discorso di uno superiore – specialmente dopo tanti anni – senza molto travisarlo. La disquisizione di quel giorno verteva sulla perdita dell’io, sulle quattro pazzie divine di Platone, sulla pazzia in generale; cominciò parlando di ciò che lui chiamava il peso dell’io, e del perché la gente se ne vuole liberare.” Pag 48 e 49
“Dopo la lezione, scesi le scale trasognato, la testa che mi girava, ma acutamente, dolorosamente, cosciente d’essere vivo e giovane in una bellissima giornata: il cielo di un intenso, accecante azzurro, il vento che sparpagliava le foglie rosse e gialle in un turbine di coriandoli.” Pag 55 e 56
Mi sono approcciata al libro con aspettative altissime sia per averne sempre sentito parlare bene sia perché della Tartt avevo già letto (e adorato Il cardellino): le aspettative sono state ripagate. All’inizio ho faticato un po’ ad entrare in sintonia, sia per il poco tempo che potevo dedicare alla lettura sia perché ha uno stile narrativo particolare, tosto e io venivo da una lettura molto “semplice” e piana.
Pian piano la vicenda inizia a svilupparsi e tu lettore vuoi vedere come e perché si arriva al delitto e poi come andrà avanti, se finirà lì oppure ci sarà un seguito.
Come detto all’inizio abbiamo un io narrante (Richard) che decide di raccontare la sua vita e in particolare la sua esperienza del primo anno di college, in quest’anno ci saranno alcuni eventi che cambieranno per sempre la vita di Richard.
Il romanzo si presenta strutturato con una macrodivisione: si inzia con un prologo dove viene esposto l’evento cruciale dell’intera vicenda nella prima riga! Questo evento che influirà sulla vita di Richard (e non solo) è un omicidio e Richard ce ne parla nella prima riga del prologo. Il prologo è una sorta di bussola, almeno per me lo è stato, l’ho riletto più e più volte per orientarmi temporalmente, per capire quando avviene il fatto perché ci sono riferimenti stagionali.
Abbiamo poi un libro primo dove la narrazione si occupa del prima del fatto, ma tu sai che deve accadere (e anche a chi) ti chiedi il perché e quando lo scopri ti chiedi il come e il quando, e sei spinto ad andare avanti per vedere e scoprire. Ha un inizio lento poi un climax crescente fino al fatto.
Il secondo libro: è il dopo, cosa succederà? Verrano scoperti? E come si evolvono i rapporti all’interno del gruppo? Tutto tornerà/rimarrà come prima oppure le cose cambieranno? Anche qui tu lettore hai la curiosità di vedere come si evolve la vicenda.
E poi un epilogo: il finale non riesco a definirlo, non è scontato, non è prevedibile anche se ragionandoci a posteriori ci si può aspettare qualcosa di simile, ma è comunque spiazzante (almeno per me lo è stato). Ho apprezzato moltissimo che dia conto di cosa accade, come si evolve la vita di tutti i personaggi che abbiamo incontato anche di quelli più marginali.
“Incominciai a osservarli, lui e
il suo piccolo gruppo di allievi, in giro per il campus. Quattro ragazzi e una
ragazza: non erano nulla di strano, a distanza. Da vicino, però, formavano una
comitiva singolare – almeno per me, che non avevo mai vito nulla di simile:
immaginavo in loro qualità affascinanti e fantastiche.”
Dedico due parole sui personaggi: Richard è un ragazzo comune che va al college grazie a una borsa di studio e contro il parare dei suoi genitori che non lo sostengono, ho empatizzato moltissimo con lui anche se non condivido alcune sue scelte tra tutte entrare al corso di greco antico. Gli originari componenti del gruppo di greco sono piuttosto singolari, non passano inosservati e almeno all’apparenza sono i classici figli di papà che non hanno problemi economici e che non devono preoccuparsi di cosa faranno da grandi. Abbiamo Henry sicuramente il più inteliggente e bravo, è una sorta di nerd con la fissazione per le lingue anche quelle morte come l’aramaico; c’è poi Francis che è sempre elegante e impeccabile; Edmund detto Bunny che non prende le cose troppo sul serio e i gemelli Macaulay, Charles e Camilla che vestono sempre di bianco e sono inseparabili. Il professor Morrow è un personaggio raccontato magnificamente ma come “persona” non mi è piaciuta, è egoista ed egocentrico, impegnato e interessatos solo a magnificare se stesso, è uno snob, il problema per me non è fare le cose in modo diverso – nel suo caso adottare un metodo di insegnamento non tradizionale – ma farlo con la presunzione e l’arroganza di essere migliore di tutti gli altri.
“Mi è sempre stato difficile parlare di Julian senza mitizzarlo. Per molti versi è quello che ho più amato; ed è con lui che sono maggiormente tentato di abbellire, reinventare, perdonare. Penso che sia perché Julian stesso era costantemente impegnato a reinventare le persone e le circostanze attorno a sé, attribuendo di volta in volta gentilezza, saggezza, coraggio, fascino, ad azioni da tutto ciò assai lontane. Era uno dei motivi per cui gli volevo bene: per la luce lusinghiera in cui mi vedeva, per la persona che diventavo insime a lui, per quello che lui mi ha permesso di essere.”
“Niente tuttavia spiegherebbe la magia della sua personalità, o il perché – anche alla luce degli eventi successivi – abbia tuttora un irresistibile desiderio di rivederlo come lo vidi la prima volta: il vecchio saggio apparsomi dal nulla, su un tratto di strada desolata, con la promessa stregata di trasformare i miei sogni in realtà.
Ma anche nelle favole i vecchi benigni con le loro offerte fascinose non sempre sono quel che appaiono: e questa, che dovrebbe essere una verità non troppo difficile per me da accettare, al punto attuale, invece, per qualche motivo lo è. Più d’ogni altra cosa mi piacerebbe poter dire che il volto di Julian si stravolse al racconto delle nostre azioni […] E la tentazione di attribuigli tali reazioni, di raccontare cose che non corrispondono alla realtà è stata forte.” Pag 572
La narrazone è molto ricca, dettagliata, articolata, filosofeggiante, prolissa e piena, piena di riferimenti e rimandi letterari e accademici ed è anche molto erudita: tutto ciò è assolutamente coerente e conforme al contesto di ambientazione del romanzo l’io narrante frequenta un corso di greco antico. Lo dico perché spesso ho sentito delle critiche verso lo stile narrativo usato da Donna Tartt in Dio di Illusioni, voglio fare due osservazioni: anzitutto come detto prima trovo lo stile coerente con il contesto della vicenda ed è questo un dato a mio parere, innegabile; dall’altro devo dire che personalmente adoro le narrazioni prolisse e dettagliate e, in linea teorica, le preferisco a quelle asciutte e scarne (poi bisogna sempre vedere la realizzazione specifica), posso riconoscere che magari qualcosa si poteva anche omettere o tagliare ma a me è piaciuto moltissimo così (mi è capitato il altri libri di avere la sensazione di un brodo che viene allungato, ma non in questo caso).
Come detto nutrivo aspettative altissime che non sono state deluse, ne avevo sentito parlare piuttosto bene e poi avevo già letto di Donna Tartt Il cardellino che mi era piaciuto moltissimo. Donna Tartt è una scrittice poco prolifica al momento sono disponibili tre romanzi (oltre a Il cardellino e Dio di Illusioni, c’è Il piccolo amico che ancora devo leggere) ma sono best seller internazionali con l’ultimo Il Cardellino ha vinto il premio Pulitzer. Spero tanto che arrivi presto un suo nuovo libro. Avendo letto due romanzi su tre vorrei dire che c’è una sorta di schema tipico: un io narrante che con una sorta di flusso di conoscenza ci racconta la sua vita dove uno o più avvenimenti la sconvolgono. Ma potrei sbagliarmi…
È un libro autunnale per antonomasia, uno dei più consigliati da leggere in autunno e infatti io l’ho letto nell’autunno 2022 e lo trovo perfetto per la stagione sia perché in parte, quella iniziale, ambientato in questa stagione, perché è ambientato in un college/scuola che mi fa pensare subito all’autunno e infine per il suo allure creepy.
Fatemi sapere nei commenti se lo avete letto.
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